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Autore: Medea Black    14/07/2015    3 recensioni
[Star Trek XI (2009) - reboot ]
Prequel ideale del film, incentrato sugli anni dell'Accademia.
Cosa forgia un eroe: l'universo o i banchi di scuola? Probabilmente entrambi, ma sono gli anni della formazione a gettare i semi di ciò che si diventerà. E l'università può essere peggio dei klingon...
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il vulcaniano aveva appena terminato di controllare i test per l’ormai prossimo esame di Xenobiologia: seduto alla scrivania del suo studio, la schiena dritta e le mani dalle dita affusolate che scorrevano compostamente sullo schermo del computer, sembrava perfettamente concentrato sul suo compito.
La novità consisteva nel fatto che in effetti non lo fosse.
Spock, questo il nome del giovane alieno, provava in effetti un certo disappunto. Si trovava di fronte ad una valutazione piuttosto complessa, che nulla aveva a che fare con il suo più recente incarico di assistente alla cattedra di Xenobiologia, ma che invadeva fastidiosamente la sfera emotiva. Con un lievissimo moto di stizza, scosse la testa e si alzò dalla sedia, prendendo a camminare piano fino alla finestra. Aveva bisogno di riordinare i pensieri e prendere una decisione dettata dalla logica.
La figura alta ed elegante del vulcaniano era una novità per l’Accademia: mai uno della sua specie si era preso la briga di scegliere un percorso di studi terrestre, sebbene la Flotta avesse avuto ufficiali vulcaniani e persino alcuni istruttori. Mai, però, uno studente.
Spock era stato il primo, ma del resto lui vantava molti primati: in primis, era il primo ibrido umano – vulcaniano della storia.
Questo, sebbene non fosse immediatamente evidente dal momento che gli occhi e i capelli neri e le orecchie a punta rendevano palese la predominanza di sangue vulcaniano, lo rendeva oggetto delle occhiate curiose di studenti e professori in egual misura. Forse i professori erano leggermente più discreti.
Spock, dal canto suo, si definiva, e si sentiva, vulcaniano. Era nato e cresciuto su Vulcano, era stato educato come un esponente della sua razza, gli sarebbe piaciuto dire che non aveva mai percepito alcuna differenza tra lui e gli altri, ma non era così. Da piccoli, quando le emozioni non erano ancora sotto il completo controllo degli individui, i suoi coetanei lo avevano insultato, fatto sentire un estraneo: provocavano reazioni emotive violente solo per poter dimostrare che, in quanto mezzo umano, lui fosse instabile e pertanto inferiore.
Una flebile, ma chiara, voce interiore gli suggeriva che fosse l’invidia - un sentimento  - a muoverli: in quanto figlio dell’ambasciatore Sarek la sua sarebbe stata una posizione di spicco nella società, e non molti avevano compreso la scelta di suo padre di unirsi in matrimonio con una donna umana, scelta che avrebbe posto un ibrido in una posizione ambita. Il fatto, poi, che lui, mezzo umano, fosse il migliore della sua classe costituiva probabilmente uno smacco eccessivo per l’orgoglio di un vulcaniano, qualunque età questi avesse.
Non avrebbe dovuto compiacersi, ma non riusciva ad evitarlo. Un fastidioso retaggio umano.
Era compiaciuto anche della sua fulminante carriera accademica, che lo aveva visto laurearsi ad una velocità impressionante per qualsiasi altro studente, e successivamente, nell’arco di un anno, diventare insegnante di ben due materie (Fonologia ed Etica interspecie), a cui si era appena aggiunta una collaborazione con la cattedra di Xenobiologia, come assistente.
Il tutto faceva parte della sua preparazione specialistica come ufficiale scientifico, in pratica considerava l’insegnamento una sorta di hobby. Certo, più impegnativo degli scacchi 3d, che comunque praticava ad alti livelli.
A parte la decisione stessa di arruolarsi nella Flotta, ogni sua scelta era stata dettata dalla logica. Da tempo non si trovava più di fronte ad un problema che con un semplice ragionamento deduttivo non riuscisse a risolvere in pochi minuti (quando era difficile).
Ora però era in una situazione di stallo. Ritenne di dover meditare: in tal modo avrebbe riordinato gli eventi e sarebbe riuscito a purgare la sua scelta da qualsiasi residuo emozionale.
Tornò alla scrivania per archiviare il file dei test da consegnare al professore e gli cadde l’occhio su una mail che non aveva visto prima: la domanda di ammissione agli esami di uno studente non corsista. Sbrigò la pratica in fretta: cadetto della sezione comando – tipico – al secondo anno, fin qui nulla di strano. Kirk, un omonimo del compianto George, forse il figlio? Sì, era proprio il figlio. Non sapeva fosse in accademia. Del resto, se non si presentava ai corsi…
Terminate le proprie incombenze, Spock lasciò l’ufficio diretto al suo alloggio, dove si preparò per meditare.
Corso di Fonologia, ultimo giorno, conclusosi quella stessa mattina. Spock sedeva alla cattedra, riordinando i file del test che gli allievi avevano consegnato. L’aula si era svuotata, era il momento che preferiva: non gli piaceva sentire su di sé tutti quegli sguardi. Era illogico, ma ci leggeva sempre la curiosità, in alcuni casi l’eco di un antico disprezzo.
