Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: sfiorisci    03/07/2015    1 recensioni
Anno 3265.
La Terra non esiste più. Gli esseri umani hanno sfruttato tutte le sue risorse, fino a quando questa non è divento un pianeta morente. Un gruppo di scienziati riesce a mettere in salvo parte della popolazione portandola su Xaral, un pianeta con le stesse caratteristiche della Terra. Con la loro partenza sperano di poter mettere fine alla malvagità e la sete di potere degli uomini, ma purtroppo vengono delusi: coloro che avevano salvato si impongono sulla popolazione nativa, massacrando gli Xaraliani.
Anno 4065.
Evelyne è una ragazza fortunata, o per lo meno questo è il pensiero dei suoi dottori. Il suo corpo è stato ritrovato quasi in fin di vita in seguito all'esplosione di un palazzo. Il prezzo per la sua vita è stata la memoria: non ricorda nulla dell'incidente o della sua vita prima di esso, non ricorda amici, familiari e neppure il suo nome. L'unica cosa che sa è la sua età, diciotto anni, confermata dai dottori. Tutta l'eredità del suo passato è una medaglietta con scritto "Evelyne" appesa al collo.
Lentamente, riuscirà a mettere insieme i pezzi del suo passato, scoprendo che il suo destino è collegato a quella misteriosa popolazione, massacrata molti anni prima.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Capitolo VII

Evelyne non sapeva bene dove fosse. Morire – ammesso che fosse realmente morta − era stata l’esperienza più strana della sua vita, non tanto per l’atto in sé, ma più che altro per ciò che era accaduto dopo. Inizialmente la ragazza si sentiva come se dormisse: i suoi occhi erano chiusi, il corpo stanco e vi erano solo buio e silenzio a circondarla.
Lì per lì le sembrò normale; la sua mente, in qualche modo, continuava a vivere mentre il suo corpo era deceduto ma, la cosa più strana, accadde quando aprì gli occhi. Nonostante si sentisse ancora stanca e spossata, era in piedi, in mezzo al nulla. I suoi piedi non toccavano propriamente terra perché sotto di lei c’era il vuoto, così com’era sopra e tutt’intorno a lei, eppure le sembrava camminare su una sottile lastra di vetro. Il silenzio che l’avvolgeva era inquietante e aveva un qualcosa di mistico, tanto che la ragazza aveva paura di aprire la bocca e provare a parlare, per vedere se ne fosse capace.
Evelyne, in mezzo a tutto quel bianco, si limitava a vagare, incerta sul da farsi: la sua confusione derivava anche dal fatto che non aveva più la collanina con il suo nome. Non si ricordava – letteralmente – un tempo in cui non l’avesse portata appesa al collo e, dal momento in cui era misteriosamente sparita, si sentiva come se le mancasse una parte importante di lei. Non era sicura di poter vivere senza di essa, così come era sicura di non poter vivere senza il suo cuore, il suo cervello o i suoi polmoni.
Si tocco il collo nudo e, per la prima volta, provò a parlare: «Dov’è?» sussurrò piano. Appena ebbe parlato, il bianco le si chiuse intorno, avvolgendola e portandola con sé.
 
Evelyne era a casa. Guardava le pareti color avana a cui erano appesi i quadri e lo sapeva, osserva la disposizione dei mobili e sapeva di essere stata lei a metterli in quel modo, era distesa sul suo letto e sapeva che l’aveva fatto mille altre volte.
Una parte di lei si ricordava dell’ospedale, della perdita di memoria, di Ashton, di Kevin, di come fosse stata pugnalata, del vuoto, del fatto che fosse strano che si trovasse lì, ma ad una parte più grande di lei non importava. Sentiva di essere esattamente dove doveva, stava facendo esattamente ciò che doveva fare. Il suo cervello si poneva delle domande e subito si rispondeva. Si sentiva come se, improvvisamente, si fosse rimpicciolita e fosse diventata solo una piccola vocina all’interno della sua testa, mentre una nuova Evelyne con le sue sembianze, i suoi pensieri e la sua vita, agiva com’era solita fare.
