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Autore: 9Pepe4    14/07/2015    6 recensioni
«Desiderate chiedermi qualcosa?» le domandò, gentilmente.
La bambina indugiò un istante, poi annuì. «Puoi mostrarmi i tuoi pugnali?» chiese, additando le lame in questione.
Tauriel sbatté le palpebre, posando istintivamente le mani sui due pugnali che portava alla cintura… Poi sorrise.
«Certo» rispose, ed estrasse le armi con un gesto fluido.
Si abbassò, appoggiando un ginocchio a terra così da essere all’altezza della bambina.
Éowyn, per nulla intimorita, tese una mano a sfiorare l’impugnatura intagliata. «Sei una guerriera?» chiese, con una nota di reverenza nella voce.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eowyn, Tauriel, Theoden
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Non tutti gli erranti sono perduti'
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Dicerie

And men said that the blood of the stars flowed in her veins.
~ C.S. Lewis, The Silver Chair

Tauriel non aveva mai visitato quella parte della Terra di Mezzo.
Rohan era una terra verdeggiante, un insieme di piane erbose e montagne ondulate.
I suoi abitanti, per lo più contadini ed agricoltori, avevano guardato con diffidenza le orecchie a punta ed i capelli rossi della giovane viaggiatrice. Non si erano mostrati rudi, però, e talvolta le avevano persino offerto riparo.
Tauriel sospettava che, ad ammansirli, non fossero state tanto le sue rassicurazioni quanto la vista del suo cavallo. Sembravano approvare come lei se ne prendeva cura.
Quando Tauriel gli accarezzava il muso e lo ringraziava sommessamente in Sindarin, il destriero sbuffava e scalpitava come se non lo ritenesse necessario, e spingeva la testa contro la sua mano.
Era una magnifica bestia dal pelo scuro e lucido, con muscoli guizzanti, proveniente dalle scuderie di re Thranduil. Era per ordine del sovrano che Tauriel si trovava a Rohan, incaricata di osservare e riferire la situazione.
Non era molto buona. A quel che sembrava, gli Orchi facevano spesso delle scorribande nel territorio dei Rohirrim, rubando cavalli ed uccidendo persone.
La stessa Tauriel era stata assalita – il suo cavallo si era impennato, nitrendo, e lei era scivolata giù dal suo dorso per attaccare gli Orchi ed affondare i pugnali nel loro petto.
Proprio quando ritenne di aver raccolto informazioni a sufficienza per il proprio sovrano, venne avvicinata da un giovane soldato, che le riferì che il re Théoden desiderava incontrarla. Tauriel non sapeva cosa aspettarsi, ma decise comunque di acconsentire.
Il giovane, allora, la guidò sino al forte di Edoras – la capitale di Rohan, edificata sulle pendici dei Monti Bianchi.
Re Théoden era un uomo abbastanza robusto, dalla barba e i capelli biondi, e aveva occhi acuti. La ricevette nella sala del trono, ma fu un incontro piuttosto informale.
«Mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invito» esordì come la vide, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena.
Tauriel chinò la testa in una breve riverenza. «Mi fa piacere che mi abbiate invitata, mio signore» replicò.
Théoden la scrutò in silenzio per un istante. «Certo» disse, corrugando la fronte. «Posso sapere il tuo nome?»
«Tauriel» si presentò lei, con semplicità.
«Hai fatto parlare molto la mia gente, Tauriel» la informò Théoden. «È raro vedere degli Elfi da queste parti. Dovrei preoccuparmi?»
In pratica, pensò Tauriel, le stava chiedendo se un qualche signore elfico progettava di muovere guerra contro Rohan.
«No, mio signore» gli assicurò. «Il mio re voleva soltanto sapere se davvero gli Orchi sono divenuti tanto audaci da saccheggiare le vostre terre».
«Ora avrai la tua risposta, immagino».
Lei annuì senza dir nulla, spostando il peso da una gamba all’altra. Contro la caviglia, sentì la forma del pugnale che teneva nascosto nello stivale.
All’ingresso le era stato chiesto di depositare le proprie armi, ma le guardie erano troppo in soggezione per perquisirla, e lei aveva ritenuto prudente tenere per sé almeno quella piccola lama.
Théoden si sfregò la fronte. «Immagino anche che tu e il tuo destriero siate reduci da un lungo viaggio».
