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Autore: Mary P_Stark    03/07/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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Note: in questo capitolo, ci sono delle scene piuttosto cruente, perciò ho preferito avvisarvi, perché foste preparate. Non ci andrò tanto per il sottile, perché Byron non è uno che ci va tanto per il sottile...
 








XVIII. Danger.
 
 
 
 
 
«Evviva!» esclamò Minami, lanciando in aria un pugno per la soddisfazione.

Domenic e Yuki si abbracciarono giocondi e, nel mezzo della stanza dei computer, si accesero tutti i file fino a quel momento rimasti opachi e senza luce.

Fu come trovarsi nel bel mezzo della nascita dell'Universo.

Alzatasi in piedi, Minami si unì all'abbraccio e, insieme, danzarono giocosi nel mezzo della stanza, incuranti di avere ancora addosso guanti e caschi per la realtà virtuale.

Quando Phie aprì la porta per controllare cosa stesse succedendo, visto il loro cacofonico esultare, li fissò strabiliata per un momento, prima di chiedere: «Ehi, che succede?»

«Abbiamo concluso la decrittazione!» esclamò eccitato Domenic.

Sophie si aprì subito in un sorriso esaltato e, senza attendere oltre, gli corse incontro per abbracciarlo con foga.

Dom la sollevò tra le braccia, le fece fare un mezzo giro in aria prima di riporla a terra e, tutto contento, se la strinse al petto.

«Ce l'abbiamo fatta, Phie! Ce l'abbiamo fatta!»

Un attimo dopo, Cameron giunse a sua volta nella stanza e, nello scorgere tutta quell'allegria, sorrise speranzoso e domandò a sua volta: «Ce l'avete fatta? E' tutto finito?»

Yuki e Minami annuirono e, mentre Phie si scostava da Domenic per sorridere al fidanzato, le sirene del rifugio iniziarono a suonare come banshee furiose.

Tutta l'allegria per il successo appena ottenuto, venne subito cancellata da qualcosa che nessuno di loro si era aspettato.

I segnali del collegamento satellitare saltarono in quel medesimo istante, impedendo di fatto l'invio degli ultimi dati al centro di Quantico.

Le luci principali caddero, facendo scattare in automatico quelle di emergenza e, per i corridoi e le scale, la corsa degli agenti di sicurezza parve il rimbombo di una salva di cannoni.

Bryce fu il primo a piombare nella stanza, la pistola già in mano e l'aria di uno che aveva appena visto un fantasma.

«Ehi! Tutto bene?!»

Domenic, la mano stretta a quella di Yuki, annuì, ma disse torvo: «Il segnale con Quantico è saltato. Che sta succedendo?»

«Qualcuno ha manomesso la centralina esterna e, a quanto pare, ha colpito la parabola satellitare sul tetto. Non so come, ma c'è riuscito. Un colpo da maestro, mi viene da dire.»

«Sono qui. Ma come hanno fatto?» esalò Yuki, preoccupata.

Dom la strinse a sé, protettivo e, rivolgendosi a Bryce, gli domandò: «Cosa dobbiamo fare?»

«C'è un bunker, nel seminterrato. Ora, voi ci andrete e aspetterete lì. Noi penseremo a tutto.»

Domenic si limitò ad annuire, ma Cameron non fu di quell'avviso.

«Non ci puoi tagliare fuori, Bryce. Possiamo dare una mano anche noi!»

L'amico non perse tempo a essere gentile, e si limitò a ringhiare furioso: «Noi siamo dei professionisti, Cam. Voi, no. Fine della partita. Ora, scendi con gli altri e fammi il piacere di calmare i bollenti spiriti. Non ho bisogno di teste calde, adesso.»

Ciò detto, defilò fuori per raggiungere i colleghi, ma Minami lo rincorse nel corridoio fino ad afferrarlo a un braccio.

