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Autore: tixit    06/07/2015    14 recensioni
Oscar vuole chiede qualcosa ad André e lui le chiede se ci ha pensato bene, davvero bene.
Ha valutato tutte le possibilità?
Ambientato la sera in cui Oscar deve decidere se entrare nelle Guardie Reali o meno.
In parte OOC.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film... e qualunque altra cosa.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Epilogo
Chiedere di spiegare certe cose è un insulto

Oscar scese in cucina la mattina molto presto – la luce era ancora rosata - convinta che l’avrebbe trovato lì, ad aspettarla.
L’unico ad essere davvero interessato alla sua vita.

Quella era una sciocchezza, decise, scuotendo la testa, c’era almeno un’altra persona interessata, una che la sera prima non s’era fatta viva – solo un biglietto incomprensibile - e che, a quanto pare, piangeva di rabbia per le ragazze in generale e per un paio in particolare.

Diciamo che lui era l’unico, in fondo, il cui parere le interessasse veramente?

Scosse la testa, di nuovo - ci teneva molto ad essere onesta - non era corretto dire l’unico e nemmeno generoso - stasera l’avrebbe cercata, quella sciocca, per farsi spiegare bene a cosa stava pensando – lui, però, era quello il cui giudizio, quando c’era, faceva più male. Danielle era più accomodante.

Lui era quello che comunque c’era. Sempre.

Si irrigidì prima di varcare la soglia della cucina – per un attimo ebbe paura di essersi sbagliata, di trovare il fuoco spento ed il tavolo vuoto.

Non si era sbagliata – sorrise tra sé - André era seduto al tavolo della cucina, con i suoi capelli neri, lunghi oltre le spalle, ed il suo solito fiocco azzurro. Una certezza.
Stava leggendo – un libro di poesie, registrò divertita, era parecchio che non gli capitava… per quanto ne sapeva lei, ad un certo punto lui aveva smesso con Marlowe ed era tornato a leggere solo libri di storia. Socchiuse gli occhi.
André sollevò lo sguardo e la squadrò imperturbabile.  Oscar sapeva che non le avrebbe chiesto proprio niente – da oggi la comunicazione cambiava. Si chiese quanto e sperò poco.  

In ogni caso, cercò di rassicurare se stessa, chiedete e vi sarà dato.

“Cosa leggi?” I primi passi per un po’ spettano a me, pensò.

“Nulla di che, mi era venuta in mente una cosa e l’ho cercata nella biblioteca di tuo padre.”

Lei registrò sollevata che non era passato al Voi, almeno quello… dare del Voi a qualcuno con cui lui aveva fatto il bagno nudo da bambino, in Normandia, o con cui aveva dormito insieme, nello stesso letto, nelle notti di temporale, non aveva nessun senso. Aveva tanto sperato che se ne sarebbe reso conto, ci sarebbe mancato solo che cominciasse a chiamarla Monsieur, mentendole due volte.

“Ha un nome questo nulla?” chiese cortese.

“Raleigh” André si strinse nelle spalle e lei trattenne un sorriso complice, gli sembrava come quando giocavano a carte contro Danielle – quell’imbrogliona - e le giocate filavano così ben incastrate, da uno all’altra, senza bisogno di dire proprio niente “André, questa è l’ultima volta che ne parliamo, ma ieri sera ad un certo punto io pensavo a Marlowe… il Pastore e la Ninfa…”  so che te lo posso dire, perché anche se ne sono uscita con qualche livido, tu, per questa cosa, m’hai solo messo il cartiglio da impulsiva – potevi mettermene altri. Non me lo sarei meritata, ma potevi.


André sorrise divertito, senza guardarla “Lusingato … potrebbe anche funzionare: in quella poesia il Pastore è tutto preso a convincere la Ninfa e della Ninfa dice poco, non sappiamo se è bionda o bruna, e nemmeno se è uomo o donna…”

Il pastore pensava molto a chiedere ciò che voleva e poco a chi lo stava chiedendo, tradusse lei, dentro si sé.

Oscar sogghignò “Era una Ninfa difficile da convincere, non c’era tempo per le lusinghe... e così… Raleigh?… La Risposta della Ninfa al Pastore?”

“Già” André si strinse nelle spalle. Senza guardarla.

Oscar distolse lo sguardo – conosceva molto bene quella poesia – “Una Ninfa sensata… anche se… un po' troppo vecchia, sai? Per quella Ninfa polverosa sembra che il mondo sia un luogo essenzialmente ostile, da lei è sempre inverno, e il Natale non arriva mai… quanti anni ha mai, a proposito?”

“L’hai letta bene quella poesia?”

