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Autore: Mary P_Stark    11/07/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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XIX. Traitors.
 
 
 
 
 
 
Yuki strinse i denti, già pronta a sopportare stoicamente il dolore, quando un tonfo giunse a sfiorare le sue orecchie, e il corpo di Byron si scostò di colpo da lei.

Ne seguì una breve colluttazione e la ragazza, rattrappendosi contro il muro come a rendersi invisibile, cercò di capire cosa stesse succedendo attorno a lei.

Udì due voci simili – forse, Cameron e Domenic? – e il suono di corpi che rotolavano a terra.

Un colpo di pistola riverberò nella stanza, ma la lotta continuò, segno che nessuno era stato colpito.

Tremante, si strinse le braccia attorno al corpo, in ansia per ciò che stava accadendo e combattuta tra lo scappare e l'intervenire.

Due mani, in quel mente, la sfiorarono all'improvviso, bloccando ogni suo pensiero.

Urlando istintivamente, fece per scostare quelle dita sconosciute, ma la voce di Phie la mise subito in allerta.

«Sst... sono io. Vieni con me.»

Yuki fu lesta ad azzittirsi e, praticamente sostenuta da Sophie, risalì le scale per allontanarsi dalla colluttazione in atto.

Non faticò a comprendere che la giovane stava piangendo e, con tutta probabilità, non per una qualche ferita riportata nella sparatoria di prima.

Phie era in ansia non meno di lei, per le sorti dei giovani che loro amavano.

Altri due spari, e un grugnito.

Nessuna delle due ragazze seppe dire chi dei due giovani fosse stato colpito, ma fu chiaro a entrambe che Domenic o Cameron erano stati feriti.

Come se avessero reciso i fili che sostenevano entrambe, Phie e Yuki crollarono a sedere sui gradini, circa a metà strada dal primo piano.

Tappandosi la bocca per non urlare, Phie mormorò contro le sue mani: «Dio, ti prego, no, ti prego, ti prego, ti prego...»

Yuki, a quel punto, si strappò di dosso la camicia, la fece a brandelli con gesti nevrotici delle mani e ringhiò: «Aiutami con le fasciature. Io torno giù.»

«Non te lo lascerò fare!» protestò con veemenza Phie, bloccandola per le spalle. «Dom mi ha detto di tenerti al sicuro, e io lo farò.»

«Phie, ti prego...»

Lei scosse il capo e, con voce a stento controllata, esalò: «E' mio fratello, Yuki-necchan. Se non di sangue, nel mio cuore lo è con certezza. E lui mi ha chiesto quest'unica cosa, nel corso della nostra vita. Tu non scenderai da qui

Yuki capì immediatamente che la ragazza non le avrebbe dato tregua, perciò desistette.

E si volse verso quel lago di oscurità che si stendeva sotto di loro, in cui riuscivano a scorgere solo ombre confuse, e da cui provenivano ancora rumori di lotta.

Fu dopo neppure trenta secondi che giunse un altro sparo, e tutto si bloccò.

Yuki e Phie si strinsero l'un l'altra, finché la voce di Cameron, affannata e stanca, asserì: «Tutto bene?»

Sophie scoppiò immediatamente a piangere, e Yuki con lei.

Domenic, un attimo dopo, esalò: «Yuki-necchan? Phie? Minami-chan

«Okay! Siamo okay!» gridarono quasi in coro le tre ragazze.

Già pronte a scendere, una voce proveniente dalla veranda – rimasta aperta dall’entrata in scena di Byron – , fece irrigidire tutti per alcuni attimi.

Cameron, in piedi accanto al corpo di Byron, puntò immediatamente la pistola verso l'origine di quella voce, ma si impose di non sparare non appena capì di chi si trattava.

«Ma non vi avevo detto di rinchiudervi nel rifugio?!» sbottò Bryce, facendo scattare il salvavita, ripristinando così le luci nella baita.

Quell'improvvisa luminescenza, portò tutti a coprirsi gli occhi per un attimo.

Bryce avanzò zoppicante, la testa visibilmente sanguinante e la gamba destra martoriata da un brutto taglio sulla coscia.

La tuta biomimetica appariva lacerata in più punti e, all’altezza dello stinco destro, lo scarponcino era tagliato di netto.

«Parlare con voi Van Berger, è come parlare al muro.»

«Temevamo potessero bloccare gli aeratori del bunker» si scusò Domenic, lasciandosi aiutare dal gemello a rialzarsi.

Il fianco bruciava come l'inferno, ma non sembrava essere una ferita grave.

Bryce fece per protestare, ma Minami lo sorprese catapultandosi contro di lui per abbracciarlo.

