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Autore: Blacket    15/07/2015    1 recensioni
[...] Non che Romano fosse retrogrado, era semplicemente alla buona. Lui lo psicanalista lo vedeva appena alla televisione credendo che ancora facesse parte del répertoire fantascientifico, e quei tic nevrotici del giovane Feliciano erano frutti malati di pianta malata- lavoro duro, crisi mistica dell’artista in discesa, lo scoprirsi a guardare trepidante curve che siano maschili e non femminili, asma.
“Stronzate e merda!”, gli aveva borbottato addosso il fratello maggiore verso il proposito di recarsi dallo psicanalista –“terribile, Feliciano, lancia malocchi?”- e il più piccolo aveva accolto il genuino commento come un incoraggiamento, poiché aveva poco altro da fare ed era l’unico parere sensato e ragionato che aveva stretto con timore al petto. [...]
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Lo psicanalista parte 2
Lo Psicanalista, parte seconda.

Note: Non credevo avrei postato un secondo capitolo! Doveva in realtà essere terminata, ma ho deciso di allungarla senza motivo, concludendola qui (forse?).
Domani parto per Amsterdam, starò via qualche giorno e nel mentre scrivo qualcosa al di fuori di altre raccolte, per poter staccare un po’. Riprenderò le varie pubblicazioni appena torno!
Farò un riferimento a Jung: fra i migliori allievi di Freud, ampliò la psicoanalisi studiandola a fondo, collegandola all’esigenza delle tradizioni, al simbolismo e allo spiritismo. Personalmente lo apprezzo moltissimo! Si possono notare alcune piccolissime incongruenze fra ciò che dice Feliciano- sono assolutamente volute. Qualcuno di voi le noterà?
Penso sia presente anche una paolina in dialetto –dialetto casuale, non per forza triestino dato che non lo conosco.
Non credo vi siano altre aggiunte da fare, vi auguro buona lettura e spero possa piacervi- spero lasciate un commentino!




C’era Feliciano fuori dalla porta.
Ludwig lo sapeva, poiché la terza sedia a partire da destra scricchiolava, il marmo batteva piano il ticchettio delle sue scarpe- di quel sedersi nervoso, del continuare a far saltare le gambe e i talloni, una sinfonia agitata che creava riverbero nel corridoio e premeva sulle sue tempie.
C’era Feliciano fuori dalla porta, e Ludwig lo sapeva. Si trattava della fortuita coincidenza che vede il mercoledì come cadenza degna d’anticipo, un’ora e quaranta di stallo che compensa bonaria tutti i ritardi del lunedì e del venerdì- di quest’ultimo in specie, ed il paziente arrivava trafelato e profumato dei pomodori rossi delle sue terre, la pancia piena e ridente e spesso si perdeva in discorsi frivoli. Aveva tempo e cuore di chiocciare attorno a lui non appena si era dato la pena di addomesticarsi allo psicanalista, abituandosi agli occhi chiari e la costante e rilassata osservazione; “lei mi osserva come se dovesse filtrarmi, lo sa. Come le tisane, come la camomilla. Lei la prende, la camomilla?”.
Il Signor Vargas è rituale, e mentre Jung avrebbe indicato compiaciuto il proprio simbolismo spirituale, Ludwig notò un deraglio al solito schema tanto fine e sottile da poter essere scambiato come abbaglio: il battere dei piedi si fa più fitto, diviene ora un bussare taciturno, che ancora non pretendeva risposta.