Furiosa in viso quanto terrorizzata, gli intimò: «Vedi di non morire. Mi devi ancora dire perché sei diventato un agente, Kendall-san

Lui le sorrise a mezzo, le diede un buffetto sulla guancia e, annuendo, le promise: «Quando ne usciremo, ti dirò tutto, va bene? Ma ora, vai.»

La ragazza annuì, guardandolo correre verso il pianterreno, dove si trovavano gli altri agenti di scorta.

Phie e Yuki la raggiunsero e, nel prenderla per mano, la accompagnarono dabbasso, dove si trovava il bunker.

Dietro di loro, Cameron e Domenic camminarono più lentamente, come studiando la situazione da molteplici angolazioni.

Sfiorarono con lo sguardo ogni più piccola parte della casa, memorizzando la posizione di ogni cosa, dopodiché annuirono tra loro.

Se c'era una cosa in cui entrambi erano sempre stati bravi, era la memoria eidetica.

«E' ovvio che non farò neppure lontanamente quello che ha detto Bryce. Spero sia chiaro» mormorò Cameron al fratello.

«Naturale. Pensavi davvero credessi il contrario?» ironizzò Domenic, ammiccando.

Cam sogghignò, e batté pugno contro pugno con il gemello.

Rinchiudersi dentro un bunker non era la soluzione. Se i loro agenti fossero stati sopraffatti numericamente, nessuno di loro sarebbe stato al sicuro.

Il problema principale di un bunker, è il ricircolo dell'aria: bloccato quello, l'interno in cemento armato diventa una enorme bara.

Meglio combattere, piuttosto.

Non appena ebbero raggiunto il seminterrato, videro le luci spegnersi al piano superiore, segno che gli agenti avevano escluso anche i neon di emergenza per operare nella semioscurità.

Domenic accese per un istante il suo cellulare, lasciando che quella difana luce illuminasse tutti loro e, lanciata un’occhiata alla porta in acciaio temprato del bunker, mormorò: «Bene, ragazze... pronte per l'ammutinamento?»

Le dirette interessate lo fissarono basite, ma non certo il gemello, che si mosse come in risposta a un comando silenzioso.

Cameron aprì il portone del bunker l’attimo seguente e, dopo aver contato dieci secondi, lo richiuse con un gran rimbombo.

A quel punto, mimò l'atto di stare in silenzio, indicò a tutti di spostarsi nel sottoscala e, a bassa voce, mormorò a sua volta: «Io e Dom non ne vogliamo neppure sentir parlare, di rinchiuderci lì dentro. Se deve andare male, preferisco menare un po' le mani.»

Yuki fissò vagamente sorpresa Domenic, che annuì determinato e la giovane, turbata, asserì: «Non è un gioco, per l'amor di Dio! Cameron-kun, non cominciare, per favore!»

Quest'ultimo aggrottò la fronte e replicò: «So benissimo che non è un gioco. Se i nostri ce la fanno, bene, ci sobbarcheremo i loro insulti ma, se vengono sopraffatti per inferiorità numerica, il nostro contributo sarà vitale. Gli uomini di tuo padre non commetteranno due volte lo stesso errore, Yuki-necchan, e ci manderanno addosso gente preparata. Tanta gente preparata.»

«Proprio per questo dobbiamo nasconderci!» protestò lei, non riuscendo a impedire che la paura le facesse tremare la voce.

No, era davvero troppo. Non sarebbero sopravvissuti, se si fossero lanciati allo sbaraglio in mezzo alla mischia. Non questa volta.

Fu Domenic a intervenire, a quel punto.

«La prima cosa che faranno sarà bloccare qualsiasi condotto esterno... ivi compresi quelli dell'aria. Il bunker ha un depuratore che si collega con l'esterno, per espellere l'anidride carbonica prodotta dalla respirazione umana. Bloccato quello, noi saremmo spacciati.»

Yuki aggrottò la fronte e, fissandolo torva, mormorò: «Hai studiato la casa?»

