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Autore: 50shadesofLOTS_Always    11/07/2015    0 recensioni
Stüttgart. 870 km a nord da Firenze. Due ore in aereo per perdonare qualcuno in una stanza d'ospedale. Due settimane per dirsi addio...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un amore piú forte del Destino'
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Non ho mai visto né sentito il tempo scorrere cosí lentamente. Scorre inesorabile ed imperterrito attorno a me,lasciandomi come isolata a subire il cambiamento. É orrendo aspettare. Elisa mi ha trascinato nella piccola cappella dell'ospedale. Mi siedo sulla panca accanto a lei,in silenzio. I nostri respiri si sentono lontani mentre rimbombano sulle pareti. L'ambiente dai colori caldi del legno mi mette stranamente in soggezione. Osservo come i raggi del sole attraversino il vetro colorato,illuminando le travi lignee di soffitto e pavimento. Mentre mi guardo intorno,mi sento osservata. Mi volto verso Elisa che mi guarda con intensità << Lei non prega? >> chiede e sembra confusa << No >> mormoro a bassa voce,imitandola << É ortodossa o segue un'altra religione? >> << No,non credo in nessun tipo di divinità. Che sia antropomorfa o soprannaturale. Niente di tutto ciò >> dico facendo spallucce. Lei sbatte le palpebre piú volte,come se non capisse << E come fa' nei momenti di bisogno? A cosa si aggrappa? >> domanda,forse incuriosita << Mi aggrappo a cose ben piú reali e concrete di salmi,preghiere o testi sacri. Mi hanno salvata piú volte le amicizie che Dio... >> << Forse perché non ci credeva sul serio nelle sue preghiere... >> mormora restando salda sulle sue convinzioni. É caparbia. << Forse... - dico sollevando le spalle per poi lasciarle andare,come in un grosso sospiro - Una volta ho pregato che mio zio guarisse. Era in ospedale dopo aver avuto un infarto ed avevano scoperto che l'aorta era parzialmente ostruita,nonostante i suoi livelli di colesterolo e lìpidi fossero scarsi nel sangue. Ho pregato Dio di salvarlo... Mio zio morí per trombosi a soli cinquant'anni,quando io ero solo una bambina di dieci... Ho pregato che mio padre restasse a casa ed invece,i miei divorziarono solo due mesi piú tardi. - la guardo mettendo su la mia maschera imperturbabile,quella della donna forte - Ho pregato Dio di non farmi allontanare da Marco ed ora sono qui... Forse sarà semplice sfortuna,ma io non credo che qualcun'altro possa salvarci al di fuori di noi stessi. Io e la Dottoressa Lombardi,ci conosciamo dalle medie: senza di lei,non credo che sarei qui a fare il medico. Ma rispetto il vostro credo >> dico alzandomi dalla panca ed attraversando la piccola navata << Dottoressa Nocentini? >>. Mi fermo davanti alla porta d'ingresso con la mano vicino alla maniglia << Sí? >> << Lei ama mio marito? >>. Quella domanda é peggio di un pugno allo stomaco. Prendo un bel respiro e mi volto a guardarla. Mi fissa,decisa a sapere la verità << Sí,da quando frequentavo le medie. Me ne resi propriamente conto quando ci separammo al liceo... - lei mi squadra in attesa -  Non  ho intenzione di ostacolarla,Signora Rossi. Ed io sono una persona di parola,può chiederlo a Marco appena si sveglierà... >>. Sento il cuore cosí pesante che potrei anche accasciarmi a terra. Faccio per uscire,posando la mano sulla maniglia fredda della porta << Aspetti... - obbedisco continuando però a darle la schiena stavolta - Lei cosa avrebbe fatto al mio posto in questa situazione? >> << Non lo so. Essendo un medico,avrei ribaltato il mondo... - 'come sto cercando di fare adesso',mi dico mentalmente - Ma... Non avrei fatto altro se non amarlo,come ho sempre fatto... >>. Le ultime parole mi escono come un fiume in piena,che inonda gli argini troppo fragili per resistere alla sua forza. Accenno ad un sorriso,uno di quelli di circostanza che rivolgi per semplice educazione.

