capitolo
O
T T A V O
Le cose belle.
Itachi entrò in casa dopo una giornata di
lavoro, sfilandosi il cappotto e poggiando le chiavi dell’auto nel contenitore
che avevano all’entrata.
«Sas’ke, sono a casa!» affermò cercando di capire dove fosse
suo fratello – solitamente lo trovava sul divano a studiare, o al tavolo della
cucina, ma non era in nessuno dei due posti.
Attraversò
il corridoio legandosi meglio i capelli dietro la nuca, e quando arrivò davanti
alla porta della sua stanza finalmente lo vide, intento a trafficare con le
valige che aveva messo in un ripiano dell’armadio.
«Che stai
facendo?» gli chiese, osservandolo mentre faceva cadere una ad una le grosse
borse impolverate sul suo materasso. Naturalmente non era un
problema di Sasuke se lui avesse dormito nella polvere, gli sembrava ovvio.
Il più
piccolo si bloccò per un istante, lanciando sul pavimento un’altra borsa, «Sto
cercando una cosa» si limitò a rispondergli, scaraventando fuori dall’armadio anche
l’ultima borsa, «Che non è qui, e non è nemmeno in camera mia».
Itachi sospirò passandosi la mano sul viso,
era stanco, e francamente non gli andava di stare dietro ai raptus di suo
fratello, ma dal momento che stava distruggendo la casa, e in particolare la
sua camera, forse era il caso d’intervenire.
«Se mi dici
che cosa stai cercando forse ti posso aiutare» gli fece notare recuperando le
valige, incominciando a rimetterle al posto mentre Sasuke saltava giù dal
materasso, sul pavimento, stendendosi a terra.
Lo vide
infilarsi sotto il letto senza dire niente, e qualche secondo dopo riemerge
stringendo qualcosa fra il pollice e l’indice, qualcosa che non sarebbe dovuto
essere lì. Itachi arrossì chiudendo gli occhi,
cercando di trovare qualcosa d’intelligente da dire mentre suo fratello lo
guardava con quel reggiseno in mano, altrettanto rosso in viso. Era una
situazione decisamente imbarazzante, ma oramai Sasuke era grande, e prima o poi
– in un modo o nell’altro – l’argomento sarebbe saltato fuori.
«Non è
quello che pensi» gli disse, cercando di spiegarsi, «Asami
ha dormito qui quand-».
«Non voglio
saperlo» la faccia di Sasuke era qualcosa di comico e indescrivibile, lasciò
cadere l’intimo sul pavimento e poi uscì dalla stanza in silenzio. Itachi si massaggiò le tempie cercando di tornare ad un
colorito quanto meno umano, ripensando alla sera in cui Asami
aveva cenato da loro.
Si era
fermata a dormire, ma non avevano fatto sesso, forse lei lo aveva tolto per
dormire, ma in qualsiasi caso non era importante.
Raggiunse
Sasuke steso sul divano, con il naso dietro un libro che probabilmente non
stava leggendo, e poi si sedette accanto a lui.
«Puoi
ascoltarmi un secondo?» gli chiese poggiando la mano sul libro, cercando di
abbassarlo per guardarlo in faccia, ma lui non ne voleva sapere.
«Tu e Asami state assieme, ed era ora, quindi non credo ci sia
niente da dire» borbottò con il suo solito fare piatto e sbrigativo, senza
alzare gli occhi dalle pagine.
Itachi lo guardò espirando a fondo, e poi
allungò una mano a scompigliarmi i capelli, osservandolo mentre si stringeva
nelle spalle e storceva gli occhi infastidito, prendendogli il polso per farlo
smettere.
«Comunque
cercavo le mie scarpe» gli disse, cambiando argomento, e Itachi
sorrise alzandosi dal divano.
«Ti ho detto
che le avrei messe sul balcone» gli ricordò, andando verso la portafinestra per
recuperargliele.
Sasuke lo
guardò allontanarsi, domandandosi come avrebbe fatto a guardare in faccia Asami alla lezione di quel pomeriggio senza pensare al suo
reggiseno blu, sotto il letto di suo fratello.
