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Autore: jellyfish    20/01/2009    2 recensioni
Balor, dio della morte, decide di prendere moglie e sceglie la bellissima dea dell’amore Branwen. Dal matrimonio nascono tre figlie femmine che il dio della morte educa come sue future aiutanti. Ma cosa succederebbe se una di loro si dovesse innamorare di uno dei mortali, che invece dovrebbe uccidere? Scatenerebbe di sicuro l’ira del padre. “-saranno le mie eredi. Diventeranno il mio braccio destro. Appena avranno compiuto tutte cinque anni, le educherò io, come più mi aggrada. Mi avete capito? -sì, ma non ho intenzione di ascoltarvi! Non me le porterete via e non ne farete dee di morte e di disperazione come voi! Non lo permetterò- la voce della dea adesso era forte e acuta, disperata quasi. Sapeva benissimo che le sue erano solo vuote minacce, Balor avrebbe fatto comunque quello che voleva e nessuno lo avrebbe mai fermato.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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VII

VII

     

-Branwen, cos’è successo l’altro giorno? Siete corsa nella vostra stanza e non mi avete nemmeno vista in corridoio- Olimpia e Branwen erano nella stanza della padrona e si stavano confidando, come sempre. Olimpia era preoccupata, mentre Branwen aveva lo sguardo sognante che vagava senza meta per la stanza.

-Olimpia, non sapete quanto io sia felice! Non lo ero così da tempo! I suoi occhi sono stupendi… mi ricordano le castagne che amavo tanto da piccola… e i suoi capelli! Nemmeno l’oro è più brillante della sua chioma! Viene da me tutte le notti, mi raggiunge nei miei sogni! Non chiedo altro che arrivi la notte per poterci incontrare nel nostro bellissimo mondo!- adesso Olimpia era davvero spaventata dal comportamento della sua amica. Come poteva comportarsi così? Si era dimenticata di essere sposata? E con il dio più potente di tutti per giunta?

-ma Branwen! Siete sposata! Se lo sapesse vostro marito… non oso immaginare cosa vi farebbe!

-e cosa potrebbe farmi di peggio se non quello che mi fa ogni giorno? Non mi considera, non mi ama… l’unica cosa peggiore sarebbe separarmi da Sitchain!

-dunque è così che si chiama. Non credete che se vostro marito lo sapesse farebbe del male anche a lui?

-no! Non glielo permetterei! Non lo farei nemmeno avvicinare a lui!

Lo sguardo della dea adesso era deciso e fermo; convinto che avrebbe mantenuto i suoi propositi.

-ma Branwen avete forse perso la ragione?!

-ho perso il cuore, amica mia!

A questo punto Olimpia non sapeva più cosa fare, Branwen era completamente persa nel suo mondo fatato e non voleva più sentire ragioni. La serva continuò per un po’ ad accarezzarle i morbidi capelli e la dea si addormentò serena, raggiungendo il suo Sitchain nel loro mondo. Olimpia emise un lungo sospiro di angoscia. Doveva fare in modo che Balor non lo venisse mai a sapere o sarebbero stati guai per la sua amica e per il suo bel giovane.

 

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Macha e suo padre si stavano recando sulle sponde del fiume che dovevano attraversare per trasportare le anime nella loro ultima destinazione. Arrivarono ad un pontile in legno, con attraccata una barchetta anch’essa in legno. Balor ci salì sopra senza nessuna esitazione e invitò la figlia a fare altrettanto; Macha un po’ spaventata salì sulla barca, con non poca esitazione. La ragazza aveva al collo il ciondolo di cristallo che racchiudeva in sé l’anima di Kona.

-liberala

-ma non se ne andrebbe?

