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Autore: suni    17/01/2009    7 recensioni
Quella stanza d’ospedale non c’entra niente con lui, quel letto bianco e sfatto non lo riguarda in alcun modo e le goccioline che dalla flebo scendono nel braccio dell’occupante, tenendolo in vita, non c’entrano, ancora, niente con lui.
Quello non è Naruto.

[Legata a Konoha, mattina e successive]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Konoha, mattina'
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Fic relativa ad un evento da me accennato all’interno di Konoha, mattina.

Naruto ha già superato se stesso nella battaglia finale contro l’Akatsuki. Ma il suo rasengan non è ancora totalmente divino e il nostro jinchuuriki decide di perfezionarlo. E si sa, alle volte Naruto, quando ci si mette, può essere un tantino…autolesionista.

Per la disperazione di qualcuno.

Siamo intorno ai vent’anni.

 

 

 

 

____________________________________

 

 

GIURA

 

 

 

 

Piena estate. Particolarmente calda, vagamente afosa e baciata da un perenne sole splendente. Le foglie frusciano per la poca brezza rimasta, gli usignoli cantano, i picchi picchiano, com’è giusto che sia, le cicale friniscono, Konohamaru mangia gelati a ritmo continuo, Kakashi si domanda una volta ogni diciotto minuti netti per quale assurda ragione ostinarsi a tenere su la maschera, che sudaticcia gli si appiccica alla faccia, e Sasuke sfodera raffinate camiciole e magliette sempre più minimal al fine di non liquefarsi nell’imbottitura della sua divisa da chunin, per la somma gioia delle fanciulle di Konoha. E di Naruto.

Tutto nella norma.

Questo, almeno, fino ad un normalissimo giovedì mattina rallegrato dal fresco dovuto a una leggera pioggerellina che ha omaggiato il villaggio intorno all’alba: appena prima di mezzogiorno le strade sono scosse dalle vibrazioni di una violenta esplosione che arrossa il cielo poco lontano dal centro abitato, allungandosi in ampie volute di fumo mentre gli abitanti di Konoha si affacciano in strada, inquieti e incuriositi.

“Cos’era quel boato?”

“Che succede?”

“Un’esplosione, laggiù!”

“Cosa? Oh dei! Ehi, vieni a vedere!”

“Ci attaccano?”

“Chi è stato?”

“Quanto fumo…”

Le chiacchiere aumentano al passaggio rapidissimo di un team di shinobi, diretto in tutta fretta verso il luogo della misteriosa esplosione. Shikamaru guarda passare i colleghi ringraziando tutte le divinità che il suo geniale cervello ricorda per non essere di turno e potersi evitare la seccatura di dover correre tanto in una giornata così bella. Poi però, invece di andarsene a poltrire per i fatti suoi, rimane piantato in mezzo alla strada ad aspettare che ritornino per essere sicuro che nessun pericolo stia minacciando il villaggio. Pigro, ma vigile.

Cinque minuti dopo gli shinobi fanno ritorno, trasportando un ferito grave. Shikamaru lancia un urlo di sorpresa e sembra ritrovare l’energia d’improvviso, scattando verso il quartier generale mentre quelli si affrettano verso l’ospedale. Altri cinque minuti e la notizia si diffonde: Uzumaki Naruto si è ferito gravemente in un allenamento individuale intensivo. Si teme per la sua vita.

C’è da dire, commenta qualcuno, che solo lui poteva farcela ad essere praticamente indistruttibile per qualunque nemico e spappolarsi da solo mentre si allena. Ad ogni modo la preoccupazione per le sorti del giovane eroe dilaga, gli amici si affannano, Sakura lo mette immediatamente sotto i ferri, asciugandosi le lacrime di preoccupazione per dedicarsi alla salvezza dell’amico, e Kakashi abbandona l’angosciante pensiero della maschera appiccicosa per dedicarsi a quest’ansia ben più grave e concreta. Rimane piantato di fianco alla sala operatoria per qualche minuto, angustiandosi tristemente nella preoccupazione per il suo biondo, solare allievo, sconvolto e quasi spaesato per la prima volta da tempo immemore. È a quel punto, gettandosi intorno un’occhiata depressa che scivola sui visi tutti ugualmente cupi e inquieti dei presenti – Lee, Shikamaru, Choji, Ino, Iruka, gli Hyuuga, Konohamaru – che realizza l’assenza di una persona importante.

Nessuno ha avvisato Sasuke.

