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Autore: malpensandoti    04/07/2015    8 recensioni
Lei rotea le pupille, stringendo con più forza la pochette firmata. “Connie – lo corregge – E tu sei quello che si è beccato quattro giornate di squalifica perché evidentemente non sa che sputare sugli arbitri è disumano?”
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Louis Tomlinson è il terzo giocatore più pagato al mondo e Connie - semplicemente - non lo sopporta.

one-shot divisa in tre capitoli
Genere: Generale, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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finalmente, dopo un anno intero dall'inizio di questa storia, sono riuscita finalmente a pubblicarla!
è talmente strano che quasi non me ne rendo conto, è stato veramente un progetto senza fine - di cui ovviamente non sono per nulla soddisfatta - nata dopo la visione dei mondiali di calcio 2014, quindi l'estate scorsa!
bando alle ciance, ecco qualche piccola informazione prima di lasciarvi alla lettura:
  • il titolo di questa storia è preso dal libro di nick hornby, che appunto tratta di vicende calcistiche inglesi
  • la premier league non si gioca in inverno ma bensì d'estate, mi sono presa la libertà di cambiare le date per via della trama
  • il young team inglese è praticamente la nostra 'primavera'
  • i personaggi reali citati nella storia, ovvero ben winston, perrie edwards, simon cowell, zayn malik, niall horan, liam payne, louis tomlinson e david beckham non mi appartengono e i fatti di cui sono protagonisti sono completamente inventati
  • david sexton - anche lui citato - è stato un famoso allenatore e calciatore inglese, mentre martin edwards è realmente un dirigente sportivo
  • non sono mai stata a manchester e non sono appassionata di calcio, perdonate le mie imprecisioni per luoghi/funzioni amministrative

che faticaccia! penso di aver concluso però.
la storia è veramente ma veramente lunga - è nata come una one shot e non volevo trasformarla in qualcosa di più sostanzioso, ma mi sono resa conto che devo.
spero di farvi un favore, per lo meno non vi annoierete troppo!
cos'altro dire? questo è il mio primo progetto per quest'estate, spero che ce ne possa essere un secondo, ma purtroppo con il lavoro non riesco a concludere granché! sono fiduciosa <3
un grazie di cuore alle mie splendide beta che si sono premurate di correggere questo malloppo di parole per me, vi sono debitrice a vita!
e un grazie speciale a chi continua a leggermi e a volermi su questo sito. vi voglio tanto bene!
buona lettura!
caterina

 

 



fever pitch
1/3
 
 




Connie cammina piano lungo il corridoio con l'indice della mano sinistra che graffia il pollice a un ritmo costante. Si morde il labbro inferiore e sospira quando arriva davanti all'ultima porta, rigorosamente chiusa. Lancia un'occhiata ai muri che ha intorno, ora completamente privi di tutte le fotografie che un tempo erano appese con orgoglio, i sorrisi dentro le cornici ormai persi nello scantinato.
Le sembrano passati secoli.
249 giorni, invece.
Bussa piano, poi, mordendosi il labbro un'altra volta per via della pelle martoriata delle sue dita.
Inspira. Espira. “Papà?”
Non le risponde nessuno, ovviamente. Da dentro non si sente nient'altro che uno scricchiolio della sedia girevole, segno che per lo meno lui ha guardato verso la porta.
“Papà – Connie deglutisce, alza appena la voce – Papà, c'è del...della pasta, in cucina. Esther ha fatto la torta alle mele, la tua...la tua preferita – non ha intenzione di piangere – Io sto andando da Niall a ripassare, mamma è uscita qualche ora fa. Ci...ci vediamo dopo, okay?”
Le parole le tremano un po', ma questa non è una sorpresa. Connie fa un passo indietro, respirando così forte da sentire l'apnea. Aspetta qualche secondo, una piccola speranza, un qualcosa che le faccia capire che si può andare avanti.
Suo padre non apre la porta.
Lei allora chiude gli occhi – fa molto più male il silenzio – e annuisce, come se lui le avesse risposto.
“D'accordo – sussurra – va bene”
 
 
 
Casa di Niall è semplicemente una topaia, in confronto alla sua, ma Connie ci trascorrerebbe volentieri la vita. Perché si sta bene, in quella villetta a schiera nella periferia di Manchester, perché c'è odore di pane appena sfornato e famiglia. Perché il tavolo del salotto è piccolo e quando Connie si ferma a mangiare, col gomito tocca sempre quello di Niall. Perché Maura è una donna eccezionale, sempre con la parola di conforto e la voce dolce. Perché Niall è sicuramente l'unico amico che abbia mai avuto, perché c'è sempre stato e perché non fa domande, al contrario ascolta, e non è una cosa da tutti.
Casa di Connie potrà avere la piscina sul retro, il giardino verde e immenso, la mansarda, i corridoi infiniti e un Picasso originale, ma non è nient'altro che un mucchio di mobili costosi ed estranei che se ne prendono cura.
Non è mai il giorno delle pulizie, e non c'è nessun Niall che sporca la moquette, né i rimproveri di Maura per i bicchieri lasciati in cucina.
Casa di Connie è caduta nel silenzio, nell'oblio più totale. Sua madre Elsa cerca di far quadrare le cose, le sorride, ringrazia Esther per il cibo, continua a disegnare i suoi vestiti, a prendere gli aerei e a vivere la sua vita.
Forse è andata avanti, oltre. Forse lei ci è riuscita davvero.
Connie è in bilico, invece. Sono passati 249 giorni, abbastanza per rialzarsi, il tempo necessario per inserirsi di nuovo nella routine, cercando di alleviare l'assenza, compensarla con qualcos'altro.
Ma. C'è.
Nonostante non sia qualcosa di fisico, nonostante non si possa vedere, non si possa più percepirne l'odore, la voce, le parole, c'è.
E un giorno forse capirà se questa sia solo una grande fortuna, o solo un altro modo per pensare di avercela fatta, quando in realtà si è semplicemente al punto di partenza.
 