-no, non può

Macha liberò l’anima dal cristallo e una luce si sprigionò da esso, accecando per un attimo sia Macha che Balor. Un attimo dopo una figura bianca e spettrale svolazzava davanti ai loro occhi, per poi posarsi lentamente sul bordo della barca. La ragazza, ancora spaventata, non capiva come mai Kona non scappasse, ma non osava chiederne il motivo al padre. Balor iniziò a remare con una specie di remo improvvisato che si trovava sulla barca e Macha non riusciva a staccare gli occhi di dosso a quella figura spettrale; mentre la fissava le tornarono in mente i sofferenti occhi viola del figlio e provò una fitta dolorosa al petto. Appena riuscì a distogliere gli occhi dalla figura di Kona, Macha vide che l’acqua in cui navigavano aveva uno strano colore: aveva delle strane sfumature bianche, dello stesso colore di Kona. Macha osservò meglio l’acqua sporgendosi leggermente sul bordo della barchetta e scoprì inorridita che il fiume era pieno di anime, candide figure evanescenti come fumo. Spaventata a morte si ritrasse velocemente dal bordo della barca, provocando una pericolosa oscillazione che quasi la fece ribaltare.

-attenta a quello che fai! Se finissimo in quest’acqua non ne usciremmo vivi!

Macha sgranò gli occhi, terrorizzata da quella notizia. Proseguirono il viaggio in completo silenzio e la ragazza cercava in tutti i modi di non fare caso alle figure bianche che ogni tanto provavano a salire sulla barca per tornare nel mondo dei vivi. Mano a mano che si avvicinavano alla loro destinazione, l’aria prendeva uno sgradevole odore di morte e il fiume sotto di loro si riempiva sempre di più di anime che assaltavano l’instabile barca, ma Balor non sembrava curarsene più di tanto. Finalmente il viaggio giunse a termine, dopo un tempo che a Macha era sembrato infinito. Videro un altro pontile di legno, molto simile a quello da cui erano partiti, e Balor vi attraccò la barca. Il dio scese dalla barca e Kona, o meglio l’anima di Kona, lo seguì; Macha si alzò in piedi sulla barca e quasi svenne per la nausea. Subito Balor la sostenne prima che cadesse nell’acqua del fiume, lasciandoci così la vita.

-già nauseata per così poco?! Avanti rialzati

La ragazza stava veramente male, ma il padre non ne voleva sapere di farla tornare a casa senza che avesse svolto il suo compito. Doveva resistere. Lui l’accompagnò, sorreggendola per la sua vita sottile, fin fuori dalla barca e poi la lasciò, ancora traballante e in equilibrio precario, indicandole la strada che avrebbe dovuto seguire.

-mi raccomando, non entrare nella grotta che trovi alla fine della strada che ti ho indicato. Solo le anime ci possono entrare e tu, sebbene tu sia molto pallida in questo momento, non sei una di loro

-certo padre- la voce della povera dea era un lieve sussurro e il suo viso era effettivamente pallido quasi quanto quello della figura di Kona. Il dio della morte incrociò le braccia e guardò la figlia incamminarsi lungo il corso del fiume, con l’anima della donna che svolazzava al suo fianco. Camminava lentamente, come se avesse paura di calpestare l’erba dal colorito spento, forse troppo abituata a stare al contatto con la morte per essere più viva di così, e intanto nel suo cuore aumentavano i sensi di colpa per l’anima di Kona, per i suoi figli e il marito e per tutte le altre anime che si trovavano in un posto del genere. Sensi di colpa sottili, ma ben evidenti e inquietanti, un po’ come le figure che la guardavano camminare lungo il corso del fiume. Arrivò finalmente alla famosa grotta e fece segno a Kona di entrarci; quella le ubbidì subito, ma a Macha sembrò che per un attimo la donna l’avesse guardata con uno sguardo carico di preoccupazione, implorandole di non mandarla là dentro. Ma forse era solo stata tutta una sua impressione, dettata dalla soggezione che le metteva trovarsi in quel luogo. Quel posto era davvero spettrale e terrificante; una nebbiolina grigia aleggiava nell’aria, che adesso puzzava ancora di più di morte e rendeva il paesaggio macabro e degno di un giardino stregato. Non si sentiva nessun suono o rumore al di fuori di quello continuo dell’acqua che scorreva nel letto del fiume e accresceva il suo frastuono quando entrava nella grotta, che fungeva da amplificatore. Guardò entrare Kona nella caverna scura, illuminata solo dalla luce che emettevano le anime stesse che continuavano ad entrare ed uscire da essa attraverso il fiume, ma che in realtà non potevano andare da nessuna parte, e poi tornò il più veloce possibile dal padre e insieme fecero il viaggio al contrario per tornare a palazzo, mentre Macha cercava di dimenticare tutto quello che aveva appena visto, sentito e provato, anche se sapeva benissimo che non le sarebbe stato possibile. Avrebbe dovuto svolgere quel compito a lei così difficile chissà quante altre volte, ma senza la presenza quasi confortante del padre. In fondo se non ci fosse stato lui, la dea sarebbe sicuramente svenuta e caduta in acqua.

