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Autore: Astry_1971    18/01/2009    4 recensioni
“Ti prego, tienilo lontano da questa guerra.”
La sua voce si fece ancora più bassa e roca, quasi un sussurro.
“Il Signore Oscuro non ha dimenticato il suo fallimento. Io resterò vivo finché Lui penserà di aver bisogno di me, ma non riuscirei a proteggere tuo figlio questa volta.”
Questa storia è il prequel di “Dopo la vittoria” ma, essendo stata la mia prima Fan Fiction, ho deciso, su consiglio (beh… diciamo su minacce) di Ida59, di riscriverla da capo. Spero che questa nuovissima versione vi piaccia.Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, inedito all'epoca della prima versione di questa FF.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Severus Piton, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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JDS:Ecco finalmente siamo arrivati alla resa dei conti. Scusa se ho tardato tanto, spero che questo capitolo ti piacerà.

Ultimo capitolo, ma non finisce qui, perchè Traditore ha un seguito che ho già pubblicato in questo sito tempo fa, e si intitola "Dopo la vittoria"
Ringrazio tutti quelli che hanno letto anche se sono stati molto silenziosi, ma visto che non ho perso lettori per strada immagino che la storia sia piaciuta almeno un po' (e arrivò una valanga di critiche ;-P)


Cap. 13: La profezia si compie

Voldemort era in piedi accanto al suo trono, il suono provocato dalla materializzazione lo fece voltare di scatto, gli occhi rossi fissi sull’uomo bruno di fronte a lui, mentre la sua mano scendeva ad accarezzare la testa squamosa di Nagini.
“Mio Signore!” Piton s’inchinò come sempre davanti al suo padrone ma, questa volta, non provò nemmeno ad occultare i suoi pensieri. Non era più necessario, lo sguardo di Voldemort era più che eloquente: sapeva della distruzione dell’Horcrux ed, evidentemente, sapeva che lui non ne era estraneo.
Nel gesto di Severus c’era tutto il dolore dei ricordi, il peso di un passato in cui il mago, al quale stava baciando la veste, era stato il suo unico punto di riferimento.
Ed ora, che erano giunti all’ultimo atto di quella tragedia, gli anni della sua giovinezza, l’ammirazione che provava per quell’uomo, ammirazione che si era poi tramutata in odio feroce, desiderio di riscatto e infine in disperazione e rimorso, sembravano piombargli addosso in un misto di sentimenti contrastanti, difficili da distinguere. Come se passato e presente si fossero improvvisamente fusi, e l’antica venerazione per il suo maestro potesse convivere con l’odio e la determinazione che lo avevano trascinato in quella sala pronto a compiere il suo ultimo dovere, spianando la strada al ragazzo che avrebbe dovuto ucciderlo.
Per quanto la rabbia del Signore Oscuro mascherasse ogni altro sentimento, anche lui, proprio come Piton, sapeva che tutto si sarebbe concluso quel giorno, in un modo o nell’altro.
Forse i sogni di gloria di Voldemort stavano per sbriciolarsi travolti da un ragazzino di diciassette anni. Sogni che non erano poi così diversi da quelli che avevano portato un giovane mago, incredibilmente dotato, ad immolare la sua anima in cambio di un’immensa conoscenza.
Severus aveva veramente ammirato il grande mago. Voldemort gli aveva offerto ciò che bramava di più. Era stato il suo maestro da quando aveva lasciato Hogwarts.
Lui, lo studente più brillante della scuola, isolato dai suoi coetanei, sempre assetato di sapere, non l’aveva seguito, come altri fanatici, per preservare la magia dei maghi purosangue.
Loro avevano entrambi il sangue sporco, Severus Piton, il principe mezzosangue, e Tom Marvolo Riddle, figlio di un padre Babbano, un padre che lo aveva rinnegato.
Il loro scopo era lo stesso: la magia, nella sua forma più alta e assoluta. Il loro destino sarebbe stato lo stesso: esserne sopraffatti.
Voldemort si avvicinò lentamente all’uomo in ginocchio.