Domenic sorrise per un attimo al gemello, replicando poi alla ragazza: «Lo ha fatto Cam. Si stava annoiando.»

Di fronte alle espressioni sconcertate delle tre ragazze, questi esalò un po' piccato: «Ehi, dico! Un po' di cervello c'è l'ho pure io! Mica lo ha avuto in regalo solo lui!»

Quel commento strappò loro un sorriso ironico, oltre al risolino a stento controllato di Minami.

A quel punto, sbuffando, Yuki sussurrò: «Okay, diamo per scontato che il bunker sia vulnerabile. Cosa facciamo? Due di noi non sanno di sicuro come difendersi.»

Nel dirlo, fissò a turno Domenic e Minami.

La ragazza sollevò le mani e dichiarò: «Non pretendete la luna. Queste dita lavorano sulle tastiere, non su altro.»

Domenic, però, lanciò un’occhiata ironica all’amata e disse per contro: «Forse, dimentichi che ho seguito anch'io le lezioni di tuo padre... e a casa ho avuto il miglior istruttore che potesse esserci. Inoltre, al training camp organizzato dalla CIA, ho seguito tutti i corsi di autodifesa, oltre che le lezioni al tiro a segno.»

Ancora, Dom sorrise al gemello, che sogghignò.

«Stai tranquilla, Yuki-necchan. Quel che so io, lo sa anche lui. Magari non sarà altrettanto bravo, però se la cava.»

Il fratello gli diede di gomito e Cameron, ridacchiando, proseguì.

«Domenic si occuperà di Minami assieme a Phie, e noi due saremo i centravanti da sfondamento, okay?»

«Ci limiteremo alla difesa» precisò Domenic, mettendo a freno la foga di suo fratello, che sbuffò ma annuì.

«Va bene. Ma non qui sotto. Siamo davvero chiusi in trappola, nel seminterrato.»

«Di sopra si vede a malapena. L’unica luce è fornita dalla luna, che è assai poca. Si vedranno sì e no le ombre, al pianterreno» sottolineò contrariata Minami, guardandosi intorno con aria ansiosa.

I due gemelli assentirono divertiti e, all’unisono, dissero: «Girare di notte fa bene alla salute.»

Phie ridacchiò, a quel punto e, annuendo, spiegò alle altre ragazze il motivo di quella frase apparentemente assurda.

«Non ci ho fatto caso perché, per me, è normale vederglielo fare. Non avete notato che, in queste settimane, girovagavano per casa senza accendere le luci?»

«E io che mi chiedevo se vi divertiste a sbattere i piedi contro gli spigoli» esalò Minami, sconcertata.

«Abbiamo imparato il perimetro della casa, giusto per necessità. Lo abbiamo sempre fatto, anche se all'epoca era solo per gioco...»

«… e per rientrare di soppiatto a casa...» ironizzò Cameron, strizzando l'occhio.

«Vero» assentì il gemello, sorprendendo non poco Yuki. «Ehi, … mi credevi solo un topo da laboratorio?»

La ragazza si limitò a scuotere il capo, incredula.

Scrollando le spalle, Dom mormorò: «Dovrò renderti edotta sui miei trascorsi universitari, ho già capito.»

«Direi di sì» annuì la giovane, divertita da quel lato goliardico di Domenic, che davvero non conosceva.

Solo dopo alcuni attimi, capì cosa stesse facendo.

Tutta quella messa inscena, quel tentativo di rendere divertente una situazione potenzialmente esplosiva... stavano tentando di alleggerire i loro animi, di non spaventarle.

Cosa aveva detto loro, Phie, poche settimane addietro?

Quando i gemelli erano arrabbiati, o preoccupati, lavoravano assieme in sincrono.

Che fosse in cucina, o accanto a un computer, oppure su qualsiasi altra cosa, ma lavoravano insieme, come le due parti separate di un tutto.

Ed era quello che stavano facendo in quel momento, e con una sinergia a dir poco preoccupante.

