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Autore: Sky and July    19/01/2009    1 recensioni
Un incontro fatidico, un caso voluto dalla sorte. Kimimaro trova Juugo, Juugo trova Kimimaro, e per un breve istante si guardano. Kimimaro chiede il nome dell'altro ragazzo. E quel giorno cambia loro la vita. KimimaroJuugo AU, prologo di una long-fic a quattro mani.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Juugo, Kimimaro Kaguya
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

-Il caso non esiste-
Kimimaro Kaguya



Dopo l’intervento che l’aveva salvato aveva continuato a vivere, isolato dentro se stesso, col desiderio di non tornare a casa a mangiare la sera. A casa lo ignoravano, lo trattavano come un trofeo da esporre per i voti scolastici, per la sua abilità nel ballare. Non trovava soddisfazione nella vita, non in una vita così.
Si faceva accompagnare fino all’ospedale per i controlli al cuore da uno zio che guidava senza scambiare con lui una sola parola e quel che era peggio era che lui non sapeva perché facessero così. Alla sua famiglia semplicemente non importava di abbracciarlo quando tornava a casa, non approvavano che gli piacessero i fiori, non gli interessava che ci fosse o meno.
Questo per sedici lunghi anni.

17 Settembre, Ospedale
Dalla sala d’aspetto l’avevano chiamato a raggiungere la stanza per eseguire tutti i minuziosi controlli. Lo zio era già andato a casa, congedandosi con un veloce «Vengo a prenderti dopo». Con gli occhi verdi spenti lui si era avviato lungo la corsia guardando ogni tanto dentro le porte aperte.
Da una era uscito un ragazzo con capelli color carota e un’aria assente, un po’ impaurita, accompagnato da due dottori ed un’infermiera. Lo vide contrarre i lineamenti del viso per un attimo e poi passò avanti e se lo lasciò alle spalle.
Ma l’infermiera urlò, un urlo terrorizzato e soffocato subito dopo, accompagnato dalle esclamazioni sorprese e allarmate dei dottori.
ucciderla togliendole il fiato, con un’espressione terribile in volto, l’espressione di chi godeva nel compiere una simile azione.
«Che sta…?» sussurrò a fior di labbra, senza completare la sua domanda. Non gli avevano chiesto nessun aiuto, come nessuno glielo chiedeva mai. Ma lui si lanciò ugualmente contro il ragazzo in tenuta da ospedale, non perché ci tenesse ad aiutare l’infermiera, non perché temesse per i dottori, ma per un motivo che non avrebbe saputo definire. Forse solo volersi rendere utile, o più probabilmente mostrare a se stesso che ancora riusciva a muovere il proprio corpo come un tempo. O magari per nessuna delle due cose.
Fulmineo, ignorò i richiami agitati dei dottori che cercavano disperatamente una siringa con sedativo, e colpì il ragazzo sul braccio con i fluidi movimenti dell’elegante stile di lotta che aveva imparato ad usare. Come se stesse volteggiando e ballando lo tirò via dalla donna, rimasta quasi senza fiato, paonazza.
«Via, ragazzo! Ti ucciderà, lascialo!» gli urlò qualcuno, forse uno dei due psicologi, perché quello dovevano essere.
Il ragazzo davanti a lui aveva un’espressione folle e irata, con gli occhi sbarrati e luminosi di una luce incontrollabile. Era più alto ed era robusto, ma probabilmente non conosceva nessuno stile di lotta degno di quel nome. Un dilettante con una forza spropositata.
Lo bloccò a parete con un tonfo e fissò con un’espressione dura e glaciale le iridi arancio dell’altro, neanche guardando i dottori, forse sperando di essere colpito in una ricerca di un'immeritata punizione. Il ragazzo, però, non lo uccise come aveva tentato di fare con l’infermiera, né come avevano gridato i medici.
Pian piano, con disperata lentezza, la luce in quegli occhi si affievolì, sostituita, probabilmente, dalla consapevolezza. E poi le sue sopracciglia si aggrottarono, ed il volto di quello sconosciuto divenne disperato.
«Oddio» piagnucolò con la voce rotta. «L’ho fatto di nuovo…». Kimimaro lo lasciò, senza battere ciglio e quello cadde in ginocchio, con un’aria terrorizzata. «Dio, l’ho fatto di nuovo! Datemi un sedativo! Non voglio rifarlo!» urlò, tappandosi il viso con le mani.
I dottori accorsero e iniettarono nella sua vena quell’agognato sedativo, e allora il giovane si calmò immediatamente, si afflosciò quasi, con un’espressione più serena, mentre i dottori guardavano Kimimaro con un volto stupito, quasi incredulo.
Dopotutto era riuscito a calmarlo. Aveva calmato il loro paziente, riportandolo alla lucidità, quando solo dei sonniferi in dosi massicce riuscivano a farlo.
«Come si chiama?» domandò Kimimaro ad uno dei due psicologi, che diffidente lo squadrò, ancora incredulo per quel che aveva fatto.
«Sei un parente?».
«Ero venuto a trovarlo» mentì.
Forse stanco, forse senza la voglia di controllare se quella era la verità, il dottore rispose: «Si chiama Juugo».

