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Autore: Word_shaker    13/07/2015    4 recensioni
Era proprio di lui che si discuteva senza sosta al Paiolo Magico. Mentre ad Ernie Urto e Muriel Prewett premeva terminare le scorte di Whiskey Incendiario della casa, seduta ad un tavolo al centro del locale, quasi nascosta dalla folla, un’affaccendata Rita Skeeter stava succhiando la sua penna prendiappunti per carpire quante più informazioni possibili in mezzo al chiacchiericcio generale. Chissà quanti galeoni avrebbe guadagnato se avesse scritto un articolo dettagliato sul leggendario figlio dei Potter, il primo ad aver vinto l’anatema che uccide e lo stesso Voldemort! [...] Quell’articolo sarebbe stato la svolta giusta per lei… Sennonché un marpione da strapazzo si sedette vicino a lei e cominciò a parlare, fuorviando, così, la mente di Rita dal discorso di Doge e, quindi, la penna dai suoi appunti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Gilderoy Allock, Rita Skeeter
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Gilderoy, quella mattina, la stava aspettando seduto con le gambe accavallate, la vestaglia lilla che scivolava lungo i fianchi e che faceva chiaramente vedere il pigiama azzurro.
Era bello come sempre.
«Oh, c’è una mia ammiratrice qui!».
Rita gli sorrise nonostante stesse già piangendo e lui si alzò ad accoglierla con un abbraccio. Godendosi quella stretta del tutto spontanea ed il suo odore ben definito in mezzo a tutta quella confusa puzza di stantio, immerse la testa nella sua vestaglia come per cercare protezione.
«Qualcosa non va?» le domandò, anche stavolta con la paura di ferirla o di farsi male.
«Ti devo salutare, Gilderoy» sussurrò lei singhiozzando.
«Non importa che tu non mi abbia salutato!» Allock commentò ridacchiando. Ovviamente, non aveva capito.
«No, non hai capito; tu… Tu non sai».
La strega gli prese dolcemente la mano, assaporando quel contatto come se fosse un ladrone che voleva godere dell’intensità della vita prima di vedere le fiamme del rogo invadere il suo corpo.
Senza avere scelta, lo fece sedere e si posizionò in ginocchio di fronte a lui senza lasciare la sua mano.
«Ti avrei portato con me se non tu avessi avuto questo problema della… Memoria» cominciò a spiegare lei, le parole che faticavano ad uscire, come se stessero passando attraverso un tubo ostruito.
«Io devo andarmene, Gilderoy. I giornalisti ora sono in pericolo perché Il Profeta e il Ministero sono sotto il controllo dei Mangiamorte. Devo rifugiarmi in un posto tranquillo, pieno di Babbani, magari lontano da Londra.
Tanto ormai sono caduta in disgrazia… Se sarai molto fortunato, non mi rivedrai mai più».
Le lacrime diventavano sempre più grandi e corpose, il dolore sempre più reale, sempre più tagliente.
Lui la guardò con apprensione. L’unica parola che pronunciò fu: «Perché?».
La Skeeter rimase spiazzata. A bocca aperta, non riuscendo a parlare, la risposta, quella che credeva di conoscere, apparve davanti ai suoi occhi solo un minuto dopo: «Per salvarmi la vita. Sei stato tu a dirmi che bisogna amare se stessi prima degli altri… E forse questa è la prima volta che lo faccio davvero. Io non voglio separarmi anche da te, ma ti ho amato così tanto che tutto il resto del mondo è stato solo un modo per non pensare a te, e non è giusto, perché so che quello che tu volevi per me non è questo. E anche se non ti ricordi niente, io e te ci amavamo, Gilderoy. Ci siamo amati tanto…». L’ultima frase le portò la via l’anima come nemmeno l’anatema che uccide avrebbe potuto fare.