Non potevano essersi preparati le battute in anticipo, lo sapeva bene, eppure il loro dialogo era quasi ritmico, come due attori su un palco.

Sì, i gemelli erano davvero in ansia, se riuscivano a lavorare così in sincrono senza essersi preparati in precedenza un plot, ma preferì non dirlo ad alta voce.

Era toccante ciò che stavano tentando di fare, perciò non volle rovinare ogni cosa, mettendo a voce i suoi pensieri.

Meglio dar loro man forte, per proteggere Minami e Phie.

 
§§§

Raggiungere Anchorage non era stato difficile.

Dopo aver assoldato abbastanza uomini per sbaragliare un piccolo battaglione, si erano sparpagliati nel bosco per accerchiare il sito.

Grazie ai sofisticati giocattoli del reparto tecnologico della Tashida, erano poi riusciti a escludere i sensori nel bosco, riuscendo così a passare il primo scoglio.

Perché vi fossero, era un problema che, al momento, Byron non voleva porsi. La sua preda era là davanti, e solo questo contava.

Eliminare gli allacci di luce e telefono era stato il secondo passaggio, assieme col bloccare le condutture dell’aria della villa.

Il terzo, isolarli dal mondo eliminando anche il fattore rete satellitare.

Il colpo del suo cecchino migliore era stato magistrale, non poteva negarlo; aveva distrutto la parabola sul tetto al primo colpo.

Con trenta uomini a disposizione, a quel punto, sarebbe stato un gioco da ragazzi, eliminarli.

Tolti i protagonisti principali della commedia, nessuno avrebbe potuto ricollegare i fatti alla Tashida, vista la mancanza di prove.

E anzi, dopo aver trovato il loro contatto, avrebbero fatto in modo di far ricadere ogni colpa su di lui.

Dopo averlo azzittito per sempre.

I morti non possono difendersi dalle accuse, ma possono tornare utili per un sacco di cose.

Byron osservò la sagoma scura del rifugio a tre piani che, a poco meno di duecento metri da loro, deteneva coloro che lui desiderava uccidere più di tutti.

Cameron Van Berger e Yuki Tashida, in primis.

Non solo lo avevano gabbato come se fosse stato un novellino, ma avevano innescato una serie di problemi a catena, che avevano rischiato di mandare all'aria ogni cosa.

Potevano ancora salvarsi dall'abisso, ma tutto dipendeva da come avrebbero risolto quell'annosa questione.

Non voleva tornare da Nobu con un risultato negativo in tasca.

La sconfitta non era contemplata.

Lo scanner ottico mostrò diverse fonti di calore, all'esterno – ne contò cinque – e, sorridendo divertito all'idea di avere molti più uomini a disposizione, mormorò nel suo interfono: «Procedete con lo schema a tenaglia.»

Gli uomini, in tenuta mimetica invernale, avanzarono silenziosi sulla coltre di neve, nel cielo rade nubi e un pallido spicchio di luna color ghiaccio.

Byron sorrise.

Sarebbe stato quasi poetico spargere il sangue di Yuki su quella coltre candida. Degno di un dipinto in stile surimono1.

Stringendo la mano guantata sulla sua Sig Sauer nichelata, pregustò l'idea di piantarle in corpo almeno un paio di proiettili, prima di dirle quanto la detestava.

Il suo sorriso si fece luminoso al solo pensiero.

 
§§§

«Come immaginavo... sono usciti con le tute biomimetiche» mormorò Domenic, scandagliando l'armadio dove sapeva trovarsi l'equipaggiamento di sicurezza degli agenti di scorta.

«Che intendi dire?» sussurrò a sua volta Phie, la mano ben allacciata a quella di Cam.

Il buio nella baita era quasi totale, e l'unica lieve luminescenza era data dal riflesso della luna sulla neve, all'esterno.