 
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Nel settore Colin Bell Stand la gente è molto più silenziosa rispetto alle curve North e South Stand.
Si parla principalmente di soldi e sponsor, di giocatori da comprare e quelli da mandare via. Nessuno che sia vestito di bianco e azzurro, nessuno che urli e canti. Solo uomini in giacca e cravatta e sguardi seri e critici.
In mezzo a tutti questi poi, c'è Niall. L'eccezione.
La sua sciarpa è originale del Manchester United e le sue guance sono tinte di un rosso porpora per via degli schiamazzi con cui incita i calciatori alla vittoria. I suoi occhi blu sono accesi di aspettative come quelli di un bambino.
L'Etihad Stadium è pieno e gigantesco, e da questa posizione, nella tribuna d'onore, Connie si sente ancora più piccola.
Tiene le gambe accavallate e le spalle strette per via del freddo invernale, e tiene il mento alto come le ha insegnato sua madre, mentre guarda la sua squadra pareggiare 1-1 con il Bayern Monaco.
“Non vinceremo mai” dichiara secca, osservando il campo con espressione contrariata.
Niall, di fianco a lei, sbuffa sonoramente e si volta a guardarla. “Non vinceremo mai se ci credi così poco” ribatte, e sembra che tremi da quanta adrenalina circola nel suo corpo.
“Rodger ha perso la palla tre volte – esclama lei allora, testarda come suo padre – e se Payne continua a buttarsi per terra per parare tutti quei tiri rischia seriamente di rompersi il ginocchio un'altra stagione”
Niall rimane in silenzio, arricciando le labbra e tornando a fissare la partita in corso. Tentenna, perché probabilmente sa che Connie ha ragione.
“Si vede che manca Tomlinson” sospira poi, sconsolato.
“Ah, ma ti prego! – la ragazza scuote la testa con energia, aggrottando le sopracciglia – Nessuna squadra al mondo ha bisogno di un fenomeno da baraccone”
La signora seduta di fianco a lei, forse moglie di uno dei finanzieri, le rivolge uno sguardo indignato, chiusa dentro alla sua pelliccia di coniglio.
“Non parlare di Tommo in questa maniera!” la riprende invece Niall, il tono di voce alto, arrabbiato.
“È un bambino, Niall – Connie rotea gli occhi al cielo, proprio non riesce a capire – Insomma, non ha tecnica, non ha un minimo di spirito di squadra, tutto quello che fa è sentirsi superiore a-”
“Parli così perché non ti piace come persona – ribatte l'amico, impassibile – Ma il suo cuore è grande e-”
Grande quanto il suo ego”
“...e se solo tu smettessi di giudicare le persone senza conoscerle, capiresti che c'è dell'altro, oltre a quello che vedi”
Connie scoppia a ridere a quel punto, perché sentire Niall Horan parlare così profondamente è sempre divertente.
“Beh, lo conosco abbastanza, invece – ribatte, saccente – Papà ne parlava di continuo. Lo faceva impazzire
Una folata d'aria gelida la costringe a chiudere gli occhi. Rabbrividisce e si stringe con forza nel giaccone della società, facendo un respiro congelato.
“Sono sempre i migliori a essere i più difficili da gestire – Niall sembra non demordere, perché quando si tratta dei suoi calciatori preferiti la cosa lo tocca particolarmente – Hai mai sentito di qualcuno di così spettacolare da farsi mettere i piedi in testa?”
Connie alza gli occhi al cielo, pronta a ribattere riguardo all'infinità di gente conosciuta che ha un minimo di educazione, ma poi la persona seduta una fila dopo Niall si volta nella loro direzione, interrompendo la conversazione che sta avendo con l'uomo accanto.
“Già, tesoro – la guarda, gli occhi chiari e un sorriso assolutamente bastardo tra le labbra sottili – Ne hai mai sentito parlare?”
C'è qualcuno che ride, poi, e la North Stand che impazzisce per una punizione mancata.
Niall sembra diventare ancora più pallido in volto, mentre le sue guance si arrossano all'inverosimile. Spalanca gli occhi e ammutolisce di colpo, forse smette addirittura di respirare.
Connie invece inarca un sopracciglio, sorpresa, stupita e infastidita.
Louis Tomlinson continua a fissarla con la stessa espressione soddisfatta di quando segna un goal e lo stadio esplode, come se con quell'entrata di scena avesse messo a tacere una persona come Connie.
Il piumino del Manchester United gli fa la spalle più larghe, e quel beanie grigio chiaro gli dà un'aria da adolescente quasi timido se non fosse per il ghigno, lo sguardo strafottente.
Adesso capisce ciò di cui suo padre parlava.
“Tu sei Dio!” esclama Niall, interrompendo lo scambio di sguardi tra i due.
Connie sbuffa e rotea gli occhi al cielo: “Sì, il Dio degli sbruffoni”
Louis fa una faccia indignata, toccandosi il petto platealmente. “Non mi ferire così, bocciolo – la riprende – Potrei seriamente rimanerci male, sai?”
Dal vivo è anche più fastidioso che nelle interviste. La sua voce è meno stridula, e i suoi occhi non così azzurri, ma è comunque irritante a pelle. È una vergogna che sia un giocatore tanto richiesto.
L'uomo di fianco a Louis ride ancora, posandogli una mano sulla spalla, la presa considerevole.
“Signor Tomlinson, ha appena avuto il piacere di conoscere la nostra piccola Connie”
La fa sorridere adesso quel soprannome, le ricorda le giornate in cui suo padre la portava in società, facendola correre per tutti i corridoi e poi nei campi d'allenamento.
“La figlia di Johnson – aggiunge Niall velocemente, allargando gli occhi – Sai, il miglior allenatore che il calcio abbia mai avuto”
Louis la fissa con occhi diversi ora, forse sorpreso di quella scoperta. Connie cerca di restare seria, ma non le piace lo sguardo minuzioso che le rivolge, quasi a studiarla.
“Fortuna che hai preso da quello schianto di tua madre, allora” esclama qualche secondo dopo, e la gente intorno a lui ride più forte.
Connie alza gli occhi al cielo, decide di ignorarlo tornando a guardare la partita.
Louis ride ancora, poi si volta verso il campo e riprende a parlare con l'uomo al suo fianco.
 
 
 
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Elsa appoggia la borsa di Chanel sul bancone della cucina, facendo un sospiro stanco morto. Si sposta dal volto una ciocca di capelli color caramello, mette le mani smaltate sui fianchi larghi e arriccia le labbra scarlatte. “Odio i paparazzi” dichiara, con lo stesso tono di voce di chi ha appena terminato un'infinita giornata di lavoro.
Connie alza gli occhi dal suo libro zuppo di sottolineature e frasi scritte a matita, lanciandole un'occhiata divertita. “Ti hanno di nuovo seguita?” le chiede.
“Oh sì! – sua madre sbuffa arrabbiata, le dita adesso a massaggiarsi le tempie – Non riesco nemmeno a prendere un caffè con le mie amiche! Fortunatamente lunedì sarò così piena d'impegni che questi gran maleducati saranno l'ultimo dei miei problemi”
Elsa è una donna bellissima, sempre truccata alla perfezione e coi talloni perennemente incollati a un paio di tacchi, ma come madre è buffa, quasi impacciata. Capisci di conoscerla alla perfezione solo quando ti fa vedere le due facciate della sua maschera, quel lato materno e premuroso che muta in un atteggiamento ostile e professionale quando si parla di lavoro.
Connie sorride, perché sua madre ha la capacità di spingerla a passi impercettibile fuori dal buio. È forte per entrambe, e per questo non smetterà mai di ringraziarla.
Elsa addolcisce lo sguardo. “Sicura di non voler venire con me? Nemmeno un paio di giorni?” le domanda, forse per l'ennesima volta quel mese.
“Non posso – la figlia risponde subito, inarcando le sopracciglia – Non voglio saltare altri giorni di scuola”
Il tono non deve convincere la donna, che ancora in piedi sospira appena e “Se è per tuo padre-” inizia.
“No, mamma”
“...lui starà bene, nena. Lo sai. Dobbiamo lasciargli il tempo necessario per andare avanti”
“Lo so, lo so – Connie manda giù quel nodo che le impedisce di respirare normalmente – È solo che...è dura”
Elsa le arriva alle spalle, stringendola con dolcezza per poi baciarle i capelli scuri e la fronte struccata. “Mi amor, – mormora, e Connie la conosce abbastanza da sapere che quella è la voce che sostituisce il pianto – andrà tutto bene, vedrai. Il tempo aggiusta tutto”
“Vorrei essere come te, mamá
La sente sorridere contro la propria tempia fredda. “Qualcuno deve pur rimanere in piedi, nena
 
 
 
Per la maggior parte del tempo, Gabriel Johnson rimane chiuso nel suo studio al secondo piano. Esce giusto il minimo per andare in bagno, mangiare e cambiarsi i vestiti. Per il resto, resta fermo a guardare verso la vetrata che si affaccia sul giardino del retro, seduto sulla sedia in pelle girevole.
Non parla con nessuno, quando Connie riesce a scovarlo in uno dei suoi rari momenti fuori da quella porta, lui nemmeno alza gli occhi dalla moquette costosa del corridio.
Suo padre è morto, respira ancora solo perché è un movimento involontario. Ma non esiste, ha smesso di farlo da quando Mannie se n'è andato.
I primi mesi, per Connie sono stati i più duri di tutta la sua vita: era arrivata a quel punto di disperazione in cui perfino ridere la faceva sentire in colpa, quasi come se non ne avesse più avuto il diritto. Passava le giornate silenziose chiusa in camera, a leggere e a piangere per poi tirare su col naso e ricominciare, come un mantra.
Le cose sono andate meglio col passare del tempo, sua madre ha iniziato a bussare più insistentemente alla porta fino a quando Connie non ha trovato la forza e ha capito.
È un processo che non è ancora terminato – dubita ci sia realmente una fine – è un insieme di ferite ancora aperte che non verranno mai ricucite veramente, ma per lo meno sa che Mannie sarebbe orgoglioso di lei.
Ed è proprio vero che ciò che non ti uccide ti rende più forte. Andrà tutto bene, prima o poi.
Perché, alla fine, quante cicatrici possono nascere su uno stesso punto?
 