- Ah, lei! Sarà mica un paziente di mio fratello!-
Feliciano si ricompose, stirò la camicia pulita con un gesto molle delle mani, turbato dalla strinante accozzaglia di stridii che ornava la voce tanto spiacevole all’ascolto. L’italiano ricordò il vecchio cane del nonno, i latrati e mugolii che uggiolava nella stagione degli amori, e gli parvero tanto simili alle parole dello strano uomo Bianco, poiché in altro modo non poteva definirlo.
-Vengo qui già da un mese, si.- si allungò per poter stringere la mano, immaginando Romano svolgere velocemente il segno della croce innanzi ai suoi occhi di brace.
- Bene, bene! E sta meglio? –
-Deh, i cambiamenti si notano piano, come la visita regolare, quel sentirsi un po’…- eh, ah, ci si fa l’abitudine, ho tirato di nuovo fuori le tele per dipingere. Prima dipingevo.-
I capelli bianchi vennero scompigliati e arruffati, colti da un frenetico lampo d’interesse- genuino, nulla più, null’altro dato che non si erano scambiati che spicce parole accese e confuse, entrambi osservando l’orologio a muro vagare per i suoi conti.
-E dipingerà, si fidi. Ludwig è bravo.-
Gracchiò di nuovo, il tono corrosivo e deciso, dalla gola forse arrossata da un clangore tanto evidente.
-Anche a me piacerebbe essere in cura da lui, ma la parentela me lo impedisce. Dice che potrei essere solamente classificato come piromane e nulla più.-
Una risata, un frastuono, una voce consumata e corrotta anche dall’alcool, pensò Feliciano, eppure non inquieta. Era affascinante e distorto e malato nella sua intera figura, era fratello di Ludwig e ciò non lo crucciava –avrebbe sorriso, persino-, i suoi colori inusuali li visualizzò velocemente su una tela, poiché lo avrebbe dipinto volentieri.
Il naso dritto, l’essenza accidentalmente chiara, gli occhi rossi a rovinarne la compostezza. Sarebbe stato interessante disegnarlo, lui e Ludwig, che aveva gli occhi tanto blu e tanto chiari che ancora non era riuscito a riprodurne il ricordo.
Sorrise ancora, abitudinario, quando la porta dello studio si aprì.

-Le ho portato la valeriana, continuo a dimenticarmi, cielo!-... ah, non è di disturbo immagino, gliela metto sulla scrivania.-
Lo psicanalista annuisce, profuma di pulito e pane, il pranzo è passato da poco ma fra le sue mani scivola lieve il taccuino rosso, la matita a seguire ciò che l’occhio era in grado di percepire.
-Io vedo dei fiori, Signor Vargas.-
Indicò il timido mazzo di violette e margherite, ed erano fresche e giovani e profumate come i docili fiori di campo, Feliciano chiudeva gli steli con una mano e sospirò.
-Anche questi sono per lei.- smise di agitarsi sul lettino di cui spesso faceva uno improprio, - sa, lei mi piace.- puntualizzò, irrigidendosi all’espressione vuota e calma di Ludwig, che scrutò i fiori pallidi e non lasciò il taccuino.
-Mi dica, per quale motivo le piaccio?-
-Mi sta analizzando?-
Feliciano strofinò le mani sulle gambe, infelice di non essere stato compreso ma limitandosi a borbottare circa il proprio benevolo intento, ricordando le grida di Romano e il crollo emotivo a seguire nell’immaginarsi di stringere la vita di un uomo al posto dei seni prosperosi di una donna.
-Mi ascolti, un attimo. Fra le basi della psicoanalisi concorre il processo di transfer, che spesso va a legare l’emotività del paziente a quella del dottore. Non si stupisca di essersi affezionato a me, si tratta anzi di un’agevolazione su-…-
-Aspetti, per carità!- Feliciano ha ora gli occhi sbarrati, il dubbio che la sua latente omosessualità fosse cosa medica, le mani tese in avanti come a proteggersi da quella severità.
-Guardi, il transfer lo tenga per lei, va. Nemmeno ho capito cosa sia, ma un’uscita me la può anche concedere. Appena dopo il lavoro.-
Piegò la testa, il ciuffo a seguire il movimento sornione del capo, plagiato da un’insistenza che andava ben oltre il giuramento di Aristotele trionfante alle spalle del biondo. Il tempo si agghindava sui tic dell’italiano, le labbra morse a pensiero e gli occhi fissi solo sulle mani di lui, “così grandi”, mugugnò, “che avrebbe potuto tenere un mazzolino il triplo del mio”.
-Guardi, credo debba far chiarez-…-
-Fiulen, Allora ci vediamo domenica.- e Feliciano vide finalmente un lieve rossore sulla pelle pallidissima, il vivo imbarazzo nei suoi occhi che era voluto e desiderato come si poteva desiderare un’amante, che era dolce come datteri e miele- sapeva di muschio, di zucchero tagliato fine e bacche rosse.  
-Non per altro, sono impegnato anche io. Ho ripreso a dipingere, sa.- 
  
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