«Servono a mascherare il calore corporeo. In caso di attacchi notturni, c'è il novantacinque percento di possibilità che il nemico usi occhiali termo-ottici. Con queste tute, si riesce a ingannare il sensore che registra la temperatura corporea. Si diventa come invisibili.»

Nel dirlo, estrasse le ultime due e le fornì a Cameron e Yuki.

«Siete i nostri centravanti da sfondamento, no? Dovete essere i più protetti» spiegò loro, richiudendo l'armadio dopo aver estratto tre pistole e altrettanti caricatori.

Cameron storse il naso, replicando: «Preferirei darla a chi è più indifeso, se permetti.»

«Sei libero di scegliere, ma preferirei la usassi» asserì per contro Domenic, battendogli una mano sulla spalla.

Cam allora sospirò, sorrise e mormorò: «Fratellone, a chi vuoi darla a bere? Lo so che  vuoi soltanto tentare di difendermi.»

Domenic non disse nulla, limitandosi a scrollare le spalle con noncuranza.

I gemelli si scrutarono in viso per alcuni istanti, limitandosi a lanciarsi occhiate significative nella quasi totale oscurità.

Alla fine, Cam si volse verso Minami, le offrì la tuta e mormorò: «Indossala, per favore.»

La giovane orientale storse il naso e borbottò: «Così mi fai sentire veramente una palla al piede.»

«Beh, Miss-Palla-Al-Piede, che io sappia, sei stata tu a consentire alla mia fidanzata e a Bryce di venire a salvarci, e hai dato una mano a mio fratello e a Yuki-necchan per risolvere l'intricato sistema di file crittati che avete rubato alla Tashida. Se permetti, sei un tantino più importante di una palla al piede, per i miei gusti.»

Minami afferrò la tuta con mani tremanti e, aiutata da Phie, la indossò brontolando come una pentola di fagioli.

Sophie, allora, le diede un affettuoso bacio sulla guancia, replicando: «Ci sentiremo tutti più tranquilli, davvero.»

«E io mi sentirò in colpa.»

«La colpa si supera» motteggiò Cameron, infilandosi la pistola nel retro dei pantaloni. «Andiamo in cucina a prendere i coltelli. Ne avremo bisogno.»

«Quanto vorrei avere le mie armi, qui con me» si lagnò Yuki, sfiorando il muro per procedere a tentoni davanti a sé.

«Ci sono diversi punteruoli da ghiaccio, nel set da bar che c'è in soggiorno. Potresti usarli al posto degli spiedi» le comunicò Domenic, trascinandola via con sé.

Aggrappata al suo braccio, Yuki mormorò: «Ma come fai a non sbattere da nessuna parte?»

«Io e Cam siamo bravi a ricordarci dei particolari. Prima di scendere, quando ancora si vedeva qualcosa, abbiamo studiato un'ultima volta la pianta, giusto per non dimenticarci nulla sulla disposizione dei mobili.»

Un sospiro soddisfatto, e Dom si chinò su un ginocchio.

«Ecco il mobile del bar e...» mormorò lui, scandagliando con le mani nei vari stipetti. «... ecco quello che cercavo. Quattro punteruoli in acciaio satinato.»

Li passò a Yuki, che li sistemò nella tasca posteriore dei jeans, mormorando un ringraziamento.

Dalla cucina, la voce ovattata di Cameron comunicò loro che si erano armati di coltelli fino ai denti.

Domenic, allora, dichiarò: «Nel disimpegno della porta d'ingresso. C'è la possibilità di rinchiudersi nello stipetto delle giacche e, al tempo stesso, scappare fuori in caso di necessità. Inoltre, è l’unica porta che si apre con le impronte digitali. Solo noi o gli agenti, possiamo aprirla.»

Procedendo il più silenziosamente possibile, il gruppetto di giovani si avviò verso la porta quando, all'esterno, iniziarono i primi rumori di lotta.

