Fic relativa ad un evento da me accennato
all’interno di Konoha, mattina.
Naruto ha già
superato se stesso nella battaglia finale contro l’Akatsuki. Ma il suo rasengan non è ancora totalmente divino e il nostro
jinchuuriki decide di perfezionarlo. E si sa, alle volte Naruto, quando ci si
mette, può essere un tantino…autolesionista.
Per la disperazione di qualcuno.
Siamo intorno ai vent’anni.
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GIURA
Piena
estate. Particolarmente calda, vagamente afosa e baciata da un perenne sole
splendente. Le foglie frusciano per la poca brezza rimasta, gli usignoli
cantano, i picchi picchiano, com’è giusto che sia, le cicale
friniscono, Konohamaru mangia gelati a ritmo continuo, Kakashi si domanda una
volta ogni diciotto minuti netti per quale assurda ragione ostinarsi a tenere
su la maschera, che sudaticcia gli si appiccica alla faccia, e Sasuke sfodera
raffinate camiciole e magliette sempre più minimal al fine di non
liquefarsi nell’imbottitura della sua divisa da chunin, per la somma
gioia delle fanciulle di Konoha. E di Naruto.
Tutto
nella norma.
Questo,
almeno, fino ad un normalissimo giovedì mattina rallegrato dal fresco
dovuto a una leggera pioggerellina che ha omaggiato il villaggio intorno
all’alba: appena prima di mezzogiorno le strade sono scosse dalle
vibrazioni di una violenta esplosione che arrossa il cielo poco lontano dal
centro abitato, allungandosi in ampie volute di fumo mentre gli abitanti di
Konoha si affacciano in strada, inquieti e incuriositi.
“Cos’era
quel boato?”
“Che
succede?”
“Un’esplosione,
laggiù!”
“Cosa?
Oh dei! Ehi, vieni a vedere!”
“Ci
attaccano?”
“Chi
è stato?”
“Quanto
fumo…”
Le
chiacchiere aumentano al passaggio rapidissimo di un team di shinobi, diretto
in tutta fretta verso il luogo della misteriosa esplosione. Shikamaru guarda
passare i colleghi ringraziando tutte le divinità che il suo geniale
cervello ricorda per non essere di turno e potersi evitare la seccatura di
dover correre tanto in una giornata così bella. Poi però, invece
di andarsene a poltrire per i fatti suoi, rimane piantato in mezzo alla strada
ad aspettare che ritornino per essere sicuro che nessun pericolo stia
minacciando il villaggio. Pigro, ma vigile.
Cinque
minuti dopo gli shinobi fanno ritorno, trasportando un ferito grave. Shikamaru
lancia un urlo di sorpresa e sembra ritrovare l’energia
d’improvviso, scattando verso il quartier generale mentre quelli si
affrettano verso l’ospedale. Altri cinque minuti e la notizia si
diffonde: Uzumaki Naruto si è ferito gravemente in un allenamento
individuale intensivo. Si teme per la sua vita.
C’è
da dire, commenta qualcuno, che solo lui poteva farcela ad essere praticamente
indistruttibile per qualunque nemico e spappolarsi da solo mentre si allena. Ad
ogni modo la preoccupazione per le sorti del giovane eroe dilaga, gli amici si
affannano, Sakura lo mette immediatamente sotto i ferri, asciugandosi le
lacrime di preoccupazione per dedicarsi alla salvezza dell’amico, e Kakashi
abbandona l’angosciante pensiero della maschera appiccicosa per dedicarsi
a quest’ansia ben più grave e concreta. Rimane piantato di fianco
alla sala operatoria per qualche minuto, angustiandosi tristemente nella
preoccupazione per il suo biondo, solare allievo, sconvolto e quasi spaesato
per la prima volta da tempo immemore. È a quel punto, gettandosi intorno
un’occhiata depressa che scivola sui visi tutti ugualmente cupi e
inquieti dei presenti – Lee, Shikamaru, Choji, Ino, Iruka, gli Hyuuga, Konohamaru – che realizza l’assenza di
una persona importante.
Nessuno
ha avvisato Sasuke.
Il
ninja copia sospira tristemente tra sé, sentendosi istantaneamente
investito di quell’ingrato compito. Si guarda ancora intorno per un
istante, tanto per essere certo che non ci sia davvero nessun altro che
potrebbe incaricarsene, ma poi realizza che senza dubbio la faccia che Sasuke
vorrebbe avere davanti in un momento del genere è proprio la sua. Si
caccia le mani in tasca e, dopo un altro sguardo apprensivo verso la soglia
oltre la quale Naruto sta lottando per la vita, prende la via del quartiere
degli Uchiha, preparandosi mentalmente un discorso che possa non essere troppo
brusco per spiegare la situazione al suo ex allievo.
