Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    13/07/2015    4 recensioni
Yumiko ed Eri, due donne, una trentenne e una quindicenne, una madre e una figlia, catapultate dall’altra parte del Mondo, costrette a ricominciare tutto d’accapo, a confrontarsi con una cultura completamente diversa, lontane anni luce dal loro Paese d’origine: il Giappone. Ma Yumiko quel nuovo Paese lo conosce già in un certo senso, ha imparato a conoscerlo attraverso i racconti del padre di Eri.
N.B. Il titolo è tratto dalla canzone di Malika Ayane “E se poi” così come i titoli di ogni capitolo saranno presi da frasi del medesimo testo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 10
Certo che non ha prezzo il tempo passato insieme a spasso
(parte seconda)
 
 
 
La cena fu esclusivamente giapponese. Eri aveva insistito affinché il confronto fra il suo Paese d’origine e quello in cui si trovava in quel momento continuasse anche a tavola. Ricardo accettò la sfida, ma a fine cena affermò di avere ancora più fame di quando aveva iniziato a mangiare. Il riso con le verdure bollite e il pesce mezzo crudo loro lì, in Spagna, lo mangiavano come antipasto, si consolò allora coi dolci che aveva comprato lui stesso, alla pasticceria poco distante dall’appartamento delle due ragazze.
Erano circa le ventidue quando Yumiko disse a sua figlia che avrebbe fatto meglio a mettersi a letto, o l’indomani alzarsi per andare a scuola avrebbe richiesto uno sforzo maggiore di quello di tutti i giorni. Eri le chiese se le portasse il tè a letto e sua mamma rispose di sì. Salutò Salas allungandogli la mano e lui gliela strinse, ma poi lo abbracciò velocemente, sorprendendolo, mentre lo ringraziava: Madrid non era stata diversa da quello che aveva visto fino a quel momento, ma perlomeno aveva conosciuto uno spagnolo simpatico – e aveva dimenticato per un po’ Kingsley, ma quest’ultimo pensiero lo tenne per sé.
Yumiko tornò dalla camera di Eri, disse che probabilmente il tè non l’avrebbe mai bevuto, si era già addormentata. Ricardo sorrise, riscaldandosi i palmi premuti intorno alla tazza, neanche lui aveva ancora assaggiato il suo a dire il vero, aspettava la padrona di casa per berlo insieme. La donna infilò la mano sinistra dietro il microonde e ne cacciò le sigarette,  se ne accese una e quindi si sedette di fronte a lui, sorseggiando un po’ della sua bevanda calda, senza smettere di guardarlo tirò la prima boccata di fumo. Ricardo sorrise fra sé, notando che aveva cambiato il luogo segreto dove nascondere il pacchetto di cicche con l’accendino.
«Joaquin Morales» disse Yumiko d’un tratto e Salas aggrottò la fronte, non capiva «Era il mio fidanzato, l’ho conosciuto in Giappone, si era trasferito dalla Spagna per lavoro. Faceva il carpentiere per un’impresa edile.» Scrollò la sigaretta nel posacenere, bevve un altro po’ di tè e riprese «Ci dovevamo sposare, ma qualche mese prima del matrimonio è finito giù per una scarpata ed è morto sul colpo. Dicono che fosse ubriaco, ma io so che i freni del furgoncino della ditta dovevano essere riparati, solo che l’azienda blaterava di non avere soldi al momento e dovevano arrangiarsi così.» Gli occhi scuri di Ricardo facevano su e giù da quelli di lei al tè che iniziava a raffreddarsi e che ancora doveva assaggiare, improvvisamente gli si era chiuso lo stomaco. «Con i soldi dello stato giapponese e quelli dell’azienda, che mi ha ben pagata dopo che li avevo minacciati di denunciarli per la questione dei freni, ho preso Eri e sono venuta a vivere qui, nel paese di Joaquin»
«Perché hai portato con te tua sorella?»
Diglielo” fece una vocina dentro Yumiko “Digli la verità, ora o mai più
«Perché nostra madre è anziana e nostro padre è morto, sinceramente non avevo previsto di rimanervi. Qualche mese al massimo, il tempo necessario per smaltire il lutto e per esaudire l’ultima richiesta di Joaquin, ovvero seppellire le sue ceneri nella tomba di famiglia; poi ho trovato un lavoro e mi sono resa conto che nessuno sapeva chi fossi, potevo ricominciare d’accapo una nuova vita. Mi è stata data una nuova chance» aspirò l’ultimo tiro dalla sigaretta prima di spegnerla stropicciandola sul fondo di vetro del portacenere «Quindi sì, io ci credo nell’anima gemella e credo anche che la mia l’ho già incontrata e persa. Per sempre.»