Acquattandosi, Domenic procedette assieme a Yuki fin verso la porta, da cui si intravedeva a malapena la bianca distesa di neve all'esterno.

E, poco più in là, i movimenti di diversi uomini armati.

I primi colpi ovattati dei fucili silenziati iniziarono a vibrare nella foresta e tutti, accucciati ai due lati del disimpegno, ascoltarono trepidanti l'evolversi della situazione.

Non era più il tempo delle risate, delle battute di spirito e dei vani tentativi di non pensare alla morte.

Quest’ultima era alla porta, in quel momento, e bussava con ferocia.

Si udì un tonfo contro uno dei vetri del soggiorno, e Minami sobbalzò silenziosa.

«Probabile tentativo di sfondare i vetri. Forse, per gettare dentro dei lacrimogeni.»

Domenic parlò pacatamente, ma la mano che teneva stretta a quella di Yuki, tremò.

Gli spari continuarono per alcuni minuti, finché la porta sulla veranda – a giudicare dalla provenienza del rumore – non venne aperta.

O uno degli agenti era rientrato per controllare la situazione, oppure...

Oppure qualcuno aveva prelevato i comandi per sbloccare le porte, dopo aver presumibilmente ucciso – o ferito gravemente – uno degli agenti di scorta.

«Yuki-chan, coraggio, vieni fuori! Non vorrai davvero che metta a soqquadro la casa, per prenderti. Sai che posso farlo, ma preferirei un po’ di collaborazione.»

Quella voce raggelò sia Cameron che Yuki, e quest'ultima sussurrò all'orecchio di Domenic: «E' la guardia del corpo di Nobu-san. E' un ex militare delle forze speciali inglesi.»

All'esterno, il combattimento era ancora in atto e Byron, camminando guardingo nella casa, proseguì nel suo monologo.

«Ingegnosa, l'idea delle tute biomimetiche. I vostri angioletti custodi hanno ucciso sei dei miei, prima che ci rendessimo conto di aver male interpretato il campo di battaglia. Ma ora va meglio. Molto meglio

Domenic fremette, ma Yuki lo trattenne. Sapeva bene che Byron era uno specialista, nelle battaglie psicologiche.

Aveva letto più di una volta il suo curriculum, e ne era rimasta non poco sconcertata.

Il fatto che fosse stato espulso dal corpo con disonore, e tutto per aver ceduto alla rabbia con un suo superiore, non aveva minimamente preoccupato Nobu.

Anzi, forse lo aveva scelto proprio per questo.

«E' stato un piacere sistemare quello sbarbatello che ci ha ingannati in Giappone. Mi ci è voluto un po', ma alla fine ho riconosciuto la sua voce.»

Minami si lasciò andare a un singulto, e Phie si tappò la bocca per non imitarla.

Byron sogghignò, e indirizzò il suo volto in direzione del suono che aveva appena percepito.

«Aaah, a quanto pare, c'è qualcuno molto dispiaciuto per la morte di quell'agente. Chi abbiamo, qui dentro? Anche la sua amante, forse? Ma come, …si è portato dietro il suo giocattolo, invece di pensare al lavoro?»

Il suo tono derisorio fece perdere la pazienza a Cameron che, pistola già alla mano, fece l'atto di alzarsi per cercarlo.

Fu Phie a fermarlo, le lacrime agli occhi e le mani ben serrate sulle sue braccia.

Il suo 'no' appena sussurrato, niente più di un alito sulla guancia del giovane, lo convinse a bloccarsi, ma non a smettere di tremare per l'ira.

Cosa avrebbero detto a Berry e Todd, una volta tornati a casa? Se mai fossero tornati, a questo punto.

Come avrebbero potuto spiegare la morte di Bryce?

E loro, come sarebbero sopravvissuti a un tale dolore, sapendo di esserne i responsabili?