Esita
una volta giunto davanti alla porta, non essendo nemmeno vagamente soddisfatto
delle frasi messe insieme finora. Poi, sbuffando, scuote il capo e bussa.
Se
la situazione fosse meno drammatica scoppierebbe a ridere, quando Sasuke gli
apre: il genio, a cui evidentemente delle esplosioni importa ben poco, è
accaldato e, con i capelli appiccicati ai lati del viso, si sventola verso la
faccia un ampio ventaglio che a giudicare dal grazioso disegno floreale sulle
tinte del rosa che lo adorna dev’essere
appartenuto a sua madre.
O
a sua nonna.
La
sua espressione dignitosa e altera rende l’immagine ancor più
surreale. Se già quel che sta accadendo sembrava a Kakashi dolorosamente
assurdo, adesso la sensazione comincia a diventare una certezza.
“Yo, senpai,” lo accoglie il
genio, composto.
“Sas’ke,”
fa lui grave, corrugando la fronte. “Mi dispiace disturbarti, ma ho una
notizia spiacevole da darti.”
Sasuke
lo guarda interrogativo, già incupendosi. Come minimo, conoscendolo e
conoscendo i suoi trascorsi, sta immaginando una catastrofe di proporzioni planetarie.
“Cosa?”
“Naruto
si è ferito. È in ospedale. È grave,” afferma
Kakashi, domandandosi cosa ne sia stato delle sue belle doti di dialettica in
questo momento in cui sarebbero tanto utili. Ma niente, con Naruto in pericolo
di vita non riesce a pensare.
L’espressione
del volto di Sasuke quasi non cambia, se non per gli occhi neri che si sgranano
a dismisura. Però il ventaglio gli cade di mano, atterrando accanto al
suo piede.
“Sensei…”
Qualcosa
nel modo in cui pronuncia quella parola ricorda al ninja copia il ragazzino
disperato, terrorizzato dal Sigillo maledetto che Orochimaru gli aveva impresso
sul collo. Senza sapere definitivamente cosa dire serra amaramente le labbra
sotto la maschera e gli poggia la mano sulla spalla, paterno.
“Mettiti
le scarpe e andiamo.”
I. Mai
più
Naruto
dorme.
Sakura
armeggia intorno al suo giaciglio, amorevole. Ha raccolto i capelli sulla nuca
per liberare il viso durante l’intervento appena concluso, la linea di
preoccupazione sulla sua fronte è marcata e profonda, si morde le labbra
nervosamente e ha gli occhi arrossati. Ma Sasuke registra tutti quei
particolari distrattamente, come se la scena non lo riguardasse in alcun modo e
non avesse nulla a che fare con la sua vita.
Quella
stanza d’ospedale non c’entra niente con lui, quel letto bianco e
sfatto non lo riguarda in alcun modo e le goccioline che dalla flebo scendono
nel braccio dell’occupante, tenendolo in vita, non c’entrano,
ancora, niente con lui.
Quello
non è Naruto.
Serra
spasmodicamente i denti, ripetendosi quella considerazione categorica con un
moto d’impotenza. Sensazione tristemente familiare che rimanda
all’infanzia e che era sicuro di non dover provare più: non con
Naruto e la sua irrefrenabile, ottimistica vitalità accanto.
Fissa
disperatamente la testa bionda abbandonata sul cuscino, l’incarnato
bianco come non è mai stato, le labbra semiaperte da cui l’aria
entra ed esce con troppo sforzo, grato per una volta ai suoi occhi di non
riuscire a mettere bene a fuoco risparmiandogli i piccoli, crudi dettagli. Cerca
invece nella mente l’immagine consueta e perfettamente delineata della
faccia del jinchuuriki aperta nel suo ridere contagioso, la sua smorfia
imbronciata durante le loro schermaglie di provocazioni e l’espressione
estatica con cui lo guarda al mattino svegliandosi accanto a lui quando si
ferma a dormire a casa sua. Trasognato, ne conclude che è tassativamente
impossibile che tutto questo smetta di essere, che Naruto possa andarsene senza
tornare, così, a nemmeno vent’anni.
“Sas’ke-kun…”
Sakura
ha finito di armeggiare intorno al ferito, gli si è avvicinata e lo sta
guardando con tristezza. Si stringe intorno le braccia e sembra incerta,
esitante.