Il ninja copia sospira tristemente tra sé, sentendosi istantaneamente investito di quell’ingrato compito. Si guarda ancora intorno per un istante, tanto per essere certo che non ci sia davvero nessun altro che potrebbe incaricarsene, ma poi realizza che senza dubbio la faccia che Sasuke vorrebbe avere davanti in un momento del genere è proprio la sua. Si caccia le mani in tasca e, dopo un altro sguardo apprensivo verso la soglia oltre la quale Naruto sta lottando per la vita, prende la via del quartiere degli Uchiha, preparandosi mentalmente un discorso che possa non essere troppo brusco per spiegare la situazione al suo ex allievo.

Esita una volta giunto davanti alla porta, non essendo nemmeno vagamente soddisfatto delle frasi messe insieme finora. Poi, sbuffando, scuote il capo e bussa.

Se la situazione fosse meno drammatica scoppierebbe a ridere, quando Sasuke gli apre: il genio, a cui evidentemente delle esplosioni importa ben poco, è accaldato e, con i capelli appiccicati ai lati del viso, si sventola verso la faccia un ampio ventaglio che a giudicare dal grazioso disegno floreale sulle tinte del rosa che lo adorna dev’essere appartenuto a sua madre.

O a sua nonna.

La sua espressione dignitosa e altera rende l’immagine ancor più surreale. Se già quel che sta accadendo sembrava a Kakashi dolorosamente assurdo, adesso la sensazione comincia a diventare una certezza.

Yo, senpai,” lo accoglie il genio, composto.

“Sas’ke,” fa lui grave, corrugando la fronte. “Mi dispiace disturbarti, ma ho una notizia spiacevole da darti.”

Sasuke lo guarda interrogativo, già incupendosi. Come minimo, conoscendolo e conoscendo i suoi trascorsi, sta immaginando una catastrofe di proporzioni planetarie.

“Cosa?”

“Naruto si è ferito. È in ospedale. È grave,” afferma Kakashi, domandandosi cosa ne sia stato delle sue belle doti di dialettica in questo momento in cui sarebbero tanto utili. Ma niente, con Naruto in pericolo di vita non riesce a pensare.

L’espressione del volto di Sasuke quasi non cambia, se non per gli occhi neri che si sgranano a dismisura. Però il ventaglio gli cade di mano, atterrando accanto al suo piede.

“Sensei…”

Qualcosa nel modo in cui pronuncia quella parola ricorda al ninja copia il ragazzino disperato, terrorizzato dal Sigillo maledetto che Orochimaru gli aveva impresso sul collo. Senza sapere definitivamente cosa dire serra amaramente le labbra sotto la maschera e gli poggia la mano sulla spalla, paterno.

“Mettiti le scarpe e andiamo.”

 

 

 

 

 

 

I. Mai più

 

 

 

 

Naruto dorme.

Sakura armeggia intorno al suo giaciglio, amorevole. Ha raccolto i capelli sulla nuca per liberare il viso durante l’intervento appena concluso, la linea di preoccupazione sulla sua fronte è marcata e profonda, si morde le labbra nervosamente e ha gli occhi arrossati. Ma Sasuke registra tutti quei particolari distrattamente, come se la scena non lo riguardasse in alcun modo e non avesse nulla a che fare con la sua vita.

Quella stanza d’ospedale non c’entra niente con lui, quel letto bianco e sfatto non lo riguarda in alcun modo e le goccioline che dalla flebo scendono nel braccio dell’occupante, tenendolo in vita, non c’entrano, ancora, niente con lui.

Quello non è Naruto.

Serra spasmodicamente i denti, ripetendosi quella considerazione categorica con un moto d’impotenza. Sensazione tristemente familiare che rimanda all’infanzia e che era sicuro di non dover provare più: non con Naruto e la sua irrefrenabile, ottimistica vitalità accanto.

Fissa disperatamente la testa bionda abbandonata sul cuscino, l’incarnato bianco come non è mai stato, le labbra semiaperte da cui l’aria entra ed esce con troppo sforzo, grato per una volta ai suoi occhi di non riuscire a mettere bene a fuoco risparmiandogli i piccoli, crudi dettagli. Cerca invece nella mente l’immagine consueta e perfettamente delineata della faccia del jinchuuriki aperta nel suo ridere contagioso, la sua smorfia imbronciata durante le loro schermaglie di provocazioni e l’espressione estatica con cui lo guarda al mattino svegliandosi accanto a lui quando si ferma a dormire a casa sua. Trasognato, ne conclude che è tassativamente impossibile che tutto questo smetta di essere, che Naruto possa andarsene senza tornare, così, a nemmeno vent’anni.