Allock sorrise dolcemente. Era bello essere ascoltati da lui ed era bello vedere che, nei momenti in cui non sproloquiava, stava a sentire, cercava di capire, anche se dimenticava spesso. Le accarezzò i capelli con la disarmante innocenza che aveva acquistato dopo quell’incantesimo fallito e disse con disinvoltura: «Rita, questo è più di quanto mi sarei aspettato da chiunque altro».
Gli occhi di lei si spalancarono in un’espressione di letale stupore in mezzo a tutta quell’agonia, come se, davanti ad una fossa comune, avesse appena scorto il cadavere di qualcuno che conosceva.
«Tu ricordi il mio nome! Io sono venuta a trovarti per anni e…» …E ti ricordi di me soltanto quando devo dirti addio?, pensò Rita, ma non aggiunse altro.
«E’ sorprendente, vero? L’infermiera mi ha fatto leggere tutti i libri che ho scritto, mi ha consegnato l’attestato di Membro della Lega Contro le Arti Oscure e l’Ordine di Merlino, Terza Classe e mi ha passato alcune foto, e in una di queste c’eri tu. Era firmata Rita Skeeter.
Avevo proprio un bel sorriso, lì, vero?».
Adesso fu lei a ricordare con un sorriso che bruciava di dolore: gli aveva mandato una copia della foto della loro prima intervista e l’aveva firmata nel lontanissimo 1981.
«Vero», ammise ad occhi chiusi, i polmoni ormai bloccati.
«Mi mancherai, Rita» confessò Gilderoy in un tono mogio.
«Anche tu mi mancherai. Ogni giorno» disse lei singhiozzando e cominciando a riempire il suo viso di baci; «Mi prometti di ricordare una cosa, se ci riesci?».
Lui annuì e la guardò intensamente, come se si stesse sforzando per imprimere quel momento nella sua mente. Sembrava un bambino che cerca di memorizzare tutto ciò che la mamma gli chiede di fare.
«Io ti amo, Gilderoy. Ti ho sempre amato, ed anche se non mi vedrai più, io non smetterò di amarti. Me ne vado anche per salvare il te che io ricordo, il te che continuo ad amare… Ricordatelo, ti prego».
Per la prima volta in vita sua, Rita stava supplicando qualcuno.
 Lei non gli aveva mai chiesto di ricordare qualcosa perché sapeva benissimo che ogni sforzo sarebbe stato vano, ma stavolta ne aveva bisogno per varcare la porta del San Mungo con la coscienza pulita e il cuore meno pesante.
Il mago sorrise ampiamente e ripeté: «Rita Skeeter mi ama».
Sentendo quelle parole, Rita prese a baciarlo più forte, più malinconicamente.
«Ora va’» la esortò Allock. Sembrava che stesse per piangere anche lui.
Lei lo baciò sulle labbra per l’ultima volta.
«Addio, Gilderoy» sussurrò, il volto non più curato pieno di lacrime grandi come cicatrici.
«Addio, Rita» rispose lui ad occhi chiusi e sorrise, come per farle un regalo, per non dare un brutto ricordo a chi, purtroppo, era costretto ad immagazzinare ogni istante nel proprio cervello.
Dopo aver affatturato, come di consueto, la Medimaga che controllava tutti gli smemorati, Rita uscì da quel posto sentendosi morta.
Gilderoy era sembrato così diverso quel giorno… E se fosse stato un segno?
Non poteva portarlo con lui perché prendere un malato del San Mungo e sparire sotto gli occhi di tutti sarebbe stato pericoloso e sospetto; chissà quali sarebbero state le procedure per trovarlo, nel caso in cui avesse deciso di farlo?
Magari per questo l’avrebbero portata ad Azkaban o peggio, uccisa.
E se la prima parte avesse funzionato senza problemi, andare in giro con una persona egocentrica e smemorata sarebbe comunque stato controproducente. No, aveva fatto bene a partire da sola, anche se il suo cuore non avrebbe sopportato quella perdita. Se non poteva amare se stessa come Gilderoy richiedeva, perlomeno poteva ancora amare la propria vita nel senso più prosaico del termine.


