Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: malpensandoti    08/07/2015    5 recensioni
Lei rotea le pupille, stringendo con più forza la pochette firmata. “Connie – lo corregge – E tu sei quello che si è beccato quattro giornate di squalifica perché evidentemente non sa che sputare sugli arbitri è disumano?”
~
Louis Tomlinson è il terzo giocatore più pagato al mondo e Connie - semplicemente - non lo sopporta.

one-shot divisa in tre capitoli
Genere: Generale, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
so che avevo detto che sarebbero state due parti, ma purtroppo la cosa si sta facendo più lunga del previsto e francamente c'erano troppe cose nella seconda, perciò ho aggiunto un terzo capitolo così da rendere la lettura a voi più piacevole e la stesura più tranquilla alla sottoscritta.
sono molto contenta che l'inizio vi abbia incuriosito e spero che con questa seconda parte le cose vadano anche meglio!
se avete voglia, posso creare una playlist su 8tracks con le canzoni che hanno ispirato questa storia, fatemelo sapere!
vi mando un bacio grande e spero di rivedervi presto!
caterina


 




fever pitch
2/3
 



 
 
Niall finisce il suo panino come se fosse il primo dopo un lungo digiuno. Ha comunque la decenza di pulirsi la bocca piena di salsa col fazzoletto, prima di parlare. Beve un lungo sorso di Coke e poi “Peccato – esclama dal nulla – Mi mancherà far credere alla gente di essere il tuo ragazzo”
Connie ha il pollo infilzato dalla forchetta a mezz'aria, si guarda intorno nella mensa rumorosa della scuola e non capisce. Sta parlando con lei?
“Non fare quella faccia, Connie – ribatte subito il suo migliore amico, colpendosi il petto forte come se non riuscisse a mandare giù quel mostro di panino che ha appena divorato – Sono un ragazzo, ma non sono stupido. L'intera Inghilterra è convinta che io sia il tuo fidanzato, quello che porti ovunque. Adesso che c'è Louis-”
“Adesso che c'è chi?”
“Oh, non fare la finta tonta! – Niall ride, come per prenderla in giro – Quello che c'è stato a casa del Portiere-Payne è solo l'inizio”
“L'inizio della tua malattia mentale, Niall – Connie scuote la testa con esasperazione e appoggia il gomito sul tavolo rettangolare che è ormai la loro postazione – Non è successo nulla. Siamo solo due persone normali che stanno imparando a conoscersi”
Il ragazzo sbatte le ciglia chiarissime e incrocia le braccia sulla camicia bianca della divisa: “E ti sembra poco? Due mesi fa non potevi neanche vederlo! Gli hai dato un'opportunità, hai pianto davanti a lui. Questo lo consideri nulla?”
“Odio quando fai così” sbuffa Connie dopo qualche secondo di silenzio, irritata da tutta quella verità affilata.
Niall ride divertito e “Tu odi quando ho ragione – ribatte, mellifluo – Sei fortunata però, non capita quasi mai”
 
 
 
 
Il telefono collegato alla sua Range Rover nera squilla tra i sedili in pelle scura, facendo abbassare in automatico Girs Just Wanna Have Fun di Cyndi Lauper. Connie sobbalza e smette di battere le mani sul volante, si schiarisce la voce e clicca sul tasto dello schermo della radio, senza individuare il numero che la sta chiamando.
“Pronto?” risponde, fermandosi all'ennesimo semaforo.
Ecco perché odia andare a scuola in macchina, è esasperante Manchester alle quattro e mezza di pomeriggio.
Nena, mi amor! – si sente subito all'interno dell'auto – Còmo estas?”
“Louis? – esclama, con gli occhi spalancati e la voce incredula – Chi diavolo ti ha dato il mio numero?”
Non è assolutamente arrabbiata, certo. È solo sorpresa. Contenta, anche.
“Quell'incantevole donna di tua madre, nena – spiega il ragazzo con voce orgogliosa, il sorriso che affiora tra le vocali – Che si è anche lasciata sfuggire questa meraviglia di soprannome. L'ho googlato, sai? 'Nena'. Vuol dire-”
“Vuol dire 'piccola' in spagnolo, lo so, Louis – lo interrompe, scuotendo la testa e ricominciando a guidare – Sono per metà spagnola, ricordi?”
“Giusto, giusto”
Connie riesce finalmente a imboccare la strada per la campagna senza ulteriori interruzioni, si morde il labbro con forza e pensa a qualcosa di giusto da dire. Dio, da quanto è diventata così taciturna?
“Hai chiamato a casa mia?” domanda quindi, stupidamente.
“Mh mh. Pensavo di trovarti lì, invece mi ha risposto tua madre. Mi ha detto che eri a scuola e cazzo, non credevo fossi così piccola da andare ancora al liceo! Pensavo studiassi all'università o cazzate simili”
“Università o cazzate simili – lei ripete lentamente – Hai una bella considerazione dell'ordinamento scolastico”
Louis scoppia a ridere: “Oh, andiamo! Sono stato cacciato da tre licei per cattiva condotta eppure guadagno più di tutti i miei professori. Insieme. Direi che è un buon traguardo, no?”
“Come vuoi tu”
Connie non la pensa così, non è stata educata in questo modo. Tuttavia non ha voglia di discutere, non ha voglia di lanciare altre frecciatine. Vuole solo sentirlo parlare.
“Stai guidando? Devo richiamarti?” Louis domanda qualche istante dopo, più seriamente.
“No, tranquillo. Dimmi”
La strada è quasi deserta se non per le solite macchine grosse e costose come la sua che ingombrano tutto l'asfalto. Lui tace per diversi secondi e Connie dentro di sé pensa alla sfumatura dei suoi occhi mentre cerca le parole, al modo in cui le sue labbra sottili si increspano, così come la fronte alta.
“Giovedì sera. C’è una cena di beneficenza al Conference Centre. Ti andrebbe di venirci?”
“Come un appuntamento?”
“Scommetto che non vedevi l’ora – allude maliziosamente, facendola sbuffare forte – A ogni modo, puoi vederlo come un appuntamento o come un grosso aiuto a favore del Terzo Mondo”
“Devo pensarci” gli risponde allora Connie, accelerando appena.
I denti pungono il labbro inferiore e i suoi pensieri le stanno facendo perdere la concentrazione.
“Che c’è, sole? Hai paura di farti vedere in giro di nuovo con me? Con il cattivo ragazzo?” Louis scherza, ma il tono che usa nasconde una traccia di rabbia accesa.
“Sono una donna impegnata, a differenza tua – si difende Connie prontamente – Devo controllare la mia agenda”
Lo sente ridere sommessamente. Sorride a sua volta.
“Fammi sapere però – dice ancora Louis – Non vorrei ritrovarmi a chiederlo a mia madre. O peggio, ad Harry”
La ragazza ride, avvista da lontano la siepe alta che circonda casa sua e inizia a rallentare piano.
“Non hai una schiera di ragazze che muoiono per te? Che razza di calciatore sei?” lo provoca.
“Io ho occhi solo per te, nena” soffia lui dolcemente, prima di riagganciare all’improvviso e lasciarla sola a sorridere e arrossire.
 