“Sas’ke-kun…”

Sakura ha finito di armeggiare intorno al ferito, gli si è avvicinata e lo sta guardando con tristezza. Si stringe intorno le braccia e sembra incerta, esitante.

Non si sono parlati molto, ultimamente: la scoperta della relazione tra lui e Naruto, avvenuta da qualche mese, è stata un colpo duro per la dottoressa. Col passare dei mesi la sua rabbia è diventata distacco, poi qualcosa di simile ad una fredda cortesia nei loro confronti: il team sette si è logorato un’altra volta.

“Non vorresti andare a mangiare qualcosa?” suggerisce Sakura, gentilmente.

Sasuke la osserva quasi sconcertato: andarsene a mangiare, con Naruto lì nel letto che non si sa se si sveglierà oppure no – ma deve, deve farlo – è fuori discussione. Scuote lentamente la testa, tornando a guardarlo fisso. Sente vagamente uno stridio di sedia spostata, avverte il corpo di Sakura abbassarsi accanto al suo. Devono essere ben strani da vedere, pensa, seduti fianco a fianco su due seggiole pieghevoli a scrutare dolorosamente uno stupido letto e quell’idiota del suo occupante.

Il silenzio li accompagna per qualche minuto, soffocante. È Sakura a spezzarlo, con un sospiro.

“E’ il mio migliore amico,” mormora poi pianissimo, la voce le trema. “E’ comunque il mio migliore amico.”

Sasuke sposta lo sguardo su di lei, annuendo distratto. Si sta mordendo le labbra per non piangere, quella sciocca, ma non ce n’è motivo perché Naruto presto starà bene.

“Diglielo, quando si sveglia,” commenta poi con noncuranza prima di tornare a voltarsi, ancora irritato per l’atteggiamento da lei avuto nei mesi passati. “Gli farà piacere.”

Sakura china la testa di scatto a quelle parole. Immediatamente dopo, il suono dei suoi deboli singhiozzi soffocati lo raggiunge. La guarda di nuovo, chinata e sussultante, deglutisce faticosamente e allunga una mano sulla sua spalla, principalmente nell’intento di costringerla a guardarlo e dirle di piantarla, perché non è niente di grave. Invece lei, a quel tocco, si lascia andare in avanti e appoggia il viso contro di lui, prendendo a piangere forte, disperatamente. Lui s’irrigidisce, a stento si trattiene dal ritrarre la mano. Dentro a quelle lacrime copiose che gli inumidiscono la stoffa sottile della maglia trova l’ipotesi della realtà.

Può essere che Naruto non si svegli. Può essere che muoia nelle prossime ore.

Può essere che, maledizione, ci sia davvero qualcosa per cui piangere. Forse quell’idiota non gli parlerà mai più, anche se dice soltanto stronzate, forse non gli salterà mai più addosso, anche se è appiccicoso come la carta moschicida, forse non faranno mai più l’amore. Mai più.

Volta il capo di scatto, mentre Sakura continua a piangere contro la sua spalla, piega la testa più lontano che può e si stringe forte le labbra tra i denti trattenendo il fiato, strizza le palpebre testardamente ma due lacrime traditrici gli scivolano sulle guance ugualmente, si staccano dolcemente atterrandogli sul bavero. Ricaccia indietro le altre, nascosto dietro la barriera dei capelli, e quando si volterà di nuovo nulla del suo viso rivelerà quella debolezza, soltanto i microscopici aloni bagnati mostreranno per qualche altro secondo il breve cedimento.

Sakura ha sollevato la testa. Quando lui si azzarda a imitarla, gli sta silenziosamente porgendo un fazzolettino bianco.

Se n’è accorta.

Volta il viso con tracotanza, rifiutando l’offerta, ma lei non ritrae la mano.

“Mi dispiace,” mormora invece con affetto.

Sul suo volto c’è soltanto preoccupazione, ansia e il disagio di sentirsi colpevole per aver tanto osteggiato e maledetto quello che lega i suoi due compagni di squadra. È una profferta di scuse, quel fazzolettino bianco, e la mano di lui si solleva ad afferrarlo automaticamente, comunque brusca quanto basta da risultare condiscendente e trasmettere un certo fastidio.