 
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La presentazione delle nuove magliette del Manchester United avviene di venerdì sera.
Connie è davvero contenta che continuino a invitarla nonostante suo padre non alleni più la squadra, la fa sentire ancora parte di quell'immensa famiglia. È vero anche che i Johnson possiedono tre quarti della società, ma le piace comunque pensare che la sua partecipazione sia importante anche da un piano affettivo, per così dire.
Sua madre è ancora a Parigi per la Fashion Week, a presentare la nuova collezione autunno/inverno, quella per cui lavora da ormai sei mesi.
Inutile pensare a dove sia suo padre invece, la risposta è banale quanto dolorosa.
Si è infilata un completo firmato Elsa Romero blu elettrico e un paio di tacchi che sua madre le ha consigliato tramite messaggio. Ha sistemato i capelli in una coda alta e s'è truccata infoltendo le ciglia e accentuando il colore olivastro chiaro della sua pelle ereditata dai geni spagnoli.
Niall, al suo fianco, continua a tremare e a sorridere come un bambino. Commenta qualsiasi cosa la presentatrice bionda dica, applaudendo come un matto quando Styles e Payne salgono sul palco come cavie per mostrare al piccolo pubblico la nuova divisa.
Connie non è molto attenta a ciò di cui stanno discutendo, continua a guardarsi intorno con gli occhi seri e a osservare i volti nuovi e conosciuti che hanno fatto parte della sua vita.
A fine presentazione, tutti gli invitati coi dovuti giornalisti si spostano nell'altra sala, dalle luci soffuse e boccali di champagne che circolano su vassoi splendenti.
Connie non beve, ma sua madre le ha sempre detto che per scaricare i nervi è importante tenere le mani occupate, così girovaga con un bicchiere pieno in mano salutando uomini in giacca e cravatta che sorridono e fanno domande un po' tese riguardo suo padre e la famiglia in generale.
La risposta è sempre la stessa: “Stiamo tutti bene”
Niall ha intavolato una conversazione con Ben Winston, il preparatore atletico della squadra, riguardo le ultime due partite e su quanto lo schema nuovo sia efficace. Deve essere leggermente brillo, perché le sue guance irlandesi sono di un rosso acceso, sbarazzino. La camicia bianca di suo padre gli sta larga sulle spalle, l'ha dovuta infilare dentro ai jeans neri per non sembrare più buffo di quello che già non sia.
Connie fa un sorriso leggero verso un fotografo all'angolo della sala che la chiama, senza sbilanciare troppo l'espressione per non risultare sforzata e finta, agguanta con forza la pochette di Michael Kors e fa girare lo champagne dentro al bicchiere nell'altra mano, scuotendo appena la testa per togliersi i capelli dal volto.
Dita leggere si posano sul suo fianco, facendola voltare.
Harry Styles, il difensore ventenne del Manchester United, uno degli ultimi acquisti rubato al Milan, le rivolge un sorriso genuino, che risalta le fossette sul suo volto chiaro e scolpito. Ha i capelli ricci liberi dalle fasce ed elastici che è costretto a portare in campo e indossa un completo elegante che probabilmente s'è scordato di abbottonare sul petto tatuato.
“Connie – esclama, chinandosi dal suo metro e ottanta per sfiorarle la guancia con le labbra scure – Sono contento di vederti”
“Harry, ciao” lei sorride di rimando, gentile.
È stato suo padre a volerlo a tutti i costi in squadra, mentre giocava ancora nel young team del Southampton e aveva l'acne sulle guance da diciassettenne. Lui e Connie si sono conosciuti solo gli ultimi mesi in cui Johnson allenava, diventando quasi amici. Harry è un ragazzo splendido, gentile e competitivo, ma Connie è troppo incasinata per poter gestire altre relazioni interpersonali oltre quelle che già ha.
“Come stai?” le chiede, senza smettere di sorridere.
“Tutto bene, grazie – lei si inumidisce le labbra – E tu?”
Harry apre la bocca per rispondere, poi sposta lo sguardo dietro le spalle dalla ragazza e scoppia a ridere, scuotendo la testa.
Tommo! Sei ubriaco?”
L'attimo dopo, Connie sente chiaramente il corpo tonico di Louis Tomlinson sfiorare il suo, facendola irrigidire appena. Si volta di scatto, assottigliando lo sguardo per la stizza.
Lui indossa una camicia blu abbottonata fino all'ultima asola e un paio di pantaloni che cadono morbidi sulle gambe muscolose. I capelli di quel biondo sporco e scuro sono tirati indietro da passate di gel pesanti, affilando quei lineamenti dritti del volto abbronzato.
“Assolutamente no” risponde, sbattendo le palpebre più volte.
Di nuovo quello sguardo inquisitore, Connie sta iniziando a non sopportarlo.
La sta osservando con occhi altezzosi, celati da una finta curiosità che non fa altro che aumentare il fastidio che sente allo stomaco.
“Guarda un po' chi abbiamo qui – esclama, facendo un passo indietro – Sei Cora, giusto?”
Lei rotea le pupille, stringendo con più forza la pochette firmata. “Connie – lo corregge – E tu sei quello che si è beccato quattro giornate di squalifica perché evidentemente non sa che sputare sugli arbitri è disumano?”
Harry scoppia a ridere in modo imbarazzante, coprendosi la bocca grande con le mani e facendo voltare qualche persona verso la loro direzione.
Louis invece è composto: allarga il sorriso ora sorpreso, accattivante.
“Finalmente qualcuno che ti dà del filo da torcere, Louis – Harry esclama, sbattendo le ciglia un paio di volte – Era ora, stavi diventando davvero insopportabile”
“Ah, ma smettila, Harry! – Louis fa un gesto incurante con la mano e torna a guardare Connie – Ma prego, zuccherino. Continua pure”
Lei per poco non gli rovescia l'intero bicchiere addosso, ma è superiore e non ha tempo da perdere con gente come Tomlinson.
Alza gli occhi al cielo e li punta sulla figura che adesso ha affiancato i due ragazzi, stretta in quel completo di Armani che gli risalta gli occhi grigi.
Clive Walsh ha trentanove anni e in mano l'intera squadra, è il nuovo allenatore del Manchester United ed è bravo, tutto sommato. Ha regole e schemi che farebbero venire la pelle d'oca a Johnson, ma non si può chiedere la luna, adesso.
“Suvvia, Louis. Lascia in pace la signorina Johnson” esclama, posando una mano sulla spalla del calciatore.
Louis si toglie da quella presa l'istante successivo, come se quel contatto gli desse più che fastidio. Ha perso il sorriso e l'espressione serena che gli dipingeva il volto, adesso sembra arrabbiato, scocciato.
“Puoi per favore non dirmi quello che devo fare anche qui?” sibila, teso come un violino.
Connie è sorpresa, perché non pensava che Walsh e Tomlinson non andassero davvero d'accordo. I giornali e i programmi sportivi non fanno che parlarne, ma fin da subito lei aveva creduto fossero semplici storie per ingigantire come al solito la questione.
Invece anche Harry ha smesso di ridere e guarda il suo compagno di squadra con le mani aperte, come se fosse sicuro di dover intervenire.
L'atmosfera è cambiata del tutto e Connie inizia a sentirsi a disagio, di troppo.
Clive non sembra per nulla disturbato da quel tono sprezzante con cui il ragazzo gli si è rivolto, esibisce un sorriso lascivo e scuote appena la testa: “Sempre così scortese, Louis – esclama, poi si concentra sulla ragazza – Non capisco proprio come tuo padre abbia resistito così a lungo senza impazzire
È curioso l'accento che la sua voce dà all'ultima parola, denota una sfumatura scherzosa, strafottente quasi.
Connie stringe con più forza il bicchiere tra le dita e cerca di non pensare a quanto sarebbe grandioso frantumarlo su quella meravigliosa faccia da schiaffi.
“Non azzardarti”
La mano di Harry ha intrappolato il braccio di Louis quando questo ha iniziato ad avanzare, la sua voce è ora un sibilo minaccioso, pieno di rabbia.
“Non azzardarti a nominarlo” ripete , stringendo i pugni, indurendo lo sguardo metallico.
Fa un respiro profondo, che è quello che a Connie manca, si libera dalla presa del difensore e volta le spalle a tutti, seguendo la strada per il bagno.
Di nuovo, Clive è tutto meno che preoccupato. Il suo sorriso non è che un ghigno, i suoi occhi grigi sanno di falso.
“Gli passerà – dichiara poi, serafico – Ora devo proprio tornare ai miei affari, ma è stato un piacere rivederla, signorina Johnson”
Connie fa un sorriso che non coinvolge tutto il resto, è ancora scossa e questo si vede. “Anche per me, Mister Walsh”
Harry la sta guardando, quando rimangono da soli. Ha lo sguardo incerto, quasi imbarazzato per la scena di poco fa.
Connie sbatte appena gli occhi e respira forte, lui invece si schiarisce la voce.
“Louis è cambiato – dice, quasi istintivamente – Voglio dire, è cambiato da quando...da quando tuo padre ha smesso di allenare. È...diverso, molto più irascibile, con Walsh è sempre così, anche agli allenamenti”
Lei annuisce lentamente, cerca di capire dove il ragazzo voglia andare a parare.
“Quello che voglio dirti è...non credere a quello che dice la gente – continua Harry, emozionato – Lui non è come viene descritto dai giornali. O meglio, non realmente. Lui è...c'è molto di più, ecco”
Connie a quel punto gli mostra un sorriso debole, per niente convinto. “Buon proseguimento di serata, Harry”
 