 
~
 
 
 
Ovviamente partecipa.
Elsa è talmente orgogliosa di lei da avere le lacrime agli occhi. Le fa indossare uno degli ultimi completi della sua collezione ancora non in vendita e si premura di contattare i suoi truccatori e parrucchieri di fiducia.
“Sono proprio orgogliosa di te, mi amor” continua a dirle, che è un po’ come: “Stai andando avanti. Ci stai riuscendo”
L’auto di Louis arriva alle sei in punto, facendole tremare le ginocchia fasciate da un paio di pantaloni dritti e neri che si fermano appena sopra il tacco dodici dello stesso colore.
Louis indossa un completo blu metallizzato con una camicia bianca dalle ultime asole sbottonate. Dai sedili posteriori dell’Audi la osserva con un sorriso indecifrabile per qualche secondo, finché Connie non sbatte la portiera, si siede e “Beh?” sbotta, leggermente a disagio.
Il ragazzo si morde la nocca dell'indice, la macchina prende a muoversi e lui ridacchia appena: “Sai una cosa, nena? Tu mi stupisci sempre di più”
Connie respira forte e ringrazia lo strato di blush che ha sulle guance che impedisce al suo rossore naturale di mostrarsi. Invece aggrotta le sopracciglia e “Perché mi sono vestita elegante per una serata di beneficenza? Anche tu sei elegante ma non c’è bisogno di meravigliarsi così tanto”
Louis alza gli occhi al cielo, si passa una mano tra i capelli liberi dal gel e sorride scuotendo la testa. “Lascia perdere – le dice – Siete donne. Non potete capirle certe cose”
Connie invece sbuffa, ma decide di mordersi la lingua, è troppo nervosa e sa che parole sbagliate, in momenti come questi, potrebbero rovinare la situazione.
“Domani vai a scuola?”
“Come scusa?”
“Andiamo, nena! – esclama Louis esasperato – Non rendere le cose ancora più imbarazzanti”
Lei non riesce a trattenersi: si copre la bocca e scoppia a ridere forte. “Tu sei imbarazzato?”
Il ragazzo rotea gli occhi resi grigi dalle luci artificiali, si appoggia con la fronte al finestrino e “Donne – sospira sconsolato – Non capirete mai
 
 
 
 
Finiscono seduti insieme a Zayn Malik, il cantante r’n‘b che passa sempre in radio, e Simon Cowell, il produttore discografico che sua madre Elsa odia come giudice di X-Factor.
La serata è tipicamente noiosa, ma Louis ha il potere straordinario di farla ridere con uno sguardo. Continua a muoversi sulla sedia con insistenza, come se non aspettasse altro che saltare su quel tavolo costosamente apparecchiato e animare i continui monologhi che dal piccolo palco allestito continuano ad arrivare tramite microfono.
Connie mangia tutto ciò che le viene servito nonostante il suo disprezzo per la carne al sangue: sua madre le ha insegnato anche a non lasciare nulla, specie alle cene di beneficenza.
Louis si scioglie con l’andare avanti dei minuti, mormora battutine che fanno ridere i loro commensali con le rispettive compagne e Connie alza appena gli occhi al cielo e si sorprende nel ritrovarsi e “Scusatelo – dire – è un bambino”
Si sorprende perché ne sente quasi la necessità, come una donna che si scusa per i comportamenti infantili del proprio uomo, con il sorriso sulle labbra di chi ha già scelto di scusarsi per molte altre volte ancora.
Quel pensiero le scalda il cuore e fa anche tanta paura.
Il pancione della moglie di Cowell è più che visibile sotto al suo vestito pervinca lungo fino ai piedi, lei continua a ridere a bassa voce con Simon e insieme sembrano felici nonostante il monologo che sta andando avanti ormai da qualche minuto.
Zayn Malik e la sua compagna – Connie crede si chiami Perrie, ma non è del tutto sicura – invece sono molto più contenuti. O meglio, lui lo è. Lei non fa altro che ridere alle battute stupide di Louis e a elogiare Zayn.
“È stato scoperto mentre faceva un graffito, non è pazzesco? – ha esclamato a un certo punto – Voglio dire, quale persona al mondo infrange la legge fischiettando per poi firmare un contratto discografico?”
Concluso un lungo applauso, il telefono di Connie vibra accanto al suo piatto.
È Niall.
Tu e Tommo avete appena fatto impazzire tutti i giornali del Regno Unito! Gran bel vestito!”
“Quel biondino…”
Lei alza la testa di scatto, Louis la sta guardando con le sopracciglia inarcate e l’espressione incerta. La stava spiando?
“Quel biondino – le ripete – è il tuo, uhm, ragazzo?”
“Certo che no – esclama Connie – Siamo solo amici”
Louis arriccia le labbra e annuisce lentamente, senza aggiungere altro.
Perrie, intanto, si allunga verso l’orecchio bucato di Zayn e “Credevo che loro due stessero insieme!” mormora, concitata.
 