Non
si sono parlati molto, ultimamente: la scoperta della relazione tra lui e
Naruto, avvenuta da qualche mese, è stata un colpo duro per la
dottoressa. Col passare dei mesi la sua rabbia è diventata distacco, poi
qualcosa di simile ad una fredda cortesia nei loro confronti: il team sette si
è logorato un’altra volta.
“Non
vorresti andare a mangiare qualcosa?” suggerisce Sakura, gentilmente.
Sasuke
la osserva quasi sconcertato: andarsene a mangiare, con Naruto lì nel
letto che non si sa se si sveglierà oppure no – ma deve, deve
farlo – è fuori discussione. Scuote lentamente la testa, tornando
a guardarlo fisso. Sente vagamente uno stridio di sedia spostata, avverte il
corpo di Sakura abbassarsi accanto al suo. Devono essere ben strani da vedere,
pensa, seduti fianco a fianco su due seggiole pieghevoli a scrutare
dolorosamente uno stupido letto e quell’idiota del suo occupante.
Il
silenzio li accompagna per qualche minuto, soffocante. È Sakura a
spezzarlo, con un sospiro.
“E’
il mio migliore amico,” mormora poi pianissimo, la voce le trema.
“E’ comunque il mio migliore amico.”
Sasuke
sposta lo sguardo su di lei, annuendo distratto. Si sta mordendo le labbra per
non piangere, quella sciocca, ma non ce n’è motivo perché
Naruto presto starà bene.
“Diglielo,
quando si sveglia,” commenta poi con noncuranza prima di tornare a
voltarsi, ancora irritato per l’atteggiamento da lei avuto nei mesi
passati. “Gli farà piacere.”
Sakura
china la testa di scatto a quelle parole. Immediatamente dopo, il suono dei
suoi deboli singhiozzi soffocati lo raggiunge. La guarda di nuovo, chinata e
sussultante, deglutisce faticosamente e allunga una mano sulla sua spalla,
principalmente nell’intento di costringerla a guardarlo e dirle di
piantarla, perché non è niente di grave. Invece lei, a quel
tocco, si lascia andare in avanti e appoggia il viso contro di lui, prendendo a
piangere forte, disperatamente. Lui s’irrigidisce, a stento si trattiene
dal ritrarre la mano. Dentro a quelle lacrime copiose che gli inumidiscono la
stoffa sottile della maglia trova l’ipotesi della realtà.
Può
essere che Naruto non si svegli. Può essere che muoia nelle prossime
ore.
Può
essere che, maledizione, ci sia davvero qualcosa per cui piangere. Forse
quell’idiota non gli parlerà mai più, anche se dice
soltanto stronzate, forse non gli salterà mai più addosso, anche
se è appiccicoso come la carta moschicida, forse non faranno mai
più l’amore. Mai più.
Volta
il capo di scatto, mentre Sakura continua a piangere contro la sua spalla,
piega la testa più lontano che può e si stringe forte le labbra
tra i denti trattenendo il fiato, strizza le palpebre testardamente ma due
lacrime traditrici gli scivolano sulle guance ugualmente, si staccano
dolcemente atterrandogli sul bavero. Ricaccia indietro le altre, nascosto
dietro la barriera dei capelli, e quando si volterà di nuovo nulla del
suo viso rivelerà quella debolezza, soltanto i microscopici aloni
bagnati mostreranno per qualche altro secondo il breve cedimento.
Sakura
ha sollevato la testa. Quando lui si azzarda a imitarla, gli sta
silenziosamente porgendo un fazzolettino bianco.
Se
n’è accorta.
Volta
il viso con tracotanza, rifiutando l’offerta, ma lei non ritrae la mano.
“Mi
dispiace,” mormora invece con affetto.
Sul
suo volto c’è soltanto preoccupazione, ansia e il disagio di
sentirsi colpevole per aver tanto osteggiato e maledetto quello che lega i suoi
due compagni di squadra. È una profferta di scuse, quel fazzolettino
bianco, e la mano di lui si solleva ad afferrarlo automaticamente, comunque
brusca quanto basta da risultare condiscendente e trasmettere un certo
fastidio.
Annuisce
silenziosamente, con un’intesa perduta.
“Lo
amo,” sillaba involontariamente, come annunciandolo a se stesso.