Suggestioni.
Mentre terminava i suoi compiti, una persona si affacciò alla porta e richiamò la sua attenzione: Nyota Uhura, brillante studentessa della sezione operativa, particolarmente versata nella linguistica e in particolare la migliore studentessa del suo corso.
Alzò lo sguardo, sollevando leggermente un sopracciglio nella sua direzione con fare interrogativo.
La ragazza, visibilmente esitante, si decise a parlare, ma in un primo momento il senso delle sue parole non giunse al vulcaniano.
Perché avrebbe dovuto voler bere in compagnia quella sera? Sembrava illogico… Poi si ricordò della formula terrestre per invitare qualcuno a trascorrere del tempo conversando per approfondire la reciproca conoscenza. Continuava a sembrargli poco logico, soprattutto tenendo conto del rapporto allievo – insegnante, e lo fece presente.
“Ma il corso è terminato, quindi tecnicamente non è più il mio insegnante” – replicò la giovane con tono sicuro.
Aveva ragione. Dal punto di vista pratico non c’era motivo per rifiutare quella che era certamente una dimostrazione di cortesia e apertura, per quanto alcune implicazioni iniziassero ad affacciarglisi alla mente.
Le accantonò, accettò l’invito – lasciando una felice Uhura libera di correre via con una strana luce negli occhi – e si rimise al lavoro. L’espressione sul volto della ragazza confermò i suoi dubbi, e instillò nella sua mente il pensiero serpeggiante che non lo avrebbe più abbandonato per il resto della giornata: che fosse sottinteso un intercorso romantico?
Aveva letto – e visto – abbastanza delle usanze terrestri in materia da sapere che in genere le manifestazioni di insicurezza, anche in soggetti normalmente molto sicuri come Uhura, l’imbarazzo e l’esitazione accompagnavano nel 76% circa dei casi gli approcci a potenziali partner sentimentali.
C’era un’alta probabilità che fosse quello il caso, dunque.
Cosa avrebbe dovuto fare? Incoraggiare l’eventualità o scoraggiarla decisamente?
Aveva pensato e ripensato al problema, per qualche motivo qualcosa di emotivo, indefinibile, si frapponeva tra la sua logica e la soluzione al problema.
Nyota Uhura era una giovane donna dalle indubbie qualità: brillante, estremamente competente, senza dubbio avvenente da un punto di vista estetico. Ciò nonostante la valutazione positiva che ne aveva non bastava a spiegare quella sensazione di immotivata emotività.
Scartata quindi l’ipotesi che ne fosse lei la causa, non restava che esaminare i pro e i contro della cosa. A rigor di logica niente impediva che lui stringesse relazioni sentimentali sulla Terra, dal momento che il suo legame vulcaniano era stato sciolto quando aveva deciso di entrare nella Flotta: era sembrato logico ad entrambi i promessi e alle rispettive famiglie. Non aveva quindi un impegno vincolante.
Una terrestre non sarebbe stata una scelta illogica dal momento che suo padre aveva sposato sua madre proprio in virtù della sua posizione di ambasciatore sulla Terra.
Lo sguardo di sua madre…
Scacciò il pensiero come irrilevante ai fini della soluzione che stava cercando.
Irritazione.
La scacciò.
Una relazione con un’umana avrebbe sicuramente agevolato la comprensione della razza, permettendogli di scoprire elementi nuovi inerenti alla sfera relazionale.
Sua madre che lo abbracciava.
Scacciò nuovamente il pensiero.
Sì, sarebbe stato utile. Naturalmente se le sue ipotesi si fossero rivelate esatte e la ragazza avesse manifestato l’intenzione di approfondire in una simile direzione il loro rapporto di conoscenza.
La decisione era presa.
Terminata la meditazione, Spock sentì il bisogno di concedersi un’ora di sonno. Era stato stancante, qualcosa continuava a disturbarlo e non ne capiva il motivo. Probabilmente, quindi, la conclusione logica era che avesse bisogno di riposo.
Si distese quindi sul letto, impose alla sua mente di svegliarsi esattamente 60 minuti dopo e chiuse gli occhi nella penombra del suo alloggio.


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Ed eccoci alle dolenti... Note: Questo capitolo è stato complesso, quindi vi prego di farmi notare qualsiasi cosa dovesse sembrarvi sbagliata.
La difficoltà è stata tentare di trovare una spiegazione logica ad una decisione semplicemente assurda, ovvero perchè mai Spock sia finito con Nyota. Dopo attenta analisi, sono giunta ad una conclusione, che è quella che avete letto; visto che non so se risulta abbastanza chiaro, specifico: secondo me Spock ha valutato la cosa logicamente, ma il suo giudizio era inquinato dal ricordo della madre e delle sue manifestazioni di affetto, delle quali si è privato da molto e molto più giovane che nella TOS. In pratica gli manca la mamma, alla quale - cosa che i film hanno anche rafforzato - è molto legato, e spera di trovare in una donna umana l'affetto che solo lei gli offriva in quella peculiare forma. In sintesi, il caro vecchio complesso di Edipo (non si scappa, non importa da quale galassia si provenga!). XD
Al prossimo capitolo! ^^
  
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