 
 
Il parco del palazzo del Conference Centre è in stile strettamente francese, le scalinate di pietra s’affacciano direttamente sulla fontana ovale e grazie al silenzio della sera si riescono a sentire le cicale che in mezzo al prato riempiono il silenzio.
Connie si è seduta sul corrimano che affianca la gradinata, ha le gambe incrociate e un sorriso stanco ma sincero.
La cena non è ancora terminata, ma al quinto bicchiere di vino italiano, Louis ha detto di aver bisogno aria fresca e lei ne ha semplicemente approfittato per sgranchirsi le gambe.
“Raccontami qualcosa”
Gira la testa per osservare il ragazzo appoggiarsi con il gomito sulla pietra, come per mettersi comodo.
“Su cosa?” gli domanda.
Lui scrolla le spalle e grazie alla luce che proviene dall’interno, i suoi lineamenti sembrano ancora più scolpiti. “Su di te”
Connie non capisce il perché di quella richiesta, eppure acconsente lo stesso: anche Niall quando beve inizia a chiedere quel genere di cose.
“Dunque – inizia, con un sorriso – Mi chiamo Connie Estela Marìa Johnson e ho quasi diciannove anni. Sono nata a Barcellona per volere di mia madre e prima di trasferirsi in Inghilterra, la mia famiglia ha vissuto a Milano”
Louis fa un verso schifato: “Quegli stronzi degli italiani…Sai, mio nonno non ha mai perdonato Johnson per aver accettato di allenare il Milan. Fortunatamente ha ritrovato la diritta via
Connie ride appena, poi continua: “Mia madre è una stilista di fama mondiale, fino a dodici anni mi ha fatto prendere lezioni di portamento. A cinque anni mi ha portata per la prima volta sulla passerella della New York Fashion Week e da allora mi ha sempre educata a far vedere il lato migliore di me. Non ho problemi a stare davanti a centinaia di fotografi ma odio i test di matematica, mi fanno letteralmente venire le crisi di panico. Non mi lamento, comunque. Ho conosciuto tanti miei coetanei molto più famosi della mia famiglia e ogni giorno ringrazio Dio solo sa cosa per non essere così viziata e povera. Non mi piace guidare, odio guidare. Lo faccio solo quando sono arrabbiata o in ritardo, ma non sono quasi mai in ritardo, mia madre dice che è una delle cose peggiori che si possa fare. Il mio colore preferito è il bianco e vorrei fare l’università a Boston e studiare letteratura latina e greca. Sono un metro e sessantacinque e appesa alla mia camera c’è una foto di una me quindicenne al fianco di Cristiano Ronaldo”
“Sì – Louis ride – Anche nella mia”
Anche Connie scoppia a ridere, prende fiato e strizza gli occhi. È leggera, spensierata, il clima del viaggio in macchina è completamente dimenticato da entrambi.
“Tocca a te” gli dice poi, nella voce la speranza che lui riesca ad aprirsi nello stesso modo.
Louis non sembra pensarla così, si sposta i capelli dalla fronte e si morde il sorriso in modo accattivante. Si avvicina lentamente, senza smettere di guardarla. Non si definiscono i colori, ma il suo sguardo ha comunque il potere di spaventarla. Appena appena.
“Qualc0sa su di me? – borbotta – Beh, penso che tu sia molto bella, stasera”
Il petto s’infiamma, Nars copre il rossore alle guance e Connie fa finta di niente, di certo non gli dice quanto le faccia piacere saperlo. È abituata, in qualche modo, ai complimenti. Ma lui è Louis, no? E glielo ha già detto e forse lo pensa davvero.
“L’alcool ti dà veramente alla testa” ridacchia, scuotendo la testa.
Lui si stropiccia gli occhi e fa un respiro profondo, drizzando le spalle. “Già, forse hai ragione” mugugna, tornando a guardarla.
“Vuoi che chiami qualcuno? – la mano di Connie corre in modo involontario sul suo volto freddo – Sei sicuro di stare bene?”
A quel punto, non ha nemmeno il tempo materiale di assimilare quel contatto che le labbra di Louis stanno divorando le sue con un’insistenza destabilizzante. Le sue mani le stanno stringendo forte il viso e la sua bocca scava con desiderio, alla ricerca di una risposta che arriva qualche secondo dopo, quando Connie scopre di desiderarlo con la stessa disperazione con cui Louis la sta baciando, la stessa intensità.
Le sue dita si aggrappano al tessuto costoso del blazer nero, tremando per l’emozione.
Da quanto non si sentiva così assurdamente in bilico? Così esposta, così nuda? Da quanto tempo non veniva toccata con tanta foga, non sentiva quella tempesta dentro?
Louis le respira addosso e sa di alcool pregiato e pensieri fusi, annebbiati dai brividi. Sorridono denti contro denti, vicini che quasi si uccidono a vicenda.
Connie è felice.
“Scusa per la giacca”
Louis le ride sulla guancia, poi gliela bacia.
E dannazione!, aveva ragione Niall.
 
 
Quando torna a casa, con il rossetto ormai cancellato del tutto e le labbra gonfie di dolcezza, Connie bussa piano allo studio di suo padre.
“Buonanotte, papà. Ti voglio bene”
 