Non
sa nemmeno lui perchè. Però lo fa – comunque Sakura non può averlo
sentito, non ha usato la voce - e in quello stesso momento si rende conto
dell’evidenza: a Naruto non l’ha mai detto. Non è una cosa
importante, non serve a nulla e non cambia le cose tra loro, ma non
gliel’ha mai detto una sola volta. Una. Forse non glielo direbbe mai
comunque, ma l’idea che non lo potrà fare nemmeno volendo, che non
ne avrà la possibilità, lo fa precipitare in una vertigine straziante.
Gira
di nuovo la testa e si poggia in avanti, sulle ginocchia, coprendosi la faccia
col fazzoletto aperto nel momento stesso in cui scoppia in rabbiosi singhiozzi,
perché almeno lei non lo veda, dei. Ma la sente alzarsi, allontanarsi e
poi chiudersi la porta alle spalle, lasciandolo solo senza testimoni.
E
piange davvero. Ogni singhiozzo è un’altra cosa che si rende conto
di non aver mai detto a Naruto: non saprei cosa fare delle mie giornate senza
la prospettiva di vedere te; grazie per non avermi lasciato andare come una
corsa persa, per avermi seguito, per aver creduto in me e per avermi ricordato
che nel mondo c’era qualcuno a cui importava di Sasuke e non del suo
sharingan; sei fastidioso e colloso e russi come un cinghiale ma dormo bene
solo con te. E non sa a quale punto di quelle riflessioni comincia a
pronunciarle ad alta voce ma fa anche questo, balbettando nel fazzoletto senza
nemmeno guardare Naruto. Certo che ti amo, dobe, lo
sai.
Lui
non lo può sentire, ma almeno l’ha detto.
Tè
forte, caldo e amaro, ricevuto direttamente dalle mani del sensei, che si
è battuto strenuamente perché Ino non
lo zuccherasse. Sasuke lo ingoia poco alla volta sentendone il calore
irradiarsi nel suo stomaco senza trarne reale beneficio e vorrebbe chiedere a
Kakashi se davvero pensa che dell’acqua calda in gola serva a qualche
cosa in questo momento. Ma quando solleva lo sguardo lo scopre intento a
osservarlo con quella che può essere solo trepidazione nell’occhio
scoperto.
“Buono,”
borbotta atono, tornando a osservare il liquido nella tazza.
Buffo,
Kakashi. Un altro che vive con tutti suoi rimorsi nella strozza, incastrati
lì senza andare né su né giù, come i suoi.
L’ultimo è Orochimaru, ma Sasuke pensa che non abbia davvero molto
senso sentirsi in colpa per questo. Non è che c’entrasse qualcosa,
il sensei, con la questione Itachi; e qualunque cosa avesse detto o fatto non
sarebbe servita a fermarlo, quando lui ha deciso di partire. Eppure il ninja
copia continua a comportarsi con quella premura dissimulata di chi ha qualcosa
da farsi perdonare, quando piuttosto è vero il contrario. Ché di
maestro Sasuke ne ha avuto uno solo ed è con lui in questa stanza,
adesso, ma aveva voluto cancellare ingiustamente anche questo.
Probabilmente
Kakashi si sta dicendo le sue stesse cose. Se avessi fatto più
attenzione a quel che combinava Naruto ultimamente. Se mi fossi offerto di
supervisionare il suo allenamento. Se fossi stato presente. Se gli avessi detto
di stare attento e non esagerare. Se.
“Non
è colpa di nessuno, presumo.”
Sasuke
solleva la testa di scatto a quelle parole pronunciate con la classica, pensosa
bonarietà di Kakashi. Incontra il suo occhio socchiuso nel sorriso
incoraggiante e un po’ impacciato che gli ha visto tante volte nel corso
degli anni e annuisce appena, senza trovare nulla da ribattere.
“Non
posso incolpare nessuno? Vorrà dire che…beh, mi vendicherò
come mi capita,” risponde, come volendo minimizzare il suo stesso
malessere.
È
strano come senta propria voce roca
e spenta, diversa dal solito.
“Suggerirei
la distruzione di Konoha, se…posso permettermi,” continua Kakashi,
con scherzosa tristezza.
Sasuke
annuisce, poi gli sfugge un risolino secco e nervoso che probabilmente è
dovuto alla tensione. Prende un altro sorso di tè, rimuginando su quanto
sia strano anche il fatto che non rida quasi mai e lo stia facendo stupidamente
adesso, senza essere minimamente allegro o divertito ma tutto il contrario.
Sakura
oltrepassa la soglia della stanza in quel momento, spingendo il suo carrellino
medico. Vedendoli esita per un istante, poi sorride penosamente.