Lei arrossì, l’aveva letta lei stessa ad André, su una spiaggia, una delle loro tante volte insieme, il sole ancora basso, le goccioline di acqua gelida sulle braccia, la pelle scura di lui stretta contro quella appena dorata di lei a spegnerne i brividi;  lei, pur apprezzandone l’arguzia, aveva trovato la Ninfa un po’ cattiva con tutto quel suo saccente buonsenso… il Pastore, con le sue proposte e le sue rose, era stato liquidato senza troppi complimenti.
Era stato André a farle notare, lì, sulla sabbia, mentre tagliava equamente  il formaggio per loro due, che a lei sfuggiva una cosa, che la Ninfa non stava dicendo no al Pastore, diceva no alle circostanze, no perché l’attimo non è infinito, no perché succederà altro domani, no perché non sarebbe saggio. Ma non diceva mai no al Pastore. Mai.

But could youth last and love still breed,
Had joys no date nor age no need,
Then these delights my mind might move
To live with thee and be thy love.

Forse la Ninfa avrebbe detto di sì anche a qualcosa di più di quello che il pastore aveva effettivamente chiesto, decise Oscar, forse… se solo l’incoscienza della giovinezza fosse stata eterna.

A quello che aveva chiesto il Pastore, comunque, alla versione senza fronzoli s’intende, senza tutte quelle cose eterne che non esistevano, la sua Ninfa della Cucina avrebbe detto sì, ne era quasi certa, anche perché - questo lo aveva capito, ci aveva messo tutta la notte, ma alla fine le era stato chiaro - quel suo illustrarle tutte le possibilità non era stata una cosa nata quella sera solo per lei.

André era come Danielle, quei due cacciavano un cervo facendo la posta, ben vigili, in un punto su cui avevano ragionato sopra… quei due non incontravano un cervo “per caso” in una radura; e così lui non era stato preso alla sprovvista da quell’idea di loro due insieme, lui  aveva già percorso quel labirinto catastrofico saggiando ogni strada che gli veniva in mente e alla fine aveva chiuso la porta per tutti e due.
Oscar si augurò che mentre la chiudeva ci fosse stata almeno una punta di dispiacere.

Lei, ieri sera, ad un certo punto era stata desiderata – non sapeva se André se ne era reso conto appieno, se gli era dispiaciuto, ma il suo corpo non mentiva, il suo respiro nemmeno: lui le aveva fatto le fusa, a modo suo, come la sua lince quando lei la accarezzava per il verso giusto.
E almeno un’altra sera, quindi, con lei chissà dove, ma certo non lì a sciorinare la sua mercanzia – non lo aveva mai fatto prima - era successo che lei, proprio lei, era stata desiderata. Desiderata a tal punto da spingerlo a vedere, per conto suo, se c’era un modo per questa cosa tra di loro che non le facesse male, e lui non lo aveva trovato.

Ma non ci voleva pensare. Non adesso.

Sperò solo che ci fossero abbastanza poesie in tutto il loro passato, per aiutarla a parlare con lui fino a che non avessero trovato una confidenza nuova. Una che si adattasse bene al mondo in cui la stavano sparando senza troppi riguardi.

Poi si accostò al tavolo e poggiò le mani bene aperte sulla superficie – veniamo alle cose serie, ma grazie, comunque, pensò. Grazie per avermi aspettato armato solo di una poesia.

“Ho alcune cose da dirti… anzitutto che io da qui, prima, pensavo di andarmene.” Lo guardò, ma lui sembrava imperturbabile, interessato, ma imperturbabile. ”Sono stanca di stare in questa casa dove io sono la proprietà numero sette del Generale, e tu la numero otto, ognuno di noi con il suo bel cartiglio che dice cosa siamo, come andiamo correttamente conservati, e a cosa potremmo servire.
Ma solo un ragazzino scappa di casa, ed io non sono più una ragazzina, sono quella che sa molto bene cosa si deve aspettare da chi vive qui… niente di insopportabile in fondo, qualche urlo, qualche strillo, un paio di minacce ogni tanto…” Fece un gesto noncurante con la mano, ”Schiaffi no, basta, quelli non li accetto più.”

Sospirò.

“Per cui resto qui, forse non proprio nella stanza di quando ero bambina, questo lo vedrò nel tempo, io ancora non lo so, ma l’idea è che non scappo. Che sia chiaro a tutti. Io resto perché io sono l’Erede, cioè quella che un giorno si prende tutto quello che è suo di diritto. Qualunque cosa sarà quella che riterrà sua.”

André allargò le braccia in segno di resa, con angoli della bocca che trattenevano a fatica una risata.
Oscar non si offese, ma sorrise.

“Detto questo veniamo alle cose pratiche: a me serve un attendente.” Lo osservò, ma lui continuava ad essere impossibile da leggere, così quieto davanti a lei.

“Mi è molto chiaro che a te fare il soldato non interessa per niente: non ti prenderesti una vita per un motivo che non è tuo e preferiresti essere uno che risolve problemi pratici per gli altri. Uno che spacca il capello in quattro, insomma, cercando di rimontare la realtà in un modo un po’ più di suo gusto.”

Lui abbassò lo sguardo, ma sorrideva divertito.

