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Autore: Ruffa    17/01/2009    7 recensioni
Se un giorno ad uno dei personaggi principali di una saga che sta avendo un gran successo, si ritrovasse ad avere bisogno dell'aiuto di un noto cacciatore di demoni? Signori, niente di speciale! Avviso che è la mia prima fanfiction in assoluto. Vi troverete molta, molta ironia, comicità e voglia di divertire. Le fan della saga di Twilight non me ne abbiano: voglio semplicemente fare sorridere! Ho scritto il titolo volutamente sgrammaticato, è una piccola dedica al mio mito Maccio Capatonda ;)
Genere: Commedia, Comico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dante
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il temibile Edward “Odoardo” Cullen camminava svelto per le stradicciole -in tema di pulizia tutt’altro che svizzere- della metropoli, la quale ancora dormiva nel bel mezzo della notte. Il vampiro (così è definito nei libri Penombra, Nuova Luna, Eclisse, Rompendo l’Alba e prossimamente anche Sole di Mezzanotte) risplendeva del suo antico splendore, di immortale e letale grazia, dalla pelle una fulgore, grazie ad un lampione dalla lampadina da pochi Watt, attorno al quale girava, eternamente, una falena ubriaca. Indossava un dolcevita beige dal collo alto fatto di cachemire, un paio di pantaloni neri assai aderenti di velluto a coste, che risaltavano le forme di cui era privo, una giacca di pelle comprata al mercatino dell’usato della città chiamata Forchette (nella lingua originale del Paese d’origine di Odoardo, Forks) che mostrava tutti i segni del tempo nelle cuciture sfilacciate, ai piedi un paio di mocassini neri e tirati a lucido talmente tanto che brillavano peggio di due fari abbaglianti. Insomma, era evidente il suo pessimo gusto nel vestire, diciamocelo.
Edward Cullen, per gli amici Odoardo, si trovava a vagare come un’anima in pena, quale lui stesso era, per quella città a causa di un motivo ben preciso: aveva bisogno dello spaccasederi mezzodemoniaco di demoni e affini più in gamba che c’era sulla Terra intera.
La sua bella, la bellissima Bella, era stata rapita da uno di quei rognosi esseri spocchiosi, era stata rapita da un demone che l’aveva portata con sé nelle fauci dell’Inferno. Odoardo subito era stato preso dal panico più assoluto allorché decise di cercare aiuto, pur di salvare la sua bella, la bellissima Bella. Non si sarebbe mai perdonato di non riuscire a salvare la sua bella, la bellissima Bella!

Il temibile Dante "Dande" Sparda uscì dalla sua stanza da letto. I capelli argentei del mezzodemone erano non molto dissimili alla chioma ordinatissima di una cantautrice italiana nota come Nianna Giannini. Indossava un pigiama rosso, sbottonato dal troppo rigirarsi nel sonno, di flanella che faceva fuffa da tutte le parti; là dove non batte il sole era fasciato da un paio di mutandoni del nonn... err, aderentissimi calzoncini rossi, ai piedi calzettoni da calciatore in spugna rossi e pantofole rosse. Non indossava i guanti. Era quindi completamente nudo.
Dante Sparda, per gli amici Dande, aveva passato una notte davvero d’Inferno. Aveva avuto un piccolo disguido con un demone affetto da callo al tallone, il quale gli aveva inferto una violenta mazzata sulla testa albina, facendolo svenire. Il demone suddetto l’aveva trascinato e poi trasportato in spalla a guisa di un sacco di patate fino all’Inferno. È doveroso sapere, difatti, che il demone malato da callo al tallone era il solo a mantenere una famiglia di quindici demonietti giovani e affamati di carne umana (o mezzodemoniaca in questo caso), e quindi quando il malato demone portò con sé all’Inferno il nostro valoroso Dande, stava solo compiendo il suo dovere di padre; nel torto quindi era Dande, il quale non stava svolgendo il suo dovere di preda.
Ma lasciamo da parte la disavventura del mezzodemone, per il momento. Il nostro caro Dande s’era svegliato al seguito di uno scampanellare insistente al portone del suo negozio.
< Co’ ‘sti lampi e co’ ‘sti tòni, chi è che rompe li cojoni? > borbottò col suo vocione grosso, mentre scendeva scale, ancora assonnato.
Si stropicciò gli occhi. Si chiedeva chi accidenti venisse alle otto e mezza del mattino a suonare al portone del suo ufficio, quando lui stava ancora placidamente dormendo dopo una nottata veramente movimentata. Aveva tutto il diritto di riposare le stanche membra per essere pronto ad una nuova giornata di schizzi, sangue, ossa che si spezzano, urla, dolore, saliva e quant’altro.
Strascicando le ciabatte sul pavimento dell’ufficio, un po’ ingobbito, andò ad aprire di controvoglia il portone in stile cattedrale gotica vista la sua altezza immane. Ancora Dande si chiedeva cosa cavolo aveva bevuto il giorno in cui aveva deciso di comprare un ufficio dal portone alto quindici metri, venticinque centimetri, due millimetri e un micron.
Dande aprì il portone. Gli occhi cerulei del mezzodemone si spalancarono e quasi minacciarono di uscire fuori dalle orbite.