~
 
 
L’ultima riunione sul tema della Premier League è il giorno dopo, alle quattro di pomeriggio.
Connie scarabocchia fiori sul fascicolo di fogli che ha davanti, seduta a quell’immensa tavolata di legno sulla sedia che un tempo occupava suo padre. Non interviene, non fa alcun tipo di domande. Lascia che Walsh parli a gran voce affiancato da Ben Winston e gli altri dirigenti sportivi.
In realtà non sta nemmeno ascoltando, non è il giorno adatto per preoccuparsi di quel genere di cose: ha dormito poco perché il sorriso troppo grande le impediva di riposare come avrebbe voluto e i pensieri quasi sbattevano tra una parte all’altra del suo cervello, senza sosta.
Adesso, con indosso i vestiti di riserva che lascia sempre in macchina, si sente una bambina in mezzo a tanti adulti dalle parole impronunciabili e progetti difficili. È come esiliata, non è più la portavoce ufficiale della sua famiglia, è semplicemente una ragazzina come non era da tempo.
E sono panni che nonostante tutto ancora le stanno e le stanno bene.
Cerca di non pensare al fatto che Louis sia due piani di ascensore sotto di lei ma non ci riesce, perché è così: lui è lì da qualche parte ad allenarsi, e magari ha pure il suo stesso sorriso imbarazzato ed emozionato, magari ha pure le stesse occhiaie e le stesse parole nella testa.
“Signorina Johnson – Walsh quasi la fa balzare sulla sedia, nel rivolgersi a lei all’improvviso – Avrebbe qualcosa da aggiungere?”
Connie passa dall’arrossire per i ricordi all’arrossire vistosamente nel ritrovarsi tutto il tavolo concentrato su di lei. Non ha la minima idea di ciò che è stato detto nell’ultima ora.
Cerca di farsi venire in mente le tante raccomandazioni che sua madre Elsa le ha fatto nel corso degli anni, quindi si schiarisce la voce, raddrizza le spalle e sorride in modo gentile nel rispondere: “Oggi è proprio una bella giornata, non trova?”
Con questo, si conclude ufficialmente la riunione. Tutta la sala ride e applaude, la gente inizia a uscire dalla stanza a piccoli gruppetti e Walsh sorride in modo serafico, senza aggiungere nient’altro.
Connie saluta cordialmente visi conosciuti e poi esce dalla stanza, camminando tra i lunghi corridoi della società in modo veloce, senza smettere di sorridere.
Al piano terra ci sono alcuni ragazzini del young team che, sulle poltroncine della reception, sbattono i tacchetti delle Nike sul pavimento, producendo un rumore ricco di nervosismo. Quando la vedono uscire dall’ascensore, arrossiscono e abbassano la testa di scatto, riconoscendola.
Sono molto buffi e in più Connie è di buon umore, fa loro un sorriso grandissimo e “Buon pomeriggio!” esclama, sorpassandoli. Si ferma giusto il tempo di andare in bagno per rinfrescarsi e poi esce.
Trova un sole freddo all'esterno, il cielo leggermente annuvolato e l’odore di prato appena tagliato.
Ben Winston sta facendo fare una partita a metà campo e la squadra sembra tesa, in qualche modo agitata. Connie si ferma accanto alla panchina a bordo campo e non capisce cosa stia succedendo, il perché di quegli sguardi così seri.
Ben, le braccia incrociate e le gambe aperte, le rivolge un cenno gentile e poi “Coraggio, Harry! – urla, facendola sobbalzare – Muovi un po’ quei piedi, cazzo!”
“Questa non ci voleva” sospira Sexton, uno dei preparatori tecnici, al suo fianco.
“Tomlinson è il capitano, il cuore della squadra – mormora Ben, come una cosa negativa – Se gioca male lui, anche gli altri fanno di conseguenza”
A questo punto, le sopracciglia di Connie si aggrottano duramente mentre con lo sguardo cerca verso il campo quel viso vispo che stanotte non l’ha fatta dormire.
Louis indossa una pettorina arancione fluorescente ed è sudato, ricurvo su se stesso con le mani ancorate alle ginocchia. Respira affannosamente e ha gli occhi distratti, che vagano da una parte all’altra del campo in attesa di capire cosa e come fare. Non si muove però, rimane ancorato al prato umidiccio come se qualcosa lo tenesse incollato. È strano vederlo così e Connie proprio non capisce: Louis è fastidioso, soprattutto durante gli allenamenti. Gli piace stare al centro dell’attenzione, prendere in giro i suoi compagni e vincere, adesso sembra semplicemente stanco e quasi arrabbiato.
Tomlinson! – l’urlo di Walsh le fa sbattere gli occhi e lei torna a guardare verso la panchina, dove l’allenatore è appena arrivato con la sua espressione rabbiosa e l’impermeabile della società sopra al completo elegante – Vuoi che ti porti un caffè intanto che ti riposi? Muoviti, cazzo! Fa' qualcosa!”
“Fanculo” si legge tra le labbra di Louis, mentre lui si toglie velocemente la pettorina e la scaglia per terra. Cammina in mezzo al campo senza nemmeno preoccuparsi di scontrarsi con i suoi compagni e si dirige verso gli spogliatoi senza ascoltare i richiami concitati di Winston.
“È una testa di cazzo, Ben – Walsh alza una mano nella sua direzione, bloccandolo – Non ne vale neanche la pena”
Poi richiama la squadra e ordina dieci giri di campo.
 
 
 
Mezz’ora dopo, Connie è ancora arrabbiata.
Picchietta con impazienza l’anfibio sul pavimento del corridoio ed è arrabbiata, sì, esattamente come quando si è congedata con Walsh e ha cercato di arrivare agli spogliatoi senza passare dalle porte che si affacciano sul campo. Il che è stato veramente troppo semplice.
Con le braccia incrociate e i denti che morsicano il labbro inferiore, aspetta impaziente che Louis esca dallo spogliatoio ancora vuoto. Vuole capire e forse ritrovare la stessa persona che solo la sera prima l’ha baciata così forte da renderla felice, da farla sentire importante non per il nome ma per i gesti, le parole, per tutto quello che ha fatto marcire dentro e che adesso piano piano fiorisce.
Louis esce diversi minuti più tardi, col borsone sulla spalla destra e gli occhi rossi da doccia bollente. Ha i capelli ancora umidi e profuma di bagnoschiuma sportivo, quell’odore dolciastro che sembra l’unica cosa capace di farla stare in piedi. Questo perché lui non si premura nemmeno di alzare gli occhi dal pavimento lucido nel superarla; la schiva velocemente, quasi a non volerla nemmeno vedere.
Connie però non ci rimane male – o meglio, ci rimane male, sì, ma lo capisce perché è arrabbiato e quando si è arrabbiati si scappa sempre – e lo segue, lo chiama “Louis!” e gli blocca il polso che non sorregge il borsone, bloccandolo.
Non ci rimane male neanche quando lui le scansa la mano, fermandosi con uno sbuffo seccato. Ha per lo meno la decenza di voltarsi e fronteggiarla e i suoi occhi sono solo ghiaccio, tanto da farla pentire all’istante di essere lì.
“Che diavolo vuoi? – le dice – Perché sei qui? Volevi tirarmi su il morale, mh? Hai pensato che siccome ci siamo baciati ora siamo una coppia o una stronzata simile? Che puoi venire a consolarmi come una brava fidanzatina? Non trovi sia patetica la cosa? Voglio dire, non abbiamo neanche scopato! Un po’ affrettato tutto questo amore, sì? Anche se forse non hai tutti i torti, voglio dire, non avremmo mai scopato. Sei probabilmente la persona più frigida che abbia mai conosciuto. Perché no-”
Il rumore è così forte che Connie quasi pensa di avergli rotto la mandibola, mentre la sua mano sbatte contro la guancia di Louis, zittendolo all’istante. È una fortuna che il colpo faccia tanto rumore comunque, o si sentirebbero i pezzi di Connie che si frantumano al suolo.
“Sei un figlio di puttana, lo sai?” singhiozza dalla rabbia.
Louis, la guancia rossa e il viso girato, sorride verso il muro decorato di stemmi e fotografie, si ricompone lentamente e “Sì – conferma – me lo hanno detto un paio di volte”
Connie non aggiunge altro, è troppo elegante per permettersi di fare scenate. È lei quella che ora lo supera, è lei quella che ora scappa.
 