Ricardo Salas aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi si accorse che non aveva niente da dire, nessuna parola di conforto, né la voglia di controbattere quello che lei aveva appena affermato, nonostante lui non fosse d’accordo. Personalmente credeva che l’anima gemella la si può riconoscere alla fine della vita, quando non si hanno più minuti da condividere, quando si ha settanta o ottant’anni, quando ci si guarda indietro e si ha la certezza che tutto quello che hai fatto l’avresti rifatto perfettamente uguale, e con la stessa persona. Forse Joaquin era davvero l’anima gemella di Yumiko, ma lei non l’avrebbe mai saputo, era morto troppo presto e non aveva più tempo per scoprirlo.
«E tu? Hai mai avuto una fidanzata che hai creduto potesse essere la tua metà?» gli chiese Yumiko, dopo la sigaretta sembrava più disinvolta, o forse semplicemente iniziava a sciogliersi, mostrando un altro lato del suo carattere
«Una volta. È durata circa un anno … forse anche di meno» lei sorrise a quelle parole, un anno era molto poco secondo il suo punto di vista, ma non quello di lui evidentemente «Peccato avesse un figlio …» Yumiko si irrigidì « … un figlio è una cosa seria e io …» Ricardo sospirò passandosi una mano sui capelli scuri e ispidi « … niente, aveva un figlio.»
Perché Yumiko si sentisse così triste non sapeva dirlo. D’improvviso una strana sensazione le aveva stretto lo stomaco e quasi le veniva da piangere, non riusciva a dare una motivazione valida a quel repentino cambio d’umore, eppure lo avvertiva chiaramente, era come se avesse ricevuto una spiacevole notizia, una specie di divieto.
«Hai conosciuto gli altri due soci del night?» Yumiko cadde dalle nuvole «Lo sai vero che siamo una specie di società? Io e altri due»
«Pensavo fossi l’unico capo»
«In realtà io sono subentrato a mio padre solo qualche mese fa, dopo la sua morte»
«Oh, mi dispiace, non ne sapevo nulla»
«Era malato, ma ha sofferto poco, i medici lo avevano indotto ad un coma farmacologico.» Yumiko notò che non c’era alcuna punta di dispiacere nelle parole di quel ragazzo che aveva perso da poco il genitore, forse fra i due non correva buon sangue. «Gli altri due soci erano amici di mio padre, ma ultimamente uno dei due è andato in pensione e ora è il figlio a fare le sue mansioni. Quindi non l’hai ancora incontrato?» Yumiko scosse il capo. «Se e quando lo farai stai attenta, non è uno proprio tranquillo» le sorrise per alleviare la serietà con cui aveva proferito quell’avvertimento, in fondo non voleva spaventarla - solo metterla in guardia - senza sapere che il suo amico Oscar aveva detto una cosa simile alla stessa Yumiko su di lui.
Rimasero a parlare ancora un po’, di come e quando lei avesse sostenuto il colloquio di lavoro con un uomo avanti nell’età e i capelli radi e bianchi, gli raccomandò di non farne parola con Eri, lei non sapeva che lavorasse in un night club e quando lui le fece notare che non faceva la spogliarellista ma la barista, Yumiko fu irremovibile e a Ricardo non rimase che darle la sua parola. Lui le raccontò del suo viaggio ad Amsterdam: il motivo per cui non si erano incrociati durante i primi giorni di impiego della ragazza. Risero agli aneddoti di lui e della pseudo-fidanzata olandese che praticamente andava avanti a spinelli e vodka. Yumiko chiese quanto tempo erano stati insieme e Salas rispose di non ricordare con precisione, forse un mese, al massimo due. Di nuovo quella strana sensazione di malinconia tornò a farle visita, un nuovo pensiero le passò per la testa, facendole notare come quello non fosse un ragazzo adatto a lei. Yumiko lo scacciò idealmente, come si farebbe con una mosca, a volte le venivano in mente delle cose proprio assurde!
La campana della cattedrale batté dodici rintocchi alla mezzanotte, il vento che si era fatto più insistente in quelle ultime ore riportò i rintocchi chiari e nitidi. Ricardo Salas si alzò, prima di tornare a casa voleva passare per il locale a controllare che tutto fosse ok, allora  Yumiko scattò dalla sedia, offrendosi di accompagnarlo, ma lui rifiutò garbatamente, inviando un SMS al suo fidato compagno Oscar, scrivendogli di passarlo a prendere.