“Un mestiere da donna, lo hai detto ieri sera, ti ho ascoltato, sai? Che ti credi? Ma io non sono così, io adesso non sono così. Io non sarei giusta. Soprattutto non sarei equilibrata e nemmeno compassionevole.” Sfiorò piano la giacca nel punto in cui, sotto i vari strati di stoffa, a diretto contatto con la sua pelle, c’era il ciondolo di André, una delle poche cose veramente sue, del misterioso mondo prima di lei. “Mi serve tempo, André,” mormorò piano, ma capì che lui l’aveva sentita, e, soprattutto, che l’aveva capita.

Lo guardò timida “So anche che Versailles non ti piace, ma, in ogni caso, se tu lo vuoi, per quanto possibile, quello che farò io, adesso, lo vorrei fare insieme. Come sempre. Io ci terrei molto, ma con regole precise. Ci ho pensato molto ieri sera… e ho capito che non mi piacciono le situazioni pasticciate.”

Lui le fece cenno di proseguire.

“Puoi essere quello che vuoi, questo lo devi decidere tu… puoi essere il mio servitore, pagato da mio padre, come sei stato fino a ieri, e seguirmi ovunque. Non un soldato, risponderesti solo al Generale… e obbediresti solo a lui. Non avresti obblighi, orari e nemmeno uniformi… sembrerebbe come se oggi fosse ieri… ”  Raddrizzò le spalle, stringendo i pugni “Oppure, se vuoi essere il mio attendente, sarai un soldato di truppa. Non sono tutti nobili nella Guardia, non so se lo sai… il corpo che custodisce le vie di accesso di Versailles non lo è. Avrai una paga tua che non ti verso io e nemmeno il Generale. Per avere un attendente io dovrò versare una parte della mia paga alla Guardia Reale. Alla Guardia Reale, non a te, questo ti deve essere chiaro: io pago la Guardia per un servizio, non pago te, è la Guardia Reale che ti paga, invece.”

Lo guardò seria in viso e lui fece cenno di aver capito.

“Un attendente fa quelle cose necessarie per il mio lavoro che io non ho tempo di fare – occuparsi delle armi, montare una tenda, se mai servirà, salvare la sua pelle e aiutarmi a salvare la mia, in quest’ordine, ce ne fosse necessità. Non credo che fare la Guardia Reale a Versailles sarà così pericoloso, ma l’idea di base è quella:  un attendente è la persona di cui mi fido, metto ufficialmente un pezzo della mia vita nelle sue mani.“ lo guardò, ma vide solo un vago sorriso negli occhi di André.

“Anche io servirò qualcuno, alla fin fine; “ riprese Oscar, “e farò cose che quella persona giudicherà secondarie per il suo lavoro. Non mi peserà e sarò leale.
Le cose non necessarie, però, questo deve essere chiaro, non sono fatti dell’attendente – questa persona, chiunque sia, non deve pulirmi gli stivali, quello lo faccio da me. E César… è compito suo occuparsene nella stalla della Guardia. Ma solo lì.”

Vide le labbra di André incurvarsi, involontariamente, in un sorriso. I tuoi non li pulisco, sappilo, pensò lei irritata, accontentati che ognuno di noi faccia il suo.

“Hai due settimane per pensarci su e poi mi farai sapere. E’ solo una proposta, decidi tu, puoi anche dire di no, non è un problema: stai ipotecando un periodo della tua vita, questo mi è molto chiaro, non potresti disfarlo da un giorno all’altro. Tre anni è il  minimo, che io sappia. Hai due settimane per soppesare da te i dettagli, in questo sei molto più bravo di me. Non discuterò mai la tua scelta, hai la mia parola.
Uno dei vantaggi è che avresti del denaro in più…”

Bloccò con un gesto della mano André che stava per protestare “Sono sicura che il Generale ti paga, per lo meno, il giusto. Secondo il suo punto di vista, è chiaro.
Tutti qui intorno accumulano favori e vorrebbero anche cariche incompatibili tra di loro, non so se hai notato… Se veramente facessero ogni cosa che chiedono di fare non gli basterebbe una vita. Sai che esiste anche un responsabile per la caccia con il falcone? E il Re non l’ha mai praticata… non vedo perché proprio tu, Grandier, dovresti rifiutarti di barcamenarti tra più cose… ammesso che a qualcuno interessi sapere davvero…” si interruppe imbarazzata, si sarebbe offeso perché pensava, in tutta sincerità che a nessuno importasse molto di cosa faceva tutto il giorno André Grandier, oltre a lei e al Generale, si intende? Scosse le spalle – le cose stavano così, inutile girarci intorno  “In ogni caso,” riprese “se decidi per l’attendente, qui, in questa casa, continueresti ad essere pagato dal Generale.  Qui però. Qui.”

