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Autore: thebrightstarofthewest    10/07/2015    2 recensioni
Dopo la catastrofe avvenuta al Jurassic Park, Alan Grant ed Ellie Sattler hanno deciso di sposarsi e metter su famiglia; hanno difatti due figli ormai ventenni, Bernard e Nicholas, entrambi appassionati a modo loro alla paleontologia. La vita della famiglia Grant procede più che tranquillamente, finché due chiamate non cambieranno tutto: qualcosa sta per accadere nuovamente ad Isla Nublar ed i Grant stanno per finirci dentro fino al collo per la seconda volta.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. Benvenuti a Jurassic World


Molo n. 7, Isla Nublar, 120 miglia al largo della Costarica, ore 10:30

Bernard Grant si tolse gli occhiali e li strofinò contro il bordo della camicia. Era sudato fradicio.
Nonostante fosse appena sbarcato sull’isola, già l’umidità ed il calore gli facevano pizzicare la barba, strizzare gli occhi ed appiccicare la zazzera contro la fronte. Alzò lo sguardo verso il sole, con aria mesta, poi ripose gli occhiali sul proprio naso ed afferrò i pesanti bagagli.
Diede un’occhiata attenta all’ambiente che lo circondava: si trovava ad uno degli attracchi per le navi che trasportavano dipendenti e studiosi, e tutto intorno vorticavano il verde della vegetazione, il giallo del sole ed il blu del cielo. Della famosa nebbia da cui derivava il nome dell’isola non ve n’era alcuna traccia.
Aveva intrapreso l’intero viaggio assieme agli altri studenti che erano risultati tra i primi dieci classificati del concorso universitario ed aveva scoperto con stupore di essere il più giovane: non che ciò lo mettesse in soggezione in alcun modo. Al contrario, provava una sorta di recondito piacere nel sapere di essere la prima tra quelle menti brillanti, nonostante l’età. Sorrise, mentre una goccia di sudore gli colava giù per la tempia.
Si trovava sul molo con i suoi compagni, in attesa del “comitato di benvenuto”. O almeno, era quello che diceva il depliant che gli avevano dato prima di imbarcarsi sul traghetto. D’un tratto, una figura esile apparve sul lato opposto del pontile, muovendosi elegantemente verso di loro. Alcuni dei ragazzi che lo circondavano ammiccarono e sogghignarono l’un con l’altro: il cosiddetto “comitato di benvenuto”, difatti, consisteva in una donna sulla trentina, capelli rossi dal taglio ordinato, occhi verdi come la flora costaricana, che camminava su un paio di tacchi alti ed il cui corpo sottile era perfettamente messo in risalto da un leggero abito color pesca. Giunse dinnanzi al gruppo di studenti, sfoggiando un sorriso tirato.
“Buongiorno”, esclamò, con non troppo calore, osservando con occhio critico i loro vestiti sudati e stropicciati, “e benvenuti a Jurassic World. Il mio nome è Claire Dearing e sono la manager principale del parco; dovete sapere che è per noi un onore avervi qui, non solo per rendervi partecipi delle grandi innovazioni genetiche che abbiamo raggiunto nel tempo, ma anche per darvi la possibilità di far assumere ai vostri studi una piega diversa… E più emozionante!”. Accompagnò l’ultima parola con un ampio gesto, come per attribuirgli più enfasi. Poi cominciò a stringere la mano ad ognuno degli universitari, stando però ben attenta a non entrarvi troppo a contatto.
Bernard sospirò ed attese che arrivasse il proprio turno, massaggiandosi le dita umidicce contro i pantaloni.
“Claire Dearing”, ripeté lei quando gli si trovò davanti, stringendogli poi la mano con quella che sarebbe dovuta apparire cortesia, ma risultava piuttosto distacco, “E tu sei…?”.
“Bernard Grant, signora”, rispose il ragazzo, abbassando appena la testa in segno di saluto.
“Grant”, mormorò lei, sillabando il cognome come se qualcosa di ovvio le sfuggisse, “Grant…”. Lo scrutò, passando il proprio sguardo indagatore sui suoi lineamenti; all’improvviso, parve illuminarsi.
Quel Grant?”, domandò allora, con un piccolo sogghigno stampato sulle labbra, “Il figlio di Alan Grant?”.
Bernard si tolse i capelli dalla fronte, in un gesto nervoso. Non amava essere riconosciuto come ‘il figlio di Alan Grant’ o ‘il figlio di Ellie Sattler’.
“Sì, signora”, confermò suo malgrado, “il dottor Alan Grant è mio padre”.
“Tale padre, tale figlio, si potrebbe dire”, aggiunse Claire. Bernie non riusciva bene a capire quali fossero le sue intenzioni: da un lato sembrava volerlo accogliere e far sentire a suo agio, ma dall’altro un alone di malcontento e noia sembrava sempre nascondersi dietro i suoi lineamenti contratti. Era appena arrivato sull’isola e già gli si presentava dinnanzi un primo mistero.