 
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Rivede Louis Tomlinson il sabato successivo, al compleanno di una sua compagna del corso di fisica.
È Niall a costringerla, sua madre non è ancora tornata a Connie odia lasciare suo padre a casa da solo, ma è pur sempre una festa open bar e il suo migliore amico è irlandese: non avrebbe potuto non partecipare neanche se avesse voluto.
La discoteca è grande, a due piani a soppalco dove, in quello superiore, Dana spegne le candeline dei suoi diciotto anni su una torta a più strati.
Niall è ubriaco, ovviamente. Salta da una parte all'altra dei divanetti tirando ginocchiate a gambe nude di ragazze poco vestite o attirando l'attenzione sgradita di qualche ragazzo che lo squadra senza pudore.
Connie non si sta divertendo, ambienti come questi non le piacciono e con l'unica persona con la quale parla ko, è davvero difficile provare a fingere. Ci riesce, però, perché questo è il momento di Dana che l'ha addirittura invitata, non rischierebbe mai di rovinare la festa a nessuno.
Dopo il taglio della torta e il brindisi con vino francese, decide che è giunto il momento per Niall di calmarsi. Lo trascina al piano inferiore quasi con forza, cercando di non cadere dalle Jimmy Choo di sua madre.
La musica è alta, di quel genere che Connie proprio non sopporta, e Niall è così ubriaco da appiccicarsi alla sua schiena in modo disgustoso. La gente balla senza sosta, a occhi chiusi o fissi su altri, spingendosi o ridendo al bancone mentre dal palco il deejay batte le mani tenendo il tempo.
Connie afferra il braccio di Niall e lo conduce verso i bagni maschili, senza badare a chi è appostato nel corridoio e la sta fissando con malizia. No, non scoperà con Niall in un luogo pubblico. Non scoperà con Niall in nessun luogo, a pensarci bene.
I bagni sono grandi, più puliti rispetto a quello che si era immaginata, Connie sbatte completamente il ragazzo contro il muro piastrellato e lo vede accasciarsi al pavimento umidiccio con gli occhi socchiusi e il sorriso sbronzo, mentre borbotta e si lamenta.
La ragazza inumidisce un fazzoletto di carta riciclata e sospira, accovacciandosi sui tacchi davanti alle gambe aperte di Niall.
“Connie, Connie, Connie...” lui canticchia, mentre lei gli rinfresca il volto.
“Almeno ti ricordi del mio nome” la ragazza ribatte, pratica.
Niall spalanca gli occhi rossissimi, facendo uno scatto con la schiena che la fa spaventare.
“Come potrei non ricordarmi! – esclama offeso, trascinando le parole – Tu sei...tu sei Connie!”
“Sta' fermo, stupido” lei sbuffa, bloccandogli le spalle.
È talmente concentrata dal prendersi cura di Niall, che non si accorge che qualcuno dietro di lei sta picchiettando il piede contro le piastrelle del pavimento.
“Bevuto troppo?”
Gli occhi torbidi di Niall si spalancano, così come quelli corrucciati di Connie. Entrambi guardano verso l'entrata, sbattendo le palpebre.
Louis Tomlinson indossa un blazer nero sopra una maglietta bianca e un paio di jeans scuri attillati in grado di evidenziarli all'inverosimile le cosce muscolose da calciatore. Tiene le Vans distanziate tra di loro e un bicchiere di plastica tra le dita, mentre sorride con quella sfumatura divertita che lo rende ancora più detestabile.
“Santo cielo! – è Niall il primo a parlare, strillando come una ragazzina – Louis Tomlinson durante una sbornia colossale! È il fottuto giorno più bello della mia vita!”
Connie sbuffa e gli tira una gomitata, zittendolo. Si rialza in piedi e si sistema le pieghe del vestito bianco che indossa.
Fiorellino, questo è il bagno dei maschi, lo sapevi?” Louis fa un passo avanti e allarga il sorriso, lanciando una breve occhiata verso lo specchio.
“Hai intenzione di chiamare il proprietario per farmi cacciare, allora?” lei ribatte subito, inarcando un sopracciglio destro.
Il giovane fa schioccare la lingua. “Dal momento che sono io il proprietario, per questa volta chiuderò un occhio”
Connie non può fare a meno roteare le pupille e sbuffare.
Come dimenticarsi della vita sfrenata di Louis Tomlinson?
“Non mi sento bene” borbotta Niall a quel punto, aprendo e chiudendo gli occhi in modo spasmodico. Si tocca la fronte sudaticcia e fa respiri profondi, ora pallido come un lenzuolo.
“Credo che debba vomitare” costata Louis, guardandolo timorosamente.
Connie si è già voltata verso il suo migliore amico e già cerca di farlo alzare in piedi, i tacchi rendono tutto più complicato e se lui le vomita sulle scarpe sarà la fine per tutti.
“Perspicace! – commenta, per poi aggiungere subito dopo – Che fai? Mi aiuti o no?”
È sorpresa quando Louis la raggiunge per davvero ed esibisce uno sguardo preoccupato, come se le condizioni di Niall fossero davvero tra i suoi interessi. Afferra le spalle del ragazzo con decisione, alzandolo dal pavimento e conducendolo con un suo braccio attorno al collo verso il primo gabinetto più vicino. L'irlandese si butta di nuovo per terra, le mani ancorate alla ceramica bianca, e vomita.
“E anche oggi ho fatto la mia parte – Louis torna quello di sempre, quello delle riviste e interviste, si strofina le mani con quel sorriso malizioso e le fa l'occhiolino – Buona serata a entrambi”
Dà una pacca amichevole sulla spalla tremante di Niall, ancora chino, ed esce dal bagno.
 