Lo guardò, contenta di avere finalmente catturato la sua attenzione “Qui, quando tu sei in questa casa, nel tempo in cui non fai l’attendente, tu smetti di occuparti di me e fai quello che hai concordato con il Generale e che non mi riguarda.
Qui non sono io che ti pago, in ogni caso io non sono quella persona, e quindi non voglio che mi porti nessun vassoio, con bottiglie di vino, con tazze di cioccolata, o biscotti o bricchi di latte o caffè… con quello che ti pare… il mio attendente, a casa del Generale, queste cose non le fa ed il servitore del Generale, a casa del Generale, non serve me. E’ ben piena questa casa, mi pare, di gente che va su e giù per la scale… tu stattene un po’ tranquillo!

Se vuoi portare vassoi al Generale, preparargli tisane, rimboccargli la copertina e raccontargli una favola della buona notte, fai pure… se vuoi strigliare il suo cavallo, se te lo chiede… fai! E’ il tuo lavoro. Sono le vostre cose tra voi due, sapete voi cosa vi siete detti, io non c’entro e non mi interessa. Se domani te ne vai a lavorare per un altro, quello che farai o non farai per lui non riguarda me. Ti è chiaro?  Se un giorno lavorerai per un altro, noi ci si vede per bere qualcosa insieme quando non hai nulla da fare.”

Lui la guardò divertito, ma lei era seria. Io non lo so questa storia come finisce, giuro che non lo so, ma l’ho capito che non puoi essere amica di qualcuno, amica davvero, pensò Oscar, e poi dare per scontato che quel qualcuno ti pulisca gli stivali e ti dica sempre sì. Né lo puoi obbligare a mettersi nei guai nel nome della vostra amicizia, quando improvvisamente ti serve che faccia l’amico e poi, subito dopo, chiedergli di fare il servo. Non funziona così.

“Io non ti pago, tu non rispondi a me, quindi se serve, nel giusto posto, nelle giuste circostanze, tu mi puoi dire dei no, tanto so che, quando vuoi, ti riesce benissimo.“

André scrollò le spalle, irritato.

Oscar si vergognò un po’ di quella frecciatina su suoi no, ma in fondo… le cose stavano così, e il no di quella notte le era bruciato dentro, ed era giusto che lui lo sapesse. Anche se lei quella cosa non gliela avrebbe chiesta mai più. Mai, mai, mai, e poi mai. Se una seconda volta era scritta nel destino, che chiedesse lui.

“Sono curiosa di vedere come te la caveresti con tutta la tua lealtà, se avessi più di una persona, o più di un’idea, a cui render conto e un po’ di regole nuove… “ lo prese in giro, “Non so proprio come te la sbroglieresti… sarebbe di sicuro interessante.”

Lui scosse la testa divertito. Ma lei pensò ti sto legando con lacci nuovi, se tu me lo lasci fare. Puoi scegliere quello che ti pare, ma in ogni caso, ora, cambia il modo, cambia l’intenzione.

“Un’ultima cosa: puoi venire in camera mia quando vuoi,“ riprese cortese, “a me fa piacere” sottolineò perché a lui fosse chiaro, per lei non ce ne era nemmeno bisogno di dirlo, se fosse dipeso da lei potevano pure tornare a dormire insieme nelle notti di temporale come quando erano bambini – le avrebbe fatto solo piacere, a parte l’estate, l’estate faceva troppo caldo per un André ad ingombrarle il letto - ma non era giusto dare troppe cose per scontate “Mi piace moltissimo la nostra noiosa consuetudine, sono cresciuta accanto a te e insieme a te…” sorrise, sperando che questo rispondesse alla domanda cattiva di solo alcune ore prima, quando lui le aveva chiesto cosa significasse per lei essere cresciuti insieme, “ma prima devi bussare.”

André alzò un sopracciglio, interrogativo.

“I servitori di questa casa non bussano davvero,“ lei gli spiegò paziente, era proprio uno sciocco certe volte, o forse, decise divertita, voleva solo sentirglielo dire, sentirlo da lei, quello che a lei sembrava ovvio, ma che lui non avrebbe potuto chiedere, soprattutto non da oggi ”sono invisibili, entrano, fanno ciò che devono, e poi scompaiono e nessuno li nota. Tu invece,  guarda un po’… tu sei ingombrante, sai? E’ difficile far finta che non ci sia… E quindi tu nella mia stanza ci entri solo dopo aver bussato. Non credo terrò mai quella porta chiusa, ma ci tengo - ci tengo molto - che tu, per me, sia uno di quelli che bussano prima di entrare.” Fissò la punta dei suoi stivali, arrossendo, “E ci tengo moltissimo che sia chiaro per tutti.”

Non è una dichiarazione di guerra al mondo, André, è solo che le cose stanno così ed è inutile girarci intorno. Non puoi essere amica di qualcuno solo nei confini di una cucina.

Lui sorrise scuotendo la testa.

“E lo stesso vale per me.”

“Nonnina?” chiese ironico André.

“Nonnina…” sbuffò Oscar arricciando il naso, ”Nonnina se ne farà una ragione. Le piace tiranneggiare te e proteggere me, ma le cose tra te e me non le decide lei. Mi spiace, ma è così.”