Ad un certo punto, la ragazza si alzò dal letto, attirata da un rumore che proveniva da un’altra stanza. I suoi gesti non erano lenti e macchinosi, ma veloci e spediti e si chiese se quello che stava vivendo fosse un sogno o un ricordo della sua vera vita, quella precedente all’incidente. Velocemente si spostò da una stanza all’altra fino ad arrivare in quella che sembrava una cucina: al centro c’era un tavolo con quattro sedie intorno e, lungo il perimetro della stanza, c’erano vari ripiani e fornelli. Evelyne era curiosa e voleva dare un’occhiata all’abitazione – sperava davvero che fosse la sua – ma l’attenzione del corpo nel quale si trovava venne attirata da un piccolo pacco regalo sopra il tavolo.
Questo era delle dimensioni del palmo della sua mano, di color panna e legato con un nastro marrone. Non c’era nessuno biglietto che spiegasse il motivo del regalo o desse un indizio su chi lo aveva comprato, ma Evelyne – quella che guidava il corpo – sembrava sapere già tutto. Con una calma e una lentezza quasi fuori dal comune, allungò la mano verso il regalo e lo prese in mano. Lo soppesò con attenzione mentre sorrideva e, solo dopo un paio di minuti, iniziò a scartarlo: al suo interno c’era della carta e, sotto di essa, una collanina che l’Evelyne che stava sognando – o ricordando – riconobbe subito. Conosceva ogni minimo dettaglio di quel regalo, non essendoselo mai tolto dal collo da sei mesi a quella parte. Era molto più scintillante e meno ammaccato di quella che aveva in quel momento, cosa che la portò a pensare che quello era stato il momento in cui lei l’aveva ricevuta per la prima volta.
Mentre la sua lei passata si commuoveva per la bellezza del regalo, la vera Evelyne non poteva che essere felice di aver finalmente ricordato qualcosa del suo passato. Ne era certa, non poteva solo essere una semplice coincidenza: forse era morta, forse no, ma sapeva qualcosa del suo passato che, senza la coltellata in pieno stomaco di Kevin Fort non avrebbe mai scoperto.
Evelyne appoggiò il prezioso oggetto sul proprio collo, stando attenta a far aderire bene le lettere alla sua pelle, senza intrecciare il delicato filo che le sorreggeva. Provò ad allacciarsi la collanina dietro al collo varie volte, ma senza ottenere risultati. La chiusura era una di quelle troppo piccole e, da sola non ce la faceva. Come se fosse stato nascosto per lungo tempo, in quel momento arrivò un uomo – che la vera Evelyne non aveva mai visto, ma che l’altra riconosceva come suo padre −, gli sorrise e gli chiese di allacciarle il ciondolo. Evelyne era curiosa di vederlo, di vedere finalmente il volto dell’uomo che l’aveva messa al mondo, ma i movimenti di quest’ultimo furono così veloci che tutto quello che vide fu una macchia indistinta. Suo padre doveva essere un uomo alto, robusto e con folti capelli castani. Più di questo, penso la ragazza con tristezza, non avrebbe mai saputo. Non appena il ciondolo fu chiuso, l’uomo lo fece adagiare lentamente sul collo della figlia e, dopo un breve sussulto, il bianco si chiuse nuovamente intorno a lei, rapendola dalla gioia familiare di quel ricordo.
 
Evelyne venne catapultata in un posto che non conosceva e questa volta era se stessa. Non vedeva il mondo con gli occhi di una sé passata, provava ansia e paura perché non sapeva dove fosse e come andare via da lì. Forse in quel momento era veramente morta e quel breve ricordo era solo un elemento transitorio, un passaggio dalla sua vita terrena a quella in un altro luogo, ma qualcosa le diceva che non era così.