 
 
 
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Connie trascorre più tempo in società che a casa, e paradossalmente il tempo speso tra gli uffici del Manchester United è aumentato da quando suo padre ha smesso di allenare la squadra.
È lei la portavoce delle faccende burocratiche della propria famiglia ora che l'ex mister nemmeno esce dalle mura domestiche.
Si è appena conclusa la riunione con gli sponsor della Nike e lei dovrebbe studiare filosofia, Martin Edwards ha fatto la sua comparsa insieme agli altri dirigenti e Connie è sul punto di andare via.
Attraversa i corridoi a testa alta, camminando col passo felpato di sua madre e quella dolce familiarità che la fa appena arrossire.
È però quando supera la porta del vecchio ufficio di suo padre che si sente pervadere da altri sentimenti, simili ma più forti, devastanti.
Osserva la vetrata che si affaccia su quella stanza arredata dal Mister Johnson e si ferma, improvvisamente a corto di fiato.
Si sedeva spesso sulla poltrona all'angolo, in attesa che suo padre finisse di parlare coi calciatori singolarmente, mentre lei colorava fogli da buttare ed era solo una bambina. Insieme poi guardavano verso i campi dietro la finestra, osservando la preparazione dell'allenamento e gli addetti che sistemavano il prato e gli attrezzi.
Era qualcosa solo di loro, qualcosa che lasciava il mondo intero fuori. E fa male ricordare perché semplicemente di tutto ciò che lei chiamava casa – famiglia – non è rimasto più nulla.
Si schiarisce la gola e si accorge di star piangendo quando sente il fresco sulle guance bollenti, quando le lacrime s'impigliano al mascara e lo trascinano sulla pelle.
“Dolcezza, ti sei persa?”
Alza gli occhi al cielo e poi li chiude al suono di quella voce fastidiosa. Con le dita cerca di eliminare le tracce del suo stato d'animo mentre tira su col naso e si ricompone, si ricostruisce.
I tacchetti su quel pavimento lucido danno l'impressione di una pioggia fitta, Louis Tomlinson si avvicina lentamente e Connie sa per certo che lui stia sorridendo, si capisce dal tono con cui, per l'ennesima volta, si prende gioco di lei.
“Forse cercavi me? – il ragazzo l'affianca appena – Per ringraziarmi di aver salvato la vita al tuo amico, magari? In tal caso, è stato un piac-”
“Oh, ma sta un po' zitto! – Connie si volta di scatto nella sua direzione e lo guarda in quegli occhi che adesso sono sorpresi, basiti – Perché ti risulta così difficile evitare di pensare prima di dire qualcosa? Non puoi semplicemente stare ogni tanto?”
Louis è colpito, molto di più di quanto potesse immaginarsi. Il suo sguardo è perso, come se qualcuno gli avesse appena tolto la terra sotto i piedi. Il suo sorriso è morto, rimane a scoprire quei denti piccoli ma non trasmette nulla se non insicurezza, instabilità.
La guarda e sembra tremare appena, la guarda e osserva i suoi occhi spenti e liquidi, le guance arrossate e la bocca socchiusa, lucida di lip gloss.
È incerta la sua voce mentre “Stavi piangendo?” s'azzarda a chiederle, dopo aver deglutito.
Connie è scontrosa perché ha solo paura di essere derisa di nuovo, perché non lo conosce e non si fida, per questo gli risponde: “T'interessa?” con arroganza, il tono rabbioso.
Louis sbatte le palpebre e deglutisce ancora, stringe le mani a pugno e non sa cosa dire.
Per lei diventa tutto più difficile: dovrebbe essere soddisfatta perché finalmente è riuscita a zittire Louis Tomlinson in persona, eppure.
Eppure dentro il petto ha una scarica brividi che le chiudono i polmoni, i sensi di colpa le fanno venire la pelle d'oca e di nuovo le lacrime agli occhi.
Forse voleva semplicemente essere gentile, forse non è così menefreghista come appare.
“Hai ragione – Louis fa un passo indietro, sorride e blocca il flusso di pensieri dentro la mente di Connie – Non m'interessa”
Non studia filosofia, quando torna a casa.
 
 
 
 
~
 
 
 