28 Dicembre, Istituto Hellsing
Se la famiglia non lo voleva, non si interessava a lui e lo giudicava inutile, non vedeva perché avrebbe dovuto continuare a restare con loro. Dopotutto qualcosa che ancora poteva fare l’aveva scoperto in quel giorno fortuito di un anno prima. Decise che non gli importava di cenare nella sua casa lì, coi suoi parenti, né di dormire sotto il loro stesso tetto.
Fece domanda per iscriversi in una scuola dove ci fosse mensa e dormitori interni e che fosse aperta per le vacanze. Nessuno gli disse che non poteva andarci. Lui era un trofeo da esporre per i Kaguya, e se questo non poteva più esserlo che andasse dove voleva. C’erano dormitori doppi, aveva saputo. Forse questo non cambiava nulla, forse essere lì o a casa non l’avrebbe reso una persona compresa e amata dagli altri, ma in realtà stava già meglio quando era uscito di casa con le sue valigie piene di vestiti e di tutti gli effetti personali che riusciva a portare.
Si voltò indietro, verso il taxi e guardò chi l’accompagnava. Dopo tanti problemi burocratici era riuscito ad uscire da quell’ospedale, forse soprattutto grazie a lui e alla sua capacità di tenerlo calmo, di placare i suoi impulsi violenti e omicidi. Era venuto con lui in quella scuola, confidando in lui più di chiunque altro avesse mai fatto prima.
«Bisogna sistemarsi in camera» gli disse Kimimaro, mentre l’altro prendeva le sue valigie, così tanto più piccole rispetto alle sue. Juugo annuì e Kimimaro incrinò la bocca. Non era proprio un sorriso e neanche si era impegnato per sorridere.
Ma poteva sempre riprovarci in futuro.


-Emerald Irises-
Juugo Tendou



17 Settembre, Ospedale.
Come ogni settimana il ragazzo veniva accompagnato verso la sala prelievi.
Il corridoio sembrava sempre più spento ogni volta che lo percorreva e ormai non riusciva nemmeno più a sospirare per l'ennesimo esito negativo dei test.
Non c'era cura.
Avrebbe dovuto dipendere dai farmaci finché quella merda non gli avrebbe fatto marcire entrambi i reni.
Era la seconda settimana di settembre e già la sala d'aspetto si stava riempiendo di bambini con il solito raffreddore oppure con qualche malattia decisamente più grave; Juugo amava ascoltare le risa che arrivavano lontane o solamente il semplice chiacchiericcio: lo facevano sentire meno solo.
Le piastrelle bianche scivolavano sotto i suoi piedi, il ritmo scandito dai tacchi dell'infermiera al suo fianco; quest'ultima respirava velocemente e mentre lo teneva per un braccio, il ragazzo a contatto con il suo polso, riusciva a sentirne i battiti, immaginava l'adrenalina che vorticava nelle vene, degustava la sua paura ed inconsapevolmente cedeva.

Quando la ragazza cercò di urlare per la seconda volta non ci riuscì: la trachea si stava pericolosamente assottigliando privandola dell'ossigeno.
Ogni volta che si trasformava uccidere era la parola d'ordine che gli rimaneva incisa nella mente.
Si divertiva, godeva, nell'uccidere, nel degustare quell'ultimo respiro, nel vedere la paura inumidire gli occhi degli uomini più forti.
Si sentiva potente.
Spesso una risata gli solcava la gola, irrisoria, per denigrare quella feccia che non aveva diritto di vivere.
Uccidere era la cosa importante.

La superficie fredda del muro lo colse all'improvviso, con una spaventosa velocità, sbarrò gli occhi color arancio e cercò il nemico: un ragazzo magro lo fissava, glaciale, con quelle iridi verde smeraldo che risaltavano tra la pelle arrossata.
Respirò un paio di volte, ipnotizzato, per poi aggrapparsi a quella muta certezza: era successo di nuovo.
«Oddio» serrò il labbro inferiore tra i denti trattenendo un singhiozzo «L'ho fatto di nuovo...».
Si lasciò scivolare verso pavimento antisettico , tenendosi il viso tra le mani.
«Dio, l’ho fatto di nuovo! Datemi un sedativo! Non voglio rifarlo!».
E sentendo finalmente l'ago entrare si calmò, e prima di lasciarsi andare tra le calde braccia di un sonno forzato, fisso ancora quegli occhi color smeraldo pregando qualche Dio per rincontrarli ancora una volta.













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Ed ecco giungere il prologoH!

Delle due autrici, Cira e SkyEventide, adesso state allegramente chiacchierando con la seconda.
Codesti prologhi iniziano una long-fic KimiJuu che sarà pubblicata su questo account condiviso. Lo stile della fic consiste esattamente nei POV di entrambi, di cui io scriverò quello di Kimimaro e July quello di Juugo; poi nella long cambierà di poco, ma sostanzialmente resterà tale.
Alcune precisazioni: il cognome di Juugo è inventato, non preso dal manga; la famiglia di Kimimaro è viva per necessità della storia e Kimi non ha mai incontrato Orochimaru. Inoltre l'istituto è puramente inventato, anche se dovrebbe avere locazione in Giappone.

Qui linko i due prologhi distinti messi nei nostri account:

-Il caso non esiste-
-Emerald Irises-



A presto a tutte, diteci che ve ne pare. =ç=
  
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