In lacrime, la ragazza affondò il viso contro il suo petto e lui, sorreggendola, mormorò: «Ehi, piccola... tutto bene?»

«Ci aveva detto... che eri... che eri morto...» pianse disperata, apparentemente inconsolabile.

Bryce le carezzò i capelli, lanciò un'occhiata all'uomo morto dinanzi a lui e aggrottò la fronte.

«E' l'uomo del Giappone. L'ex militare.»

«Era la guardia del corpo di mio fratello Nobu-chan» asserì dolorante Yuki, scendendo dalle scale assieme all'aiuto di Phie.

Recava evidenti fasciature di fortuna alle gambe e Bryce, accigliandosi, dichiarò: «Abbiamo tutti bisogno di cure immediate, o ci dissangueremo.»

«Fuori, come siete messi?» si informò Cameron, preoccupato.

«Situazione sotto controllo. Nemico eliminato e/o bloccato. Penso passeranno una nottataccia, legati agli abeti contro cui li abbiamo sistemati. Non c'è molto caldo, là fuori» ghignò Bryce, prima di accigliarsi, passarsi una mano sul viso e borbottare un'imprecazione.

«Vado a prendere i kit di pronto soccorso» mormorò Minami, passandosi le mani sulle gote bagnate di lacrime.

Un attimo dopo, corse via e Bryce, sorridendo sghembo, mormorò: «Che nottataccia.»

 
§§§

Gli occhi ancora gonfi per il pianto, Minami si occupò comunque dei feriti con un'efficienza quasi marziale.

Curò gli agenti feriti, e disse una preghiera sentita per i due uomini che non ce la fecero a superare la notte.

Nel corso delle ore seguenti a quell'aggressione inaspettata, Bryce riuscì a contattare Quantico con il cellulare di Dom, chiedendo supporto medico e tecnico.

Quello che gli dissero durante la telefonata, lo sorprese non poco e, quando tornò da Domenic per restituirgli il telefono, dichiarò torvo: «Siamo stati traditi.»

«Che cosa?» esalò il giovane, facendo tanto d'occhi.

La fasciatura al fianco stringeva da matti, procurandogli un sordo dolore a ogni respiro, ma Dom non vi badò affatto, quando sentì quelle parole.

Si levò in piedi come se lo avessero punzonato e, fissando l'amico in cerca di spiegazioni, si sentì dire: «Quel bastardo di Tyler ha venduto i nostri segreti ai Tashida.  Per questo, la missione è partita in ritardo, per questo sono riusciti a trovare Yuki con precisione chirurgica, per questo ci hanno smascherati anche qui. Non appena Yuki è uscita dalla protezione offerta dagli schermi radar assorbenti della baita, è stata rintracciata.»

«Ma... e l'aeroporto...la strada fino a qui?» domandò Cameron, sorpreso dalle parole dell’amico.

Bryce scosse il capo, replicando: «Sia gli aerei che le auto, erano protette. Non ha fatto un solo metro senza schermo protettivo. Ma, quando siete usciti in giardino...»

Il giovane si passò una mano tra i capelli, guardò Regina – che stava piangendo in silenzio da ore, dopo aver chiuso gli occhi personalmente a un loro collega – e sospirò.

«Ci siamo concessi un lusso che non avremmo dovuto permetterci, e questo è stato il risultato. Una leggerezza che è quasi costata le vostre vite. Scusami, Dom. Scusatemi, ragazzi.»

Come si era alzato, così Domenic crollò sulla poltrona e si prese la testa tra le mani, incredulo.

«E’ così che hanno saputo di Asclepio, di ciò che era in grado di fare. Parte del progetto, l’ho sviluppato nella sede distaccata di Los Angeles della CIA, e Tyler ne era informato. Gli avevo raccontato ogni cosa.»

Quel pensiero, quasi strangolò il giovane.

Bryce gli carezzò la spalla, consolatorio, e asserì: «Tra la documentazione che avevate inviato prima del blackout, sono riusciti a trovare il suo server IP. Aveva usato un proxy piuttosto datato, per camuffare il segnale, così non hanno impiegato molto a rintracciarlo.»

Nel dirlo, fu sprezzante.

«Perché? Perché

«Stanno andando a prelevarlo proprio in questi minuti, perciò potranno chiederglielo direttamente. A quanto pare, la sua gita alle Isole Caiman, è saltata.»

«I Tashida?» si informò allora Domenic, la voce strozzata e la gola secca.

Com'era possibile che uno dei loro avesse tradito?

«Ci sono abbastanza prove per incriminarli. Stanno emettendo proprio ora un mandato d'arresto internazionale per farli estradare negli Stati Uniti, così che possano essere processati qui. Dopotutto, hanno colpito un cittadino americano.»