“O tale madre, tale figlio”, rispose pacatamente allora, “Nel mio caso si adatta pur sempre bene”.
Claire Dearing non aggiunse altro ed, anzi, passò subito allo studente successivo. Se non altro aveva tentato di scambiare due parole con lui, niente male. Quando la donna ebbe finito di porre i propri saluti, li invitò con un cenno della mano a seguirla e li condusse nei pressi di un binario, dove ben presto fece la sua comparsa una vettura simile ad un tram, ma più slanciato e moderno. Sulla fiancata il simbolo di Jurassic World era impresso in bianco ed azzurro.
Uno dopo l’altro gli universitari presero posto nella navetta e Bernard si posizionò in prima fila, contenendo a stento la propria emozione: in casa Grant, nonostante la condivisa passione per i dinosauri, non era neppure contemplato nominarlo, Jurassic World; suo padre era molto rigido a riguardo, e con ragione, d’altronde. Ciononostante, il ragazzo aveva a lungo sognato di poter vedere quelle creature che da sempre avevano attratto la sua attenzione, di poterle studiare non soltanto come fossili, come ricordi di un mondo ormai passato, ma come creature viventi. Cosa poteva esserci di sbagliato, in ciò?
Il mezzo di trasporto fece per muoversi e, proprio prima che incominciasse il proprio percorso, Bernard notò con enorme stupore che Claire Dearing si era seduta esattamente accanto a lui. Respirò profondamente, sperando di non aver a che fare con una fanatica del lavoro dei suoi genitori: gli era già capitato, in passato, di avere a che fare con persone simili, ed i risvolti di quegli incontri erano sempre risultati… Particolari.
Durante i primi minuti del tragitto, l’intero vagone pareva immerso nel silenzio e soltanto i meno impressionabili osavano chiacchierare, di tanto in tanto. Bernard Grant si divertiva a guardarsi intorno, prendendo mentalmente nota delle piante che vedeva, catalogandole e cercando di ricordarne le peculiarità.
“Scommetto che tuo padre aveva il tuo stesso sguardo quando è arrivato a Jurassic Park per la prima volta”, esclamò d’improvviso Claire, risvegliandolo dalle proprie elucubrazioni, “Per quanto ho visto nelle copertine dei suoi libri, avete gli stessi occhi”. Bernie assentì distrattamente.
“Vede, signor Grant”, continuò poi, “Non appena ho saputo chi è lei, mi sono allarmata: un Grant che torna ad Isla Nublar, cose da non credere”. Il ragazzo si trovò sul punto di dirle che anche suo fratello si trovava lì, ma si limitò a sorridere, decidendo di non interromperla.
“La sua presenza qui può avere due risvolti: da un lato può essere positiva, perché il suo nome è famoso e sicuramente porta con sé una certa curiosità. Dall’altro, signor Grant, diciamocelo… Lei è una piaga”.
Bernard sgranò gli occhi, esterrefatto. Una risata spontanea gli uscì dalle labbra. “Mi creda, signora, sono stato definito in molti modi in vita mia, ma piaga… Credo proprio sia la prima volta”.
“Suo padre è un famoso detrattore di Jurassic World e non fa che ribadirlo aspramente in interviste ed articoli, quindi la avverto… Una sola parola fuori posto, una sola osservazione che non mi va a genio… E lei è fuori, Grant, la rispediamo a casa”, la donna inarcò appena lo sopracciglia, quasi a sottolineare la propria minaccia, “Sono una persona efficiente, io, e molto organizzata. Lei non fa parte dei miei piani, dunque farà meglio a comportarsi come le dico”.
Il giovane paleontologo sogghignò, quasi indifferente. “Va bene, signora”, rispose, con fare volutamente militare. Claire lo fulminò con lo sguardo, poi si alzò in piedi e fece per andarsi a sedere in un altro posto, ma prima si bloccò per un istante. “Un’ultima cosa, Grant”, bofonchiò, “io non sono una signora, sono una signorina”.
“Non credo ci sia da domandarsi il perché”, rispose il ragazzo con un ampio sorriso stampato sul volto; proprio in quell’istante, un rumore metallico risvegliò la sua attenzione: guardò di fronte a sé e vide la porta del parco aprirsi, inghiottendo la vettura.
“Benvenuto al Jurassic World, Grant”, mormorò Claire, con un tono di sfida che lasciava intuire solo una cosa: più che il benvenuto, era senz’altro nei guai fino al collo.
E sono appena arrivato’, rimuginò Bernard e l’ennesimo sorriso gli apparve sulle labbra.