Dietro l’apparente calma, Piton riconobbe un’ira furibonda pronta ad esplodere.
Sì, Potter aveva sicuramente già distrutto l’Horcrux, il suo Signore lo sapeva e sapeva anche perché lui si trovava lì.
Le pupille infuocate del mago più anziano incrociarono le iridi nere di Piton che portò la mano a stringere l’impugnatura della sua bacchetta.
Poi, con un gesto maestoso, Voldemort sollevò le braccia.
S’udì un boato sordo, mentre il soffitto prese a frantumarsi sopra di loro, e grosse pietre precipitarono al suolo.
“Protego!” Piton puntò la bacchetta verso l’alto e, con un suono metallico, le pietre, che continuavano a piovere su di lui, s’infransero contro la sua barriera.
Un ghigno malefico si dipinse sul volto di Voldemort che frustò l’aria e subito l’altro fu sollevato da terra e scaraventato contro la parete, per poi ricadere a terra scomposto. Piton si tirò su sulle braccia ma, immediatamente le labbra si piegarono in una smorfia e lui dovette trattenere il respiro, mentre una fitta al fianco lo costringeva a chinarsi di nuovo in avanti.
Probabilmente aveva qualche costola rotta.
Strinse i denti e provò a respirare lentamente, maledicendo i propri polmoni che, avidi d’aria, ne pretendevano sempre di più, obbligando i muscoli del suo petto a tormentare le ossa fratturate con le loro contrazioni.
Sollevò il viso, gli occhi luccicarono attenti e determinati, mentre puntava il legno magico, ma non era il suo maestro l’obbiettivo: non era nel suo destino sconfiggerlo, qualcun’altro era nato per questo.
“Avada Kedavra!” il raggio verde partì dalla bacchetta di Piton e, mancando Voldemort di poco, continuò la sua corsa verso il fondo della sala.
Il sibilo acuto di Nagini si sommò all’urlo rabbioso di Voldemort.
“NOOOOOOO!”
I due maghi fissarono il grosso rettile che si contorceva spasmodicamente per poi ricadere immobile, privo di vita.
Il Signore Oscuro si voltò verso Piton. Il volto era deformato da una furia cieca.
“Che cos’hai fatto?” Ruggì, la sua voce era arrochita dalla collera.
“Vi ho reso mortale.” Piton si rimise in ginocchio appoggiandosi al muro, gli occhi erano fissi sull’altro, ma la bacchetta era abbassata: ormai il suo compito era finito.
“Crucio!”
Il dolore giunse improvviso e il mago si ritrovò a contorcersi sul pavimento. Probabilmente stava urlando, ma anche la sua stessa voce gli sembrava un eco lontano. Perse la cognizione del tempo. Poi il dolore cessò, come era venuto, dopo secondi, minuti o forse ore.
Quando riaprì gli occhi, Voldemort era chino su di lui, il suo sguardo era quello del demonio in persona, ma, immediatamente, la rabbia lasciò spazio ad un’espressione di sincero stupore.
“Non credevo che avresti osato tanto.”
Severus lo guardò sbalordito.
“Voi ... voi sapevate? Perché...?” ansimò.
“Perché non ti ho ucciso prima, vuoi dire?”
Gli occhi di Piton, profondi come la notte, erano fissi in quelli rossi di Voldemort. Tentò inutilmente di sollevarsi, ma ricadde supino con una smorfia di dolore.
“Perché sapevo che era quello che desideravi.” proseguì. “Sospettavo il tuo tradimento da molto tempo, Severus, ma sei stato comunque molto utile, molto più utile di quegli sciocchi fanatici che mi circondano. Ho giocato con te, Severus, ho giocato e tu mi hai battuto.
Ho creato il vuoto intorno a te e tu sei riuscito comunque ad aiutare i miei nemici.
Ti ho messo una spia alle costole e tu l’hai indotto a tradirmi.”
Un brivido percorse il mago a terra, Voldemort lo notò e le sue labbra si piegarono in un sorriso cattivo.