Alla fine, Rita aveva scelto un paesino nelle Orcadi del Nord ed era rimasta lì senza cercare notizie del mondo magico. Si era adattata abbastanza bene ed aveva trovato lavoro come commessa in un negozio.
Ormai aveva rinunciato a qualunque legame con la vita che non fosse puramente materialistico, nella speranza che il suo legame spirituale potesse essere un giorno ripristinato.
Com’era diventata? I suoi occhiali tanto eccentrici avevano perso tutti i brillantini e lei non aveva avuto voglia di cambiarli. Ormai, più che vestiti e pochette, portava delle comode ma trasandate tute di ciniglia verde acido o color prugna – nei giorni più neri, le due cose si mischiavano – ed i suoi capelli color giallo paglierino adesso erano perlopiù grigi.

Il suo legame spirituale con la vita si spezzò definitivamente, però, e questo accadde il 14 febbraio 2000.
Tornata a casa all’ora di pranzo dal suo turno, Rita trovò un gufo vicino al vaso di ginestre che albergava sul tavolo della cucina. Non era affatto un buon segno.
La lettera che il gufo stringeva nel becco aveva un sigillo verde di ceralacca su cui era impresso il logo del San Mungo.
Il suo cuore cominciò a battere per il timore come non faceva ormai da anni.
Questo è ciò che la lettera riportava:

“Gentile Sig.na Skeeter,
E’ con immenso dolore che La informiamo, come richiesto da Gilderoy Allock nelle sue ultime volontà, che quest’ultimo è deceduto stamattina.
La preghiamo di venire a farci visita per ritirare tutti i suoi oggetti dalla sua stanza e per dargli l’estremo saluto.
Le porgiamo le nostre condoglianze.
Il personale del San Mungo, ospedale per ferite e malattie magiche.”



Rita urlò di dolore. Provò a tastare il petto alla ricerca del suo cuore, ma non lo trovò. Noncurante del suo aspetto, tantomeno del gufo, prese la bacchetta che aveva nascosto sotto il letto, la mise in tasca e si Materializzò davanti all’ospedale.
Forse la Guerra Magica era già finita, forse troppe persone erano state sterminate. Ma che cosa le importava?
Una Medimaga la aspettava all’ingresso con un’espressione sconcertata.
«Signorina Skeeter, venga con me» la incalzò gentilmente questa prendendola per le mani e cominciando a camminare, per poi aggiungere: «Io sono Dorothy Gray, la Medimaga che si occupava esclusivamente di Gilderoy. Mi ha parlato molto di lei e negli ultimi giorni non ha fatto che parlare del fatto che dovesse ricordare quanto lei l’amava… Purtroppo nell’ultima settimana ha cominciato a sentirsi male frequentemente e non ha più potuto lasciare il letto. E’ morto qualche ora fa. Le ultime parole che ha detto sono state: “Ditelo a Rita”. Mi dispiace, Signorina Skeeter».
Quelle parole le tolsero il fiato. Gilderoy si era ricordato di lei proprio nell’ultimo istante della sua vita… E lei non era lì con lui.
 Un commisto fra la soddisfazione di essere ricordata e il senso di colpa dovuto alla volontaria assenza si stava facendo strada dentro di lei. Per un attimo di folle confusione sentì quasi di essere stata lei ad averlo ucciso.
Lui era morto solo. Rita aveva scelto di farlo morire solo.
«Era ancora bellissimo nell’ultima settimana? Sa com’è, per lui l’aspetto fisico era molto importante» ebbe il coraggio di domandare con un filo di voce.
Dorothy sorrise, affabile.
 «Certo che lo era».
«Dov’è adesso?».
 La strega strizzò gli occhi, il passo goffo che la aiutava a sentire dolore con tutta se stessa. Non voleva vederlo morto. Non voleva vedere il suo legame con la vita spezzato per sempre.
«Abbiamo dovuto seppellirlo subito, purtroppo. Avremmo voluto trasportarlo in una stanza più tranquilla per fare in modo che i suoi cari lo salutassero, ma un paziente l’ha visto, ha urlato e tutti gli altri hanno cominciato ad agitarsi ed abbiamo dovuto affrettare le cose… Succede spesso in questo reparto».
Rita emise un rantolo. Adesso invece voleva vederlo, abbracciarlo, baciarlo, sperare di ricevere una risposta che non avrebbe mai avuto. Non sapeva più che cosa volesse adesso.

Dorothy la aiutò a sgomberare la stanza in silenzio. L’unico rumore che si sentiva era il rumore disperato dei singhiozzi della Skeeter.
In fondo, non c’era molto da portare via: il suo Ordine di Merlino, il suo attestato di Membro Onorario della Lega contro le Arti Oscure ed alcune foto, fra cui quella che lei gli aveva autografato. Prese anche i suoi libri, più per il fatto che gli avessero fatto compagnia mentre lei era assente che per altro.
Trasportando tutto con la magia, alla fine, fu condotta nel cimitero del San Mungo e, quindi, sulla sua tomba.
Il cimitero era pieno di lapidi deserte, senza fiori, senza persone.
Rita giurò a se stessa che avrebbe visitato la tomba di Gilderoy regolarmente, l’avrebbe distinta da tutte le altre più di quanto già non fosse. Infatti, la tomba era di quarzo, una pietra che lui amava molto. Oltre alla classica incisione del suo nome e del suo cognome, della data di nascita e quella di morte, il suo epitaffio riportava le seguenti parole:
 