“Dovrei
chiedervi di uscire per qualche minuto,” osserva, quasi mortificata.
“Tutti e due,” precisa, lanciando uno sguardo a Sasuke.
Kakashi
annuisce e si alza, poggiandogli nuovamente la mano sulla spalla e stringendola
leggermente. Sasuke lo segue all’esterno e non fa in tempo a percorrere
più di tre metri che le vede ancora lì, tutte quelle facce: le
ore trascorrono inesorabili eppure continuano ad esserci molte persone ad
aspettare notizie di Naruto. In questo momento l’ex team Asuma campeggia in corridoio, insieme a Iruka.
Kakashi si avvicina al piccolo capannello e lui, senza pensarci, lo segue.
“Novità?”
trilla ansiosamente Ino.
Il
ninja copia scuote la testa, grave, e i volti intorno a lui tornano a rabbuiarsi.
“Ma
cos’è successo esattamente?” s’informa Choji, sgranocchiando una patatina.
Sasuke
porta alle labbra nuovamente la tazza, per evitarsi l’angoscia di
rispondere.
“Naruto
voleva mettere a punto la versione finale del rasengan,
nei giorni scorsi. Probabilmente ha perso il controllo del suo chakra,”
spiega Kakashi per lui, amareggiato.
“Ecco
perché quell’esplosione così grande,” mormora
Shikamaru quasi tra sé, e Sasuke fissa distrattamente la tazza ormai
vuota senza sapere cosa farsene. L’idea ovvia e pratica di posarla o
buttarla via non lo sfiora nemmeno, rimane immobile limitandosi a respirare.
“Comunque
ce la deve fare,” afferma Iruka con improvvisa
veemenza, serrando poi le labbra.
Kakashi
annuisce, Sasuke continua ad aggrappare lo sguardo a quella tazza che gli
sembra pesare dieci chili. Poi una mano entra nel suo campo visivo, e spostando
gli occhi scopre che Nara sta aspettando che gliela passi, per posarla. Lascia
andare la scodella abbassando gli occhi e lo shinobi delle ombre si allontana
di qualche passo, gettandola in un cestino.
“Quando
si sveglia mi sente!” trilla Ino nervosamente.
“Farci spaventare così, è proprio una cosa da
Naruto!”
Choji
annuisce composto, facendo scrocchiare tra i denti un’altra patatina.
Shikamaru gli rifila discretamente una gomitata, a cui lui reagisce con
un’occhiata incerta continuando a mangiare. Al secondo colpo che gli si
infila tra le costole aggrotta la fronte e l’amico fa un brevissimo cenno
del capo verso Sasuke. Choji socchiude un po’
le labbra poi sembra capire d’improvviso, getta uno sguardo malinconico
al suo pacchetto e lo sporge in avanti.
“Patatine?”
Sasuke
sbatte le palpebre, perplesso.
“Non
puoi rifiutare, per Choji quello è il
più prezioso dei tesori,” commenta Shikamaru con espressione vagamente
disperata, come non capacitandosi della follia delle persone che lo circondano.
Sasuke lo fissa intensamente.
Nara.
Anni fa era il caposquadra del team che si mise sulle sue tracce per impedirgli
di raggiungere Oto. Rischiarono seriamente la pelle
tutti e cinque invano, in quella missione, per salvarne uno solo. Eppure
Shikamaru sembra non ricordarsene, o forse non gli importa più.
Addirittura, a quanto ne sa, è stato tra quelli che si sono battuti insieme a
Naruto perché lui fosse riaccolto a Konoha. A Sasuke, che tende a
imprimersi nella memoria ogni torto e ogni sconfitta come una macchia
incancellabile, sembra assurdo quel modo di essere così equilibrato. Ma
al momento non riesce a dispiacergli.
Allunga
la mano ad afferrare il pacchetto con un cenno del capo che, volendo, potrebbe
essere un ringraziamento. Choji sorride e Shikamaru
si stringe nelle spalle.
“Esco
a fumare un sigaretta,” annuncia noncurante, guadagnandosi uno sguardo
profondamente indignato e aggressivo di Ino, del
quale sembra non curarsi minimamente. “Qualcuno viene con me?”
Nessuno
degli altri sembra minimamente interessato alla proposta, Kakashi fa
addirittura un gesto negativo con la mano. Sasuke lo guarda incamminarsi verso
il balcone con una scrollata di spalle e all’ultimo, in uno scatto quasi
involontario, lo segue.