“Sì, Severus, so anche del tuo socio improvvisato.” Si rimise in piedi. “Vedi, non sono mai stato certo della tua fedeltà, ma tu sei stato bravo a nascondermi il tuo inganno, Draco invece no. Ammetto che mi è stato molto più utile come spia dopo essere passato dalla tua parte.”
Mosse la bacchetta nell’aria e dietro di lui apparve il giovane Malfoy, raggomitolato sul pavimento, apparentemente immobilizzato, ma cosciente.
“Scoprirà presto cosa significa tradire Lord Voldemort.” Disse, quasi con noncuranza.
Piton si sentì morire: fissò il ragazzo, sforzandosi di non perdere la lucidità. Doveva trovare una soluzione. Doveva esserci un modo per salvarlo, per non rendere inutile il sacrificio di Silente. Doveva ragionare in fretta, ma si sentiva soffocare dall’orrore.
Poi, improvvisamente, guardò Voldemort e le labbra si piegarono in un riso maligno.
“Il moccioso… è solo uno sciocco, è stato facile ingannarlo.” Caricò la sua voce, pur flebile, di quel tono di disprezzo e disgusto che anni di menzogne gli avevano insegnato ad esibire alla perfezione.
“Ma… uccidendolo farete un torto ad uno… dei vostri più fedeli… seguaci. Lucius… è sempre suo padre.” Continuò sarcastico, obbligandosi ad ignorare il dolore che gli procurava ogni parola che pronunciava.
“Oh, Lucius non è del tutto esente da colpe. Se è stato così poco accorto nei suoi doveri di genitore, pagherà anche lui le conseguenze.” Si chinò ancora sull’altro. “Tuttavia, credo che la vita di quel ragazzino stia a cuore anche a te, non è vero, Severus?” sibilò.
Severus si sollevò faticosamente e i suoi occhi si gettarono spavaldi nelle iridi fiammeggianti del suo Signore.
“Il ragazzo non mi interessa… è servito ai miei scopi… ho avuto ciò che volevo.” Affermò.
“Non ti interessa?” mormorò Voldemort, meditabondo.
Poi si voltò di scatto e, con la rapidità di un serpente, puntò la bacchetta verso Draco. Un anello di fuoco lo circondò immediatamente. Severus sussultò, mentre il giovane prese a gridare terrorizzato.
L’anello si stringeva a vista d’occhio. Presto il fuoco l’avrebbe raggiunto.
Le dita sottili di Piton artigliarono la ruvida pietra del pilastro, e, con uno sforzo, il mago si rimise in piedi.
Tentò di restare impassibile, nell’assurda illusione che Voldemort potesse ancora credergli e risparmiare il ragazzo, ma, ben presto, anche quella piccola speranza lo abbandonò.
Il Signore Oscuro sarebbe arrivato fino in fondo e lui avrebbe assistito anche a quella morte senza poter fare niente. Una morte orribile.
Qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe servita a salvare il ragazzo, ma non poteva di certo restare a guardare.
Draco continuava ad urlare. Era straziante.
Strinse con forza la bacchetta, Voldemort non si era nemmeno preoccupato di disarmarlo, e sollevò faticosamente il braccio indolenzito puntandolo verso l’anello di fuoco: uno strano vento prese a sospingere le fiamme lontano da Draco, come se questo si trovasse al centro di una tromba d’aria.
Voldemort, per tutta risposta, scoppiò in una risata crudele, ma non cercò di contrastare la magia di Piton, bensì, puntando la sua arma sul mago che continuava ad alimentare il vento salvifico, sussurrò la maledizione, quasi pesando e gustando ogni sillaba.
“Crucio!”
Il dolore esplose ancora, scuotendo il corpo del suo servo come se fosse attraversato da una scossa elettrica. Severus strinse gli occhi con forza, mentre lacrime salate sfuggivano al suo controllo, assieme ad un lamento acuto e soffocato.
Tuttavia, non abbassò il braccio e l’incantesimo su Draco restò attivo.