I suoi sensi erano tutti quanti in allerta e sentiva che la fitta vegetazione verde di quel posto nascondeva altro. Riflettendoci meglio, il posto in cui si trovava era davvero strano. C’erano un sacco di alberi e di arbusti, ma i loro colori erano scintillanti: su Xaral non aveva mai visto nulla del genere. Poco più in là di dove si trovava lei c’era un piccolo lago dall’acqua cristallina ed Evelyne decise di avvicinarcisi, per vedere se ci fossero altri esseri umani oltre a lei. Arrivata quasi alla riva, notò un pezzo di metallo che spuntava al centro di esso. Curiosa – dov’era mai capitata? – si tolse con cura le scarpe, si spogliò dei panni superflui e si tuffò nel lago.
Il contatto dell’acqua con la sua pelle la fece rabbrividire; nonostante il sole splendesse alto nel cielo, la temperatura era ancora piuttosto fredda. Evelyne nuotò velocemente per scaldarsi e, in pochi minuti, arrivò al pezzo di metallo che aveva potuto osservare dalla riva. Notò che si trattava di qualcosa di molto strano, sicuramente antico, data la presenza di ruggine e di varie piante che vi si erano posate sopra. La parte più grande dello strano aggeggio, però, si trovava sotto la superficie dell’acqua così Evelyne prese un lungo respiro e s’immerse.
La ragazza voleva davvero scoprire cosa fosse quell’oggetto, ma più andava a fondo, più il buio non le permetteva di vedere. Salì in superficie e poi ridiscese più volte, per cercare di capire il più possibile ma, stanca per via del fatto che non otteneva risultati, perse le speranze e tornò alla riva. Si lasciò asciugare dai caldi raggi del sole e, quando il processo fu concluso, si vestì nuovamente ed attese. Su quella spiaggia non sembrava esserci nessun altro oltre a lei e, se nel ricordo precedente era stato qualcun altro a farle cambiare ambientazione, adesso doveva fare tutto da sola.
I problemi – perché ne aveva più di uno – erano non sapere dove si trovasse, se quella fosse una condizione definitiva o no, se poteva far qualcosa per tornare indietro. Pensò che non le importava di voler tornare alla sua vecchia vita (anche se il pensiero di Ashton le provocava ancora una fitta dolorosa al petto), ma si accontentava del ricordo precedente, quando la sua vita ancora era intatta e conosceva la sua vera identità. In quel momento, persa in mezzo alla giungla, senza sapere bene se fosse viva o morta, Evelyne pensò che le sarebbe piaciuto sapere chi fosse veramente.
Era strano essere arrivata al punto dov’era arrivata lei – non si era dimenticata che degli uomini combattevano per lei – sottovalutando così tanto il proprio potenziale e avendo avuto solo informazioni sommarie o bugie. Si ricordò del tempo quando, in ospedale, avrebbe tanto voluto azzerare tutto e ricominciare daccapo e si rese conto di come questo fosse impossibile: avrebbe trascorso tutta la sua vita pensando cosa avrebbe fatto la vecchia Evelyne, se le sue azioni fossero compatibili con la nuova, avrebbe creato un sacco di paranoie perché quel non sapere le bruciava come nient’altro aveva mai fatto.
La sua vita, da quando era uscita dall’ospedale, aveva preso una piega che mai si sarebbe aspettata e tutto ciò che aveva provato a costruire era crollato come un castello di sabbia investito da un’onda. Pensava di essere una normale ragazza e aveva scoperto di aver dei poteri e di essere il centro di una guerra, pensava di aver trovato l’amore in Ashton e questo l’aveva delusa scegliendo suo padre a posto suo, pensava che Kevin Fort fosse il suo ultimo amico e alleato, ma l’aveva tradita. Aveva un così disperato bisogno di certezze in quel momento e ripensare all’incidente che le aveva tolto la certezza più grande – se stessa – le metteva addosso una grande angoscia.