Appena al di fuori del recinto dei Raptor, Isla Nublar, 120 miglia al largo della Costarica, ore 11:00

Nicholas Grant portò la grande mano forte sopra gli occhi per ripararsi dal sole: il caldo era insopportabile e quella ridicola divisa da lavoro che gli avevano affibbiato era troppo piccola e pizzicava in posti che Nicholas neppure sapeva potessero pizzicare. Apparentemente, erano solo due i nuovi arrivati nello staff dell’isola, perlomeno nel settore a cui era stato assegnato; accanto a lui infatti, un ragazzo mingherlino con indosso un cappellino di lana si guardava intorno con occhi pavidi. Come diavolo avevano fatto ad assumere uno così? Era quanto più di diverso ci potesse essere da lui.
Il viaggio era stato tremendamente lungo ed era arrivato sull’isola soltanto il pomeriggio prima, già rosso come un’aragosta a causa del sole cocente e delle punture di chissà quale insetto tropicale. Dopotutto, la fauna costaricana era famosa per la sua ampiezza, soprattutto per quanto riguardava le razze di insetti.
Finora non aveva visto niente del parco, se non il molo a cui era attraccato, il suo alloggio e quello strano recinto a cui adesso si trovava davanti. Per la verità non si trattava neppure di un vero e proprio recinto: almeno esternamente appariva di più come un intricato labirinto di metallo e pietra, rinforzato da fili elettrici da più lati; non vi era dubbio alcuno su cosa potesse esservi contenuto. Dinosauri. Con ogni probabilità, neppure dei più mansueti.
Non gli avevano detto molto a riguardo mentre lo trasportavano lì con una jeep, bofonchiando che il suo nuovo “boss” gli avrebbe spiegato tutto a tempo debito. L’unica cosa che sapeva per certo era che quello era il luogo in cui avrebbe lavorato quotidianamente.
Dalla vegetazione circostante, all’improvviso, apparvero due figure –fortunatamente umane- che parlottavano tra loro. Il ragazzo di fianco a Nicholas ebbe un sussulto. Il primo uomo che gli si avvicinò indossava una camicia hawaiana aperta sul davanti, infradito e shorts. Si presentò come Barry, lasciandosi sfuggire le parole con un certo accento francese. Il secondo dei nuovi arrivati, invece, portava degli abiti molto più simili alla stupida divisa di lavoro di Nicholas: la camicia con le maniche arrotolate ed gilet di pelle marrone gli facevano assumere un aspetto quasi militare, autorevole.
“Owen Grady”, si presentò, porgendo la mano ad ambedue i ragazzi, “Vedo che questa volta dal continente ci hanno spedito della carne fresca”. Il giovane con il cappello di lana si fece paonazzo e deglutì.
“Dai, era sola battuta”, commentò Grady, ammiccando e poi chiese loro i propri nomi. Quando Nicholas glielo disse, l’uomo parve un attimo titubante. “Nicholas Grant, hai detto?”, gli domandò, pensieroso, “Beh, mi limiterò a chiamarti Nick”. Scrollò le spalle e fece per girarsi, non fosse che il suo sguardo fu catturato da un piccolo sorriso apparso sulle labbra di quel giovane che pareva così serio.
“Che c’è da ridere?”, domandò, ponendo le mani sui fianchi.
“Niente, signor Grady”, rispose Grant, mordendosi il labbro inferiore, “Solo i miei familiari normalmente mi chiamano Nick. Mi pareva solo strana tanta informalità”.
Owen si grattò la fronte con l’indice, fissandosi i piedi; poi pose una grande mano callosa sulla spalla di Nicholas, guardandolo dritto negli. “C’è un motivo, amico, per cui non ti posso chiamare Nicholas”, gli mormorò con voce gutturale, “Pensa a trovarti lì dentro, solo per un secondo”. Indicò la recinzione. “Pensa che sei caduto mentre lavoravi su una delle passerelle e ti trovi nel bel mezzo della gabbia, solo e disarmato. Hai una sola possibilità di uscirne vivo: facendo estrema attenzione. Se uno di quei cosi ti piomba addosso, non avrò tempo di gridarti ‘Nicholas’. Forse, chiamandoti Nick avrai una minima chance in più”. La stretta sulla spalla si era fatta più rigida, ma Nicholas non abbassò lo sguardo. Una sola domanda gli rimbombava nella testa.