 
Suo padre compie cinquant'anni.
Elsa cerca di farlo uscire da quella dannata stanza almeno sei volte, quando si decide a far passare da sotto la porta un piccolo post-it colorato e uscire di casa in direzione di Londra, con quel sorriso dispiaciuto e pieno di sensi di colpa.
Connie sottolinea frasi su frasi tra le pagine di Baudelaire e continua a mangiare indisturbata la macedonia che Esther ha preparato quella stessa domenica mattina, cercando di zittire il silenzio insolito per una giornata così importante.
In soggiorno ci sono centinaia di fiori e lettere da parte dei fans, auguri e ringraziamenti per un uomo che uomo non è più. Non è più nulla, non è rimasto niente.
Lei volta pagina e il campanello di casa suona, facendola sobbalzare con la forchetta a mezz'aria. All'inizio non capisce, non collega – è passato così tanto dall'ultima volta che qualcuno ha fatto loro visita – poi il rumore si ripete e lei si guarda intorno, cercando con gli occhi Esther, per poi ricordarsi che è domenica e lei di domenica pomeriggio non lavora.
Appoggia il libro sul tavolo della cucina e si alza in piedi, arrivando all'ingresso principale con la stessa andatura di qualcuno che ha appena sentito un rumore macabro, inquietante.
Il loro citofono ha un codice che serve a tenere lontani curiosi e tifosi, senza le cifre esatte nessuno è in grado suonare. Per questo Connie è così confusa.
Dallo schermo accanto alla porta, in bianco e nero, è la faccia di Louis Tomlinson quella che compare, sorridente e spensierata come un ospite atteso.
“Che accidenti vuoi?” Connie risponde al citofono, stizzita come ogni volta che si parla di lui.
“Mi fai entrare, pulcino? – è la risposta melliflua che riceve – Il mio autista arriva tra un'ora, non ho molto tempo”
“Ti conviene andare via, Louis” la sua voce si è fatta quasi disperata adesso, mentre lancia un'occhiata verso le scale con il terrore – o la speranza – di sentire qualche rumore dal piano di sopra.
“Non me ne vado finché non mi lasci entrare” Louis dice, inflessibile.
“Davvero, Louis-”
“Sono molto testardo, sai? – lui la interrompe – Potrei suonare per giorni interi”
Connie sospira forte, inceppando la connessione con l'esterno. Mentirebbe se dicesse che la sua presenza non le abbia fatto piacere, perché nonostante tutto, Louis è lì per suo padre, non l'ha lasciato solo.
Lo lascia entrare, aprendo il cancello con uno scatto metallico fino a sentire attutiti i rumori automatici dal giardino.
Lo osserva camminare sul lungo viale di ciottoli con il mento alzato e la camminata lenta, studiata come se fosse il padrone del mondo. Le mani in tasca e gli occhi fieri lo rendono ancora più impenetrabile, calmo.
Connie lo aspetta sotto al portico con le braccia incrociate e il volto corrucciato, impaurito.
È una situazione che la sta lentamente destabilizzando, rendendola sempre più confusa e indecisa.
Non sa cosa diavolo aspettarsi perché Louis è un punto di domanda, un'azione inaspettata tutte le volte.
Per lo meno, non sembra arrabbiato. È già qualcosa.
Fiore! – la saluta, salendo i gradini del porticato – Sono felice che tu mi abbia aperto. Ma, detto sinceramente, la prossima volta evita quella pagliacciata da bambina capricciosa. Fa freddo da queste parti, te l'hanno mai detto?”
Lei rotea gli occhi al cielo e già si pente di averlo fatto entrare. È sempre il solito sbruffone, non può cambiare.
“Perché continui a non chiamarmi col mio nome? E perché sei venuto qui? Non avevi nessuno con cui condividere le tue battute da youtuber mancato?”
Louis accenna un sorriso storto, guardandosi intorno e spostando il peso dalla punta al retro delle sue Vans a scacchi, poi torna a guardarla con occhi quasi affettuosi che lei non capisce.
“Non ti piacciono i miei soprannomi, miele? – le domanda, il tono ingenuo – A ogni modo, sono venuto qui perché mi mancavi. Non sei felice di rivedermi?”
“Louis...”
“In realtà stavo pensando a un soprannome unico, solo per te. Devo ancora trovarlo, però”
“Louis...”
“Che ne dici di gattina?”
“Louis”
Lo vede sospirare sommessamente, arrendevole e in cerca di parole. Si passa le dita tra i capelli arruffati e inclina appena la testa nel guardarla, mentre le chiede: “Lui è in casa?”
“Lui è sempre in casa” ribatte Connie subito, prima che possa rendersene conto.
Louis è serio adesso, talmente serio da farle perdere il filo della conversazione. Come può cambiare umore da un momento all'altro tutte le volte?
“Cosa vuoi dire?” le chiede, qualche istante dopo.
Connie geme frustrata, passandosi i palmi delle mani su tutto il volto pallido ed esausto. “Dovresti andartene, Louis. Dico sul serio”
Il ragazzo le dà le spalle, fissa il giardino verde, immenso. Sta...è come se tremasse, in qualche modo. Il suo corpo è teso e le sue mani bianche, di marmo, quasi a cercare disperatamente di non fare qualcosa, come se lo stato di freddezza totale riuscisse a mascherare la potenza di ciò che quella stessa carne comprime.
“Non è giusto – mormora, ma è un sussurro che Connie non riesce praticamente a cogliere. Si ripete, più a voce più alta stavolta – Non è giusto. Non è giusto per niente”
Sembra che parli da solo, la ragazza dietro di lui fosse è uno spettatore esterno. È un tono spezzato, quello che Louis usa.
Connie è senza parole, la bocca aperta per non dire niente.
“Ci ho messo quasi un anno a...trovare le palle per venire da lui. E tu ora mi stai cacciando e non è giusto”
Le sue dita tremanti corrono a coprirgli il volto e spazzare dagli occhi quella tristezza liquida, facendogli arrossare le guance e lo sguardo. Quando torna a guardarla, Connie quasi sobbalza nel vederlo così disperato, rotto.
“Mi dispiace – gli dice stupidamente, deglutendo – Non...non è colpa tua. Davvero”
Louis non le risponde, guarda la pavimentazione del portico e non c'è alcuna traccia di quel ragazzo che qualche minuto prima stava attraversando il giardino col sorriso fiero, gli occhi vispi.
Louis è grigio, arreso. Ed è triste, sì. Nonostante tutto, è triste.
Così “Vuoi sentire una storia, Louis?” gli domanda Connie, col tono dolce, per un bambino che ha appena finito di piangere.
Lui alza gli occhi diffidenti, poi annuisce appena ed è come arrendersi insieme.
 
 
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C'è un detto che dice: “Ti auguro di morire prima dei tuoi figli”.
Emmanuél ha appena fatto ventidue anni e nella vita non ha niente in mente, se non suonare la chitarra. Studia beni artistici e culturali e ha già trovato casa per quando finirà quell'università che gli piace tanto, appena fuori Parigi. Per ora vive a Londra, ogni settimana prende il treno in business class e torna a casa dalla sua famiglia, a Manchester.
È uno di quei ragazzi spigliati e belli da morire, con la pelle olivastra grazie a sua madre e il sorriso carismatico e bianco che fa in modo che la gente gli voglia bene per così poco.
Nonostante il ruolo importante che riveste suo padre nel mondo del calcio, lo sport è probabilmente la cosa che più lo annoia al mondo. Non lo sopporta, davvero, e odia litigare con il suo vecchio per questo. Preferisce l'arte, la musica, la bellezza di un dipinto o di un museo.
Il suo pittore preferito? Ovviamente Pablo Picasso.
Nonostante tutto, ama la sua famiglia. Senza non avrebbe le possibilità economiche che possiede per viaggiare, per conoscere e studiare un mondo intero. Senza non avrebbe il sostegno, le spalle coperte e la sicurezza di non essere da solo. Senza, forse, non sarebbe la persona meravigliosa che è adesso.
Litiga spesso con sua sorella minore, ma sono quei bisticci fatti col sorriso sulle labbra, quelli che si risolvono con qualche occhiata a tavola o uno scambio di idee appena più profondo. Litiga più che altro con suo padre, ma questo perché Gabriel è protettivo, vuole sapere che ovunque il suo Mannie sia, sarà in buone mani. Con sua madre Elsa invece è praticamente impossibile litigare, è troppo buffa e dolce come madre da pensare di anche solo di provarci, ad arrabbiarsi con lei.
Emmanuél Johnson ha appena compiuto ventidue anni ed è in ritardo, ha perso l'ultimo treno per Manchester e sta usando la macchina del suo compagno di stanza.
C'è buio pesto e lui è arrabbiato, tanto arrabbiato. Sa di essere veramente in ritardo, ma ciò non toglie il fatto che la sfuriata che suo padre ha appena finito di fargli per telefono gli abbia fatto ribollire il sangue. Si calmerà da lì a qualche minuto, perché è fatto così.
All'Ethiad Stadium Gabriel sta guardando la sua squadra giocare contro il Barcelona ed è talmente infuriato con suo figlio che quasi non vede la rimonta del Manchester United finché la North Stand non esplode in un boato pauroso.
Miglia più distanti, nemmeno Mannie percepisce la lancetta rossa sfiorare i 200 km/h finché non sente le gomme dell'auto slittare.
Muore sul colpo.
Il Manchester United vince 2-1.
C'è un detto che dice: “Ti auguro di morire prima dei tuoi figli”.
Connie ora sa cosa vuol dire.
Come puoi pensare di conviverci? Come puoi pensare di non uscire fuori di testa ogni volta che qualcuno tocca quelle crepe che hai addosso? Come fai? Come ci riesci?
Emmanuél è morto, nessuno glielo ridarà più indietro, nessuno abiterà più la casa fuori Parigi, nessuno le tirerà più i capelli o parlerà del Messico con gli stessi occhi scintillanti.
Suo fratello è morto, e morto lo è anche suo padre. Ha smesso di vivere quella stessa sera, crogiolato dai sensi di colpa, dalla disperazione. Ha dato le dimissioni senza neanche un comunicato stampa e l'ultima volta che ha lasciato la loro casa è stato per i funerali, rigorosamente privati per cercare di tenere fuori i giornali.
La gente guarda Connie con rammarico, come un cane bastonato sul ciglio della strada. L'unica persona vera è Niall, la spalla che ha morso tante volte quando il pianto ha avuto la meglio.
La verità è che sta andando avanti, piano piano ma ci sta riuscendo.
Sua madre si è rifugiata nel lavoro, in ciò che più le dà soddisfazione, e forse può sembrare un po' insensibile, brusca, ma Connie capisce il motivo di quello stacanovismo e soprattutto lo rispetta.
Capisce anche la depressione di suo padre, in fondo. Ha perso un figlio ed è come perdere un braccio, sentirselo strappar senza anestesia. Il problema sai qual è? Che Mannie sarebbe impazzito a sapere di suo padre ridotto così. E questo, Connie non riesce a sopportarlo.
Sarebbero potuti andare avanti insieme, stretti, fragili ma forti.
E invece Gabriel ha deciso di morire.
E invece Connie ora non ha più un padre.
 