Era come se cercasse invano di rialzarsi su dopo una caduta, ma c’era sempre qualcuno a spingerla sempre più a fondo. Era persa, letteralmente, non sapeva cosa fare, chi cercare, dove andare e dov’erano le sue certezze in quel momento? Dov’era chi le indicava la via? Cosa avrebbe dovuto fare?
Tante, troppe erano le domande che affollavano la mente della povera ragazza e non c’era nessuna risposta. Evelyne si accorse che tutto quel ragionamento l’aveva portata alle lacrime e, per la prima volta in vita sua, non si vergognò di piangere e non si nascose. A quanto pare non c’era nessuno in quel luogo e lei aveva un così grande bisogno di sfogarsi che, anche se fosse stata circondata da persone, probabilmente lo avrebbe fatto lo stesso. Cercava una soluzione, cercava disperatamente uno stratagemma che la tirasse fuori di lì, ma le lacrime, oltre che averle offuscato la vista, sembravano averle offuscato anche la mente, ché i suoi pensieri erano solo tristi.
Istintivamente, mentre tutto ciò veniva alla luce, si toccò il collo e notò che la sua collana era nuovamente lì. Eccola, pensò, la mia unica certezza. Da quello che aveva scoperto, la collana c’era sempre stata, da prima dell’incidente, durante il periodo in ospedale, quando era uscita, durante la sua forse morte e in quel momento, sperduta nel mezzo del nulla e abbandonata.
La strinse più forte e respirò a lungo pensando che, forse, la vera Evelyne non era andata persa nell’incidente ma era da qualche parte dentro se stessa, in attesa di uscire fuori. Cos’aveva fatto quando si trovava sempre in difficoltà? Era ricorsa ai suoi poteri.
Non era sicura che in quel luogo strano funzionassero, né che fossero la soluzione per uscire di lì, ma idee migliori non ne aveva. Si costrinse a calmarsi, si asciugò le lacrime, strinse il suo nome metallico fra le mani e, ad occhi chiusi, si concentrò sul proprio battito cardiaco. Lentamente tutto il resto intorno a lei sparì e, sussultando, aprì gli occhi.
 
Appena Evelyne tornò alla vita vera, venne colpita da una fitta lancinante all’addome. Portò una mano sotto le coperte dove sentiva dolore e, quando la ritrasse, vide che era coperta di sangue. Il suo corpo era ricoperto da un leggero velo di sudore, i capelli attaccati alla nuca e, al suo solito posto, sentiva il peso della collana. La ragazza provò a parlare ma, nell’istante in cui provò ad emettere suono una donna – o meglio, un essere con le sembianze di una donna – corse verso di lei.
«Stai sanguinando» notò avvicinandosi. Con gesto deciso le tolse le coperte di dosso, tolse la vecchia medicazione dalle ferite – Evelyne rimase inorridita dal sangue che le sgorgava fuori – e prese delle erbe e della garza per fargliene una nuova.
«Ecco qua, dovrebbe durare per altre due o tre ore» disse la donna, sorridendole. Poteva passare per una normalissima donna, se non fosse che la sua pelle blu.
«Cosa sei?» le chiese Evelyne, che ancora non credeva ai suoi occhi.
«Oh, è vero, che sbadata! Mi sono dimenticata di presentarmi. Mi chiamo Speranza e sono l’ultima degli Xaraliani» disse porgendole la mano.
«Gli Xaraliani?» ripeté incredula la ragazza «Ma non si erano estinti tutti?»
«Non io. Ai tempi del massacro ero solo una bambina e riuscii a scappare. Da quel giorno ho sempre vissuto come un Essere Umano, fra loro, senza mai essere scoperta. Aspettavo il momento in cui avrei conosciuto la famosa Evelyne, quella di cui il mio popolo parlava sempre. Sono così felice di averti incontrata!» le confessò emozionata.
C’era qualcosa nell’entusiasmo genuino della donna che portò Evelyne a sorridere e subito dopo a vergognarsi per la sua maleducazione.
«Grazie mille per la medicazione» disse in fretta per riparare alla sua mancanza.