Sapeva che Voldemort non l’avrebbe fermato, non avrebbe fatto un contro incantesimo, ma l’avrebbe torturato finché lui stesso sarebbe stato costretto ad interrompere la sua magia, uccidendo così il giovane Malfoy.
Severus scivolò nuovamente in ginocchio, il braccio era sempre teso, ma tremava così tanto da non riuscire a mantenere costante il vento, cosicché le fiamme, in alcuni momenti, arrivavano a lambire il corpo del giovane.
Aprì gli occhi e vide l’espressione di trionfo dipinta nello sguardo di Voldemort, mentre con un movimento elegante, ma deciso, del braccio, elargiva nuova forza alla maledizione.
Un altro spasmo incontrollato e le dita di Severus si aprirono di scatto, lasciando scivolare a terra la bacchetta e, con lei, l’ultima speranza.
Il mago cadde disteso su un fianco. Il viso era contratto in una maschera di dolore e disperazione.
Strinse con forza le palpebre, quando l’urlo agghiacciante di Draco lo raggiunse.
Si portò le ginocchia al petto e le mani alle orecchie, pregando, supplicando di poter morire in quello stesso istante, prima di poter assistere all’epilogo della terribile vendetta del Signore Oscuro. Prima di vedere concretizzato l’incubo che lo aveva accompagnato ogni notte in quell’ultimo anno.
Poi, i suoi pensieri e sensazioni divennero sempre più confusi e le urla di Draco divennero sussurri. Anche le sue urla, che in un primo momento rimbombavano come tuoni nella sua testa, divennero a tratti suoni indistinti, lontani, per poi tornare ad aggredirlo taglienti e insopportabili, simili a dolorose staffilate.
Sentì le unghie spezzarsi contro la ruvida pietra del pavimento, mentre cercava di afferrarsi a qualcosa di reale, di saldo, convogliando nelle mani la tensione di tutto il corpo, nel tentativo di contenere gli spasmi divenuti ormai incontrollati.
Desiderava unicamente trovare un appiglio, una fessura tra quelle maledette lastre di marmo consumato, alla quale potersi aggrappare.
Aveva l’impressione che il suo corpo gli fosse estraneo, non riusciva più a disporre dei propri muscoli che si contraevano obbedendo solo e unicamente ai comandi della sofferenza. Solo le dita sembravano seguire ancora gli ordini del suo cervello, sicure ancore capaci di trattenere un corpo impazzito.
Se non fosse stato per il dolore, avrebbe creduto che l’insieme di ossa e carne, che continuava a colpire la pietra, non gli appartenesse.
Altrettanto incontrollati sembravano essere diventati i suoi pensieri.
Voldemort aveva usato altre volte la Cruciatus su di lui, e lo aveva fatto persino mentre cercava di penetrare nella sua mente. Lui aveva sempre resistito, ma questa volta era diverso.
Questa volta il suo Padrone non cercava informazioni, non voleva provare la sua fedeltà. Ormai conosceva la verità e lui non aveva più pensieri da proteggere.
Ora stava torturando per uccidere. Sarebbe arrivato fino a superare il limite oltre il quale non si era mai spinto.
Oltre c’era la morte o la follia. Entrambe desiderabili, entrambe vicinissime.
Forse avrebbe solo dovuto lasciarsi andare. Forse era così che la pazzia avrebbe preso il sopravvento, sostituendo pensieri distorti alla realtà che non voleva più vedere: Draco, la guerra, i rimorsi.
Il dolore poi, doveva farlo smettere. Era lì, nella sua testa.
Doveva fermare il suo cervello e non avrebbe più sentito niente. Doveva vuotare la sua mente, dimenticare. Dimenticarsi di avere un corpo, dimenticare il suo stomaco che sembrava voler saltar fuori scosso dai conati di vomito. Dimenticare di avere un cuore che come un cavallo impazzito continuava a percuotergli le costole. Forse, se avesse smesso di ascoltarlo, si sarebbe fermato. Dio, perché continuava a battere? Quanta forza poteva esserci in quello stupido muscolo per continuare, caparbiamente, a pompare sangue in un corpo che aveva ormai meno volontà di una bambola di pezza?