-―❁―-
Itachi inspirò profondamente. Il
riscaldamento dell’auto era così alto che faceva fatica a respirare.
Non sapeva
perché era così agitato. L’idea di essere fidanzato da più di due mesi gli
piaceva – a Sasuke, inoltre, sembrava non dare fastidio. Certo, la storia del
reggiseno blu di Asami non sembrava essere
dimenticata del tutto, ma almeno non ne parlavano più e Sasuke non lo guardava
più con quella faccia di disgusto misto disapprovazione.
Certo,
come se lui non avesse mai… iniziò a pensare, bloccandosi subito
dopo. No. Non voleva entrare nella sfera privatissima di suo fratello. Erano
fatti suoi. Se avesse avuto problemi e avesse voluto dei consigli, sapeva dove
trovarlo.
Aprì il
finestrino, spegnendo il riscaldamento per inspirare profondamente un po’ di
aria fresca. Era esattamente quello di cui aveva bisogno: respirare. Non gli
sembrava così difficile… lo faceva continuamente da quando era nato. L’idea di
non riuscire più a farlo perché era in imbarazzo lo tormentava… imbarazzo di
cosa?
Ridacchiò,
passandosi una mano sugli occhi, controllando il volante con la mancina. «Devo
smetterla di farmi tutti questi problemi senza senso…» borbottò a sé stesso,
rallentando per parcheggiare.
Aveva promesso
ad Asami che sarebbe andata a prenderla dopo il
lavoro al Dojo. Sasuke era a casa con alcuni suoi
compagni di scuola per studiare, e Itachi non voleva
di certo disturbarli – inoltre, se c’era la possibilità di rimanere un po’ con Asami senza sentirsi gli occhi del più piccolo addosso
avrebbe colto l’occasione al balzo. Chiuse la macchina, infilando le mani in
tasca per sopravvivere al congelamento mentre aspettava che i bambini uscissero
dalla palestra, accompagnati dai genitori che erano andati a prenderli.
«È
permesso?» chiese, scherzando, osservando Asami
togliersi la tunica bianca per sostituirla con un maglione verde militare. Un
colore che, a dire il vero, le donava molto.
La ragazza
si voltò e gli sorrise, ritornando a piegare le proprie cose per infilarle in
borsa, «Ha preso appuntamento, signore?» domandò sarcastica, sfilandosi i
pantaloni per rimanere in leggings. «Se ha qualcosa
da chiedere deve rivolgersi direttamente al mio superiore» continuò, cercando
il paio di jeans da mettersi. C’erano un paio di sue amiche che, se avessero
visto quella sua abitudine dei pantaloni sopra i leggings,
probabilmente l’avrebbero uccisa seduta stante. Ma l’importante era stare
caldi.
«Veramente
volevo scambiare due parole con lei, signorina Miyagi…» continuò lui, tenendole il gioco.
Asami estrasse i calzini e gli anfibi dalla
borsa, chiudendola poi con un gesto secco. Si girò completamente verso di lui
slegandosi i capelli, «Mi dispiace, anche io ricevo solo su appuntamento»
disse, pettinandosi con le dita.
Itachi le sorrise, e quel gesto gli illuminò
il volto. Le prese il gomito con delicatezza, tirandosela vicino per
stringersela e si chinò a lasciarle un bacio sulle labbra, «Volevo dirti che Sas’ke ha dei compagni di scuola a casa…» la informò,
accarezzandole la schiena prima di lasciarla libera di finirsi di preparasi,
«Non mi va di stare lì e fare l’avvoltoio, ormai sono grandi»
già, si consolò, non aveva senso continuare a trattarlo come
un bambino piccolo. Quindici anni erano tanti e bisognava consentire una certa
autonomia. «Ho pensato che potevamo fare un giro, magari» propose, sedendosi
sulla panchina che costeggiava la sala, aspettando che lei finisse di mettersi
le scarpe, «Se hai bisogno con la spesa…» disse, provocatorio.