«Torniamo a casa, allora...» sussurrò, stremato e ormai privo di forze.

«Sì, amico mio. Torniamo a casa.»

Domenic pianse in silenzio, a quel punto, e Bryce lasciò che si sfogasse.

Il giovane agente capiva benissimo come si sentiva. Era la seconda volta che lui affrontava un simile tradimento, perciò comprendeva l’amico con assoluta sicurezza.

Certe cose potevano far crollare anche la tempra più dura.

 
§§§

«Mamma, davvero, non ho niente. E' solo una ferita superficiale al fianco» protestò Domenic, quando Hannah controllò per la centesima volta la sua cartella clinica.

L'intero gruppo era stato trasferito a Los Angeles per cure più specifiche, dopo che i paramedici di Anchorage avevano stabilizzato la situazione in loco.

Agenti della CIA pattugliavano l'intero piano dell'ospedale dove si trovavano i ricoverati, ma  le probabilità che vi fossero ulteriori attacchi era pressoché inesistente.

Hannah lanciò un'occhiata gelida al figlio, steso sul letto d'ospedale con la flebo al braccio e replicò: «Qui si parla anche di una commozione celebrale.»

«Leggera, mamma, leggera. Ho preso il calcio di una pistola sul collo. Ma non sono né svenuto, né altro, okay?» sospirò il giovane, reclinando indietro il capo, e lagnandosi un attimo dopo per il bernoccolo che doleva da matti.

In quelle prime ore, con la concitazione del momento e la necessità di curare i feriti più gravi, non si era reso conto del dolore al collo.

Questo, però, si era palesato quando l'adrenalina era scemata nel suo corpo ormai stanco.

Come molti altri, era stato spedito in ospedale per accertamenti, e ora doveva subire l'inquisizione della madre e le cure di infermieri e dottori.

Cameron, per fortuna, se l'era cavata con alcune escoriazioni, diversi lividi e poco altro.

Phie e Minami ne erano uscite illese, pur se spaventate, mentre Yuki era stata operata per ricostruire la rotula, frantumata da uno dei proiettili esplosi da Byron.

Le due ferite ai polpacci erano state suturate già ad Anchorage, prima di partire per Los Angeles.

Bryce si era ritrovato con un taglio nella zona occipitale, lungo più o meno dieci centimetri, che proprio in quel momento stavano eliminando con la chirurgia estetica.

Le gambe, invece, avevano subito danni maggiori.

Il perone destro si era spezzato in due punti, e questo aveva necessitato l'uso di un'ingente quantità di nanobot per la ricostruzione ossea, e un'imbracatura in carbonio per sostenere l'arto.

La coscia, invece, era stata suturata con cura e, quando il dottore aveva visto lo squarcio, aveva sorriso a Bryce, dicendogli quanto fosse stato fortunato.

Pochi centimetri più alto, e il coltello di Byron avrebbe reciso l’arteria femorale, mandandolo all’altro mondo.

Berenike e il marito si erano recati in ospedale, non appena messi al corrente dell'accaduto, e non erano più usciti dalla stanza del figlio.

Nickolas entrò in quel mentre nella stanza di Domenic, Cam al fianco – che mostrava un evidente bendaggio a un dito – e, salutata la moglie con un bacio, si rivolse infine al figlio.

«Devo portarla via, Dom?» ironizzò il padre, dandogli una pacca sulla spalla.

Il suo sorriso toccava quasi le orecchie, ma erano gli occhi a tradire la sua emozione e il suo orgoglio più puri.

Domenic sentì quasi la necessità di arrossire, sotto quello sguardo.

«La capisco, in fondo. E' stata una situazione allucinante per tutti» replicò accomodante Dom, lanciando un'occhiata divertita alla madre e al fratello.

«Ho rischiato di perdere entrambi i miei figli. Non pretenderete di certo che possa starmene tranquilla e beata?!» protestò Hannah, pur sorridendo.

Cameron le avvolse le spalle con un braccio, consolatorio, e disse: «Hai super ragione, mamma, ma Domenic sta bene, io sto bene... stiamo tutti bene. Pensiamo alle famiglie dei due agenti morti, piuttosto. Si sono battuti per salvarci, dopotutto.»

Hannah assentì, chetandosi subito.

«Credo dovremmo come minimo andare a ringraziarli, e scoprire se hanno bisogno di qualcosa. Anche se non potremo restituire loro i propri affetti.»

Nickolas, allora, prese sottobraccio la moglie e, nel salutare il figlio con una strizzatina d'occhio, uscì con la sua famiglia per lasciare a Dom un po' di tempo per se stesso.