Annuisce silenziosamente, con un’intesa perduta.

“Lo amo,” sillaba involontariamente, come annunciandolo a se stesso.

Non sa nemmeno lui perchè. Però lo fa – comunque Sakura non può averlo sentito, non ha usato la voce - e in quello stesso momento si rende conto dell’evidenza: a Naruto non l’ha mai detto. Non è una cosa importante, non serve a nulla e non cambia le cose tra loro, ma non gliel’ha mai detto una sola volta. Una. Forse non glielo direbbe mai comunque, ma l’idea che non lo potrà fare nemmeno volendo, che non ne avrà la possibilità, lo fa precipitare in una vertigine straziante.

Gira di nuovo la testa e si poggia in avanti, sulle ginocchia, coprendosi la faccia col fazzoletto aperto nel momento stesso in cui scoppia in rabbiosi singhiozzi, perché almeno lei non lo veda, dei. Ma la sente alzarsi, allontanarsi e poi chiudersi la porta alle spalle, lasciandolo solo senza testimoni.

E piange davvero. Ogni singhiozzo è un’altra cosa che si rende conto di non aver mai detto a Naruto: non saprei cosa fare delle mie giornate senza la prospettiva di vedere te; grazie per non avermi lasciato andare come una corsa persa, per avermi seguito, per aver creduto in me e per avermi ricordato che nel mondo c’era qualcuno a cui importava di Sasuke e non del suo sharingan; sei fastidioso e colloso e russi come un cinghiale ma dormo bene solo con te. E non sa a quale punto di quelle riflessioni comincia a pronunciarle ad alta voce ma fa anche questo, balbettando nel fazzoletto senza nemmeno guardare Naruto. Certo che ti amo, dobe, lo sai.

Lui non lo può sentire, ma almeno l’ha detto. 

 

 

Tè forte, caldo e amaro, ricevuto direttamente dalle mani del sensei, che si è battuto strenuamente perché Ino non lo zuccherasse. Sasuke lo ingoia poco alla volta sentendone il calore irradiarsi nel suo stomaco senza trarne reale beneficio e vorrebbe chiedere a Kakashi se davvero pensa che dell’acqua calda in gola serva a qualche cosa in questo momento. Ma quando solleva lo sguardo lo scopre intento a osservarlo con quella che può essere solo trepidazione nell’occhio scoperto.

“Buono,” borbotta atono, tornando a osservare il liquido nella tazza.

Buffo, Kakashi. Un altro che vive con tutti suoi rimorsi nella strozza, incastrati lì senza andare né su né giù, come i suoi. L’ultimo è Orochimaru, ma Sasuke pensa che non abbia davvero molto senso sentirsi in colpa per questo. Non è che c’entrasse qualcosa, il sensei, con la questione Itachi; e qualunque cosa avesse detto o fatto non sarebbe servita a fermarlo, quando lui ha deciso di partire. Eppure il ninja copia continua a comportarsi con quella premura dissimulata di chi ha qualcosa da farsi perdonare, quando piuttosto è vero il contrario. Ché di maestro Sasuke ne ha avuto uno solo ed è con lui in questa stanza, adesso, ma aveva voluto cancellare ingiustamente anche questo.

Probabilmente Kakashi si sta dicendo le sue stesse cose. Se avessi fatto più attenzione a quel che combinava Naruto ultimamente. Se mi fossi offerto di supervisionare il suo allenamento. Se fossi stato presente. Se gli avessi detto di stare attento e non esagerare. Se.

“Non è colpa di nessuno, presumo.”

Sasuke solleva la testa di scatto a quelle parole pronunciate con la classica, pensosa bonarietà di Kakashi. Incontra il suo occhio socchiuso nel sorriso incoraggiante e un po’ impacciato che gli ha visto tante volte nel corso degli anni e annuisce appena, senza trovare nulla da ribattere.

“Non posso incolpare nessuno? Vorrà dire che…beh, mi vendicherò come mi capita,” risponde, come volendo minimizzare il suo stesso malessere.

È strano come senta propria  voce roca e spenta, diversa dal solito.

“Suggerirei la distruzione di Konoha, se…posso permettermi,” continua Kakashi, con scherzosa tristezza.

Sasuke annuisce, poi gli sfugge un risolino secco e nervoso che probabilmente è dovuto alla tensione. Prende un altro sorso di tè, rimuginando su quanto sia strano anche il fatto che non rida quasi mai e lo stia facendo stupidamente adesso, senza essere minimamente allegro o divertito ma tutto il contrario.