Byron avanzò ancora di un paio di passi, tenendosi al riparo dietro una colonna di cemento armato e, con tono sprezzante, dichiarò: «Pensi davvero che servirà a qualcosa, rimanere nascosta? Vi ucciderò tutti, Yuki-chan, e porterò la testa del tuo Domenic-chan a Nobu-san, come regalo per il suo compleanno. A proposito, gli hai dedicato davvero delle belle poesie, sul tuo palmare. Non ti facevo così romantica!»

Sapeva che era sbagliato, sapeva che era esattamente ciò che Byron voleva, sapeva di comportarsi da stupida, ma non ce la fece a reggere.

L'idea che avessero violato l'intimità dei suoi segreti, e del suo amore per Domenic, le fece perdere di vista ogni pensiero cosciente e ragionevole.

Sgusciò dalla stretta di Dom con relativa facilità e, muovendosi acquattata, si diresse senza indugio verso la provenienza della voce di Byron.

Minami si gettò lesta su Domenic, sbilanciandolo prima che potesse partire alla carica e Byron, nell'udire quel suono, fremette di impazienza.

Si guardò intorno, cercando anche il minimo appiglio visivo ma, quando si sentì atterrare con forza da un corpo estraneo, seppe di aver raggiunto il suo scopo.

Yuki era caduta nella trappola.

Senza provare a fermare la progressione verso terra, atterrò agevolmente sulla schiena e, con tutta la forza che trovò in corpo, scaraventò via Yuki, mandandola a sbattere contro il muro.

Il suo soffio di rabbia gli confermò di averla colpita con efficacia e, in fretta, si rialzò, mentre alle sue spalle si udivano le voci concitate degli altri.

Peccato che loro non avessero i visori notturni per inquadrarlo.

«Yuki!» gridò una giovane, forse Sophie Shaw. Gli sembrò di riconoscere la voce.

Byron, per diretta conseguenza, sparò un paio di colpi a casaccio dietro di lui, per tenerli buoni, dopodiché si rivolse a Yuki.

«Sei ancora più stupida di quanto pensassi, ragazza.»

«Non toccherai nessuno di loro» ringhiò la giovane, mettendosi in posizione di difesa.

Gli occhi si erano ormai abituati all'oscurità, ma era difficile capire esattamente dove fosse Byron.

Doveva affidarsi solo ai suoni che avvertiva nell'aria, e agire di conseguenza.

La spalla, però, le doleva in modo indicibile, impedendole di muoversi con la consueta scioltezza.

Un bel guaio. Ma ci era finita dritta dritta, e tutta da sola.

«A quanto non vedo, indossi anche tu una tuta biomimetica. Poco male, dovrò fare affidamento alla fortuna» ironizzò Byron, elevando il tono della voce perché potessero sentirlo bene tutti quanti.

Ciò detto, estrasse la mitraglietta e, in barba al senso di cavalleria, sparò una raffica di proiettili ad altezza gambe.

Non voleva ucciderla, solo ferirla.

Voleva soggiogarla alla sua maniera, e questo richiedeva pazienza e tanto, tanto tempo a disposizione.

Impreparata a quell'aggressione violenta, Yuki non poté che urlare di dolore quando tre proiettili la centrarono alla rotula destra e alle parti inferiori delle gambe.

Crollò a terra, preda di fitte e spasmi tremendi, dopodiché fu il caos.

Domenic si svincolò da Minami per correre verso la ragazza ferita, mentre Cameron, terrorizzato all'idea che il gemello finisse ammazzato, gli corse dietro per tutta risposta.

Phie, a quel punto, rimase accanto a Minami e mormorò: «Resta qui, e non ti muovere. Sai sparare?»

La giovane assentì pur tremando così Sophie, determinata, scarrellò per portare un colpo in canna e asserì: «Spara solo se necessario. Noi ti chiameremo per nome, quando ci avvicineremo, d'accordo?»

«Sì.»

Un attimo dopo, Phie scomparve alla sua vista.