«Non ci
sperare, Uchiha» rise lei, «La spesa la farò da sola
fino alla fine dei miei giorni». Asami sbadigliò, scompigliandosi
i capelli prima di mettersi in piedi e caricarsi sulla spalla la borsa, «Ma se
vuoi puoi venire a casa mia… Ormai Neko
non ha più bisogno di stare con la mamma» lo informò, facendogli intendere dove
voleva andare a parare, «Magari portarlo a casa sarebbe una bella sorpresa per Sascake, non credi?» chiese sorridendo.
Itachi annuì, tendendole la mano per
stringerla ed accompagnarla alla propria macchina.
Il sorriso
di Asami faceva sembrare tutto più bello.
-―❁―-
Quando Asami aprì la porta, Gandalf,
Guinness e Paprika andarono a strusciarsi sui loro piedi. Addirittura Severus, che doveva essere il meno socievole tra i gatti,
si era avvicinato e gettato a pancia all’aria, come a richiedere le coccole.
«Che hanno i
tuoi gatti?» domandò Itachi, chinandosi a grattare Severus che, in tutta risposta, iniziò a strusciarsi sul
pavimento.
«Vogliono da
mangiare, questi delinquenti» rispose l’altra, abbandonando la sacca sul
pavimento prima di afferrare Gandalf, il più vecchio,
tra le braccia, lasciandogli una cascata di bacini sulle guance, «Yin e Yang lo
avranno finito» commentò poi, come a voler giustificare l’assenza degli altri
due.
«E i
cuccioli di Guinness?» s’interessò Itachi, allontanandosi
da Severus quando questo iniziò ad arpionargli la
mano per giocare. Severus che giocava era un po’ come
sentire Sasuke ridere: un’occasione più unica che rara.
«Saranno di
là a giocare, figurati!» ribatté Asami, «Non fanno
altro che mangiare, giocare, vomitare, cadere e distruggermi la casa!» gli
disse, indicandogli sul tavolo una serie di cocci che, una volta, dovevano
comporre un vaso, «Per la cronaca, non è stato Neko»
lo rassicurò. Sapeva che Itachi non avrebbe gradito
più di tanto avere una piccola bestiola che distruggeva tutto – escluso Sasuke,
s’intende.
«Qualcosa mi
dice che sarà come avere un altro fratello…» borbottò lui, appoggiandosi sul
muro della cucina mentre osservava la fidanzata aprire tre bustine di cibo
umido per gatti e versarle nelle ciotole completamente
vuote. Si avvicinò per guardare i pacchetti vuoti, leggendone il sapore.
«”Tonno al naturale e gamberi in un delicato e raffinato
brodo”…» iniziò, cambiando poi la confezione, «”Tonno al
naturale con alici e surimi”», ridacchiò e buttò tutto nella
spazzatura, «Certo che li tratti bene…».
Asami sorrise, cercando di scavalcare i
gatti per arrivare alla porta sana e salva, «Più che un fratello, ti sembrerà di
avere un figlio» rispose, facendolo sorridere. Gli prese la mano e lo condusse
in sala, sedendosi sul divano e trascinandolo con lui.
«Sei
stanca?» le domandò Itachi, mettendosi comodo vicino
a lei, lasciando che Asami si appoggiasse alla sua
spalla. A forza di stare con i gatti, quella ragazza stava diventando
esattamente come loro. Si appoggiava e strusciava sugli altri con quella
delicatezza e quella innocenza dei cuccioli di Guinness che gli facevano sempre
tenerezza.
«Il gruppo
dei bimbi è tremendo» rispose lei, alzando il viso per mostrargli il proprio
sorriso. Aveva un viso che gli sembrava minuscolo e fragile, e lui aveva
l’obbligo di tenerlo tra le mani e proteggerlo da tutto ciò che potesse romperlo.
«Meno male
che Sas’ke non è così piccolo, allora» ridacchiò lui.
«Oh no! Sasuke ha talento… sai?» disse, quasi si illuminasse
parlando del proprio lavoro, «Ha dei riflessi pazzeschi. Magari è nel sangue»
continuò, ritornando appoggiata alla sua spalla.
«Ha fatto
kendo per un po’» confessò lui, «Gli piacciono le katane».
«Che ragazzo
violento!» commentò Asami, ridendo, «Addirittura
affettare la gente…».