Lacrime indecenti presero a scorrere sul volto sporco e sudato, per essere immediatamente celate dai capelli che si erano incollati alla pelle bagnata. Si erano intrecciati quasi a formare una maschera, involontaria difesa di una dignità che al mago non interessava più.
Poi l’agognato oblio giunse pietoso a sottrarlo all’orrore: il mago scivolò nell’incoscienza.
Per un breve momento, non ci furono grida, non ci fu dolore, solo un’infinita pace.
Guardò le proprie mani e vide quelle di un bambino intento a mescolare uno strano intruglio iridescente nel calderone. Provò un’immensa gioia, mentre ammirava tutti quei magnifici colori. Poi l’ansia. La pozione si addensava rapidamente e i suoi occhi, gli occhi del bambino, si riempirono di lacrime: le sue braccia non erano abbastanza forti per vincere la resistenza della sostanza che si faceva sempre più compatta. Non ce l’avrebbe mai fatta: avrebbe perso la sua pozione colorata, avrebbe perso il suo sogno.
“NOOOO!”
Improvvisamente, altre mani, mani sottili di una donna, si unirono alle piccole dita, racchiudendole come in un abbraccio e donando nuovo vigore al loro movimento circolare.
Il bambino sollevò gli occhi e guardò il volto di sua madre che gli sorrideva. Era bella: per Severus lei era la più bella, anche quando portava sul viso i segni dell’ira di suo padre, e sorrideva. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, ma sorrideva. Il suo vestito sorrideva, anche le sue lacrime sorridevano.
Poi quel sorriso divenne sempre più sfocato, fino a sparire del tutto, inghiottito da una luce accecante. Il bambino tentò di raggiungerla, ma un forte dolore gli impediva di muoversi: protese, disperato, la piccola mano che tornò ad essere quella di un adulto, mentre la luce si tramutava in furiose lingue di fuoco. Al volto di sua madre, si sostituì il viso di un ragazzino biondo, un viso orribilmente ustionato.
Il corpo del mago sussultò, nel momento in cui la realtà tornava in tutta la sua crudeltà, strappandolo al sogno attraverso il lancinante dolore al fianco, e precipitandolo nuovamente all’inferno.
Avrebbe voluto non svegliarsi, strinse le palpebre in un ultimo disperato tentativo di non vedere l’orrore che si era appena consumato in quella sala. L’ennesima vittima di quella guerra, un’altra persona a cui voleva bene, persa per sempre.
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto del suo Padrone che aveva smesso di torturarlo e lo fissava assorto.
Istintivamente alzò lo sguardo verso il punto in cui si trovava il ragazzo: le fiamme erano spente e lui era ancora vivo.
Prima che potesse chiedersi perché, Voldemort gli voltò le spalle e si avvicinò a Draco.
Lo scrutò con un’espressione disgustata. Poi chinò appena il capo come un bambino che osserva un giocattolo rotto, per decidere se gettarlo o utilizzarlo in qualche altro modo.
“Vuoi vivere?” domandò.
Draco tremava e respirava a fatica. Si sollevò mettendosi in ginocchio. Lo fissò incredulo, ma non disse nulla.
“Ti ho chiesto se vuoi vivere.” Ribadì rendendo più acuta la sua voce.
Il giovane mago annuì impercettibilmente.
Voldemort sollevò il mento in un atteggiamento solenne.
“Ti risparmierò la vita, allora,” prese a camminargli intorno con una lentezza esasperante. “Ma dovrai guadagnarti il mio perdono.”
Si bloccò di scatto e si voltò di nuovo verso il giovane, facendo ondeggiare il mantello. Gli fece cenno di alzarsi e Draco obbedì.
Severus seguì il mago con lo sguardo, mentre posava la mano sulla spalla di Malfoy e lo spingeva verso di lui.