Nick sapeva bene quanto Hannah potesse diventare ansiosa, se uno dei figli stava male, e quella era davvero una situazione ai limiti.

Ma ormai, Dom stava bene, e così pure Cam, perciò Nickolas poteva permettersi di lasciare il figlio solo coi suoi pensieri.

Ben presto, sarebbe uscito dall'ospedale, e tutto avrebbe potuto dirsi più o meno concluso.

 
§§§

Se entrare nella sede della CIA, a Quantico, fu abbastanza semplice, non lo fu sopportare ore e ore di interrogatorio.

Come vittime dell'agguato alla casa protetta, furono ascoltati dapprima dagli agenti incaricati di seguire il caso, e in seguito dai droidi deputati a studiarne le reazioni inconsapevoli.

I Kinesics Droids, o più comunemente chiamati KD, erano preposti all'analisi celebrale e visiva dei sottoposti a esame, così da scoprire eventuali falle nella deposizione.

O errori umani inconsapevoli, dipesi da un'errata interpretazione dell'agente preposto a prendere le deposizioni.

Nessuna bugia sarebbe sfuggita al loro controllo. Neppure il più abile truffatore, avrebbe potuto passare il loro esame.

Ma sapere di essere del tutto innocenti, non rese più semplice l'esame.

Fu semplicemente esasperante.

Quando infine, nel tardo pomeriggio, l'intero gruppo venne convocato dal Supervisore Eriksson, nessuno aveva molta voglia di parlare.

Cameron e Phie si accomodarono su un divano mentre Minami, Domenic e Yuki presero posto su tre poltrone.

Bryce e Regina, che erano stati chiamati a loro volta a testimoniare, rimasero in piedi, dinanzi alla scrivania in vetro opaco di Eriksson.

I vetri si oscurarono un poco per filtrare la luce morente del sole e, nel contempo, si opacizzarono, rendendo così impossibile a chiunque la visione all'interno dell'ufficio.

Eriksson, le mani intrecciate sotto il mento e i chiari occhi azzurri fissi sui suoi agenti, asserì: «Un mezzo disastro tramutatosi in un successo. Ben pochi possono dire una cosa simile.»

«E' stata una leggerezza, farli uscire, e me ne assumo tutta la responsabilità, capo.»

Bryce fu lapidario, nella sua dichiarazione, pur se Regina tentò con uno sguardo di bloccarne l'uscita.

«Vero. Ma va anche detto che il compito di guidare gli uomini - e le donne - del gruppo, spettava a te, che sei praticamente un neofita nel giro, e questo avrebbe dovuto insospettirci. O, per lo meno, avrebbe dovuto insospettire me

Eriksson si rilassò contro la poltrona a sensori biometrici, e sospirò.

«Quando ho preso l'incarico di guidare la squadra di Domenic dalle mani di Tyler, avrei dovuto chiedermi perché proprio uno dei nostri agenti più giovani fosse stato messo a capo di una situazione così spinosa. Ma avevo così tante cose a cui pensare, con il passaggio di consegne e la fuga di Cameron e Yuki dal Giappone, che proprio non ho badato al problema. Perciò, io sono da biasimare, Kendall, non certo tu. I ragazzi sono vivi, con solo due agenti morti, contro una squadra di trenta assassini matricolati; può definirsi un successo.»

Bryce non disse nulla, limitandosi ad annuire.

«L'intera missione è partita con il piede sbagliato e, lo ammetto, sottovalutata da molti dei nostri superiori» ironizzò con tono caustico Eriksson. «Nessuno pensava che sarebbero nati tanti problemi, o che la Tashida Group fosse così profondamente coinvolta. Su entrambi i fronti, tra l'altro.»

Il supervisore sorrise a Yuki, che ricambiò.

«In tutta onestà, non me la sento di scrivere nessuna nota di demerito sui vostri curricula, visto come ve la siete cavata in una situazione di pericolo. L'unico dubbio mi è sorto sul mancato utilizzo del bunker. Come mai questa scelta?»

Bryce lanciò un'occhiata ironica all'indirizzo di Domenic, che ghignò in risposta.

«Bryce ci aveva detto di usarlo, ma abbiamo ritenuto pericoloso entrarvi. Come avevano fatto saltare le linee elettriche e satellitari, così avrebbero potuto rendere inutili i dispositivi di filtraggio dell'aria, che si trovano fuori dalla casa protetta.»

Quando avevano controllato l'effettivo stato del bunker, Bryce non aveva potuto irritarsi ulteriormente con Domenic e Cameron.

Come avevano temuto i suoi amici, l'impianto di filtraggio dell'aria era stato bloccato dall'esterno, rendendolo inutilizzabile.