Sospirò improvvisamente rilassata – aveva detto le cose più difficili, non bene come le avrebbe dette lui, che avrebbe di sicuro argomentato per ore, come se stesse parlando con un bambino scemo di cinque anni, ma lui cinque anni non li aveva già da un po’ e di sicuro aveva colto l’essenziale. Se poi qualcosa le era sfuggito… c’era tempo. Di sicuro ci sarebbero stati tanti pasticci e tante cretinate da sistemare, inutile sprecarci il pensiero adesso.

Non glielo disse, le sembrava scontato, ma avrebbe voluto: noi siamo amici, sai? Tu sei quello che mi aiuta a rimettermi in piedi quando gli altri, tutti gli altri, nemmeno se ne sono accorti che sono finita a terra e che ho paura di non farcela a rialzarmi più.
E sei pure quello che a terra ogni tanto mi ci butta.
Arrossì. Una caduta rovinosa pensò imbarazzata, contenta di colpo che lui non potesse leggerle nel pensiero.

“Ho finito… oggi devo fare una cosa e vorrei farla da sola, se non ti spiace.”

“Non c’è nient’altro?” chiese cortese il ragazzo, “nient’altro che mi vorresti dire?”

“Una cosa sola… l’ultima… Io non conosco nessuno che abbia vissuto la propria vita in modo che fosse interamente delineata dai suoi desideri. Come hai detto tu, perché tu lo hai detto” lo guardò negli occhi severa e lo vide arrossire sorpreso, “ognuno prende quel che può.”

Lui scosse la testa, ma Oscar non gli lasciò il tempo di replicare: ”Tu lo dicevi per consolarmi, ma pensaci bene… quando ho addomesticato la lince l’ho fatto d’impulso perché per me era la cosa giusta. Non ho pensato molto a tutte le possibili conseguenze, ho affrontato la storia della lince una cosa alla volta e non me ne sono mai pentita; penso che le decisioni impulsive, per me, siano sempre quelle più giuste, quelle vere… ma io sono io… come hai detto tu se il finale di una storia non lo scrivi da solo… cioè  se non puoi, o se, molto più semplicemente, non vuoi scriverlo da solo” – strinse le labbra trattenendo un sorriso – “devi accettare che non venga esattamente come lo avresti voluto tu.”

Lui annuì e lei distolse lo sguardo.

Uscì di casa senza voltarsi indietro.


Al bivio per Versailles lo vide che l’aspettava, come d’accordo, ed educatamente lo chiamò.
Era alto, un pochino più di lei e di André. Era anche un pochino più grande di loro, lo sapeva. Un figlio cadetto dei Girodelle.
Bello con quei lunghi capelli scuri ricoperti dalla cipria secondo la moda; non portava nemmeno lui il parrucchino – sua sorella, una volta, le aveva detto scherzando che Victor Clément de Girodelle corteggiava sobrietà ed originalità come una vergine indecisa, spinto in realtà dalla coscienza di avere dei capelli molto più belli di quelli che chiunque altro si sarebbe potuto pagare, un pavone.

Il viso era di una simmetria perfetta e aveva quegli occhi di ghiaccio che, se ne ricordava, piacevano tanto a Danielle.

Era molto elegante: come sempre, dallo jabot alla punta degli stivali non c’era una piega fuori posto. La giacca era blu scuro  con dei richiami bianchi – color panna avrebbe detto Danielle, precisetta in queste cose – la camicia era bianca immacolata, il panciotto in seta damascata dello stesso colore dei ricami sulla giacca – scelta sicuramente non casuale – con i ricami color avorio. I bottoni erano dei dorset in stoffa, dei cerchietti di metallo ricoperti di ricami complicati; le ragazze li facevano in casa, anche lei, certe sere con Danielle, si era adattata a darle una mano, con sua sorella che non criticava mai (però poi le diceva che i suoi li avrebbero usati per le camicie del Generale… sulle camicie di Oscar, Oscar lo sapeva bene, venivano cuciti solo quelli perfetti di Danielle). I calzoni erano avorio e le calze bianche, mentre le giarrettiere, come la giacca, erano blu scuro.

Tutto molto sobrio, specialmente quei bottoni, in un certo senso talmente sobrio da sembrare favolosamente originale.

Un pavone decise arricciando il naso, un pavone che avrebbe avuto l’approvazione di sua sorella, ma sempre un pavone.
 

Lo aveva visto a Versailles diverse volte, sempre immerso in un silenzio estraneo al disagio. Era anche stato ospite di suo padre – e mai relegato al tavolo dei bambini.  Un pavone che piaceva al Generale – l’insulto peggiore.

“Mi spiace, “spiegò con calma, “io non vado a fare duelli a Corte come un cane ammaestrato.”

“Rinunciate quindi, Mademoiselle?”

“No.”

“Capisco. Avete valutato tutto immagino?” le chiese cortese il giovane, e lei annuì perplessa, sperando che il quel tutto non ci fosse qualcosa che Girodelle sottintendeva, che André avrebbe notato subito e che lei avrebbe capito solo dopo aver fatto una sciocchezza.