Avviandosi alla porta di ingresso Salas lanciò una nuova occhiata al ritratto di Yumiko appeso alla parete, più lo guardava e più gli sembrava un’immagine eterea, non di questo mondo. Si voltò indietro, la fanciulla dipinta sulla tela era ad un passo da lui in carne ed ossa, che lo osservava. Sembrava tornata la ragazza timida che aveva conosciuto mentre buttava la spazzatura, ma oramai lui sapeva che non era tutto lì, che c’era qualcosa di più. Lentamente si chinò a lasciarle un bacio sulla guancia, ringraziandola per la bella giornata trascorsa insieme - baciò l’altra guancia - per essersi fidata di lui, confessandogli i suoi segreti e infine si arrestò a pochi centimetri dalla bocca, chiedendole la traduzione di “buonanotte” in giapponese:
«Oyasumi nasai» balbettò lei «Ma va bene anche solo oyasumi» deglutì a fatica «È più confidenziale»
«Beh, allora … oyasumi, Yumiko» chiuse gli occhi e posò le labbra su quelle di lei che seppur impercettibilmente si tirò indietro, un po’ come era accaduto quel pomeriggio, quando Ricardo le aveva sfiorato i capelli. Ciò nonostante lui non si sentì rifiutato, anzi, comprese che c’era qualcosa a trattenerla, dal lasciarsi andare completamente, e adesso che conosceva la sua storia fu facile dedurne il perché. Le concesse un ultimo dolce sorriso, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle, con delicatezza.
Yumiko versò nel lavabo il tè che né lei, né il suo ospite avevano consumato, tenendo lo sguardo perso nel vuoto. Era stato un pomeriggio strano, ricco di emozioni e sensazioni a cui non era più abituata, ma poteva davvero permettersele quelle cose alla sua età e con una figlia? Quella fastidiosa vocina interiore le rispose che sì, poteva permettersi quello e altro, molto altro, se solo fosse riuscita a mettere un punto al passato e al suo splendido, ma pur sempre concluso, capitolo con Joaquin.
 
Ricardo Salas neanche ascoltò l’ennesima ramanzina di Oscar su Yumiko e via discorrendo. Fissava il paesaggio della città addormentata che scorreva davanti ai suoi occhi, il vento che entrava dal finestrino aperto dal lato del guidatore - poiché questo stava fumando - gli faceva accapponare la pelle, però non si curò di chiedergli di alzarlo un po’. Sapeva benissimo che se avesse voluto spingersi oltre con quella donna orientale avrebbe potuto farlo, tranquillamente, invece le aveva lasciato un casto bacio sulle labbra. Volendo avrebbe potuto infilarle la lingua in bocca e poi magari concludere la notte a rotolarsi fra le lenzuola del letto – facendo piano perché di là c’era la sorellina minorenne – e sarebbe continuata così... per quanto tempo? Due, tre mesi? Difficile a dirsi, di sicuro fin quando non si sarebbe scocciato anche di lei. Già, avrebbe potuto farlo, ammesso che Yumiko gliel’avesse permesso, al massimo gli avrebbe mollato un ceffone, manco fosse la prima volta che veniva schiaffeggiato o insultato per le sue audaci avance.
Rinvenne dai suoi pensieri solo quando Oscar parcheggiò sul retro del night e spense il motore dell’auto.
«Ci siamo intesi, Casanova?» gli disse ironico la drag queen
«Abbiamo un fascicolo su Yumiko in ufficio?»
Oscar sgranò gli occhi, quasi gli fumavano le orecchie:
«Ma allora che ho parlato a fare finora? Non è una di quelle che …» Ricardo scese dalla macchina lasciando la frase di Oscar a metà
«Ho capito, faccio da solo» concluse e si allontanò. Entrò nel locale provando a passare inosservato, ma è difficile quando sei il capo e ci sono ballerine mezze nude che ti aspettano per concludere la serata in compagnia, magari vantandosi della loro performance e ricevere un extra sulla paga a fine mese. Tuttavia Ricardo le salutò con un’alzata di mano e percorse a passo spedito la strada verso l’ufficio, camminando notò il suo socio, rideva a crepapelle e si muoveva come al rallentatore, doveva essere ubriaco, non si preoccupava neanche di smettere di palpare il seno della spogliarellista davanti a tutti. Salas provava un profondo senso di disgusto per quella persona e non si curò di lasciargli un saluto. Giunto in ufficio si chiuse a chiave e cercò la cartella contenente le info sulla giapponese: curriculum vitae, contratto di lavoro, tessera di riconoscimento. La trovò e l’aprì, sedendosi sulla comoda poltrona dietro la scrivania, dopo essersi versato un bicchierino da una delle bottiglie di liquore posate sul carrello alla sua destra.
L’intestazione sul fascicolo citava Yumiko Okada, nata a Tokio, anni 32. La foto che ritraeva Yumiko era recente: aveva già i capelli corti e la frangia. Nella foto non sorrideva, ma di questo Ricardo non si meravigliò. Non c’erano altre notizie utili, in verità non c’era niente di che, l’unica cosa che lo impensierì appena furono i suoi anni: trentadue. Lui ne aveva compiuti ventisette a maggio. Bevve l’ultimo sorso dal bicchiere, le labbra si incresparono in un sorrisetto. Non era mai stato con una donna più grande.