«I ragazzi hanno avuto un'ottima intuizione, vista la manomissione ai danni dei filtri dell'aria. Sarebbero morti per le esalazioni di anidride carbonica nel giro di pochissimo tempo» dichiarò Regina, parlando per la prima volta.

Eriksson annuì, lanciò un'altra occhiata a quell’eterogeneo gruppo di giovani, e sorrise.

«In molti non compresero cosa spinse mio padre a creare, all'interno di un'istituzione chiusa e, a mio dire, retrograda come la CIA, un gruppo ufficiale come quello guidato da Domenic. Tyler era uno di questi. Fu un errore inserirlo tra i supervisori delle squadre di tecnici informatici ma, purtroppo, non sempre le alte sfere sono lungimiranti.»

Più di un volto si incupì, ma Eriksson continuò prima che potessero sorgere domande, o richieste.

«Ciò che le menti di Domenic, Yuki, Minami, Yu e molti altri giovani hanno saputo fare, e creare, ci spinge a rileggere il mondo con occhi nuovi. Il viewscan si è dimostrato essere inefficace, e le falle al suo interno più grandi di quanto non si potesse immaginare. La sicurezza non potrà mai essere totale, ma non si può neppure pensare di delegarla alla mera tecnologia. Il sistema spionistico non potrà mai venire meno, ma dovrà essere supportato, e sempre di più, da persone in grado di agire all'interno della rete. Nei decenni, questo fatto è diventato sempre più incontrovertibile e se, in passato, queste cose erano relegate a pochi, miseri elementi, ora non può più essere così.»

Levandosi in piedi, il supervisore raggiunse la poltrona dove si trovava Domenic e, nel poggiare una mano sulla sua spalla, asserì: «Quello che hai fatto per trovare Yuki e tuo fratello, dimostra le potenzialità del tuo gruppo, e la sinergia con cui si può muovere dentro e fuori la rete, anche in un caso di massima emergenza come è stato questo.»

Ciò detto, sorrise a Minami, che ammiccò.

Nell'osservare Cameron Van Berger e Sophie Shaw, il supervisore sospirò e aggiunse: «E' superfluo dire che, qualsiasi cosa direte su quanto è avvenuto in queste settimane, verrà smentito categoricamente dall'Intelligence. Naturalmente, speriamo che tutto ciò non avvenga.»

I due giovani si guardarono vicendevolmente, prima di rispondere quasi in coro: «E' successo qualcosa?»

Eriksson si lasciò andare a un sorriso divertito.

«Ufficialmente, Cameron, sarai ritrovato nei pressi del quartiere di Shinju-ku, a Tokyo e, naturalmente, Mr Van Berger e Miss Shaw saranno all'ambasciata americana ad attenderti. Per il mondo, voi non siete mai usciti dal Giappone.»

I due giovani sospirarono affranti, disgustati all'idea di un altro viaggio in aereo, ma l'uomo non vi fece caso.

Si rivolse nuovamente a Domenic e aggiunse: «Quanto alla tua richiesta di poter parlare con Tyler, è stata accolta, così come quella di Yuki. L'agente Sommers, qui fuori, vi accompagnerà da lui.»

La coppia si alzò in fretta e, nel salutare i compagni, si defilò alla svelta per parlare con colui che, per primo, aveva innescato quella bomba sulle loro teste.

Era stato sciocco lavorare su Asclepio nella sede della CIA, era stato sciocco pensare che fosse il luogo più sicuro in cui operare, era stato sciocco fidarsi di un uomo come Tyler.

E, più di tutto, era stato sciocco affidargli i suoi segreti.

Mai, però, avrebbe pensato che avrebbe venduto le informazioni in suo possesso, e alle persone più vicine alla sua famiglia.

Né avrebbe pensato che avrebbe messo in pericolo i membri della sua stessa squadra, e solo per avere un conto in banca più cospicuo.

Messi al corrente delle potenzialità di Asclepio, i Tashida avevano accettato le richieste di Tyler, e questo li aveva spinti nel baratro in cui tutti loro erano caduti.

Si era fidato come uno stupido pensando che nessuno, meglio di un agente della CIA, potesse mantenere simili segreti.

Invece, lui li aveva venduti, aveva venduto suo fratello Cameron al miglior offerente, e aveva rischiato di far uccidere tutti loro, per mettere a tacere il suo segreto.

No, non gliel'avrebbe mai perdonata.

«Non è colpa tua, Domenic-kun... non pensarlo neppure» mormorò al suo fianco Yuki, prendendolo per mano.