Poi gli aveva chiesto se prima poteva darle il tempo di fare una cosa, ci teneva… si rese conto di sembrare ridicola ai suoi occhi, con quel rovo in mano, le radici avvolte nella juta con tanta cura dal giardiniere del palazzo. Se ne accorse dal suo sguardo e dal fatto che la chiamava Mademoiselle.
L’unico.
L’unico o forse il primo di una lunga serie nel fantastico mondo nuovo che ci sarebbe stato dopo le Guardie.

Lei era stata Monsieur per tutti fino ad ora, tranne che per André, per cui era solo Oscar, e per sua sorella, per cui era tante cose, alcune non molto lusinghiere.


Gli aveva detto che poteva accompagnarla se non si fidava e lui l’aveva guardata divertito, per poi accettare con estrema cortesia.

Non era stato difficile trovare il posto alla fine – le indicazioni del giardiniere erano state chiare.

Girodelle la osservò scavare in modo imperfetto una buca e scosse la testa.

“Permettete?”

Lei lo guardò stupita… e gli lasciò maligna il posto; era curiosa di vedere come avrebbe ridotto i suoi vestiti immacolati facendo del giardinaggio, quel pavone imbelle.

Lei lo osservò, accoccolato sui calcagni, che scavava con perizia con gli attrezzi che le aveva dato il giardiniere, non una zolla di terra sui suoi calzoni. Interrò la radice con pochi gesti.
“Sono le famose rose dei Jarjayes? Quelle con il calice allungato?”

Oscar annuì perplessa. Aveva chiesto al giardiniere le rose più belle, e lui si era slanciato in un panegirico su incroci ed innesti.

“Mia madre le apprezza molto. Lei coltiva più che altro le varietà antiche, quelle con il fiore semplice, e anche alcune varietà inglesi…” Girodelle sorrise divertito dinanzi allo sguardo perplesso della ragazzina – Mademoiselle, gli era chiaro, non sapeva molto di giardinaggio – ma non disse nulla.
Poi osservò la dimensione del cumulo di terra, l’erba fresca e improvvisamente capì.  

Si scusò, voleva restare da sola alcuni minuti? Lei annuì.

Lo vide eclissarsi, portando con sé i cavalli.

Oscar si accoccolò sui talloni accanto al tumulo. Ti ho pensato tutta la sera, sai? L’Ultima Nota di André… la sua Lia… sospirò. Si chiese, per l’ennesima volta, perché André non l'avesse condivisa con lei questa cosa. Il giorno in cui lei si fosse innamorata, lui l'avrebbe saputo, come era naturale che fosse. Si chiese solo se sarebbe stata più della somma di tutte le cose tra loro due e ne dubitò.

Ti ho quasi odiata. Anche senza il quasi – sorrise – il quasi ce l’hai perché non eri la sua Rachele, la ragazza della Bibbia per cui Giacobbe era stato disposto ad aspettare sette anni e poi ancora sette... eri solo Lia.
Ti rispetto solo per lui, sappilo, perché per qualche strana ragione quello sciocco non è arrabbiato con te, perché gli dispiace che per te sia finita così… troppo presto. Io ti avrei solo dimenticata, trovandoti meschina.

Si ravviò i capelli biondi con un gesto di stizza.

Avevi avuto qualcosa che nemmeno una Regina e non l’hai saputa apprezzare. Un ragazzo che non era interessato a quello che non eri – una ragazza, ti ha definita… io ti avrei definita ben altro! – un ragazzo che voleva delle tacche… senza niente in cambio. Che sciocca e che grandissimo sciocco.
Guarda che sarebbe stato molto meglio della cioccolata, credimi…  

Però una cosa te la devo: se tu non ci fossi stata, se non ci fosse stato del… sentimento… tra voi due, La ragazza, involontariamente, arricciò il naso, forse ieri sera sarebbe finita in un altro modo. Forse lui sarebbe stato come me, impaziente di vedere come era questa faccenda, di dirmi addio in un modo nuovo, forse io ora adesso non sarei qui, non avrei un progetto mio, un po’ vago, ma tutto mio. O forse stasera, o magari domani, o tra una settimana, avrei trovato questa casa vuota, vuota di lui, e nemmeno avrei capito perché.

Sperò anche, vagamente, di riuscire a trovare un modo per tornare a quella stessa sera, ma in un’altra epoca, forse in un altro modo, ma con la stessa domanda, alla fine. Per quanti giri il suo cuore avrebbe fatto, lei lo sapeva, nel suo finale perfetto c’era sempre un grandissimo sciocco con gli occhi verdi. Non importa in che ruolo.

M’ha lasciato andare, quando parlava di bambini parlava di Mosè, ma in fondo parlava anche di me: lasciata andare per un fiume per diventare altro, senza la speranza che ad un certo punto tutto ritorni come era.
Che grandissimo sciocco.