Il suo
commento rimase sospeso nel nulla, mentre gli occhi scuri di lei si
specchiavano nei pozzi neri di Itachi che,
inconsciamente, le sorrideva. Aveva ancora quella sensazione di doverla
proteggere, che fosse piccola e fragile come un soprammobile di vetro o di
ceramica – esattamente come quello rotto dal vaso. Tutte le volte che pensava a
lei, cercava di ricordarsi ogni dettaglio di Asami:
le labbra sottili, il naso piccolo e dritto, il taglio degli occhi
insolitamente orientale. Ricordava anche le unghie tagliate corte e le
clavicole leggermente sporgenti.
«Sas’ke mi guarda ancora male per la storia del reggiseno…»
disse lui, quasi senza pensarci, spostandole un ciuffo di capelli dal viso.
«Evidentemente
è geloso perché non ne ha mai visto uno su una persona dal vivo in vita sua»
ridacchiò lei, mettendosi sulle ginocchia per poterlo baciare sulle labbra
senza farlo abbassare.
Itachi voleva farle notare che lui non l’ha
vista in reggiseno, e che non avevano combinato nulla di quello che Sasuke
pensava fosse successo quella notte. Ma non importava. Le sfiorò le spalle,
scendendo sulla schiena, sentendo la sua colonna vertebrale incurvarsi sotto il
suo tocco. Il respiro di Asami gli sfiorò le labbra e
le guance come una carezza, con gli occhi socchiusi, lei sembrava ancora più
bella.
«Forse
possiamo rimediare a quella sera…» commentò, facendo scorrere le mani sul petto
di Itachi, sfiorando i bottoni del maglione,
arrivando alla cintura dei jeans. Lo vide arrossire appena e sorrise. Da una
parte, non se l’aspettava minimante – dall’altra invece… beh, era plausibile
che reagisse in questo modo.
Itachi non voleva forzarla. Ed era
esattamente il genere di ragazzo che non fondava una relazione sull’aspetto
fisico o faceva sesso al primo appuntamento. Era così diverso dai fidanzati che
Asami aveva avuto! Gli sorrise, spostando una mano
verso la sua guancia, lasciandogli una carezza affettuosa prima di allungarsi
per avere un altro bacio.
Rimase in
silenzio, tenendo le mani sui suoi fianchi mentre la baciava ancora, scendendo
poi sul suo collo. Le spostò i capelli con un gesto delicato, di quelli che si
riservano ai fiori e ai bambini. E si sentì una bambina quando lui la prese in
braccio, stando attento a non calpestare i gatti o inciampare nei tappeti. Asami sorrideva e ridacchiava contro la sua spalla,
sentendosi dopo tanto tempo amata da qualcuno. Il letto sembrò più morbido del
solito e lo sentì sprofondare quanto Itachi la coprì
con il suo corpo, ritornando a battezzare ogni centimetro di pelle del suo viso
e del suo collo con le sue labbra.
Asami gli sciolse i capelli, scoprendoli
improvvisamente morbidi quanto fastidiosi. Li tenne con una mano mentre Itachi ridacchiava e le faceva notare che era stata una
pessima idea.
«Non è stata
una pessima idea» ribatté lei, tirandoglieli appena mentre il ragazzo le
accarezzava il fianco sotto i vestiti, «È stata un’idea messa in pratica senza
ragionarci» rispose poi, gonfiando appena le guance.
E lui
sorrise ancora. Sembrava fatto di sole, portava dentro casa quel tepore che
ricorda le giornate di giugno, quando il brutto tempo di Londra lasciava spazio
al fresco e alla brezza estiva. Gli sfilò il maglione, sbottonandogli piano la
camicia, scoprendo i muscoli appena accennati e quel cuore un po’ malandato
battere ancora sotto la pelle di neve. Asami si
sentiva esplodere ogni volta che le dita di Itachi
toccavano una parte di lei che non aveva mai conosciuto, e sorrise nel pensare
che, forse, un giorno le avrebbe contato tutti quei minuscoli nei che le
ricoprivano la schiena e il ventre.