Tauriel pensò ai giorni di cavalcata… In particolare, alla sosta a Lórien, impressa a fuoco nella sua mente. Galadriel e Celeborn erano stati avvertiti del suo arrivo, e l’avevano accolta con un calore che l’aveva spiazzata.
L’incontro con dama Galadriel era qualcosa che non avrebbe mai dimenticato. La signora di Lórien, serena e bellissima, aveva letto nel suo cuore senza difficoltà. Aveva visto molte cose, compreso il suo dolore, e le aveva parlato con l’amore di una madre.
Con un piccolo brivido, Tauriel tornò a concentrarsi su Théoden. «Esatto, mio signore».
«Permettimi di offrirti la mia ospitalità, dunque, e riposo per te ed il tuo destriero».
Tauriel esitò. Avrebbe voluto tornare al Reame Boscoso… d’altro canto, alla corte del re di Rohan avrebbe potuto raccogliere nuove informazioni. Chinò la testa ramata.
«Accetto la vostra ospitalità, mio signore, e ve ne sono infinitamente grata».
Una volta, Legolas le aveva detto che le sue capacità diplomatiche facevano paura – e non in senso buono – ma Tauriel riteneva di essersi comportata impeccabilmente durante quest’incontro. Avrebbe dovuto farlo presente al principe, al proprio rientro.
La stanza che le venne assegnata più tardi era ampia ed accogliente, con un comodo letto a baldacchino ed una piccola finestra che dava sull’esterno.
A cena, quella sera, Tauriel venne presentata a Théodred, il figlioletto del re, e ai suoi cugini Éomer ed Éowyn. La bambina in particolare la guardò con grande curiosità. Era minuta, con grandi occhi azzurri e capelli biondi come il lino.
Sebbene non somigliasse a Tilda, Tauriel ricordò la figlia più piccola di Bard, e sentì il cuore dolere nel proprio petto.
Tutto sommato, fu un soggiorno breve ma non sgradevole. Di tanto in tanto, qualcuno s’imbambolava a fissarle le orecchie – grandi persino per un Elfo – e sussurrava alle sue spalle, cosa che Tauriel trovava alquanto fastidiosa, ma tutto sommato la trattarono con cortesia.
Il suo maggior disagio, forse, fu il fatto di trovarsi al chiuso e tanto a lungo in una loggia di pietra. Per lei, abituata alle ampie sale di Thranduil e agli spazi aperti, fu un po’ opprimente.
Un pomeriggio, venne assalita di punto in bianco da una forte sensazione di claustrofobia. Le sembrava di avere un macigno sul petto e di non riuscire a respirare, era circondata dalla pietra e sotto la pietra era stato sepolto Kíli, lontano dal cielo stellato, lontano da lei, immobile e freddo e senza sorriso…
Prima che il panico la travolgesse, Tauriel si affrettò a dirigersi in uno dei cortili interni del forte. Fu una buona decisione: non appena uscì in quel piccolo chiosco ed inalò una boccata d’aria, la sensazione di oppressione si alleviò.
Sopra la sua testa, nel cielo azzurro, si rincorrevano straccetti di nuvole bianche.
Tauriel le contemplò per qualche istante, poi si sentì osservata ed abbassò lo sguardo. Poco distante, seminascosta dietro una delle colonnine del chiosco, si trovava Éowyn.
«Buongiorno» disse Tauriel, sorpresa. «Perdonatemi, non vi avevo vista».
La bambina la occhieggiò per un istante, poi uscì allo scoperto. «Non importa» disse, ma c’era una nota di incertezza nella sua voce. Come se fosse stata sul punto di aggiungere qualcos’altro.
Tauriel la osservò mentre Éowyn si avvicinava a piccoli passi. Ricordò che il padre della bambina era stato ucciso dagli Orchi poco più di un anno prima, e che sua madre – la sorella di Théoden – era morta poco tempo dopo, e la compassione le strinse il cuore.
«Desiderate chiedermi qualcosa?» le domandò, gentilmente.
La bambina indugiò un istante, poi annuì. «Puoi mostrarmi i tuoi pugnali?» chiese, additando le lame in questione.
Tauriel sbatté le palpebre, posando istintivamente le mani sui due pugnali che portava alla cintura… Poi sorrise.
«Certo» rispose, ed estrasse le armi con un gesto fluido.