«Oh, nulla. Sono felice che ti sia ripresa, sai? Quando ti ho trovata eri quasi completamente morta, ho dovuto usare un’erba speciale per guarirti, che dice sia letale per gli esseri umani. Dice che dia loro il potere di fare sogni strani e a volte alcuni si trovano così bene all’interno di essi che non si svegliano mai»
«Quindi muoiono?»
«Beh, non subito. All’inizio dormono e basta, ma rifiutano l’acqua e il cibo, quindi sì, a lungo andare muoiono» confermò Speranza.
Evelyne si chiese se fosse stata quella la causa che l’aveva portata a fare quei sogni strani. Forse, prendendo altra erba avrebbe potuto vedere tutta la sua famiglia, forse avrebbe addirittura potuto vivere con loro...
«Non è che, ora che abbiamo appurato che non mi fa male, potresti darmene di più? Potrei avere visioni interessanti su qualcosa che-» Evelyne non riuscì a finire la frase.
«Assolutamente no» la interruppe Speranza «Sono quattro giorni che dormi ed è stato un puro caso che tu ti sia svegliata. Io non sono come quel pazzo Ibrido, io non cerco di ucciderti».
«A proposito, che fine ha fatto? Kevin Fort intendo» chiese la ragazza.
«È una lunga storia» fu la risposta della Nativa, che si era rabbuiata in volto «Ne parleremo una volta che ti sarai guarita».
 
La ferita di Evelyne impiegò due settimane per guarire completamente. Speranza le aveva spiegato che, in condizioni normali, ci sarebbero voluti almeno due mesi, ma grazie alle speciali medicazioni del suo popolo, era riuscita ad accorciare i tempi. Le consigliò, però, di non fare sforzi, o tutti i suoi sacrifici sarebbero stati vani. Per tenerla al sicuro e tranquilla, avrebbe passato del tempo a casa di una sua vecchia amica che abitava in un paesino vicino al mare, in cui tutti gli abitanti erano a favore degli Xaraliani e sul quale mai nessun uomo di Meatch aveva messo piede.
«In tutto questo non mi hai ancora detto come sta Kevin Fort o come hai fatto a scoprire i suoi piani» ricordò Evelyne a Speranza la mattina della partenza. Avevano smontato il piccolo accampamento dove avevano passato le ultime settimane e avevano messo tutto l’occorrente dentro la macchina della Nativa, stipando tutto dentro con forza.
«Volevo trovare un momento tranquillo e sicuro. Dovremmo viaggiare per le prossime due ore, credo che questo sarà l’argomento della nostra conversazione» rispose lei.
Evelyne, dopo la sua ultima esperienza, non era molto felice di fare un viaggio in macchina – di due ore per giunta! – e sperava che il tipo di guida non fosse come quella di Ashton, o avrebbe passato tutto il tragitto a sentirsi male.
Non appena accese la macchina, Speranza iniziò a parlare.
«È stato un caso che ti abbia trovata, pura fortuna, veramente. Non sapevo nemmeno che esistessi, cioè, sapevo che per il mio popolo era importante una certa Evelyne, ma non pensavo fossi viva in questa epoca. È stata una grande sorpresa per me quando, una sera, ho sentito due uomini che stavano litigando e hanno urlato il tuo nome»
«Chi erano?» chiese Evelyne, interrompendo il racconto.
«Mark e Ashton Wilson» rispose Speranza. Sentendo quei nomi, la ragazza sbiancò e permise alla Xaraliana di proseguire con la storia.