 
 
Non c’è niente di peggio che piangere per chi non se lo merita.
Questo Niall non lo dice, non lo farebbe mai. Ascolta piano i suoi sussurri, le stringe forte le mani e i capelli, le bacia dolce le guance.
Tutta la notte.
 
 
~
 
 
“Odio gli uomini”
“Grazie”
“Odio gli uomini tranne gli irlandesi”
“Sai, ho letto da qualche parte che Tomlinson ha parenti a Dublino…”
“Odio anche gli irlandesi”
Niall ride, alza gli occhi dal libro di letteratura inglese e guarda Connie che tiene le mani in grembo e lo sguardo fisso sul soffitto blu di quella camera da letto piccola. Le chiede: “Va meglio?”
La sua migliore amica gonfia il petto e le guance, poi si stiracchia la schiena e “Direi di sì – risponde – Anche se Shakespeare non è d’aiuto”
Niall storce appena le labbra, pensando. “Questo è il tuo problema” sbotta poi, dandosi una spinta con la sedia girevole della sua scrivania.
Connie punta i gomiti sul materasso e alza la schiena per guardarlo meglio, aggrottando la fronte perplessa: “Cosa? Shakespeare?”
Il ragazzo scuote la testa e sorride: “No, non Shakespeare, stupida. Dicevo questo. Tutto questo. Tu corri, sempre. Hai vissuto la tua vita correndo come un razzo, senza preoccuparti di vivere davvero. Non guardarmi così! Sto cercando di fare un discorso serio! Cazzo, il ragazzo di cui ti stavi innamorando ti ha detto che voleva praticamente portarti a letto solo ieri eppure…eppure guardati! Stai studiando Shakespeare, mi hai portato perfino un cheeseburger!”
“Mi stai dicendo che vivo la mia vita correndo perché ti porto da mangiare?”
“Non è questo il punto! – esclama Niall frustrato, balza in piedi e si passa le mani tra i capelli – Quello che sto cercando di dirti è che non ti fermi a…ad assaporare i momenti. Voglio dire, dovresti disperarti, piangere, mangiare gelato e urlare per almeno una settimana, invece sei qui come se nulla fosse. Questo è il tuo problema”
“Quindi dovrei stare male?”
“Quindi dovresti emozionarti, sentire per davvero. E se ciò significa stare male, allora sì, dovresti”
Non la sta rimproverando – sarebbe una scena comica se così fosse, la sta semplicemente aiutando, come un amico, un fratello maggiore. Niall ha semplicemente ragione e Connie questo lo sa bene.
Il fatto è che correre la tiene in vita, se si fermasse solo un attimo probabilmente finirebbe come suo padre e ciò non deve succedere. Non deve succedere.
“Mettiamo che io stia effettivamente piangendo – borbotta poi, inclinando appena la testa – Cosa potrei fare, per stare meglio?”
Il sorriso di Niall è spaventosamente inquietante mentre risponde: “Sbronzarti, mi sembra ovvio”
“Stai scherzando?”
Lei si siede a gambe incrociate e controlla velocemente l’orario col telefono appoggiato al materasso.
Sono quasi le sei e questo significa che tra meno di un’ora lo United giocherà contro l’Arsenal e sarà la prima partita che lei non seguirà da…da sempre.
“Perché dovrei scherzare?” ribatte subito il ragazzo ancora in piedi, come punto da uno spillo.
“Perché tu sei Niall Horan”
“Non si scherza su cose serie come le sbronze – sospira, come se fosse deluso – Ma, a ogni modo, è questo l’unico rimedio per la sofferenza che non stai attraversando”
Connie ci pensa qualche istante, giusto il tempo per capire chi diavolo ha voluto che Niall Horan diventasse il suo migliore amico. Poi sospira e scuote la testa con un sorriso, mormorando: “So che me ne pentirò amaramente, ma forse hai ragione”
 
 
 