 
~
 
 
Quando Connie finisce di parlare, ha già pianto tre volte.
Si asciuga le palpebre con i pollici e guarda in alto, verso il soffitto di quella saletta chiusa e appartata.
“Non dici nulla?” esala, sbattendo gli occhi.
“Non so cosa dire”
Fa una risata buffa, tira su col naso. “Dovevo proprio piangere, per farti stare zitto?”
Louis si schiarisce la voce e si muove nervosamente sulla sedia del bar. Il suo caffè macchiato si è raffreddato, non si è nemmeno bagnato le labbra.
“Io lo sapevo – mormora, qualche istante dopo – Di...di Emmanuél”
“Certo che lo sapevi – ribatte subito Connie – Chi non lo sapeva? È stato l'argomento più discusso per un mese intero, prima che la figlia di Kim Kardashian iniziasse a camminare, ovvio”
Louis annuisce, ancora scosso. Si passa le mani tra i capelli e sbatte le palpebre più volte, come per riprendersi. La guarda negli occhi poi, e tra le sue pupille allargate c'è solo tanta tristezza, niente di malizioso, niente del ragazzo che sputa agli arbitri e litiga coi paparazzi.
“Perché me lo hai raccontato?”
Connie sorride a quella domanda, sentendo le iridi secche, irritate. All'inizio se l'è fatta anche lei quella domanda, poi ha visto il cambiamento repentino di Louis mentre parlava della depressione di Gabriel e ha capito.
“Perché sei l'unica persona che è venuta a trovarlo, oggi – risponde, scrollando le spalle e picchiettando le dita sulla tazza in ceramica del suo caffè americano – Perché sei il primo da...da sempre”
Le labbra sottili del ragazzo si piegano in una smorfia infastidita mentre “La gente fa schifo” sbuffa.
“Strano. Dicevo lo stesso di te”
Poi le sorride, ma è un sorriso sorpreso, ha un che di soddisfatto. Inclina la testa. “E adesso?” chiede.
Connie non gli lascerà mai questa soddisfazione. Dopotutto lui è ancora Louis Tomlinson, glielo rinfaccerebbe per il resto della vita.
“Pensi seriamente che abbia cambiato idea? Indossi Vans a scacchi!”
La risata del ragazzo è spontanea quanto liberatoria, uccide l'espressione incerta che gli si era formata sul volto.
Connie lo guarda e si sorprende perché c'è tanta bellezza dentro Louis che quasi si sente stupida per non averlo notato prima.
Forse lui pensa la stessa cosa: sono molto bravi a nascondersi entrambi, sì.
 
 
 
 
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Niall intasa la loro chat di Whatsapp con almeno quindici foto di lei e Louis seduti nello stesso tavolo da cui si è alzata qualche ora prima.
Sono immagini fatte da fotografi esperti, da lontano per non dare nell'occhio. Connie riesce a distinguere con attenzione lo sguardo serio che Louis le ha dedicato durante tutto il suo racconto. Hanno immortalato anche le sue lacrime amare, il modo in cui cercava di nascondersi dietro le mani e il modo in cui si è persa nelle parole e nell'attenzione che lui le ha rivolto.
From: Niall H
Cos'è successo?????????? Perché stavi piangendo??????? Devo odiarlo???? Lo sai che è il mio preferito!!!!”
Connie si aggiusta i capelli sul divano e sorride: il suo migliore amico è sempre così melodrammatico.
L'articolo sul Daily Mirror Online arriva verso sera, quando ha finito di rassicurare il ragazzo e sua madre via telefono. Il titolo fa scalpore, si parla di un'ipotetica dichiarazione d'amore, di altri incontri clandestini e argomentazioni del tutto infondati delle quali si prenderanno cura gli avvocati di famiglia.
Suo padre è ancora al piano di sopra, lontano, in silenzio.
Per la prima volta però, Connie riesce a dormire tranquilla.
(E chi lo avrebbe mai detto? È grazie a Louis)
 
 
 
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Le giornate di squalifica di Louis Tomlinson sono finite, Connie lo osserva dalle vetrate della società sentendosi patetica, impacciata.
La quadra sta avendo un'amichevole con il youth team e tutti sembrano divertirsi, perfino Walsh dalla panchina ha un sorriso sulle labbra sottili.
Louis è raggiante, nel vero senso della parola. È come se quelle settimane lontano dai suoi compagni e dal clima del campo sportivo gli avessero messo in corpo tutta quella voglia di giocare che sembrava essere scomparsa da un po'.
“Bello, vero?”
Connie si spaventa, emette un suono sorpreso e si volta, osservando il volto cordiale di Ben Winston che le fa cenno verso il campo dall'altra parte del vetro di quel lungo corridoio. Gli sorride gentilmente e annuisce. Sì, è bello.
“Louis trascina le persone – le dice l'uomo, nel tono di voce qualcosa che somiglia all'orgoglio – Ha questa capacità di...di farle felici, mi spiego? Insomma, guardalo. Sembra un bambino nel campetto dietro casa. Eppure è il terzo calciatore più pagato al mondo, ha ventun anni ed è bravo. Una brava persona, intendo. Faceva impazzire tuo padre, letteralmente, ma lo adorava. Si adoravano a vicenda”
Connie non sa perché Ben gli stia dicendo quelle cose, osserva Louis correre da una parte all'altra del prato e pensa a quanto lei abbia avuto bisogno di tempo per credere a quelle parole.
Non sa cosa rispondere, deglutisce e sorride al suo riflesso chiaro sul vetro.
“Quindi.... – Ben ora si schiarisce la voce e sembra molto più incerto – Uscite insieme?”
Cosa? – Connie spalanca gli occhi e si volta di scatto – No!”
L'uomo sorride alle sue guance rosse e alza i palmi grandi delle mani: “Domanda impertinente, scusami”
“Non è impertinente – lei scuote la testa – Semplicemente non usciamo insieme”
Ben incrocia le braccia al petto e “Peccato – mormora – Adesso devo tornare in campo. È sempre un piacere vederti qui, mi ricordi i bei tempi, quando c'era ancora tuo padre”
Rimasta sola, Connie torna a guardare fuori. Louis è fermo al centro del campo mentre gli altri con le borracce bevono e si bagnano i capelli. Ha lo sguardo divertito verso la vetrata trasparente.
Si sorridono a vicenda.
 