Odoardo aveva escogitato un buonissimo piano.
Sapeva che al signorino cacciatore di demoni bravo bravissimo non andavano affatto a genio delle creature così oscure, così dark come lui. Perciò doveva trovare un sistema per colpirlo e quindi convincerlo ad aiutarlo. La sua mente veramente oscura e vampiresca aveva escogitato un piano che più oscuro e vampiresco non si poteva. Dato che la sua vita immortale glielo permetteva, aveva deciso furbamente, vampirescamente, oscuramente, darkamente, di prendersi sette ore di tempo per pensare a cosa fare.
E visto che lui era anche perfetto, bellissimo, simile ad un dio greco, si era permesso di stanziare davanti alla porta dell’ufficio di Dande. Ma non di stanziare semplicemente: preso da un raptus della sua perfezione vampiresca ed oscura, si era tolto la giacca di pelle usurata e il maglione beige mostrando il suo perfetto fisico senza nemmeno un muscolo, e anche un po’ flaccido, all’intero mondo. Assunse una posizione da servizio fotografico da biancheria intima maschiofemminea e rimase lì, perfetto, perfettamente immobile e perfetto, così perfetto che la perfezione sbiancava davanti a tanta perfezione.
Le ore passarono e intanto la sua vampiresca e oscura mente contorta, fredda e glaciale ma perfetta escogitava perfettamente il piano perfetto. Era un perfetto corpo morto e quindi rimase perfettamente immobile, senza muovere nemmeno un mezzo perfetto muscolo; visto che era appunto un perfetto corpo morto e non emetteva imperfetti liquidi umani ed era esente da ogni imperfetta funzione fisiologica, ad un certo punto gli scappò persino un peto perfetto, ma era così perfetto e puzzava così perfettamente che nessuno se ne accorse.
Purtroppo, dopo sette ore la sua mente perfetta non aveva trovato neanche mezza perfetta soluzione, eppure lui continuava a pensare nonostante il sole mattutino, ora alto e splendente, desse alla sua pelle un effetto molto glitter, sbrilluccicoso e abbagliante. Decisamente fescion.
Una voce distrasse la sua perfetta meditazione sul piano perfetto.
< E che cazzo è ‘sta roba? >
Odoardo girò lentamente e perfettamente il volto perfetto ed incontrò una delle facce più imperfette che avesse mai visto in vita sua. Però, nonostante le imperfezioni, lo riconobbe all’istante.
< Sono un vampiro > disse perfettamente e scandendo in modo perfetto le parole, perfette per la situazione.

Dande si grattò in testa a quell’affermazione alquanto improbabile.
Si trovava davanti un tizio senza muscoli che sembrava preso per i capelli da una pubblicità di Dolce e Gabana e sbattuto di fronte alla porta del suo ufficio. Dande pensò che piuttosto che trovarsi quell’ammasso di brillantini, avrebbe preferito che il cane della vicina gli avesse fatto il suo migliore regalino.
Il mezzodemone dall’aria non molta sveglia seguitò a grattarsi la capa albina per almeno trenta secondi buoni prima di guardare dritto negli occhi Odoardo. Lo sguardo glaciale del mezzodemone diceva tutto.
Era un’ondata violenta, possente, grande, immensa, altissima, purissima, levissima, di puro stupore misto ad una freddezza da ghiacciare fin nelle viscere persino l’Etna. Cioè, quell’ammasso di brillantini glitterati voleva fargli credere di essere un vampiro?
Dande sollevò molto, molto, molto lentamente (giusto per dare enfasi al gesto) il sopracciglio sinistro. L’espressione particolarmente attenta faceva da quadro ottimo allo sguardo stupito ma anche freddo allo stesso tempo.
Finalmente, dopo un minuto di incertezze e ragionamenti per cercare di dire una frase ad effetto da Oscar, Dande riuscì a proferire verbo. Lo fece in maniera tanto fredda, tanto distaccata, tanto paurosamente intellettuale che gli uccelli smisero di cantare, le fogne di gorgogliare, i motori delle auto si spensero, i fiumi smisero di scorrere e il giorno divenne notte.
Dande come ultima cosa ridusse gli occhi a due fessure.
< Ne sei proprio sicuro? >
  
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