Lui le sorrise mesto e, nello scuotere il capo, replicò: «Non ho saputo comprendere l'uomo che mi stava di fronte, Yuki-necchan

«Nessuno di noi ne è stato in grado. Siamo stati tutti ingannati, ma abbiamo vinto ugualmente.»

«A che prezzo, però?» sospirò Domenic, sconfortato.

Yuki assentì, senza più dire nulla.

Le guardie del corpo di Cameron erano morte, due agenti della CIA avevano perso la vita per difenderli. No, era già stato versato troppo sangue, per i suoi gusti.

Quando infine raggiunsero la stanza detentiva dove si trovava Tyler, Yuki e Domenic entrarono e, al suo interno, trovarono l'uomo ammanettato e due droidi di servizio a controllarlo.

Armati entrambi, i droidi sondarono le loro retine per il riconoscimento e, in coro, dichiararono con voci metalliche: «Autorizzati allo stazionamento in loco.»

L'agente rimase accanto alla coppia, muto spettatore della loro giusta rabbia e Domenic, nel sedersi di fronte a Tyler – a dividerli un tavolo metallico – disse gelido: «I miei complimenti, coordinatore.»

L'uomo non disse nulla, si limitò a diventare paonazzo in viso, ma non esternò la sua rabbia.

Con tono serafico e vagamente sprezzante, Dom proseguì.

«Ha davvero orchestrato un piano complesso, per guadagnare dei soldi. Non avrebbe fatto meglio a vendere segreti militari ai nord-coreani, o alla Cina?»

Sogghignò, e Tyler replicò piccato: «Non sono i soldi ad avermi spinto! E poi, tu che ne sai, che navighi nell'oro da quando sei nato?!»

Imperturbabile, Domenic ribatté pacato alle sue accuse.

«Il fatto che io sia nato in una famiglia benestante, non significa nulla. Mettere a rischio la vita di mio fratello, di Yuki-necchan, delle guardie del corpo di Cameron, degli agenti speciali coinvolti... questo che ha un significato.»

«Se quella stupida ragazzina non si fosse messa in mezzo, nessuno si sarebbe fatto male!» protestò l'uomo, fissando accigliato Yuki, che era in piedi alle spalle di Domenic.

Il giovane si adombrò a quel commento, e asserì per contro: «Gli uomini della scorta di mio fratello sono morti. Non definirei ottimale il lavoro degli sgherri di Nobu-san, a parer mio, se il vostro intento era 'non fare male a nessuno'

Tyler fissò il ragazzo con aria irritata e Yuki, parlando per la prima volta, esclamò: «Noi eravamo i suoi protetti. Se lo è forse dimenticato?!»

«Siete solo degli stupidi ragazzini che giocano con la tastiera di un computer e, solo grazie a quello stupido progetto portato avanti da Eriksson, non siete in galera per i crimini commessi. Ai miei tempi, questo non sarebbe mai successo!» sbottò Tyler, gonfiandosi come un pavone.

Strattonò le manette che lo tenevano legato alla sedia e, più infervorato che mai, continuò nel suo soliloquio.

«E' stato sciocco far entrare nella CIA dei sociopatici come voi, che pensano di vivere dentro una macchina, invece che nel mondo reale. Solo gli agenti come me sanno cosa vuol dire lottare sul campo, ogni giorno, per difendere il proprio paese! E' il nostro sangue che ha fatto vincere le guerre, non le vostre stupide macchine!»

Domenic e Yuki si fissarono vicendevolmente per un istante. Erano increduli.

«I Tashida erano già collusi con personaggi non proprio limpidi... erano la preda ideale per i miei intenti, visto soprattutto quanto erano legati alla tua famiglia, Van Berger. Avrei colto due piccioni con una fava» sogghignò Tyler, sorprendendoli non poco. «Oh... non lo sapevi, ragazzina, che tuo fratello Nobu aveva le mani in pasta nel traffico di armi con il Medio Oriente?»

Yuki aggrottò la fronte, ma rimase in silenzio.

Tyler allora sghignazzò, gli occhi spiritati e feroci.

«Erano anni che lo tenevo d'occhio, pronto a dimostrare ai miei capi quanto le buone, care, vecchie indagini fossero superiori ai vostri marchingegni da strapazzo, quando Asclepio mi diede un'idea più efficace per dimostrare le mie idee. E darvi personalmente una lezione.»

Rise delirante, prima di riprendere a parlare.