“E’ te che lascio andare, non il ricordo”
 
Lei si abbandonò ad una risata amara.
«Tutto bene, signorina?» chiese Dorothy dolcemente. La sua tenerezza la stava facendo diventare matta.
«Chi è il genio che ha scelto questa frase di merda?».
Era tanto rabbiosa da avere l’impressione che avrebbe irradiato di ira anche il prato ed il sottosuolo.
Quella frase non poteva essere più fuori luogo di così: Gilderoy non aveva ricordi, a parte qualche immagine confusa e qualche sprazzo di Rita.
Aveva abbandonato i ricordi da vivo, e adesso lasciava anche Rita.
Lui aveva abbandonato tutto.
«Non lo so, signorina» fece l’altra a testa bassa, forse un po’ spaventata.
«Non lo sa? Vada ad informarsi! Mi lasci sola!» urlò lei; essendosi deconcentrata, tutto il materiale della stanza di Gilderoy era rovinato a terra con un tonfo secco.
Non appena vide che Dorothy se n’era andata, mormorò «Muffliato», dopodiché si sdraiò sulla nuda terra, la tomba del suo amato che faceva ombra alla sua testa in quella ingiusta giornata di sole.
Perché la Terra non si fermava? Perché il cielo non piangeva? Perché nessuno sentiva l’angoscia e il dolore di Rita farsi reale? Perché nessun altro era andato oltre la sua maschera e non l’aveva rallegrata dopo il 1992, spingendosi nel suo stesso baratro?
Continuando a piangere, le labbra sulla terra, cominciò a parlare:
«Spero, ovunque tu sia, che adesso tu stia bene e che ricordi tutto.
E’ molto importante per me che tu sia tutto intero quando ti raggiungerò. Hai sofferto molto? Spero di no… Ma ti sono mancata, forse tanto quanto mi sei mancato tu, e adesso continuerai a mancarmi per sempre.
Non è giusto, Amore mio, non è giusto per niente… Avevamo una vita bellissima e ce l’hanno portata via, l’hanno fatta a pezzi.
Non è giusto, Gilderoy, non è giusto… Io non riesco ad amarmi come ti sei amato tu, come mi hai amata tu, come io ho amato te. Dammi della stupida, ma non ci riesco.
Per me è difficile immaginare che cosa succederà adesso, e francamente non so se voglio saperlo. Continuerai a guardarmi da lassù, vero? Dimmi che lo farai…
A proposito: non sei un fantasma, quindi vuol dire che sei passato oltre!
Oh, Gilderoy, sei così coraggioso... E invece guarda me, guarda come mi sono ridotta. Per me niente ha più senso, neanche stare qui a parlarti dalla terra ha senso.
Ce la fai a ricordare ancora che ti amo? Sarà soltanto per poco, te lo prometto, poi sarò io a ricordartelo con la mia voce e con la mia anima. Te lo prometto, amore mio.
Ricordi chi sei, Gilderoy? Tu sei il mio cuore. Ti amo, ti amo, ti amo».
I tutta la disperazione che la catarsi comporta, Rita posò le labbra sulla terra, come per dargli l’estremo bacio.
Con quel bacio anche lei, nel peggiore dei modi, morì.


 
Nota dell'autrice: Ringrazio chiunque mi abbia sostenuta nella stesura di questa storia, in particolare rivolgo un Grazie speciale a Soleil Jones.
Sono felice che qualcuno si sia affezionato a questi personaggi alla fine di tutto questo e sono ancora più felice di vedere che alcuni di voi abbiano addirittura iniziato a nutrire una sorta di empatia con loro.
Questa è stata la prima storia a capitoli che sono riuscita a concludere, e devo dire che per me è davvero un grande traguardo.
Ho seriamente pianto mentre scrivevo l'epilogo di questa storia, e se rimarrà nel cuore anche di un solo lettore, potrò ritenermi davvero fortunata.
Grazie di cuore ancora una volta, perché i ringraziamenti non sono mai abbastanza.
Vostra,
Word_shaker
   
 
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