Sakura oltrepassa la soglia della stanza in quel momento, spingendo il suo carrellino medico. Vedendoli esita per un istante, poi sorride penosamente.

“Dovrei chiedervi di uscire per qualche minuto,” osserva, quasi mortificata. “Tutti e due,” precisa, lanciando uno sguardo a Sasuke.

Kakashi annuisce e si alza, poggiandogli nuovamente la mano sulla spalla e stringendola leggermente. Sasuke lo segue all’esterno e non fa in tempo a percorrere più di tre metri che le vede ancora lì, tutte quelle facce: le ore trascorrono inesorabili eppure continuano ad esserci molte persone ad aspettare notizie di Naruto. In questo momento l’ex team Asuma campeggia in corridoio, insieme a Iruka. Kakashi si avvicina al piccolo capannello e lui, senza pensarci, lo segue.

“Novità?” trilla ansiosamente Ino.

Il ninja copia scuote la testa, grave, e i volti intorno a lui tornano a rabbuiarsi.

“Ma cos’è successo esattamente?” s’informa Choji, sgranocchiando una patatina.

Sasuke porta alle labbra nuovamente la tazza, per evitarsi l’angoscia di rispondere.

“Naruto voleva mettere a punto la versione finale del rasengan, nei giorni scorsi. Probabilmente ha perso il controllo del suo chakra,” spiega Kakashi per lui, amareggiato.

“Ecco perché quell’esplosione così grande,” mormora Shikamaru quasi tra sé, e Sasuke fissa distrattamente la tazza ormai vuota senza sapere cosa farsene. L’idea ovvia e pratica di posarla o buttarla via non lo sfiora nemmeno, rimane immobile limitandosi a respirare.

“Comunque ce la deve fare,” afferma Iruka con improvvisa veemenza, serrando poi le labbra.

Kakashi annuisce, Sasuke continua ad aggrappare lo sguardo a quella tazza che gli sembra pesare dieci chili. Poi una mano entra nel suo campo visivo, e spostando gli occhi scopre che Nara sta aspettando che gliela passi, per posarla. Lascia andare la scodella abbassando gli occhi e lo shinobi delle ombre si allontana di qualche passo, gettandola in un cestino.

“Quando si sveglia mi sente!” trilla Ino nervosamente. “Farci spaventare così, è proprio una cosa da Naruto!”

Choji annuisce composto, facendo scrocchiare tra i denti un’altra patatina. Shikamaru gli rifila discretamente una gomitata, a cui lui reagisce con un’occhiata incerta continuando a mangiare. Al secondo colpo che gli si infila tra le costole aggrotta la fronte e l’amico fa un brevissimo cenno del capo verso Sasuke. Choji socchiude un po’ le labbra poi sembra capire d’improvviso, getta uno sguardo malinconico al suo pacchetto e lo sporge in avanti.

“Patatine?”

Sasuke sbatte le palpebre, perplesso.

“Non puoi rifiutare, per Choji quello è il più prezioso dei tesori,” commenta Shikamaru con espressione vagamente disperata, come non capacitandosi della follia delle persone che lo circondano. Sasuke lo fissa intensamente.

Nara. Anni fa era il caposquadra del team che si mise sulle sue tracce per impedirgli di raggiungere Oto. Rischiarono seriamente la pelle tutti e cinque invano, in quella missione, per salvarne uno solo. Eppure Shikamaru sembra non ricordarsene, o forse non gli importa più. Addirittura, a quanto ne sa, è stato tra quelli che si sono battuti insieme a Naruto perché lui fosse riaccolto a Konoha. A Sasuke, che tende a imprimersi nella memoria ogni torto e ogni sconfitta come una macchia incancellabile, sembra assurdo quel modo di essere così equilibrato. Ma al momento non riesce a dispiacergli.

Allunga la mano ad afferrare il pacchetto con un cenno del capo che, volendo, potrebbe essere un ringraziamento. Choji sorride e Shikamaru si stringe nelle spalle.

“Esco a fumare un sigaretta,” annuncia noncurante, guadagnandosi uno sguardo profondamente indignato e aggressivo di Ino, del quale sembra non curarsi minimamente. “Qualcuno viene con me?”

Nessuno degli altri sembra minimamente interessato alla proposta, Kakashi fa addirittura un gesto negativo con la mano. Sasuke lo guarda incamminarsi verso il balcone con una scrollata di spalle e all’ultimo, in uno scatto quasi involontario, lo segue.