Quando furono abbastanza vicini, Voldemort protese il palmo su cui si materializzò un pugnale d’argento finemente decorato. Guardò Draco e poi di nuovo Severus che si era sollevato appoggiandosi sui gomiti.
“Abbiamo giocato, Severus, ma ora il gioco è finito. Tu mi hai sfidato ed io devo ucciderti.” levò il braccio brandendo il pugnale che scintillò minaccioso, specchiandosi negli occhi di Piton.
“Sai come muore un traditore, Severus?”
L’altro non rispose.
“Oh sì, certo che lo sai. Non ricordo…” Si posò un dito sulle labbra fingendosi pensieroso. “Quante volte hai eseguito questa condanna per me: due, quattro volte?” sorrise. “Vuoi spiegare tu al nostro giovane amico quello che deve fare, o vuoi che lo faccia io?”
Severus guardò Draco: aveva il viso rigato dalle lacrime e si sforzava di trattenere i singhiozzi. Poi tornò a fissare Voldemort e i suoi occhi si accesero di rabbia.
“Maledetto!” con uno sforzo si alzò da terra, ormai gli restava solo la forza della disperazione, e si gettò contro l’altro, per poi ricadere pesantemente sul pavimento di pietra.
Quel gesto, inaspettato quanto inutile, costrinse Voldemort a fare un balzo indietro.
Il mago esplose in una risata sguaiata.
“Bene! Immagino, allora, di doverlo fare io. Ma prima ho bisogno di un ultimo servigio da te.”
Puntò la bacchetta su Piton e il suo corpo si sollevò da terra come una marionetta legata a fili invisibili. I piedi penzolavano ad un palmo dal pavimento, mentre il mago si sforzava di tenere sollevata la testa, sfidando con odio lo sguardo infuocato del suo padrone.
Poi abbassò gli occhi sul proprio braccio sinistro che, contro la sua volontà, si protendeva in avanti col palmo della mano rivolto in alto. Tentò di riprendere il controllo dei suoi muscoli, ma senza successo: la prolungata Cruciatus lo aveva privato di tutta la forza, ogni tentativo di opporsi alla magia di Voldemort si rivelò inutile e gli procurò solo altro dolore.
Lui gli afferrò il braccio, strappando con violenza la manica della tunica.
Il Marchio era più scuro che mai in presenza del suo Signore. Il teschio con un serpente avvinghiato, segno della sua schiavitù, prese a pulsare dolorosamente.
Severus gettò la testa indietro e strinse con forza le palpebre, mordendosi il labbro per non urlare, quando il mago posò sopra al tatuaggio la mano scheletrica e quello divenne rovente.

Nello stesso momento, i Mangiamorte impegnati nella fortezza dei Black sentirono il loro braccio ardere come fuoco: il loro Signore li stava chiamando. Bellatrix, che stava duellando contro Alastor Moody, si artigliò la manica della tunica e, voltandosi di scatto verso i suoi compagni, urlò:
“Via di qui, andiamocene.”
Poi prese a correre verso la sua scopa che giaceva a poca distanza da lei.
Il vecchio Malocchio, che era deciso a non farsela sfuggire per l’ennesima volta, si tuffò contro un altro Mangiamorte disarcionandolo e, impadronitosi della sua scopa, si lanciò all’inseguimento.
Quando furono vicini al limite della barriera uno ad uno i seguaci di Voldemort si smaterializzarono lasciando che il loro mezzo di trasporto precipitasse in mare, inabissandosi fra quelle onde nere.
L’Auror vide il corpo di Bellatrix diventare trasparente mentre la maga recitava la formula di smaterializzazione, senza pensarci troppo agguantò il suo occhio magico strappandoselo dal volto e lo lanciò con forza contro la schiena di Bellatrix. L’oggetto sparì con lei.

Intanto, Voldemort aveva liberato Piton, lasciando che il suo corpo crollasse a terra come un pupazzo inanimato, e si era avvicinato a Draco.
Aveva un ghigno cattivo dipinto sul volto diafano.