Si abbassò, appoggiando un ginocchio a terra così da essere all’altezza della bambina.
Éowyn, per nulla intimorita, tese una mano a sfiorare l’impugnatura intagliata. «Sei una guerriera?» chiese, con una nota di reverenza nella voce.
Tauriel annuì. «Vorreste esserlo anche voi?»
La bambina ritrasse la mano e la guardò. «Io non vinco quasi mai».
«Non vincete quasi mai? Contro vostro fratello, intendete?» domandò Tauriel, che aveva visto i due bambini giocare con delle spade di legno.
Éowyn fece segno di sì. «Ha quattro anni più di me» affermò con sussiego, quasi si trattasse di una distanza incolmabile.
Tauriel pensò a Legolas, ai duemila e passa anni d’età che li separavano, e le venne quasi da sorridere. «Gli anni non contano più di tanto» affermò. «Potete diventare brava quanto lui, se lo volete».
Éowyn non sembrava convinta. «Éomer è più grande è più forte».
«E questo non dipende da voi» sottolineò Tauriel, rinfoderando i pugnali. «Ma grandezza e forza non sono le sole cose che contano. Voi potete imparare meglio le mosse, essere più veloce».
La bambina la fissò con aria dubbiosa.
Tauriel, allora, si tese in avanti, e parlò in tono cospiratore: «Vi dico un segreto. Anch’io ho una specie di fratello maggiore, e all’inizio non riuscivo mai a sconfiggerlo».
E quanto le dava fastidio la cosa, quando era bambina! Lo ricordava bene, così come ricordava il giorno in cui Legolas si era impietosito e l’aveva lasciata vincere.
Lei non l’aveva presa affatto bene, però. Quando lui si era lasciato atterrare con facilità, era rimasta sbigottita per un istante… Poi aveva iniziato a protestare indignata: Non vale, l’hai fatto apposta! Non è giusto! Non credi che posso farcela!
Si era davvero offesa a morte, e il principe aveva ottenuto il suo perdono solo dopo averle chiesto scusa e averle portato un dolce dalle cucine.
«Ora sono cresciuta» proseguì Tauriel, «ma sono ancora più bassa di lui. Ho solo dovuto imparare qualche trucco da usare nel caso di un avversario più grosso».
«Grosso» mormorò Éowyn, e il suo visetto si accese di interesse. «Come un Orco?»
Tauriel annuì. «Anche».
La bambina la scrutò con aria intenta. «Hai ucciso tanti Orchi?»
«Numerosi» rispose Tauriel. «Per proteggere la mia gente».
A dire il vero, c’era stato un tempo in cui la sua mano era mossa da una rabbia fredda provocata dall’assassinio dei suoi genitori, ma riteneva fosse meglio non parlare di vendetta. Specie considerato che Éowyn aveva di recente vissuto un’esperienza simile.
La bambina annuì, come rimuginando sulla sua risposta. «E hai viaggiato molto?»
Tauriel quasi sorrise. Prima della Battaglia delle Cinque Armate, la risposta sarebbe stata un no. Ma poi Thranduil l’aveva esiliata per dodici anni, e lei – dopo essersi fermata a Dale per qualche tempo – si era spinta verso ovest. Aveva ammirato il Fiume Bianco, aveva percorso un tratto del Verdecammino. Aveva visto i Colli di Vesproscuro, le Montagne Azzurre. Il mare.
Iniziò a parlare di quei luoghi in tono sommesso, cercando di riportare alla mente quanti più dettagli possibili.
Rammentò anche il proprio ritorno a Bosco Atro, la paura forse irrazionale che Thranduil avesse in serbo per lei altre punizioni. Ma il re l’aveva accolta con una gentilezza che non si aspettava, una gentilezza che le aveva quasi fatto venir voglia di piangere.
Da allora, il suo rapporto con lui era andato migliorando sempre più. Avevano raggiunto una sorta di comprensione reciproca, si erano perdonati a vicenda, e Tauriel non avrebbe potuto esserne più felice.
Éowyn la ascoltava ad occhi sgranati, e dopo un po’ la sua espressione si distese in un sorriso incantato.
Tauriel non poté fare a meno di sorridere a propria volta. Re Théoden sembrava un uomo buono, ma aveva un atteggiamento cupo, segnato dalla tristezza, e i bambini – Éowyn soprattutto – erano quasi sempre seri.