In quel mentre, Domenic urlò il nome di Yuki e Byron, non volendo ulteriori distrazioni, scaricò un'altra doccia di piombo attorno a sé, stavolta per uccidere.

Yuki e lui avevano un conto in sospeso, e voleva godersela fino in fondo.

Si udirono dei vetri rotti, il suono sordo del legno spezzato e il tonfo di tre corpi, caduti a terra malamente.

Soddisfatto, Byron attese di udire altri rumori, ma nulla giunse al suo orecchio.

Morti sul colpo? Forse.

O talmente spaventati da non riuscire a muoversi.

Dopotutto, chiunque avesse un minimo di sale in zucca, sarebbe stato ben lontano dalla bocca di una mitraglietta Uzi di ultima generazione.

I suoi proiettili, oltre a viaggiare più velocemente dei modelli precedenti, venivano scagliati all’esterno con traiettorie ricurve, rendendo impossibile a chiunque comprenderne il tracciato.

Non che con quell’oscurità servisse, ma quell’arma gli era sempre piaciuta.

L'inglese, a quel punto, si avvicinò alla fonte dei lamenti che stavano eccitando il suo animo e, nel piegarsi su un ginocchio, allungò una mano per tastare il corpo scuro dinanzi a sé.

Trovato il viso, lo accarezzò quasi gentilmente prima di afferrare una ciocca di capelli, e tirare.

Yuki gridò ancora.

«Brava, ragazza, urla. E pensa che hai appena ammazzato il tuo tesoruccio.»

Le sue lacrime bagnarono il guanto di Byron e l'uomo, nel sentirla singhiozzare, sogghignò.

Erano questi, i momenti per cui viveva.

Soggiogare la vittima, renderla inerme e sconfitta, distrutta fisicamente e psicologicamente.

Per questo, era stato scacciato dall’esercito. I suoi metodi erano troppo diretti, troppo feroci.

Non sarebbero mai andati bene per un esercito e, soprattutto, se utilizzati sul proprio ufficiale superiore per estorcergli verità scomode.

No, quei metodi andavano bene per un mondo più in linea con i suoi ideali, dove lui e la vittima erano soli, senza giudice e giuria a controllare.

Aprendosi in un sorriso vittorioso, Byron si chinò per mormorarle contro il viso: «Se mi piacessero le donne, ti scoperei qui, giusto per spregio, ma proprio non mi va di toccarti a quel modo. Penso che opterò per qualcos'altro.»

Ciò detto, mise mano alla tuta e, con uno strattone, la aprì.

Yuki inspirò con violenza, non sapendo cosa aspettarsi.

Il dolore alle gambe era tremendo, e il terrore le immobilizzava le membra.

Niente l'aveva preparata a qualcosa di simile.

Inoltre, c’era la possibilità che la sua caparbietà avesse ucciso Domenic e gli altri.

Solo per questo, meritava di morire nel modo peggiore.

Byron le tolse in fretta la tuta, indugiando con le dita sui fori di proiettile che sputavano sangue.

Premette sulle ferite, facendola nuovamente urlare, e sorrise.

Ah, se solo Nobu fosse stato presente! Ne avrebbe goduto a sua volta.

Con gesti veloci, mise mano al cardigan della ragazza, strappando letteralmente i bottoni dalla maglia.

Yuki tentò di difendersi, ma Byron la schiaffeggiò con violenza, mettendo a tacere le sue inutili proteste.

«Non amo le vittime riottose, Yuki-chan, ricordalo. Stai buona, e forse potrebbe persino piacerti.»

Strappò la camicia, lasciando il reggiseno in vista, dopodiché puntò ai pantaloni, che iniziò a slacciare con lentezza esasperante.

L'inglese sorrise nel carezzarle con un dito l'ombelico e la zona pubica e, ghignante, sussurrò: «Ci sono mille modi per venire stuprati, lo sapevi?»

 
 


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1 surimono: tipico genere giapponese di disegno su seta o su carta di riso.
  
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