«Avrei dato loro la possibilità di distruggere Asclepio, o rivenderlo al miglior offerente, e avrei dimostrato che, primo, Viewscan è un progetto inutile, secondo, è possibile farla in barba anche a dei mostri dell'informatica come voi e terzo, che il caro Domenic Van Berger non è così infallibile come pensa di essere. Tu, il generoso e geniale figlio dei Van Berger, per quanto bravo e intelligente, non avresti mai messo in dubbio la lealtà della famiglia Tashida, vero? La famiglia della tua Yuki…»

Ghignò, godendo dell’aria irritata di Domenic, prima di rivolgersi a Yuki con aria di sfida.

«E tu, piccola sfacciata, avresti smesso di camminarmi davanti con il tuo maledetto muso giallo. Avremmo dovuto ridurre in cenere tutto il Giappone, durante la Seconda Guerra Mondiale, non limitarci a bombardare solo Hiroshima e Nagasaki. Tutto! Dovevamo radere al suolo tutto!»

Tyler si agitò ancora di più, nel tentativo di liberarsi dalle manette, ma nulla servì allo scopo. Iniziò a urlare insulti più o meno velati, a ingiuriare i suoi superiori e chiunque gli venisse in mente.

Domenic non volle ascoltare altro.

Prese per mano Yuki e, dopo essersi scusato con l'agente di sicurezza, uscì dalla stanza per prendere una boccata d'aria.

Nel corridoio, si appoggiò al muro e prese tra le braccia la ragazza al suo fianco, chetando i suoi tremori e il suo principio di pianto.

«Non... non lo sapevo... non lo sapevo... oddio...» singhiozzò Yuki, nascondendo il viso nel petto di Domenic.

«Non è colpa tua, Yuki-necchan... non è mai stata colpa tua...» mormorò accorato lui, avvolgendola completamente per proteggerla dai demoni di un passato che aveva appena scoperto.

Non aveva mai usato il suo intelletto per scavare così a fondo nella famiglia Tashida, forse proprio per proteggere se stesso e Yuki da quello che avrebbe potuto eventualmente trovare.

Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere, avendo sempre avuto delle sensazioni negative su Nobu-san, ma non aveva indagato a fondo, o per tempo.

Né negli anni addietro, né tanto meno quando erano tornati dall'Alaska.

Tutto si era succeduto così in fretta che non aveva perso tempo a conoscere meglio il campo di battaglia.

E questo aveva prodotto mostri.

Mostri che ora tentavano di divorare Yuki con i loro denti affilati, cercando di dilaniarla pezzo dopo pezzo.

Il pianto di Yuki divenne silenzioso, ma non meno straziante.

Domenic le baciò il capo più e più volte, asserendo: «Tyler è un folle accecato dalla rabbia, Yuki-necchan. E tuo fratello è altrettanto folle, ma questo non ha nulla a che vedere con te. E' chiaro?»

«Che razza di sangue mi scorre nelle vene?» esalò la giovane, sconvolta.

«Tu. Non. Sei. Loro.»

Dom sottolineò ogni parola con tono veemente.

Scostata la giovane da sé per guardarla in viso, la baciò con passione per alcuni istanti prima di scostarsi nuovamente e asserire: «Tu sei Yuki Tashida, e io ti amo. Punto. Non devi sapere altro. E a me non serve sapere altro.»

Lei annuì tremante e Dom, con i pollici, le cancellò le lacrime dal viso, sorridendole.

«Torniamo dagli altri. Torniamo a casa.»

 
§§§

Quando l'auto entrò nella proprietà dei Van Berger, Cameron disinserì la levitazione magnetica e lasciò che la Mercedes si adagiasse sui magneti presenti in garage.

Le luci si accesero in automatico nel locale, illuminando tutto con una tenue tinta azzurrata.

Non appena il motore fu spento, il computer dell'auto si connetté alla rete per i controlli alla centralina e all'impianto frenante e, nello scendere, Cameron borbottò: «Una volta o l'altra, scommetto che mi si rivolterà contro perché vuole guidare da sola.»

«Lo sai benissimo che non lo farà mai, se non sei tu a dirglielo» replicò bonario Domenic, un braccio drappeggiato sulle spalle di Yuki.

«Non si può mai sapere... mai visto film sulla ribellione delle macchine e quant'altro?» ironizzò il gemello, prendendo per mano Phie.

Minami e Bryce si accodarono al gruppo ma, una volta giunti in cortile, la ragazza fermò a un braccio il giovane e dichiarò torva: «Mi devi una spiegazione. O te lo sei dimenticato?»

Dom e Cam si volsero a mezzo, incuriositi dal loro improvviso stop, ma Bryce fece loro segno di avviarsi verso casa.

Rimasti dunque soli, i due si diressero verso il giardino, da cui si poteva scorgere l'oceano in lontananza e la scogliera dabbasso.

Da lì, c'erano più di venti metri di strapiombo.