Shikamaru sta scrutando la montagna degli Hokage pensosamente quando lui lo affianca, appoggiando i gomiti alla balaustra. Il jonin gli porge meccanicamente il suo pacchetto, che lui guarda apaticamente. Dicono che fumare rilassa e allora, in fondo, perché no.

“Grazie,” mormora controvoglia, cacciandosi la sigaretta in bocca. Shikamaru annuisce vago, accendendogliela. È amara e gratta in gola. Sasuke lancia un colpo di tosse e la allontana dalle labbra, aggrottando il viso.

“la prima boccata fa schifo,” lo avverte tardivamente Shikamaru.

Sasuke mugugna un’imprecazione tossendo nuovamente però riporta la sigaretta alle labbra, per sentirla graffiare nella trachea e storcere le labbra a causa del cattivo gusto, qualunque cosa va bene per non pensare a Naruto.

“Non sapevo che…fumassi, Nara,” mormora, gracchiando orrendamente.

L’altro scrolla il capo, vago.

“Soltanto nei momenti peggiori,” risponde atono, continuando a scrutare la montagna.

Fumano in silenzio – Sasuke tossisce, ogni tanto – finché la curiosità e il bisogno di sapere la ragione di quella gentilezza si fanno irreprimibili.

“Tu sai?” chiede Sasuke di getto.

Shikamaru si volta a guardarlo, inclina il capo e poi sbuffa.

“Non è che Naruto sia un campione di dissimulazione,” commenta esitante. “Comunque, sì. Da qualche mese. Ma non ne ho parlato con nessuno, Sas’ke.”

Curioso. Sono poche le persone che lo chiamano per nome, a Konoha.

“Immagino,” brontola lui, ripensando con una fitta d’angoscia alla schietta trasparenza del jinchuuriki. “Ma ho l’impressione che sia quasi impossibile nascondere qualunque cosa a uno come te.”

Shikamaru si concede un breve sorriso quasi impacciato, gettando via il fondo della sua sigaretta.

“Siete in tre, allora,” mormora il genio pensoso.

“Sakura,” afferma Shikamaru con sicurezza. “E Kakashi senpai?”

 Sasuke annuisce, per nulla sorpreso dell’esattezza dell’ipotesi.

Shikamaru lo imita, studiando ininterrottamente il profilo del monte. Quindi sbuffa tra sé risoluto, parendo essere giunto alla conclusione di chissà quale riflessione.

“La sua faccia sarà su questa montagna,” afferma, con certezza assoluta. “Non può essere altrimenti. Vedrai, tra un paio di giorni sarà in piedi. Non c’è alternativa.”

Sasuke aggrotta la fronte, tirando un’altra dolorosa boccata che non basta a impedire alla sua mano di tremare.

“Come fai ad esserne tanto sicuro?” chiede con una smorfia scettica.

Shikamaru sembra pensare che gli stia chiedendo l’ovvio, poi inspira pazientemente.

“Naruto…,” sorride tra sé. “Lui non si ferma davanti a niente. Aveva due grandi sogni. Uno,” e gli sfiora il braccio, indicando che effettivamente il suo desiderio più pressante era riportare indietro proprio lui, “e due,” prosegue, indicando la montagna. “E se lo conosco appena un po’ non smetterà di lottare finché non avrà il titolo di Hokage, esattamente come non ha smesso di farlo finché non sei tornato e sei stato riammesso a Konoha. Ho calcolato tutto e non ci sono altre possibili soluzioni, perciò…” sogghigna quasi, convinto, “smettila di preoccuparti, Sas’ke.”

Gli volta le spalle con quelle ultime parole lapidarie, ritornando verso l’interno dell’ospedale.

Sasuke rimane fermo, la sigaretta ormai quasi finita tra le dita e il pacchetto di patatine nell’altra mano. Li guarda assorto, rendendosi conto che quei gesti di gentilezza non erano solo per lui, ma anche per Naruto. Realizza quasi improvvisamente che ha intorno una marea di persone, e che per lo più lo deve al compagno. Naruto muove il mondo intorno a sé con la sola forza del suo sorriso e del suo coraggio, da sempre.

Gli sembra che Shikamaru non abbia tutti i torti. La paura e il dolore non se ne sono andati, ma  al di sopra di loro si è riaccesa una fiammella. Speranza.

 

   
 
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