«Mi sono intromessa nella loro conversazione, mi sono fatta riconoscere, dimostrandogli che potevano fidarsi di me e, velocemente, mi hanno raccontato tutto. Fortunatamente conosco tutti gli Ibridi e so che Kevin non è uno di cui ci si possa fidare. Ha ripreso tutto il lato brutto degli umani: è tragico, sentimentalista e troppo attaccato alla vita»
«Davvero? E io che pensavo che i suoi difetti fossero l’essere troppo apatico e scorbutico…»
«No, quella è semplicemente una cosa che accomuna tutti gli Ibridi. Kevin Fort è losco. Può mostrarti quante facce vuole e tu non capirai mai quale sia quella vera. Per carità, ci sa fare, questo lato del suo carattere gli ha salvato la vita molte volte, ma non mi sembrava il caso di farlo stare solo con te e avevo ragione. Sono arrivata giusto in tempo: l’ho visto pugnalarti, sono riuscita a spostare di poco la sua traiettoria, quindi non ti ha uccisa, ma stavi messa male. Gli ho detto di sparire, che non era questo ciò che il nostro popolo voleva e che stava sbagliando di grosso. Ho lasciato che Mark ed Ashton si occupassero di lui e io ti ho portata al sicuro»
«E stanno bene loro?»
«L’ultima volta che ho controllato avevano sistemato Kevin ed erano sani e salvi. Non li avrei mai abbandonati lì, io non sono quel tipo di persona»
«Già, scusa, avrei dovuto immaginarlo» mormorò Evelyne, mortificata.
«Non scusarti, dopo tutto quello che ti è successo è normale che tu sia portata a pensare certe cose. Chi non lo sarebbe?»
«Pensi che sia stupido che dopo tutto io tenda ancora a fidarmi delle persone?»
«No, non lo credo affatto. Sei una persona buona, Evelyne, così come buono era il nostro popolo. Il piano di Kevin Fort era assurdo. Non so come abbia potuto pensare che noi Xaraliani avessimo potuto uccidere qualcuno che stava bene solo in nome di una vittoria futura. È una cosa da matti. Kevin Fort è matto»
«A me non ha mai dato questa impressione, sai? Certo, sono sicura che abbia sbagliato, ma i suoi ideali erano davvero giusti e le conversazioni che facevamo erano molto intelligenti. Capiva cose di me che io non sapevo ed era bravo a prevedere il futuro, non tipo me con le mie visioni, ma conosceva così bene chi gli stava intorno da sapere le loro reazioni. Nonostante tutto, non riesco a non ammirarlo».
«Wow» fu il commento di Speranza «Ho sempre saputo che Evelyne doveva essere una ragazza forte, coraggio e intelligente, ma non credevo fosse anche così matura e saggia. Sono davvero colpita da te».
La ragazza arrossì per i complimenti e cercò di dissimulare il suo imbarazzo guardando fuori dal finestrino. Il viaggio che stavano compiendo era molto più piacevole di quello fatto con Ashton, si poteva addirittura dire che Evelyne, mentre fissava la linea del mare all’orizzonte, fosse calma e rilassata. Era felice di avere un po’ di tempo per se stessa, in cui avrebbe potuto esercitare in pace la sua magia senza dover pensare alle persone da salvare o ai complotti che c’erano in quel momento. Era un po’ come tornare in ospedale, però dopo aver vissuto tutte quelle esperienze sarebbe stato decisamente molto diverso. Inoltre voleva informarsi sulla cultura degli Xaraliani, visto che in qualche modo doveva essere la loro salvatrice e non sapeva nulla; trasferirsi da un Ibrido per un po’ non poteva fare altro che aiutarla. Quello che aveva capito dai suoi sogni, visioni, o quello che erano state, inoltre, era che doveva concentrarsi su se stessa per trovare a vera Evelyne, quella che aveva perso prima dell’incidente. Si era ripromessa che mai più sarebbe stata costretta ad essere sola, isolata perfino da se stessa. In un modo o nell’altro l’avrebbe trovata, si sarebbe trovata, e non sarebbe più lasciata andare. Voleva avere il controllo sulla sua vita, sulle sue azione, come era giusto che fosse, come doveva essere. Certo, Evelyne aveva paura di deludere tutte le promesse che si era fatta e tutti i propositi che si era imposta, ma la sua paura era niente in confronto alla sua determinazione. Se qualcosa sarebbe andato storto, avrebbe saputo di aver fatto tutto il possibile e questo le sarebbe bastato.