Appena misero piede a terra Branwen corse loro incontro e abbracciò la figlia, che a momenti sveniva di nuovo; la madre la sostenne per le spalle e la riportò in casa, nella sua grande camera, dove c’era già Olimpia pronta a curarla dalla nausea. Tutto senza nemmeno degnare di uno sguardo suo marito, che intanto stava assicurando la barca al pontile, profondamente soddisfatto di ciò che aveva fatto fare alla figlia.  

 

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Poco più tardi, appena Olimpia era riuscita a far addormentare un po’ più serena la povera Macha sconvolta, Branwen corse nella stanza del marito come una furia.

-basta! Questa storia deve finire! Non mi importano le vostre ragioni o motivazioni varie, ma non farete mai più una cosa del genere a mia figlia!

La dea era a dir poco furiosa, rossa in viso, con gli occhi ridotti a due fessure che scrutavano crudelmente il consorte, i capelli scarmigliati per la corsa e i pugni stretti che le avevano fatto sbiancare le delicate nocche. Avrebbe volentieri ucciso il marito.

-calmatevi, mia signora. Non è il caso di scaldarsi tanto

-sì che è il caso! Avete visto come avete ridotto vostra figlia?! Farle traghettare le anime?! Non bastava già quello che doveva fare prima per colpa vostra?!

-ho il diritto di fare quello che voglio con le mie figlie! E voi non potete darmi ordini!

-vi ricordo che sono anche le mie figlie e che ho il diritto di prendere anche io delle decisioni! Sono vostra moglie non la vostra serva!

Pronunciate queste ultime parole con astio e odio, Branwen uscì di corsa come era entrata, per recarsi nel suo amato giardino ancora innevato.

Si appoggiò al bordo della fontanella e osservò il suo riflesso nell’acqua ghiacciata e fu non tanto sorpresa, ma felice di vedere comparire al suo fianco quello del bel Sitchain. Senza riflettere nemmeno un secondo la dea si voltò e di slancio si gettò tra le sue braccia forti. Il ragazzo la strinse a sé, senza volerla più lasciare e tuffò il viso in quella morbida massa di capelli rossi. Non c’era bisogno di nessuna parola o spiegazione tra di loro, bastava stare così e non muoversi, tanto nessuno li avrebbe mai visti, in quell’angolo di giardino che sembrava fatto apposta per loro.

-cos’è successo?

La sua voce era una dolce melodia che arrivava diretta al cuore di Branwen.

-Balor… tratta male la povera Macha, eppure è sua figlia! Dovrebbe volere il suo bene non la sua sofferenza!

La dea stava piangendo a dirotto, bagnando con le sue lacrime l’incavo tra il collo e la spalla di Sitchain, che intanto annusava l’odore dei suoi capelli e le accarezzava la schiena per confortarla. Il ragazzo si staccò dolcemente da lei e la salutò con un lieve bacio sulle labbra morbide, prima di allontanarsi da lei per tornare al suo faticoso lavoro. Branwen, ancora sognante, lo guardò andare via e poi si diresse lentamente verso il palazzo e vi entrò, tutta infreddolita e tremante, sia per il freddo che per l’emozione provocatagli da quel bacio.   

  
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