Malfoy continuava a tremare con tale violenza che si riusciva a sentire il rumore stridente dei denti che battevano tra loro.
“Uccidilo!” gli disse porgendogli il pugnale. “Un solo colpo, al cuore.”
“Io… io… no, io non posso…” balbettò il giovane, barcollando all’indietro.
“Non hai capito, ragazzino.” Ruggì, Voldemort. “Non hai altra scelta: o lo uccidi, o io ucciderò te.” scandì infilandogli il pugnale fra le dita.
Draco lo strinse e sentì la nausea salirgli in gola.
Piton sollevò appena la testa e lo vide sbiancare. Distolse lo sguardo: non doveva guardarlo negli occhi, sapeva esattamente ciò che provava il ragazzo in quel momento, c’era già passato, e l’ultima cosa che avrebbe voluto ricordare erano gli sguardi delle sue vittime.
Chiuse gli occhi…
Dunque era per questo che aveva lottato? Per questo Silente si era fatto uccidere?
Aveva sacrificato la sua anima perché le mani di Draco non dovessero mai macchiarsi di sangue, per poi essere proprio lui ad imbrattarle col suo.
Strinse i pugni con rabbia: ne avrebbe dato fino all’ultima goccia per salvargli la vita, ma non in quel modo.
“Avanti!” lo incitò Voldemort e, voltandosi, andò a sedersi maestosamente sul suo trono.
Draco lo seguì con lo sguardo, mentre l’Oscuro si preparava ad assaporare la sua vendetta.
Poi tornò a guardare Piton: gli occhi spalancati dal terrore imploravano un aiuto che il mago non poteva dargli, lo sapeva. Si lasciò cadere in ginocchio.
“Non sono un assassino.” Mugolò “Non posso, questo non lo farò mai.”
Allora Piton sollevò stancamente le palpebre e lo fissò a sua volta. Un sorriso illuminò il suo volto pallido.
“No… non lo sei.” Mormorò con fatica. Poi, con un impercettibile movimento degli occhi, suggerì al ragazzo di spostarsi leggermente, in modo da dare le spalle a Voldemort: il Signore Oscuro non doveva vedere ciò che stava per fare.
“Gli Auror… arriveranno.” Disse in un soffio, in modo che il suo Signore non potesse sentire.
“Devi vivere… questo è… l’unico modo.”
“No, no, non può essere, no! Io non la ucciderò.”
“Non lo farai…” Sollevò le braccia e strinse la mano armata di Draco fra le sue, come aveva fatto la donna del sogno. “Sarò io a farlo.” Disse, tirandola con forza verso di sé.
“No!” Draco, preso alla sprovvista, tentò trattenere il pugnale.
In quell’istante un nugolo di tuniche nere fece la sua apparizione nella sala delle udienze.
Piton si bloccò, prima che la lama arrivasse a ferire il suo petto, e si voltò di scatto verso i Mangiamorte, che, a loro volta, fissarono impietriti lui e il ragazzo.
Bellatrix Lestrange fece qualche passo avvicinandosi a loro, quando un rumore metallico attirò la sua attenzione: un piccolo oggetto sferico le rotolò ai piedi. Gli occhi della maga si spalancarono dal terrore e la consapevolezza di aver condotto gli Auror dal suo padrone la rese folle: esplose in una risata isterica, barcollò all’indietro incespicando nell’orlo della tunica, mentre cercava di mettere più distanza possibile tra lei e quello che riconobbe essere l’occhio di Moody.
Voldemort si alzò lentamente e rivolse alla donna, che era stata la sua serva più fedele, uno sguardo di puro disprezzo.
“Draco scappa, non farti trovare qui.” Severus spinse il ragazzo lontano da sé, e Malfoy corse ad infilarsi in una porticina laterale.
In pochi secondi la sala si riempì di Auror, i lampi degli incantesimi si accompagnarono a urla ed esplosioni. In breve tempo il pavimento si coprì dei corpi di morti e feriti di entrambe le parti.
Alcuni Mangiamorte, prevedendo l’imminente fine del loro padrone, si erano già dati alla fuga.