Salgo le scale fino al secondo piano,attraversando di nuovo gli stessi corridoi fino ad arrivare alla stanza di Marco. Attraverso il vetro,noto il bambino seduto accanto al lettino del padre. Sembra impassibile. Noto Laura che sta' discutendo a lato del corridoio,con un altro medico. Mi avvicino a lei che si congeda dall'uomo per cinque minuti << Dimmi... >> << Da quanto il bambino é lí? >> chiedo << Quale bambino? >> sembra perplessa << Il figlio di Marco. É nella sua stanza >> dico quasi con ovvietà << Dev'essere entrato mentre ero distratta... >> confessa aggrotta la fronte << Lo hai controllato? >> chiedo con malcelata e minuscola speranza,riferendomi al Paziente << Vuoi visitarlo tu? >>. Le sorrido ringranziandola silenziosamente.

Spingo la porta,entrando piano nella stanzetta sterile. Il bambino si volta di scatto a guardarmi << Devo uscire? >> chiede ed il mio cuore perde un battito. É tale e quale al padre,ora steso sotto le coperte di un ospedale fra la vita e la morte << No,puoi restare. Devo solo controllare tuo padre >> dico avvicinandomi con cautela al bordo del lettino,dopo essermi chiusa la porta alle spalle. Guardo Marco cercando di nascondere il mio dolore mentre ricaccio indietro le lacrime,che già mi pizzicano gli occhi sciogliendo il mascara. Controllo le flebo e noto che una dev'essere cambiata. Mi avvicino al cassetto di un mobile,posto in un angolo della stanza e prendo la sacca di liquido trasparente << Come ti chiami? >> gli chiedo nel mentre << Andrea >> risponde nascondendo un lieve imbarazzo. Lo stesso che aleggiava sul viso di Marco,quando si trovava al centro dell'attenzione. Tolgo la vecchia sacca e la sostituisco con la nuova,accertandomi che il tubicino non sia ostruito. Lo percorro con lo sguardo e per sicurezza,controllo anche che l'ago sia al suo posto. Un brivido mi attraversa nel vedere il suo braccio inerme sul materasso. La pelle é tiepida << Si sente bene? >>. La voce del Marco in miniatura mi riscuote << Sí,perché? >> << É diventata bianca all'improvviso >> osserva premuroso. Altruista << É solo l'aria che c'é qui dentro,non sono abituata... >> dico sperando di liquidare la questione. Ho già ammesso fin troppe cose di me ad Elisa,non voglio farlo anche col figlio. Il figlio di Marco << É un medico,dovrebbe esserci abituata. La sua é una balla poco credibile,lo sa? >> dice con un dolce sorriso impertinente. Quel sorriso. Quel sorriso che spesso mi ha rivolto Marco,quando eravamo ragazzini << Sí,hai ragione. Non sono una brava bugiarda... >> commento con un mormorio quasi assente << Non sembrava con mia sorella Anna... - dice attirando totalmente la mia attenzione - Mio padre non sta' dormendo e lei lo sa >> << L'ho fatto solo perché smettesse di piangere. Non amo le lacrime sul viso di un bambino... >> rispondo impassibile mentre prendo la cartellina e scrivendo gli appunti << Mio padre sta' morendo... A me lo può dire >> mormora con voce atone,facendomi gelare il sangue << No,non sta' morendo >> rispondo e la mia voce risulta piú alterata di quel che volessi. Prendo un respiro per calmarmi prima di firmare il foglio,visto che mi tremano le mani << Lei vuole bene a mio padre? >>. Oggi ce l'hanno tutti con me << Da chi hai ereditato questa impertinenza? >> chiedo con un sorriso vagamente divertito << Lei sa già la risposta >>. Lo guardo e i suoi occhi nocciola mi paralizzano. Molti ricordi turbinano nel mio cervello,senza lasciarmi spazio di reazione quando lo vedo abbandonarsi mollemente sullo sgabello. Mi avvicino in fretta,tirando fuori una piccola torcia per controllargli le pupille << No,no,no,no... >> dico disperatamente,sperando che non sia tardi. Controllo la macchinetta che ha improvvisamente iniziato a suonare ad intermittenza,segnalando l'iperglicemia << Infermiere! Laura! >> dico alzando la voce per farmi sentire. Lei compare sulla soglia guardandomi confusa << Che succede? >> << Non ha messo il ricambio alla macchinetta  e sta per andare il coma glicemico. Ho bisogno di molta insulina! >> dico mentre do qualche buffetto al bambino,cercando di svegliarlo << Andrea,andiamo... Apri gli occhi >>. Finalmente l'infermiere arriva con la fiala piú grande e concentrata. Prendo una siringa dal cassetto mentre Laura lo distende a terra. Mi avvicino ad Andrea una volta riempita la siringa. Non appena l'ago é entrato,spingo la pipetta iniettandogli una bella dose di insulina << Avanti,Andrea... - mormoro mentre cambio la fialetta anche nella macchinetta - Non ti farò raggiungere tuo padre sul lettino,va bene?! Forza..  >>. Per un attimo,temo il peggio ma poi apre lentamente le palpebre. Mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo,che quasi mi strozza. Lui mi guarda e mi sorride debolmente,in modo obliquo,come se l'avesse fatta franca a qualcuno << L'ho messa alla prova sa'?! >> sussurra trascinando le parole. Lo guardo in finto rimprovero << Non farlo mai piú... >> lo ammonisco puntandogli un dito mentre un'altra infermiera lo porta nella sala d'aspetto. Sospiro passandomi le mani fra i capelli << Ti ha fatto prendere un bello spavento eh? >> chiede Laura avvicinandosi a me << Già... É un pazzo >> commento sedendomi accanto al letto di Marco << Tale padre tale figlio,no? >>.