 
 
Quella domenica il Manchester United vince 2-1 contro il Southampton, Harry Styles saluta con un abbraccio i suoi vecchi compagni di squadra e Connie e Niall guardano la partita dal divano di casa Horan, con una birra in mano e Bobby che dalla poltrona impreca contro il televisore vecchio. Sorride, però, quando Louis Tomlinson segna il goal decisivo al settantesimo minuto.
È il clima perfetto, quel lontano ricordo di famiglia che riaffiora tra i nervi e piega gli occhi.
Connie appoggia la testa sulla spalla spigolosa di Niall e per un attimo è come se Emmanuél le stesse ridendo nell'orecchio.
 

 


~
 

 

Liam Payne, il portiere più giovane che la nazionale inglese abbia mai avuto, compie ventidue anni quel sei dicembre. Fa una festa nel suo attico del centro,
invita amici e conoscenti stretti e Connie.
Sua madre è tornata a casa da qualche giorno e sembra molto più energica e frizzante di quando è partita, è stata a lei a consigliarle quella jumpsuit nera che adesso indossa sopra ai sandali col tacco dello stesso colore.
Niall non c'è, ma stranamente si sta divertendo, molto di più di quanto si aspettasse. Con un bicchiere di Don Perignon in mano, Connie girovaga per quel lussuoso appartamento col soppalco intavolando brevi conversazioni con radiofonici famosi, calciatori e presentatori televisivi.
A metà serata si fa indicare il bagno dal sorriso dolce di Harry Styles e si rinfresca i polsi davanti allo specchio ovale, controllando l'ombretto rosa e il rossetto nude.
Dentro il bagno c'è silenzio, i colori sono freddi e c'è odore di lavanda e asciugamani puliti. Lei fa un respiro profondo e controlla l'orario sul telefono, prima di rimetterlo in tasca: il suo autista arriverà tra un'ora esatta.
Quando apre la porta, per poco non si scontra con una camicia bianca firmata, rischiando di rovinarla di fondotinta. Alza gli occhi truccati e Louis è lì appoggiato allo stipite che la sta guardando con uno sguardo compiaciuto e le labbra sottili arricciate in un sorriso.
È la prima volta che si incontrano dal compleanno di suo padre e la prima cosa a cui lei pensa è a quanto sia bello con quell'espressione di beatitudine sul volto spigoloso.
“Buonasera, mon cheri” la saluta, garbatamente.
“Louis – esclama lei, non può fare a meno di sorridere – Ciao”
Lui si passa la mano sopra ai capelli pieni di gel in un gesto plateale e poi indica con la testa dietro le sue spalle, “Facciamo un giro? Le feste di Payne mi annoiano sempre” la invita, rimettendosi in piedi.
È disinvolto come sempre, ma ha perso quella strafottenza che le ha sempre fatto stringere i denti: è solo Louis, bello e bastardo ma reale.
Connie annuisce lentamente e si lascia condurre lungo il corridoio buio, mentre dal salone qualcuno stappa un'altra bottiglia.
Quando entrano in una stanza da letto dallo stile minimale, la ragazza tentenna appena e “Non stiamo per fare sesso, vero?” domanda, con la voce insicura.
Louis si volta di scatto, poi scoppia a ridere sul tappeto nero. “Piccola mia, – esclama – per chi diavolo mi hai preso? Ovviamente non stiamo per fare sesso. Volevo solo farti vedere una cosa”
Improvvisamente, Connie si sente stupida e in imbarazzo. Arrossisce e abbassa il capo, stringendo le labbra: ovviamente non stanno per fare sesso, cosa accidenti stava pensando? Si sente più leggera in qualche modo, molto più sicura di restare in una stanza da letto sola con un uomo. Eppure, eppure...
“Vieni a vedere” la voce di Louis interrompe il flusso dei suoi pensieri contrapposti, lei sbatte le palpebre e lo vede aprire la finestra automatica. Lo segue fuori cercando di non inciampare sul tappeto e subito si stringe nelle spalle: fa un freddo cane e la sua pelliccia è nel guardaroba dell'ingresso.
Louis pare accorgersene subito perché si sfila il giubbotto dell'Adidas blu sopra alla camicia e glielo appoggia delicatamente sulle spalle, facendole un sorriso compiaciuto.
“Che galantuomo” commenta Connie e si guarda intorno.
“Sono un uomo pieno di risorse, ormai dovresti saperlo”
Si vede tutto il centro di Manchester, la ruota panoramica bianca, il River Irwell e le luci gialle della vita notturna. Dà una scarica di adrenalina pazzesca, Connie chiude gli occhi e respira forte.
“Bello, vero? – sente la voce di Louis dire – Nonostante tutto, Panye ha buon occhio per quanto riguarda le proprietà. Dovresti vedere la casa a Cannes, lascia senza parole”
“È una vista strana, non ci sono abituata – riflette poi lei, con le pupille meravigliate – Io vivo praticamente in campagna...lì è tutto molto più tranquillo”
E non c'è mai nessuno con cui condividere queste piccole cose, vorrebbe aggiungere. O per lo meno, non più.
Louis annuisce piano, le si avvicina e si appoggia coi gomiti al ferro bianco del balcone. La piega che prende il suo sguardo è seria, riflessiva. Il freddo gli fa arrossire le guance e gli indurisce il volto, ora sembra pensare a qualcosa d'importante e per un attimo Connie si chiede se lui sia ancora consapevole della sua presenza. Poi il ragazzo si gira e “Sei bellissima, stasera” le dice.
È...pazzesco. Louis è pazzesco. Riesce a cambiare stato d'animo da un momento all'altro, scherza e lancia frecciatine senza sosta e poi parla in questo modo, con una naturalezza che è disarmante, come se fosse fatto apposta per spiazzare le persone.
“Cosa?” è tutto ciò che Connie riesce a ribattere, stupidamente.
Il ragazzo accenna un sorriso, scrolla le spalle coperte dal tessuto della maglietta nera e “Ti ho detto che se bellissima, stasera – ripete pazientemente – Che c'è, coniglietta? Sei diventata sorda? Ti faccio quest'effetto?”
Lei alza gli occhi al cielo scuro e incrocia le braccia senza far cadere la felpa ancora posata sulle sue spalle strette: “Sai, sto cominciando a odiare questi soprannomi”
Louis ride stavolta, scopre i denti dritti e bianchi e inclina appena la testa, osservandola con una strana luce negli occhi azzurri. “Hai ragione – concorda, parlando piano – Ma non ho ancora trovato quello che più ti s'addice”
“Che ne dici di Connie?”
Nah. È scontato”
“Beh, è il mio nome”
Louis fa una cosa strana a quel punto: la fronteggia senza smettere di sorridere, con quell'espressione genuina sul volto che sembra così lontana da quella che ha avuto solo qualche istante prima. Le scosta una ciocca di capelli scuri dal volto e le sfiora la guancia coi polpastrelli, facendola smettere di respirare per qualche istante.
Si sente persa, Connie, talmente persa che all'improvviso quel balcone risulta così alto da sentire le vertigini sotto pelle. Ha paura perché è passato così tanto dall'ultima volta che qualcuno l'ha toccata con tanta delicatezza, l'ha guardata con quello sguardo da far tremare le ginocchia. E si sente viva, perché semplicemente sente ancora qualcosa, capisce che c'è altro oltre a un vuoto che non si rimarginerà mai più.
C'è Louis che piano passa le sue dita leggere come il vento sulla sua pelle, c'è il suo sorriso estasiato come se fosse davanti a qualcosa di bello veramente, per cui valga la pena. C'è questa sensazione di precipitare sulla città che l'ha cresciuta come una figlia, c'è questo tremolio interiore che fa bruciare le guance e gli occhi.
“Sei bellissima, stasera” ripete Louis, la voce che è diventata un soffio.
“Grazie” sussurra Connie piano, ed è un grazie pieno di parole che non si possono ancora dire.

 

 

  
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