 
Quindi si ubriaca.
Guida con Niall accanto fino al Venus, si incipria per l’ennesima volta il naso allo specchietto retrovisore e sfoggia l’espressione più pacata che riesce a trovare. Non devono nemmeno fare la fila per entrare perché Fred, il buttafuori, è stata la guardia del corpo di sua madre dopo il piccolo incidente in macchina dovuto ai paparazzi, a Los Angeles. Brutta storie le stiliste.
Quando la vede, le fa un sorriso grande e Connie si sente appena più tranquilla mentre passa sotto la sua ascella e inizia a percorrere il piccolo corridoio prima della cassa.
Il Venus è probabilmente il locale più costoso e famoso di Manchester ma non è questo l’importante, no. Quello che conta veramente sono i liquori dai nomi stranissimi che Niall continua a ordinare e quei gusti diversissimi che passano sotto al suo palato e bruciano da morire. A Connie non piace bere così come odia l’odore del fumo, ma si fida di Niall e in più, la nuova prospettiva con cui vede quell’orrenda situazione non è così male.
Quindi sì, si ubriaca.
È la prima volta che succede e forse è anche per via dello stomaco vuoto, ma capita e lei adesso non è nelle condizioni di rifletterci più di tanto.
È stranamente goffa, si appoggia all’avambraccio di Niall che ora ride, impreca e alza gli occhi al cielo. Connie si guarda intorno e scoppia a ridere a intervalli irregolari, guadagnandosi occhiate dalla gente a cui sbatte contro.
La musica è assordante e il locale ora pieno di persone vestite elegantemente, perfino Niall ha indossato una camicia azzurra. Non è di certo il posto migliore per prendersi la sbronza del secolo, ma Connie ha raggiunto lo stato mentale in cui non le importa assolutamente di niente, nemmeno delle ipotetiche persone che potrebbero fotografarla o filmarla. Si sente bene, con le ginocchia molli e i pensieri annebbiati. Non c’è dolore, non c’è il vuoto che morde.
“Andiamo fuori a prendere un po’ d’aria, ti va?” le dice Niall all’orecchio, sorreggendola per i fianchi dopo aver sceso malamente le scale.
Connie scuote la testa e si morde le labbra come una bambina, guardandolo negli occhi e ridendo. Le piace quel gioco, la fa sentire piccola piccola.
Niall alza gli occhi al cielo ma sorride, la stringe più forte e l’accompagna fuori senza fretta. Si invertono i ruoli e lei, nella sua euforia, riesce a capire perché il suo migliore amico ami così tanto bere: è leggera, così leggera che le sembra di volare.
Niall la porta verso la macchina, aprendola da lontano. Connie ha voglia di correre e lo fa, raggiunge la portiera del guidatore e ride, ride fortissimo. Entra, si siede, appoggia la testa e stringe il volante e ride.
“Posto sbagliato, signorina” dice Niall con un sorriso, appoggiandosi contro la vettura nera.
Lei strizza le pupille e s’imbroncia all’improvviso, con l’espressione serissima borbotta: “Tu non guiderai la mia macchina”
“Vorrà dire che prenderemo un taxi” ribatte il ragazzo tranquillamente.
“Io non prendo taxi
“Un autobus, magari”
Connie non ha mai preso mezzi pubblici in tutta la sua vita, le fa ridere anche solo il pensiero. Infatti ride. “Quanto sei sciocco” esclama, scandendo bene le parole e accompagnandole con cenni brevi del capo.
“Io sono sempre sciocco – ribatte Niall in modo saccente – Sei tu che sei ubriaca”
Le fa ridere il suono della parola ‘ubriaca’, infatti ride. Scoppia a ridere anche più forte di prima, arricciando il naso come una bambina. Chiude gli occhi contro il volante scomodo e si dimentica perfino di respirare.
Sente il sospiro esasperato di Niall che “Cazzo – impreca tra i denti, per poi aggiungere – Finalmente” e farla incuriosire.
“Ci sono problemi?”
Anche ‘problemi’ ha un suono che la diverte, Connie spalanca gli occhi e ghigna in modo quasi spaventoso, senza controllo. Forse la fa ridere perché a pronunciarla è Louis Tomlinson, che ora affianca Niall con quella disinvoltura bastarda che l’ha sempre mandata fuori di testa e che invece ora semplicemente appare come qualcosa su cui scherzare.
Con i suoi vestiti scuri e fuori stagione, la sta osservando con un cipiglio incuriosito, come se si fosse imbattuto in una scena del genere giusto per caso.
Problemi, problemi. Sì, è decisamente divertente.
Tu hai dei problemi, Louis Tomlinson!” lo accusa, le sopracciglia aggrottate e l’indice della mano puntato verso la sua figura.
Lui non risponde subito, la osserva per qualche istante e poi, come se lei non avesse detto nulla, si rivolge a Niall. “Gran bella sbronza” commenta, scrollando le spalle.
“Sì, amico. Puoi dirlo forte – risponde subito l’altro, poi spalanca gli occhi e si corregge – Voglio dire, non amico. Insomma, non mi permetterei mai di chiamarti ‘amico’, chiaro no? Cioè, non voglio sembrare presuntuoso o cosa, tu sei Tomlinson e io-”
“Niall – Louis lo interrompe, sorridendo – Calmati e respira. Va bene?”
L’irlandese gonfia le guance rossissime e annuisce velocemente. Quindi l’altro si china sulle ginocchia e richiama l’attenzione di Connie, che ora lo guarda con gli occhi spalancati inverosimilmente, muta come un pesce. Osserva con minuziosa attenzione tutti i movimenti del ragazzo, che sorride in modo tenero, accarezzandole il braccio e poi la gamba. Sembra volerla rassicurare, anche mentre “Va tutto bene?” le domanda, il tono dolce.
Connie non capisce, non sul serio. Louis ha un potere straordinario, sembra tenerla in pugno come la peggiore delle prede. È completamente incantata sul suo volto, sulle sue mani leggere, le dita come piuma.
“Problemi” sputa fuori di colpo, e di certo non ha lo stesso suono di quando a dirlo è la voce di Louis, che ora la sta osservando dal basso con gli occhi azzurrissimi e sereni. Non c’è traccia del ragazzo che solo il giorno prima le ha frantumato il cuore.
“Perché non ti siedi nell’altro sedile così possiamo riportarti a casa?” le chiede, inarcando le sopracciglia.
Di riflesso Connie stringe forte il volante, il volto tirato dalla rabbia. “Guido io, voglio guidare io” s’impunta.
Louis scuote lentamente la testa, con la mano si ferma all’altezza del suo ginocchio. “No, bambolina – risponde – Non puoi guidare in queste condizioni”
“Invece ! – scatta Connie, spalancando gli occhi e guardando i suoi in modo spaventosamente serio – Io guido. Guido e poi mi schianto, sì. Lo faccio” e preme sull’acceleratore per enfatizzare il concetto.
Non succede nulla ovviamente, ma il ragazzo sospira e lancia un’occhiata a Niall, in piedi con le braccia incrociate.
“Perché vorresti fare una cosa del genere, nena?” torna a domandarle.
Sedersi deve averle fatto venire sonno, un sonno che quasi risucchia. Connie sbadiglia e si lascia andare come un peso morto contro Louis, che ha i riflessi d'atleta e riesce a prenderla in tempo prima che si sbilanci troppo. Le fa appoggiare la testa sulla sua spalla mentre piano le accarezza i capelli e la sente dire: “Forse così mio padre si accorgerebbe di me”
 
 
 