Speranza fermò la macchina davanti ad una casa di fronte al mare. Prima di scendere coprì il suo volto con dei grossi occhiali da sole, un foulard e tanto trucco.
«È vero che questa città è sicura, ma la prudenza non è mai troppa» spiegò alla ragazza.
Evelyne aprì la portiera dell’auto e fece per scendere, ma Speranza la bloccò.
«Vorrei dirti un paio di cose prima che tu vada» le disse in tono serio.
«Certo, dimmi pure»
«La prima è che non so quando potrò farti visita. Sarò impegnata sia a nascondermi, sia a cercare informazioni e, beh, nelle mie condizioni può risultare un’impresa difficile. Se dovessi essere catturata cercherò un modo di contattarti, perché vorrà dire che dovrai cercare una soluzione a tutto ciò da sola»
«Se dovesse succedere qualcosa correrò a salvarti» le promise Evelyne.
«Ti ringrazio davvero, ma non ce n’è bisogno. La cosa peggiore che potrebbe capitarmi è la morte, ma io non sono spaventata. Ti ringrazio davvero, sei così gentile a mettermi in una posizione così importante, ma non è necessario, sul serio. Tu sei importante, io sono scarificabile»
«Ma-».
«La seconda cosa» disse Speranza, interrompendola «È che non voglio che tu esca di casa. Se fosse necessario prendi tutte le precauzioni necessarie e cerca di non farti vedere da nessuno. Non possiamo mettere in pericolo questa cittadina solo perché ci sei tu. Gli abitanti di qui hanno diritto di vivere una vita pacifica come hanno sempre fatto».
«Va bene».
«Terza cosa: l’Ibrido a cui stai per essere affidata può essere un po’ scontrosa alle volte, ma nasconde un cuore grande e tenero. Devi essere paziente con lei, prometti che non la fari arrabbiare».
«Lo prometto. C’è altro che devi dirmi?»
«Sì» ammise Speranza «Non struggerti troppo per Ashton. Se la vostra storia è finita non fartene una croce: sei bella, sei giovane e la vita ha tanto ancora dai offrirti. Ti sei mai chiesta perché mi chiamo così?»
Evelyne annuì.
«Quand’ero una bambina e gli Umani erano appena sbarcati su questo pianeta, c’erano sempre una coppia di giovani sposi che venivano a fare visita al nostro capo. A quel tempo ero solo un numero, − 14495 − eppure la donna mi disse si avere sempre speranza, perché le cose sarebbero andate per il meglio. È stato lì che ho capito che questo doveva essere il mio nome. Rivedo molto di lei in te, sai? Chissà, magari era una tua antenata. Quello che voglio farti capire, Evelyne, è di non perdere mai la speranza, per niente e per nessuno».
«Grazie, sono molto contenta per la chiacchierata e per tutto quello che hai fatto per me. Giuro, sono davvero molto grata e non ho intenzione di gettare all’aria i tuoi sacrifici. Seguirò i tuoi consigli e mi eserciterò con la mia magia, senza dare nell’occhio».
Speranza le sorrise e, dopo aver messo i guanti che le coprivano le mani, scese dall’auto. Evelyne prese il suo zaino e la seguì, incamminandosi verso il portone d’ingresso della casa che l’avrebbe ospitata.
 
 

Eccomi qui con un nuovo capitolo di Evlelyne. So che è passato moltissimo tempo dall'ultima volta che ho aggiornato e, credetemi, lo avrei fatto anche prima, solo che ho avuto la maturità e non avevo nemmeno un secondo per stare al computer. Ora finalmente è tutto finito e posso dedicarmi alla scrittura, per cui ora gli aggiornamenti saranno più frequenti. Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguita e spero che continueranno a farlo.
Grazie per il vostro supporto.


Francesca.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: sfiorisci