****

Piove fortissimo fuori,nel buio della sera. Le stelle sono oscurate dalla coltre di nubi,da cui scendono grosse gocce d'acqua che picchiano sulle finestre. Elisa ed i bambini sono tornati a casa. Con l'assenza di Laura, approfitto dello scarso personale per intrufolarmi nella stanza di Marco. Lui riposa. Dorme sereno,ignaro del temporale e dei fulmini che squarciano il cielo,rombando sonoramente. Non ha mai amato i temporali e mi divertivo a prenderlo in giro. Chiudo la porta con delicatezza,come per non svegliarlo. Cammino con cautela e sposto lo sgabello per sedermi sul bordo del lettino,accanto a lui. Abbasso lo sguardo verso la sua mano destra,poggiata sul materasso. Un pinza che controlla il cuore,gli nasconde la punta dell'indice. Mi faccio coraggio e prendo la sua mano fra le mia. Il contatto con la sua pelle mi provoca un fremito lungo tutto il corpo,simile ad una scarica elettrica di vita. Niente a che vedere con un defibrillatore. Col pollice,sfioro il dorso della sua mano mentre lo guardo << Ciao Marco... - prendo un lungo respiro,senza riuscire a bloccare le lacrime - Se volevi vedermi,bastava una mail. O una chiamata... E invece guarda che casino che hai combinato... - fingo un'accusa senza riuscire a fermare il pianto - Ti avevo pensato qualche giorno fa. Ho ritrovato il tuo numero scarabbocchiato su un foglio di dodici anni fa... Avrei dovuto chiamarti,tentare almeno di digitare il numero. Forse non saresti qui adesso... - stringo gentilmente la sua mano - Ti avrei potuto dire tantissime cose e non l'ho fatto... Siamo entrambi troppo orgogliosi per ammettere i nostri errori. Ma che ci vuoi fare?! Siamo artisti... - dico con un fil di voce,accennando ad un sorriso malinconico mentre continuo a guardarlo - Ho conosciuto i tuoi bambini. Sono bellissimi. Anna é dolcissima,é la tua Principessa... Me lo ha detto lei che la chiami cosí. E Andrea... Ti somiglia cosí tanto. - mi chino verso il suo orecchio senza lasciargli la mano - Marco,devi svegliarti... Devi farlo per loro. Per Elisa. Se vuoi fallo anche per me... Devi svegliarti,perché voglio dirti tutte quelle cose che non ti ho mai detto. Tutte quelle che avrei potuto dirti al telefono giorni fa... - affondo una mano nei suoi capelli facendola scivolare poi su una guancia,su cui spunta un principio di barba - Non essere testardo,almeno per questa volta... >> sussurro prima di lasciargli un bacio sulla fronte. Lo guardo da sotto le ciglia,ormai umide per le lacrime. Cerco di ricostruire la sua immagine,su quella che già avevo,scrutando i cambiamenti degli ultimi quattordici anni. Le piccole rughe quasi invisibili ad occhio nudo,la forma che ha assunto la sua mascella e le sue labbra assottigliate leggermente. Tutte cose che prima non c'erano. Non é piú un ragazzino,eppure ai miei occhi é sempre lo stesso Marco Rossi. Quel dodicenne incompreso da tutti,amante del carboncino e della musica italiana. Un'anima artisticamente folle cosí simile alla mia. Complementare. Porto la sua mano vicina alle mie labbra,inspirando il profumo della sua pelle,prima di posargliela sul lettino. Mi alzo e mi accerto che le coperte,le flebo siano al loro posto. Poi esco dalla stanza asciugandomi le lacrime.