 
~
 
 
Superfluo dire che non ricordi nulla della sera prima, quando quella mattina apre gli occhi.
Non crede nemmeno di essere nel suo letto, è troppo duro e largo per pensare di essere nella sua camera.
Connie alza le palpebre lentamente, sbadigliando e stiracchiando le ossa sotto quel piumone nero ormai caldo. Ecco!, piumone nero: decisamente non è a casa sua.
Non ha neanche il tempo materiale per iniziare a preoccuparsi che dalla porta dipinta di bianco entra prima un vassoio blu e poi Louis, il quale cammina scalzo sulla moquette crema e che ha i pantaloni della tuta troppo lunghi che s’infilano sotto ai talloni. Quando la vede con gli occhi quasi aperti, sorride in modo furbo, ma sembra contento lo stesso.
“Bella Addormentata – l’apostrofa, appoggiando il vassoio sul comodino basso – Dormito bene?”
Connie è troppo stanca e confusa, ma sa che comunque qualcosa dentro di lei è scattato, non appena l’ha riconosciuto. Vorrebbe non essere così felice di vederlo lì, a prendersi cura di lei, ma sarebbe una bugia e sua madre dice sempre che le bugie dette male non hanno lealtà.
Si strofina gli occhi e con orrore sente il mascara prudere da morire, si volta sotto il piumone e “Quale dei Sette Nani sei, tu?” gli domanda, la voce che sa di sbronza.
Lo vede alzare gli occhi al cielo con aria esasperata mentre scuote appena la testa e si siede sul letto, accanto alle sue ginocchia.
“Lascerò passare quest’orrenda battuta sulla mia altezza perché i Sette Nani non hanno niente a che fare con la Bella Addormentata – è Connie ora che rotea gli occhi – In più, sono comunque più alto di te”
Louis è così bello e semplice da togliere il fiato, letteralmente. Anche qui, con addosso una stupida felpa sportiva e i capelli in disordine, riesce a sembrare la persona più affascinante che lei abbia mai incontrato. Deve esserci qualcosa nel suo sangue, tra quelle vene scurissime che s’intravedono sotto la pelle delicata, qualcosa capace di farlo vibrare, vi farlo splendere.
Lei respira forte, stanca morta. Si gira di fianco e chiude gli occhi contro il cuscino come per rimettersi a dormire, eppure domanda: “Cos’è successo?”
Sente la mano di Louis delineare le sue gambe sopra al piumone, quando lui risponde.
“Ieri sera l’intera squadra ha festeggiato la vittoria al Venus – racconta – Beh, tutti tranne Payne. Lui è troppo sfigato per rinunciare agli appuntamenti con le ragazze. A ogni modo, a metà serata, Harry è venuto da me e mi ha detto di averti vista insieme al tuo amico biondino, ma nella confusione non ho capito nulla. In realtà credevo che fosse lui a stare male, ma quando sono uscito mi sono dovuto ricredere. Cazzo!, micetta, ti piace proprio bere, eh?”
Connie, rossa d’imbarazzo, emette un grugnito e tace.
Louis sorride, continua: “Ti sei addormentata tre minuti dopo, così ho pagato a Niall un taxi e gli ho detto di avvisare tua madre che saresti stata fuori a dormire e ho guidato la tua macchina fino a casa mia, dove sei adesso”
Le ci vuole un po’ per metabolizzare effettivamente la cosa. Da una parte si sente male al pensiero di essersi ridicolizzata così tanto davanti a lui, dall’altra parte invece è lusingata da quella premura: Louis si interessa, tiene a lei.
“Che gentiluomo” commenta, per sdrammatizzare i suoi pensieri che inevitabilmente stanno prendendo quella piega.
Louis emette uno sbuffo divertito, ma i suoi occhi sono seri, liquidi come l’oceano. “Sì, beh. Non avrei mai potuto lasciarti in quelle condizioni. Tuo padre non me lo avrebbe mai perdonato”
Tac. La goccia che il vaso lo fa esplodere. Il sorriso di Connie s’inclina vertiginosamente perché è suo padre, suo padre, sempre suo padre. Certo, le è venuto in soccorso perché suo padre non glielo avrebbe mai perdonato, cosa diavolo stava pensando? Che potesse interessarsi a lei per altro? Per qualcosa di più concreto, sincero?
“Grazie” gli risponde, la voce che si è fatta un soffio.
Si stringe nelle spalle, accucciandosi in modo protettivo, poi chiude gli occhi e le ossa paiono pesare più di prima. Le sembra quasi di essersi addormentata di nuovo quando sente Louis sospirare e dire: “Lo sai che non intendevo quello”
“E cosa intendevi dire?” le viene spontaneo chiedere, la bocca ancora impastata di sonno.
“Che anche io ho dei principi – le risponde e dal tono che usa, sembra che la stia accusando di dire l’esatto contrario – Tuo padre non mi avrebbe mai perdonato, ma io non me lo sarei mai perdonato. Non sono un mostro, non sono il menefreghista di cui la gente ama parlare sui giornali o durante le news sportive”
Il Louis che le si presenta davanti è quello che ha sempre cercato: si sta aprendo, si sta mostrando con tutta la rabbia che ha addosso.
“Ti ricordi una delle prime cose che mi hai detto? Alla presentazione delle nuove magliette, te lo ricordi? Hai detto "disumano". Come una cazzo di bestia. Sai perché ho sputato addosso a quell’arbitro, Connie? Ha dato della puttana a mia madre. Capito? Quattro giornate di squalifica perché un figlio di cane ha insultato mia madre. Non è buffo? Ah, e ti ricordi la famosa notte di fuoco con le tre modelle? Io neanche c’ero, a quella dannata festa! Per non parlare di quanto io sia ‘indisciplinato, rozzo e arrogante’ in campo. Come se fosse colpa mia se la persona che mi allena è un bastardo incompetente del cazzo”
È un riflesso: Connie gli cerca la mano e gliela stringe forte. Il mondo dagli occhi di Louis sembra ribaltato da quanto diverso. Di certo non è un santo, questo è ormai risaputo. Ma è buono, in fondo. Difende ciò che ama con i denti, fino allo sfinimento.
Si mette seduta con la testa che ancora gira, fronteggiandolo. Sembra pieno di rabbia spenta, chiusa dentro a gabbie insonorizzate che circolano insieme al sangue tenendolo in vita.
“Per questo sei venuto a cercarmi? – vuole sapere – Perché hai dei principi?”
Louis gonfia il petto, la guarda negli occhi: “Per questo. Per chiederti scusa. Perché semplicemente non potevo non farlo. Non arrivati a questo punto”
Da questo punto infatti, non si torna più indietro.
 