Shikamaru
sta scrutando la montagna degli Hokage pensosamente quando lui lo affianca,
appoggiando i gomiti alla balaustra. Il jonin gli porge meccanicamente il suo
pacchetto, che lui guarda apaticamente. Dicono che fumare rilassa e allora, in
fondo, perché no.
“Grazie,”
mormora controvoglia, cacciandosi la sigaretta in bocca. Shikamaru annuisce
vago, accendendogliela. È amara e gratta in gola. Sasuke lancia un colpo
di tosse e la allontana dalle labbra, aggrottando il viso.
“la
prima boccata fa schifo,” lo avverte tardivamente Shikamaru.
Sasuke
mugugna un’imprecazione tossendo nuovamente però riporta la
sigaretta alle labbra, per sentirla graffiare nella trachea e storcere le
labbra a causa del cattivo gusto, qualunque cosa va bene per non pensare a
Naruto.
“Non
sapevo che…fumassi, Nara,” mormora, gracchiando orrendamente.
L’altro
scrolla il capo, vago.
“Soltanto
nei momenti peggiori,” risponde atono, continuando a scrutare la
montagna.
Fumano
in silenzio – Sasuke tossisce, ogni tanto – finché la
curiosità e il bisogno di sapere la ragione di quella gentilezza si
fanno irreprimibili.
“Tu
sai?” chiede Sasuke di getto.
Shikamaru
si volta a guardarlo, inclina il capo e poi sbuffa.
“Non
è che Naruto sia un campione di dissimulazione,” commenta
esitante. “Comunque, sì. Da qualche mese. Ma non ne ho parlato con
nessuno, Sas’ke.”
Curioso.
Sono poche le persone che lo chiamano per nome, a Konoha.
“Immagino,”
brontola lui, ripensando con una fitta d’angoscia alla schietta
trasparenza del jinchuuriki. “Ma ho l’impressione che sia quasi
impossibile nascondere qualunque cosa a uno come te.”
Shikamaru
si concede un breve sorriso quasi impacciato, gettando via il fondo della sua
sigaretta.
“Siete
in tre, allora,” mormora il genio pensoso.
“Sakura,”
afferma Shikamaru con sicurezza. “E Kakashi senpai?”
Sasuke annuisce, per nulla sorpreso
dell’esattezza dell’ipotesi.
Shikamaru
lo imita, studiando ininterrottamente il profilo del monte. Quindi sbuffa tra
sé risoluto, parendo essere giunto alla conclusione di chissà
quale riflessione.
“La
sua faccia sarà su questa montagna,” afferma, con certezza
assoluta. “Non può essere altrimenti. Vedrai, tra un paio di
giorni sarà in piedi. Non c’è alternativa.”
Sasuke
aggrotta la fronte, tirando un’altra dolorosa boccata che non basta a
impedire alla sua mano di tremare.
“Come
fai ad esserne tanto sicuro?” chiede con una smorfia scettica.
Shikamaru
sembra pensare che gli stia chiedendo l’ovvio, poi inspira pazientemente.
“Naruto…,”
sorride tra sé. “Lui non si ferma davanti a niente. Aveva due
grandi sogni. Uno,” e gli sfiora il braccio, indicando che effettivamente
il suo desiderio più pressante era riportare indietro proprio lui,
“e due,” prosegue, indicando la montagna. “E se lo conosco
appena un po’ non smetterà di lottare finché non
avrà il titolo di Hokage, esattamente come non ha smesso di farlo
finché non sei tornato e sei stato riammesso a Konoha. Ho calcolato
tutto e non ci sono altre possibili soluzioni, perciò…”
sogghigna quasi, convinto, “smettila di preoccuparti,
Sas’ke.”
Gli
volta le spalle con quelle ultime parole lapidarie, ritornando verso
l’interno dell’ospedale.
Sasuke
rimane fermo, la sigaretta ormai quasi finita tra le dita e il pacchetto di
patatine nell’altra mano. Li guarda assorto, rendendosi conto che quei
gesti di gentilezza non erano solo per lui, ma anche per Naruto. Realizza quasi
improvvisamente che ha intorno una marea di persone, e che per lo più lo
deve al compagno. Naruto muove il mondo intorno a sé con la sola forza
del suo sorriso e del suo coraggio, da sempre.
Gli
sembra che Shikamaru non abbia tutti i torti. La paura e il dolore non se ne
sono andati, ma al di sopra di loro
si è riaccesa una fiammella. Speranza.