Mi massaggio le tempie con la punta delle dita di una mano mentre col braccio libero,mi avvolgo l'addome dolorante. Il ticchettio di un paio di tacchi risulta assordante e non fa' altro che aumentare la mia emicrania << Perché non vai a casa mia? Ti do le chiavi... >> mormora Laura,sedendosi accanto a me << No,grazie... >> << Giada,sei qui da tre giorni. Hai a malapena uno zaino con te >> dice con stizza << Ma... >> balbetto per difendermi,ma lei mi ferma << So che sei abituata a viaggiare con poco,a non dormire per ventiquattr'ore consecutive,ad operare anche su un treno ad alta velocità,ma... Tu hai bisogno di una bella aspirina e un letto caldo >> insiste con convinzione. Sospiro esasperata. Odio chiunque provi compassione nei miei confronti. O cerchi di convincermi a fare qualcosa contro la mia volontà << Vada per l'aspirina,ma io resto qua. Sono stata lontana da lui per troppo tempo... >>.

***** 

Una settimana. É passata una settimana da quando Marco é stato indotto al coma farmacologico. La sua cartella clinica é piatta da cinque giorni. Battito cardiaco regolare. Pressione nella norma. Attività celebrale nulla. Ogni giorno rileggo le stesse parole su quegli stessi fogli. Ogni giorno devo lasciare spazio ad Elisa e a quei due bambini,con cui sento un forte legame. Forse una mia vana utopia per avere un qualunque contatto con Marco. Rientro nell'ospedale a passo sicuro. Mi sono concessa dodici ore di pausa. Il tempo di dormire e di una doccia. Chiudo l'ultima telefonata per oggi prima di chiamare l'ascensore,premendo il tasto. Mentre aspetto,ripongo il cellulare in tasca. A Stüttgart avevano bisogno di traumatologo e ho dovuto fare diverse telefonate a colleghi ed amici del settore per occupare il mio posto. L'essere amica del primario ha i suoi vantaggi. L'ascensore si ferma con un trillo,si aprono le porte e lascio uscire le persone prima di entrare. Digito il numero due,ma quando le porte stanno per chiudersi una piccola mano le blocca. Andrea fa' capolino con la testa << Posso? >> << Certamente... >> rispondo al suo sorriso,cosí dolce. Mi sembra di tornare ragazzina con lui. Mi sembra di riavere il mio Marco << Ieri ti ho vista >> dice ad un tratto mentre l'ascensore sale << Dove? >> domando mentre aggrotto la fronte << Nella stanza con mio padre... - deglutisco sonoramente e distolgo lo sguardo da lui - Tranquilla,non dirò niente a nessuno... Sarà il nostro segreto >> dice mentre usciamo dall'ascensore. Sarà il nostro segreto. Quelle quattro parole mi portano alla mente diversi ricordi,momenti che ho vissuto con Marco. Cerco di rispedirli indietro,nei meandri bui della mia psiche. Almeno per il momento. Camminiamo accanto nei corridoi << Come facevi a sapere che ero diabetico? >> mi chiede improvvisamente << Credevo fossi piú furbo. Sono un medico e so riconoscere i sintomi di... >> << No,no... - mi costringe a fermarmi,sollevando