 
 
~
 
 
È una storia comune.
Louis ha appena finito il settimo anno di scuola e non ha mai conosciuto suo padre, sua madre Johannah di tanto in tanto sbircia da dietro le tende bianche del loro piccolo trilocale in periferia e dallo sguardo che fa sembra qualche secondo speranzosa di vederlo sul marciapiede sempre pieno di rifiuti. Passa subito però, in un attimo è già affranta come sempre.
Sua sorella Rae ha diciotto mesi meno di lui e condividono il letto a castello come la Russia e l’America un tempo condividevano la pace: lui le fa trovare scarafaggi finti sotto al cuscino e lei gli appiccica la Big Babool sul pigiama.
Da grande Louis – capelli ancora a scodella – diventerà famoso. Come Beckham che dribla sul suo muro.
E le insegnanti lo sanno bene che quando si mette in testa una cosa, quella è.
Il suo primo stipendio calcistico lo riceve all’età di quindici anni, in una di quelle società per giovani campioni a cui è stato iscritto dopo essere stato scoperto a una partita di scuola.
Rae diventa sempre più scorbutica però sua madre ha smesso di guardare fuori dalla finestra e non ha più l’aria affranta. Louis non capisce bene, pensa: forse suo padre sta tornando.
E – bisogna perdonarlo – è solo un ragazzino a cui non è stato ancora insegnato a fare l’uomo. Non ha figure di riferimento se non il nonno con l’apparecchio all’orecchio destro e lo zio strambo che vedono solo a Natale.
Sugli spalti piccoli del campo in cui la domenica gioca, ci sono sempre tanti padri orgogliosi e lui invidia i suoi compagni perché anche lui vorrebbe rendere fiero un padre nella stessa maniera.
A sedici anni e mezzo è già nel young team dello United e incontra perfino David Beckham negli spogliatoi, durante una partita giocata in casa. L’uomo gli dice: “Andrai lontano”
Effettivamente, Louis va. Non ha nemmeno compiuto diciott’anni quando l’Aston Villa lo chiama a giocare in prima squadra. Louis non si monta troppo la testa, non è quello il suo scopo. Lui ama giocare a calcio, ama quello sport e quel lavoro, gli viene naturale essere bravo.
Com’era cominciata? È una storia comune.
Il padre che ritorna dopo che il figlio è finalmente qualcuno.
Se lo ritrova davanti casa una mattina d’autunno. Louis ha diciannove anni, Vincent quarantasette.
Inventa quelle scuse di merda che solo un uomo che non ha voluto una famiglia può dire, e Louis ci crede perché solo un ragazzo che vuole un padre può farlo.
Johannah non lo perdona, non vuole neanche parlare con l’ex compagno, Rae è troppo presa dal primo anno di Fashion alla UAL per voler intraprendere una cosa del genere. Invece Louis, lui sì che vuole finalmente essere il figlio di un padre.
Vincent è goffo, simpatico, amichevole e megalomane, dice una marea di stronzate ma le dice bene, con quel tono e quella voce che poi irrimediabilmente sembrano vere.
Abita a Liverpool, ma viene sempre a vederlo allo stadio e sempre passano il weekend insieme, come padre e figlio.
Di tanto in tanto, Johannah prova a intervenire, a dire che è semplicemente una brutta persona. E Louis s’incazza, s’incazza parecchio.
È una storia comune.
Vincent gli chiede in lacrime cinquantamila sterline tre giorni prima di Natale. Deve dargli a delle persone o queste persone gli faranno del male.
Louis gli fa un generoso regalo e gli dice di sparire, gli dice che per lui è come aver perso il padre un’altra volta.
Il resto non lo racconta, non è importante. Ciò che bisogna sapere adesso è quanto lui faccia fatica a credere alle persone.
Non vuole essere ferito un’altra volta, non vuole andare in campo e avere quella sensazione di vertigini che parte dalla gola secca, quel dolore lancinante che prende anche il cuore.
E sai cosa fa, quando avverte i primi sintomi? Quando vede di essersi sporto troppo? Quando capisce di essere in trappola?
È una storia comune.
Attacca.
 
 
 
~
 


 
Sente il suo cuore battere a ritmo regolare, sotto il suo orecchio.
Louis ha il respiro leggero e le mani bollenti, le sente contro la pelle delle braccia e del fianco e ciò la tranquillizza. Connie ha il volto che coincide con l’incavo del suo mento e non vorrebbe essere da nessun’altra parte, ne è sicura.
Lui smette di parlare con la stessa voce con cui ha iniziato a farlo, come se non stesse raccontando di qualcosa di tanto importante da lasciargli i lividi addosso, come se fosse abituato a coprirli quotidianamente.
Stanno avvinghiati sotto il piumone, con la colazione ormai fredda appoggiata al comodino e gli strati di vestiti addosso che non coprono lo stesso quell’essere nudi nella medesima maniera.
Connie gli accarezza il volto con le dita leggere, tracciandogli il profilo della mascella per poi sentire la pelle tendersi sopra le vene del collo, fino alla clavicola.
“Mi hai chiamata Connie – mormora – Non lo avevi mai fatto”
Louis china la testa in modo tale da guardarla, osservare con curiosità i suoi grandi occhi e scuri, come quelli di suo padre. La mano gli corre ad accarezzarle il viso olivastro mentre accenna un sorriso che è solo dolce, intimo come quel momento.
Non c'è alcun bisogno di dire altro.
 
 
 
Louis non smette di dire il suo nome.
Per esempio, quel pomeriggio, mentre fanno l'amore con il piumone accartocciato ai piedi del letto, lo ripete respirando a bocca aperta, contro la sua guancia calda e l'orecchio tappato dall'emozione.
È un sussurro dettato dalla passione, dai brividi lungo la schiena e le mani di Connie che gli stringono i fianchi bianchi.
Connie, Connie, Connie...
Fuori c'è il sole, Manchester sembra un'altra cosa.
Non interessa a nessuno.
 
 
~
 

 
Quella sera, quando Connie torna a casa, si concede di fermarsi davanti all'ufficio di suo padre, in fondo al corridoio.
Appoggia la fronte contro la superficie dalla porta e sospira forte, sorridendo lievemente. È strano provare quel tipo di emozioni davanti a qualcosa che solo giorni prima l'avrebbe annientata un'altra volta.
“Sono qui papà. Sono sempre qui”
 
 
 
 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: malpensandoti