Lo allontanò
appena, quel che bastava per sedersi e togliersi il maglione. Il freddo le
penetrò fin dentro le ossa e Itachi sembrò desideroso
di provvedere immediatamente, facendola stendere ancora, seguendo le clavicole
con le labbra umide, accarezzandole le spalle con le dita lunghe e morbide,
intrecciandole poi alle sue.
«Sei la cosa
più bella che mi potesse mai capitare…» commentò lui, baciandola di nuovo sulle labbra mentre
afferrava i lembi della canottiera. La osservò mentre sorrideva e arrossiva per
quei complimenti che, evidentemente, non aveva mai sentito. La pelle d’oca la
impreziosiva come una trama raffinatissima fatta sulla porcellana bianca.
«Evidentemente
ti accontenti di poco» scherzò lei, la mano dietro al collo di Itachi per avvicinarlo di nuovo, sentendo il calore della
pelle contro la propria, la sensazione di un cuore battere sul proprio. Gli
tolse la camicia, lasciandola cadere da qualche parte sul letto, mentre il
respiro di Itachi le riempiva le orecchie e
annebbiava il cervello. Ebbe l’impressione che quello che aveva visto negli
ultimi mesi fosse solo il fantasma di Itachi, un
ologramma ben costruito che lei potesse addirittura toccare, ma che fosse
freddo. Scoprì che dentro di lui, dentro quel giapponese dagli occhi scuri e la
pelle chiarissima, c’era il calore di una persona innamorata che aveva la
necessità di essere donato a qualcuno. E si sentì bene quando le sue mani le
strinsero i fianchi, ed il suo viso si nascose nell’incavo del suo collo,
chiamandola piano mentre tutto il dolore e il freddo della vita andavano via,
lasciando il posto a loro due e nient’altro.
Itachi sembrava fatto di aria, quando si
muoveva, volteggiava tra le persone senza mai toccarle davvero. Era lontano
nella sua gentilezza e pacatezza, come se avesse sempre un segreto da
nascondere. Asami lo aveva sentito, mentre gli
stringeva le spalle e gli lasciava minuscoli graffi rossi sulla sua pelle, e
gli chiedeva scusa perché sembrava che lo avesse attaccato una banda di gatti
randagi.
Lui le
spostò i capelli dal viso arrossato e le baciò ancora le labbra, osservandola
scompigliata tra i cuscini. «Non fa niente» le disse, e Asami
pensò che la primavera fosse arrivata davvero, in quella Londra fredda e buia.
NOTE
D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».
Ebbene,
anche questo capitolo in ritardo ♥
Lo sappiamo,
lo sappiamo che abbiamo giurato e
spergiurato che saremo arrivate puntuali dopo la nostra assenza, ma oh, che ci
volete fare! Speriamo solamente che l’attesa sia valsa dopo questo capitolo, e
che voi abbiate vomitato un sacco di cuoricini come abbiamo fatto noi ♥♥
Chiariamo
subito che no, Itachi e Asami
non hanno fatto nulla quella sera in cui Sasuke era fuori con la
scuola, ma, come aveva chiesto Asami, hanno
recuperato tutto quello che c’era da recuperare.
Dopo i sette
capitoli, il fermo di un mese e il ritardo nella pubblicazione, speriamo
davvero che la piega che Ikigai
sta prendendo sia di vostro gradimento ^^ Il prossimo capitolo sarà quello
finale e, per chiudere il tutto, pubblicheremo un epilogo. Insomma, ad ogni
settimana questo breve viaggio si avvicina al termine! Ci mancherà Asami, ma faremo in modo che compaia anche in Colla, non
preoccupatevi! :*
In più ci
teniamo a comunicare che i gusti del cibo per gatti sono rigorosamente
autobiografici dei nostri gatti viziati che distruggono cucine quando non gli
dai da mangiare.
Per ora è
tutto, sperando di non arrivare in ritardo, dovremo sentirci mercoledì 15 luglio! Se dovesse
succedere che siamo ancora in ritardo, vi assicuriamo che
pubblicheremo entro la fine settimana.
Ringraziamo
anche le nuove stelline che si sono aggiunte e mandiamo loro
un cuoricino! ♥
papavero radioattivo