Una piccolissima parte della ragazzina sperò anche di tornare allo stesso punto, ma che fosse cambiato lui, o una parte dei suoi desideri. Soprattutto con qualcosa da offrire anche lei.

Sperò solo che nel cuore grande di quel grandissimo sciocco ci sarebbe stato sempre un pezzettino tutto per lei. Anche quando quella meschina fosse stata lei.

Quello che assolutamente non capì – ma solo perché non la reputava una cosa possibile  – fu che quella notte un ragazzo non solo era stato mosso dal desiderio e dall’amicizia ma anche da quella cosa a cui lei si ostinava a non credere.

 “Scusate,” disse raggiungendo Girodelle, che se ne stava pigramente appoggiato ad un tronco, “ho saputo solo ieri sera e non sapevo se avrei avuto un’occasione… dopo…”

“E’ una tomba in terra non consacrata” disse Girodelle, senza farle domande, “Rosse o bianche?”

Oscar annuì “Il decreto del 1670.” Lo osservò di sottecchi per vedere se era scandalizzato, ma il giovane sembrava imperturbabile. “Rosa”, aggiunse, le bianche, pensò, non se le meritava affatto! le rosse sono per la passione e non si meritava nemmeno quello, per carità, non ne aveva avuta abbastanza in vita, di passione quella là? Pure di quella che non era destinata a lei? Pensò irritata.

 “Il corpo trascinato a faccia in giù per le strade, il corpo gettato nei rifiuti,” Oscar sobbalzò alle parole di Girodelle, questo André non glielo aveva raccontato! aveva visto tutto questo scempio fatto all’Ultima Nota? e lo aveva immaginato fatto a lei? Il Generale, lo sapeva, credeva all’inferno e alle leggi del Re, non avrebbe mosso un dito per lei, soprattutto per lei, se si fosse cacciata in qualcosa che infrangeva quelle leggi. E André avrebbe dovuto stare a guardare. Sentì un brivido di disgusto percorrerla.

 “… il corpo che non può essere sepolto in terra consacrata… il decreto per la maledizione dei suicidi chiede questo…“ continuò imperscrutabile Girodelle “ma se l’anima se ne è andata e quello è solo il vecchio involucro che deperirà, polvere alla polvere, la punizione – atroce - è più per chi resta, mi pare. E’ devastante per i cari. Conoscevate quella persona?”

“Era cara ad una persona che mi è cara.” Lui non chiese altro.

“Le persone care alle persone care meritano gentilezza, anche se, personalmente, potrebbe sembrare che non  la meritino affatto.” Commentò asciutto, senza, era chiaro, aspettarsi una risposta.

Oscar lo guardò “Non era giusto. Non era… inequivocabile. Non posso oppormi ad una decisione, non spetta a me, esiste un solo Conte Jarjayes e quello non sono io… si è Conti uno alla volta,  lo sapete anche Voi… a volte i servitori, per comodità, dicono Contino, Marchesino, ma sono tutti… cartigli di un erbario. C’è solo un Conte, un solo Marchese alla volta… ” si chiese se avrebbe capito quello che lei non stava dicendo perché non si poteva dire.

Girodelle sorrise asciutto “Nessuno può condannarVi se desiderate interrare delle rose per qualcuno che forse meritava altro, forse un po’ di gentilezza. E a cui, da quel che capisco, ritenete di dover essere grata per qualcosa.” Oscar arrossì, ma non disse nulle, “Ottima scelta, per altro, chi ama le rose riconoscerà da che giardino vengono. E lo racconterà, di sicuro, a chi non le avrebbe riconosciute. E’ un buon modo per dire qualcosa senza scatenare discussioni inutili.”  Le porse una piantina con le radici “Io aggiungerei questa, è un biancospino, simbolo di morte, fioriscono in epoche leggermente diverse e ricorderanno, nel tempo, a chi passa, che lì sotto c’è qualcuno.”

Fu lui ad interrare la pianta per lei - sapeva che lei non era pratica, le risparmiò perfino il gesto di offrirsi di farlo e non pretese che si umiliasse a chiedere una mano.
Gentile.

“Il duello… volete farlo qui, allora?” chiese cortesemente il giovane.

Oscar lo guardò stupita, “No, per carità, non dove c’è già quella tomba, se per caso… non sarebbe giusto per chi viene qui…  farebbe troppo male…”

Girodelle l’afferrò per il braccio per farla voltare verso di lui, lei scattò all’indietro, ma lui la lasciò andare solo quando lei lo guardò negli occhi, “Jarjayes, non so cosa abbiate in mente Voi, ma questo per me è un duello al primo sangue.”

Oscar arrossì: adesso capiva tutta quella ricercata immacolatezza dei vestiti di quel pavone… Girodelle, così, non avrebbe mai potuto celare una ferita. Girodelle stava mostrando che lui non barava, senza bisogno di dirlo.