«I servitori dicono tante cose su di te» la informò Éowyn, quando il suo racconto si interruppe.
Tauriel sentì le proprie spalle irrigidirsi in una posa guardinga. «Veramente?» chiese, cercando di mantenere un tono leggero. «Cosa dicono?»
Éowyn le posò una manina sul braccio e scrollò appena le spalle. «Dicono che vivi nei boschi, in un palazzo fatto di alberi».
«Non è del tutto falso» rispose Tauriel, a metà tra la cautela ed il sollievo. Si era aspettata una diceria malevola.
«Dicono anche…» sussurrò Éowyn. «Dicono che dormi poco, e che sei amica delle stelle».
Tauriel si chiese se davvero i servitori avessero usato quelle parole, o se la bambina le stesse dando la sua interpretazione dei pettegolezzi che aveva sentito.
Il tono di Éowyn si abbassò ulteriormente, con venerazione. «Dicono che il sangue delle stelle scorre nelle tue vene».
Tauriel sbatté le palpebre, e ripensò ai bisbigli dei contadini che professavano che lei non era una creatura della terra, ma del cielo.
Quelle parole le avevano ricordato i tempi in cui le sembrava di essere così vicina alle stelle da poterle toccare, e di conseguenza si era sentita insofferente e persino un po’ irritata. Erano molti anni, ormai, che le stelle le parevano irraggiungibili.
«È vero?» insistette Éowyn.
Tauriel era sul punto di negare, di smentire con forza quella credenza ignorante ed inconsistente, ma poi vide lo sguardo della bambina e si rese conto che un no l’avrebbe delusa atrocemente. «Potrebbe essere, sapete?» rispose perciò, ed un sorriso breve ma radioso illuminò il visetto di Éowyn.
Nelle ore che seguirono, Tauriel mostrò alla bambina alcune semplici mosse che potevano aiutarla a volgere a suo favore l’altezza e il peso del proprio avversario. Quell’attività le ricordò il periodo trascorso a Dale, i pomeriggi in cui aveva dato lezioni di combattimento ai figli di Bard.
Éowyn era l’allieva più giovane e più rapida ad imparare che avesse mai avuto. Fu una fortuna, in un certo senso. I bambini erano rari tra gli Elfi, e pertanto considerati estremamente preziosi. A Tauriel piacevano, e per loro trovava una pazienza che non aveva per gli adulti, ma la sua tolleranza non era comunque infinita.
Dopo quel pomeriggio, rimase a Edoras un altro giorno, poi decise che era davvero tempo di tornare a Bosco Atro. Il giorno della sua partenza, fu salutata da re Théoden con grande cortesia, ma con enorme disappunto non ebbe la possibilità di congedarsi a dovere dai bambini.
Mentre si allontanava in groppa al proprio cavallo, però, si girò verso il forte, e vide la figurina di Éowyn in piedi davanti alle porte. Alzò un braccio in segno di saluto, e la bambina le rispose dopo un momento.
Passando tra la gente, Tauriel udì altri sussurri, ma non le sembravano più maligni e diffidenti… Suonavano buoni, e pieni di meraviglia.
Dicono che il sangue delle stelle scorre nelle tue vene.
Ebbene, se era in questi termini che l’avrebbero ricordata, le faceva piacere.
Più o meno seriamente, si chiese se avrebbe dovuto includerlo nel proprio rapporto a Thranduil.
Si chiese se raccontarlo a Legolas – se lui avesse anche solo provato a trasformarlo in una presa in giro, però, l’avrebbe spinto contro il pilastro più vicino senza esitare.
Si disse che a Kíli quella voce sarebbe piaciuta da morire. Chissà, forse avrebbe riso, o forse avrebbe proclamato di esserne l’ideatore.
Dicono che il sangue delle stelle scorre nelle tue vene.
Raddrizzandosi sulla sella, Tauriel lasciò che i raggi del sole le riscaldassero il viso. Quella notte, il cielo stellato le parve così vicino da poterlo toccare.



















Note:
Dopo aver visto questa immagine, ho dovuto scrivere qualcosa.
Primo, perché chi non vorrebbe scrivere di una Éowyn bambina? Secondo, perché le interazioni tra personaggi femminili sono la mia più grande debolezza.
Non lo so, spero vi sia piaciuta :)
  
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