“Adesso venite, voi due, vi mostreremo le vostre mansioni”, aggiunse Grady, staccandosi da lui, “Tu!”, chiamò, riferendosi all’altro ragazzo, “Va’ con Barry; Nick, con me”. Le mani giunte dietro la schiena, il giovane Grant si mosse a larghi passi dietro al suo nuovo boss, un po’ dubbioso ed intimorito. Le larghe spalle di quell’uomo facevano apparire le sue, che comunque erano piuttosto muscolose, come sottili fuscelli. Forse era stato un militare o qualcosa del genere. Ma che diavolo di lavoro si era andato a trovare?
“So molto di te, Grant”, commentò Owen, senza girarsi e continuando a farsi strada. Lo stava portando su un camminamento sopraelevato che circondava il recinto. “Almeno, so molto sul test che hai condotto per essere qui. Un fisico eccellente, una conoscenza piuttosto buona di scienze, roba che io mi sogno, insomma”, scrollò le spalle, “Per questo ho deciso di prenderti in carica come mio apprendista”. Nicholas non capiva bene se dovesse esserne fiero o no; quella domanda insistente continuava a vagargli per la mente. Aveva bisogno di chiedere.
“Scusi, signore”, osò allora, “Mi chiedevo…”.
“Dimmi pure, Nick”, esclamò l’altro, girandosi verso di lui.
“Cos’è di preciso che facciamo qui?”, disse allora in un soffio.
Il ghigno che si presentò sulla faccia di Owen non prometteva niente di buono. “Come immaginavo”, rispose, “Non te lo hanno detto. Beh, vedi, noi siamo la sezione di ‘Addestramento animale’, forse ne hai sentito parlare o forse no. Abbiamo il compito di allenare gli animali, di far sì che ci capiscano ed ascoltino, cerchiamo di rendere possibile che si crei un feeling, possiamo dire”.
“Intende dinosauri erbivori?”.
“Oh, Nick, certo che no”, sogghignò nuovamente Grady, “Erbivori? Troppo semplice, troppo scontato. No, hanno già addestrato alcuni erbivori e sono stati necessari solo pochi esperti di cavalli, roba del genere. Ma perché chiamare due come te e me in quest’isola sperduta?”. Un ringhio sommesso arrivò dal basso, nella recinzione. Fu un istante: un’enorme figura si mosse sotto di loro, troppo veloce per poterne distinguere le fattezze con precisione. Il respiro di Nicholas si fece affannoso. ‘Oh cazzo’.
In un attimo, realizzò. Non era stato chiamato lì come guardia, non era stato chiamato lì per chissà quale banale professione: era stato assunto per addestrare Velociraptor.
Il rettile si fermò dinnanzi a loro, con solo pochi metri di altezza che li divideva; li scrutò entrambi con i suoi occhi gelidi e poi emise un suono roco ed acuto al tempo stesso.
“Benvenuto al Jurassic World, Grant”, mormorò Owen Grady.


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti, approfitto di questo secondo capitolo per aggiungere un paio di righe esplicative per questa fanfiction. Ho recentemente guardato Jurassic World e, ispirata dalla visione, ho fatto l'ennesimo re-watch di Jurassic Park. Che dire? Prima di tutto, non avevo mai realizzato di shippare così tanto Ellie e Alan. Sono una coppia perfetta e, ci tengo a precisarlo, PER ME IL TERZO FILM NON ESISTE. Loro rimangono una otp più che stabile.
Ho tentato di dar forma ad una loro potenziale famiglia, qui, non solo per realizzare il mio (e forse anche vostro) sogno di rivederli insieme, ma anche per ributtarli nel mezzo dell'azione. Spero apprezziate l'idea.
Un abbraccio (cit. Gianni Morandi?),
thebrightstarofthewest

 
  
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