Piton si era trascinato ai piedi di una colonna e si appoggiò al piedistallo di marmo. I suoi occhi individuarono, in mezzo a quel massacro, il ragazzo sopravvissuto che incedeva determinato verso il proprio destino.
I pensieri di Harry Potter irruppero nella mente di Voldemort come nella sua. Entrambi udirono quelle parole che l’uno aveva sempre ricercato e l’altro non avrebbe mai voluto ascoltare. Videro la figura evanescente di Sibilla Cooman negli occhi del ragazzo. La sua voce che sembrava provenire dall’aldilà, mentre pronunciava la Profezia di fronte ad Albus Silente.
Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato all’estinguersi del settimo mese... l’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto... e l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive ... il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore nascerà all’estinguersi del settimo mese...
Voldemort seppe di essere stato la causa della propria distruzione, e un’espressione di orrore deformò il suo volto: fissò Potter che continuava ad avanzare verso di lui con le labbra serrate e la bacchetta in pugno.
Nella sua mente la voce della veggente continuava ad urlare la profezia ascoltata a metà da un giovane Severus diciotto anni prima, e che aveva segnato le loro vite.
Piton guardò il ragazzo sopravvissuto, guardò gli Auror e i suoi amici di gioventù divenuti tutti Mangiamorte, e capì.
Capì di essere stato l’elemento scatenante di tutto: una pedina che il destino aveva voluto in un luogo e in un preciso momento, per i suoi scopi.
Un errore, quello che considerava il più grande errore della propria vita, li aveva invece portati alla distruzione definitiva di Voldemort.
“Professore, professor Piton!”
Il mago si mosse quel tanto che il suo corpo indolenzito gli permetteva, e rivolse a Draco un’occhiata di rimprovero. Perché non aveva obbedito?
Non era sicuro per lui restare in quella sala, gli Auror non potevano sapere che il ragazzo era dalla loro parte.
“Draco… ti ho detto di andartene!” lo sgridò, temendo per la sua vita.
Ma in quella confusione nessuno aveva fatto caso al ragazzino biondo che tentava di raggiungere carponi il suo ex professore.
Draco restituì al mago la bacchetta che aveva raccolto poco distante.
“Non senza di lei!” affermò deciso, mentre lo afferrava per le spalle cercando di metterlo in piedi.
“Si appoggi a me, ecco così.” disse sistemandogli il braccio intorno alla vita.
Piton si abbandonò all’abbraccio di quel giovane uomo, provando un misto di gratitudine e orgoglio per quello che avrebbe potuto essere suo figlio, e si lasciò trascinare fuori da quell’inferno.

La potenza scaricata dagli incantesimi aveva creato attorno al castello una nube nera che vorticava intorno alle sue torri. Sembrava che la furia degli elementi si fosse scatenata sopra le loro teste e la natura avesse deciso di fare la sua parte in quella guerra.
Piton e il giovane Malfoy, che avevano superato il cancello esterno, sollevarono lo sguardo rapiti da quello spettacolo spaventoso poi, improvvisamente, si udì un rumore cupo e prolungato accompagnato da una grande luce.
L’uomo cadde in ginocchio afferrandosi il braccio sinistro. I suoi occhi e quelli di Draco fissarono sbalorditi quello che sembrava sangue nero fuoriuscire dal marchio e che, gocciolando a terra, schiumava ribolliva come acido.
Appena il dolore cessò, Piton si pulì il braccio con la manica e i suoi occhi si riempirono di lacrime, il marchio nero era sparito. Sotto il sangue, dove quella cicatrice orrenda era stata marchiata a fuoco, c’era solo un’ombra sulla pelle candida e liscia.
Il mago si alzò di nuovo in piedi, appoggiandosi al ragazzo e, volgendo lo sguardo alle nuvole sopra il castello, ora tornate bianche e luminose, sussurrò sorridendo:
“Voldemort è morto… la guerra è finita”.



FINE






  
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