entrambe le mani - Tu avevi già il sospetto >> << Tuo padre é celiaco,come me... >> dico tutto d'un fiato << Celiachia. É quella malattia che... >> << No,non é una malattia dannazione! - mi rendo conto di aver alzato la voce,visto il modo in cui le infermiere mi guardano - É solo un'intolleranza alimentare che si pensa sia biunivocamente collegata geneticamente al diabete... >> sospiro in una sola emissione di voce,tentando di riprendee padronanza di me stessa << L'una può portare all'altra con un salto di generazione o viceversa... - finisce la frase al posto mio mentre riprendiamo a camminare - Per questo mio padre mi ha sempre trattato,come se fossi fatto di vetro? Crede che sia colpa sua se ho il diabete? >> << Tuo padre ha sempre paura di far danni e si assume ingiustamente le responsabilità altrui... Lo ha sempre fatto >> sbotto innervosita. Questa conversazione sta' diventando quasi paradossale visto che il mio interlocutore é un bambino di dieci anni. Il figlio dell'uomo che amo a cui somiglia molto,tanto da sembrare un suo sosia << Lei conosce bene mio padre non é cosí? >> << Sí... >> dico sperando che qualcuno giunga in mio soccorso << Avrebbe sposato mio padre se ne avesse avuto l'occasione? >>. Gli lancio un'occhiata di sottecchi,sperando che non possieda il potere della telepatia << Sí,lo avrei sposato. Ma lui ama tua madre... - scorgo Laura in fono al corridoio - Aspettala in sala d'attesa e non muoverti di lí... >> gli dico serissima. Lui annuisce e prendo Laura per un braccio prima che cambi settore << Ehy,che succede? >> chiede guardandomi apprensiva << Ho bisogno di parlare con qualcuno che non faccia di cognome Rossi... >>. Lei sorride comprensiva e mi propone di andare sul tetto. 

Il sole splende nonostante sia sorto,mostrandosi totalmente solo da pochi minuti. Osservo la città di Firenze,che sembra quasi infinita mentre mi appoggio con le mani al parapetto in cemento << Capisci? Tutti continuano a chiedermi se lo amo... Per anni,mi sono consumata nel tentativo di trovare una risposta sincera e ora che ce l'ho,tutti la mettono in discussione... >> sospiro esasperata << Quindi sei confusa? Cos'é che ti fa' pensare questo? - scuoto la testa,segno che non so cosa dirle - Forse ti stai lasciando condizionare dal fatto che sia sposato... La presenza di Elisa ti spinge a mettere ad un giudizio i tuoi sentimenti. A questo devi aggiungerci Andrea ed Anna... >>. Sento la sua mano posarsi sulla mia spalla,stringendola gentilmente provocando della arricciature alla mia giacca di cui non mi curo molto << Giada,é evidente che lo ami. Basta. Non c'é bisogno che ti metti al processo... Non farti troppi problemi con te stessa,okay? >>. Annuisco mentre il suo cercapersone ci interrompe << Devo andare. Mi raccomando... >> mi ammonisce puntandomi l'indice per poi allontanarsi.

   
 
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