“L’ho detto nella giusta sede, l’ho detto anche a… a una persona che mi è cara, e lo ripeto anche a Voi, per me non è all’ultimo sangue” riprese Girodelle, serio. “Voi, sentiteVi libero di fare come volete” concluse con un gesto noncurante.

Oscar lo interruppe irritata “Chi è questa persona, con cui avete discusso di noi?”.
Lo vide irrigidirsi e tradusse che non erano cose che la riguardavano; semplicemente da qualche parte, forse a Versailles, c’era un uomo, o una donna, che avrebbe aspettato con ansia.
Vergognandosi un po’ pensò a sua sorella – forse l’avrebbe dovuta avvisare di cosa aveva in mente. O parlarne con lei. O dirlo ad André questa mattina. A dispetto di tutte le sue buone intenzioni, li aveva tagliati fuori come al solito.

“Perché?”

“Non gioco con la vita di una persona solo per una carica, la vita è una cosa molto seria. I duelli sono una cosa molto seria.”

“SpiegateVi meglio!”

“Chiedere di spiegare certe cose è un insulto“ disse Girodelle quieto, e lei si sentì avvampare – le stesse parole di André.
“Ma Voi… mi hanno raccontato che avete avuto una vita molto… particolare…” il giovane tornò cortese e leggero, come sempre, “Non necessariamente condividiamo le stesse idee… Diciamo che i duelli si fanno per difendere l’onore o la giustizia, per dimostrare qualcosa di personale, non perché si ha ragione – si può anche avere torto - ma perché si è stati toccati nel vivo.
Lo si fa con un rituale, da rispettare, che dovrebbe simulare raccoglimento, segretezza e soprattutto qualcosa fatto a caldo. Non può esserci un duello perché a due persone viene ordinato di disputarsi qualcosa che forse desiderano, di fronte a gente annoiata che si gode lo spettacolo. Non è un duello, non so se lo capite.”

Lei lo guardò sorpresa.

“E’ un insulto quello di cui stiamo parlando. Il bello è che è un insulto inconsapevole: non se rende conto chi lo ha proposto e non se ne rende conto la gente che starà a guardare, insultata anch’essa, ma non lo sa.” Scosse la testa amareggiato. “A parte qualcuna.”

“Un duello è un modo come un altro.”

“Questo non è un duello, Jarjayes, io non sono venuto a cercarVi per provocarVi a sfidarmi, e Voi… cosa sapete di me? Con cosa mi potreste provocare? Io mi sento provocato solo da chi ritengo mio pari, non dal primo che passa… ”

Oscar sobbalzò e Girodelle arrossì imbarazzato – non intendeva offenderla, ma forse lo aveva fatto. Si scusò.

“L’incarico che ci stiamo disputando richiede,” riprese Girodelle, parlando con tono paziente, “a mio parere, più di una buona spada. Io ho già servito, per poco forse, ma l’ho fatto, e forse qualcosa, in merito ad obbedienza, lavoro di squadra e comando, l’ho dimostrata. Voi no. Per me, Voi, Jarjayes, non avete dimostrato nulla.
Scegliere tra noi due è dipeso da quanto erano disposti a spendere le nostre famiglie per un brevetto militare, dal peso delle vecchie amicizie di famiglia, e, a quanto pare, dipenderà da uno spettacolo da circo… un buon capo di un gruppo di spadaccini non è necessariamente il migliore spadaccino, ed io non mi ritengo solo una spada.” Socchiuse gli occhi, ma nulla trapelava dal suo visto. “Ma forse” riprese con tono leggero “a nessuno interessa davvero selezionare un buon capo. A forza di badare alla forma, qualcosa si è perso nella sostanza…”


“In ogni caso questi sono gli ordini…” concluse asciutto Girodelle “anche io ho i miei sogni, che credete, Jarjayes? Ma non ce l’ho assolutamente con Voi. Per cui, per me, questa cosa imposta è al primo sangue. Voi, però, fate pure come credete. Per me siete libero.”

Si tolse la giacca blu con un gesto elegante e la poggiò noncurante su un ramo basso di un albero lì vicino.

Lei non lo guardò in volto – non aveva pensato a lui come ad una persona per tutto questo tempo, solo ad un cortigiano elegante che conosceva sua sorella. Uno che avrebbe battuto.

“Primo sangue anche per me, solo che…“ fece un gesto di scusa verso il suo abbigliamento: il panciotto era verde scuro, i pantaloni marroni…

“So che siete una persona d’onore.” la tranquillizzò il giovane.

Lei annuì.

Girodelle la guardò interrogativo, “Cominciamo?”


Note finali: volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto, lasciato un commento, seguito, ricordato e preferito.
Questa storia un po’ stramba si chiude qui. Spero tanto vi sia piaciuta.

Le rose di Oscar a me sembrano delle tea che però non erano le rose “in voga” nel Settecento.

C'è una one shot pronta - e uno di voi lo sa!

Per chi commenterà: perché secondo voi Danielle non ha cenato con Oscar quella sera? Perché non le ha dato nessun consiglio?

   
 
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