Le acque sciabordavano con violenza, in quel pomeriggio inoltrato di inizio marzo, e l'aria profumava di sale e di un principio di primavera.

Le mani in tasca e lo sguardo perso in lontananza, Bryce mormorò: «Quando ero all'università, appartenevo a una confraternita. Come molti, a dirla tutta.»

Minami annuì, silenziosa.

«Ci divertivamo, pensavamo ben poco agli studi e molto di più alle ragazze...» Rise, come se fosse trascorsa una vita, quando invece erano passati solo cinque anni.

Un sospiro, e riprese il racconto.

«Nel dormitorio con me c'era un ragazzo. Del Maine, se non ricordo male. Si chiamava Cody Malligan. Era spiritoso, sempre aperto con tutti, una vera forza della natura. E, tra le altre cose,... un terrorista.»

La ragazza spalancò occhi e bocca e, coprendo quest'ultima con le mani, represse a stento un urlo sconcertato.

«Lo beccai una sera mentre, tutto soddisfatto, si accordava con altri tizi come lui per far esplodere, simultaneamente, almeno una ventina di studentati in tutti gli Stati Uniti. La chiamarono Pulizia Preventiva. Eliminare una nuova, potenziale classe dirigenziale americana, puntando alle università in cui venivano sfornate le nuove menti del domani.»

Lo disse con ironia, ma Minami non faticò a percepire il rammarico e la rabbia nella sua voce.

Istintivamente, gli carezzò un braccio, e Bryce le sorrise.

Lui scrollò le spalle, e terminò il racconto.

«Non si accorse della mia presenza, così potei defilare indisturbato per chiamare la polizia. La mia chiamata fece innescare una catena di eventi, che portarono all'arresto di trentacinque estremisti di destra in metà degli Stati Uniti.»

«Diventasti un eroe» asserì Minami, sorridendogli timida.

«Mi diedero una targhetta con il mio nome e i ringraziamenti dell'Università e del Presidente, ma a me non importò nulla. Quello che mi diede fastidio fu non essermi accorto della sua doppiezza, del suo essere malato dentro

«Questo ti spinse verso la CIA?»

«Sapevo già investigare di mio, visto che ho imparato più che bene dalla mamma e dal nonno...» sorrise divertito Bryce. «... ma volevo qualcosa di più. E dove avrei potuto trovarlo, se non nella sezione investigativa migliore del Paese? Feci domanda,  partecipai ai relativi corsi e iniziai con le prime missioni nel giro di un anno. Fu lì che scoprii che qualcun altro aveva avuto la mia stessa idea, e prima di me.»

«Domenic-san» ipotizzò Minami, sorridente.

Lui annuì.

«Mi tirò fuori da un brutto casino in Messico, un paio d’anni fa, così venni a sapere del vostro gruppo, dei vostri soprannomi e tutto il resto.»

«Il tradimento di Tyler, perciò, riapre una ferita che speravi di aver lasciato nel dimenticatoio» mormorò l’amica, tornando seria.

«Più o meno. In realtà, Tyler non mi è mai piaciuto, ma non avrei mai immaginato che fosse un traditore. Penso faccia più male a Domenic, che a lui aveva confidato ogni cosa, di Asclepio. Per quanto non lo trovasse simpatico, lo rispettava. E si fidava di lui.»

Minami sospirò, infilò le tasche nella sua felpa col cappuccio e mormorò: «Ci sono fin troppe persone che hanno sofferto per un tradimento.»

«Speriamo sia finita qui, allora» dichiarò a quel punto Bryce. «C'è altro che mi vuoi chiedere, Minami-chan

«No, Kendall-san. Sono a posto. Grazie per avermelo detto» gli sorrise lei, incamminandosi con il giovane per entrare in casa. «Ora che tutto è finito, penso dovrò rientrare a...»

Bloccandosi a metà della frase quando vide il gruppo di amici fermi come statue, e nel bel mezzo del vestibolo della villa, esalò: «Ehi, ma che vi prende?»

Anche Bryce si irrigidì e, mettendo a voce lo stupore di tutti, gracchiò: «Ekaterina?»









Note: spero di aver tranquillizzato tutte coloro che erano in pensiero per Yuki, dopo il precedente capitolo. Tyler è stato finalmente smascherato, ma i nostri nemici non sono ancora del tutto placati. Una volta che Nobu saprà la verità su Byron, quale sarà la sua reazione? E perché Ekaterina, la madre di Yuki, si trova a casa Van Berger? Cosa vorrà?
Per il momento, grazie a tutti/e coloro che mi hanno seguito fino a quei e grazie a chi ha commentato. Fa sempre piacere sapere i vostri pareri.
Alla prossima!

 
  
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