 
Per Kingsley quelle ultime ore erano state di fuoco. Dopo che il compagno di suo padre era andato via – l’aveva visto salire in macchina dalla finestra della sua camera – il caro paparino aveva ben pensato di andare a parlargli. Aveva bussato alla porta della stanza come se volesse sfondarla, forse era proprio quella la sua intenzione, eppure la porta aveva retto l’urto e Kingsley era potuto restare rintanato nella camera, con le gambe incrociate sul letto e l’unica cosa che riusciva a tranquillizzarlo quando si sentiva così: un foglio bianco e una matita. L’uomo dall’altra parte della porta aveva sbraitato come un ossesso, minacciandolo e ricattandolo di riportarlo nella topaia dove l’aveva preso, se solo gli fosse venuto in mente di dire a qualcuno ciò che aveva visto. Anche perché, aveva aggiunto senza vergogna, non aveva visto niente! Kingsley era rimasto rinchiuso nella sua stanza a disegnare fino a quando si era addormentato, per la fiacca che la rabbia – smaltita a suon di matita – gli aveva lasciato e, soprattutto, per la fame. Quando si era svegliato quella mattina e aveva sfogliato il suo album da disegno, aveva notato che la maggior parte degli schizzi ritraevano una ragazza dai lunghi capelli scuri e gli occhi a mandorla, a volte immersa in uno scenario apocalittico, altri in un paesaggio realistico, in altri era una specie di dea tanto bella quanto buona che con i suoi poteri difendeva l’umanità. Nell’ultimo disegno, rimasto incompleto poiché il sonno l’aveva sorpreso di colpo, la medesima ragazza era ripresa in primo piano, di profilo, gli occhi chiusi e i capelli al vento, sulla sua bocca ce n’era un’altra, ma questo personaggio era solo abbozzato. L’unico particolare riconoscibile una treccina che scendeva al lato del collo. Senza pensarci due volte strappò il foglio, lo piegò in quattro parti e lo infilò nel diario di scuola.
Quando arrivò in classe tirò un sospiro di sollievo vedendo Eri già seduta al loro banco. Senza salutarla le distese davanti agli occhi il foglio da disegno. Eri rimase interdetta, alzando prima lo sguardo su di lui, poi studiando i volti accennati sul foglio bianco. Ovviamente non fu difficile riconoscere i due soggetti, ma finse indifferenza, in fondo non aveva dimenticato la presa in giro del pomeriggio precedente e se credeva di potersela cavare con un disegnino, beh... Kingsley sbagliava di grosso.
«Carini. Chi sono?» chiese senza troppa convinzione, fingendo che il cuore non le galoppasse in petto come un puledro imbizzarrito
«Noi» fu l’unica risposta del ragazzo che le prese il volto fra le mani e si piegò a baciarla.
Eri spalancò gli occhi, cercando di toglierselo di dosso, intanto che l’intera classe si era fermata ad osservare quella scena surreale. Avere degli stranieri in classe stava diventando un vero spasso! Proprio in quel momento entrò nell’aula il vecchio professore di matematica, al quale quasi venne un colpo trovandosi di fronte quella scena. Iniziò a sbraitare di smetterla immediatamente, ma mentre Eri tentava di allontanarsi da lui, tirandolo per i polsi, Kingsley aumentava la presa, intrecciando la lingua alla sua. Solo l’intervento del professore riuscì a fermarlo, sebbene il ragazzo non sembrasse pentito o intimidito da quella situazione, al contrario di Eri che teneva la testa bassa. Fra i fischi, gli applausi e gli incitamenti dei compagni di classe, l’uomo afferrò anche la ragazza per il polso e trascinò entrambi in presidenza, così rosso in volto che la preside si preoccupò soprattutto per la sua salute. Tornato in aula, il professore strappò il disegno sul banco e gettò i resti nel cestino.
La preside, un donna buona ma che teneva particolarmente al regolamento scolastico, chiese cosa fosse successo, il professore aveva sbraitato che quei due erano degli indisciplinati e andavano puniti. quando lei gli aveva chiesto il motivo, lui aveva solo risposto "atti osceni" e aveva sbattuto la porta della presidenza. Kingsley Rodriguez aveva subito tenuto a precisare che era un’esagerazione, Eri continuava a tenere la testa china per la vergogna. Era stato il suo primissimo bacio e non sapeva neanche dire se le era piaciuto, di sicuro l’aveva sorpresa e se l'amico intendeva farsi perdonare l’affronto del giorno precedente, beh, adesso aveva altro per cui scusarsi. La donna chiese di nuovo che le venisse spiegata la situazione, per bene. Questa volta il ragazzo posò una mano sul dorso di quella di Eri e la guardò:
«Niente, signora preside, è che la amo.»
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta