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Autore: Mrs Carstairs    17/07/2015    1 recensioni
-tratto dalla storia-
A svegliare Tris fu la luce del sole che entrava dalle finestre. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le veneziane. Si accorse poco dopo di non essere a letto ma… in poltrona. Aveva dormito tutta la notte in quella scomoda posizione, appollaiata su quella poltrona infossata, perché? D’istinto, lo sguardo corse al letto, trovandosi a rimirare le coperte sfatte, il lenzuolo attorcigliato e uno dei due cuscini a piedi del letto. Andrea sussurrò. E decise finalmente di alzarsi per sgranchirsi quelle povere gambe piegate da chissà quante ore. Come si avvicinò al materasso dalla parte dello scendiletto, vide qualcosa, incastrato tra le pieghe del piumone. Allungò una mano e lo prese tra due dita. Un biglietto. “Grazie.” A.
in un certo senso la storia è presa dalla realtà. quello che ho sentito ho descritto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando il chiarore di un nuovo giorno cominciò ad invadere la 121, arrivando fino al letto della ragazza che ci dormiva sopra, si fermò su quella figura inerme e, con raggi di fuoco bianco, le infuse un calore quasi vitale, risvegliandola come il bacio del principe aveva fatto con la Bella addormentata. Proprio come risvegliata da un bacio, Tris si portò una mano alle labbra, indugiandoci con le dita, al ricordo di un tocco desiderato, agognato e finalmente ricevuto. Con un sospiro si stropicciò gli occhi, per poi spalancarli e guardarsi attorno, come persa. Ad un tratto si sentì come se stesse notando un’anomalia nella normalità della 121, come… un qualcosa che mancava e qualcosa che non era al suo posto. Di colpo il suo cuore fece un tuffo, al ricordo di un paio di braccia che la stringevano a un petto forte, le sue dita che si aggrappavano a una schiena muscolosa, i polmoni che le si dilatavano alla sensazione di un tocco che sembrava esserle rimasto sulla pelle. Come tornata alla realtà dopo un incubo, si scosse di colpo. Guardò la parte vuota del letto accanto a lei. Fino a quel momento infatti, non si era accorta di essere seduta sul bordo del letto, dalla parte della finestra. Andrea odiava dormire accanto alle finestre. Glielo aveva detto quando aveva rivoluzionato la sua stanza al dormitorio maschile, mettendo il letto al posto della scrivania perché era sotto la finestra. Tris ricordava di aver sorriso, poggiando una mano sulla rete del letto per aiutarlo a posizionarla contro il muro. Lentamente si alzò, andando a mettersi ai piedi del letto e stare a guardare. La sua parte del letto era composta, segno che non s’era mossa molto e anche quella dove Andrea aveva dormito –si che se lo ricordava- lo era, ma sul suo bordo c’erano le pieghe create dalla fretta con la quale si era alzato, lo scendi letto tutto a pieghe, dimostrando la velocità e la poca cautela con la quale si era rimesso le scarpe. Il cuscino era praticamente tutto dalla parte di Tris, nonostante il ragazzo odiasse dormire senza cuscino.
Poi seguì l’andamento scombinato e tutto pieghe delle lenzuola, trovando la sua maglietta sul pavimento, sotto quella di lui. Tris ebbe un sussulto e abbassò la testa per guardarsi. Era tutto vero. Andrea le aveva levato la maglietta, lei aveva scaraventato in terra la sua e si erano guardati, studiati, baciati, finché Andrea non aveva nascosto la testa nell’incavo del suo collo, con la mano che indugiava a sentire il suo battito cardiaco sotto il palmo della mano.
Eppure, dopo tutto questo… dopo che la pellicola si era riavvolta durante la notte lui.. lui se n’era andato. Si era allontanato, come al solito. Non ci capiva niente. Così si infilò in bagno, con la divisa pronta appesa sopra gli asciugamani. In fin dei conti era lunedì, un altro inizio di settimana. Solo un altro susseguirsi di giorni, inutili e.. per quello che si prospettavano.. vuoti.
Levandosi anche l’intimo scivolò in doccia, lasciando che l’acqua le scorresse addosso, lavando quella sensazione di carezze che le restava appiccicata alla pelle chiara.
 
 
 
***
Andrea guardava il viso di Tris alla luce fievole dell’alba e pensava che non ci fosse cosa più dolce di quegli occhi chiusi e delle ciocche di ricci ribelli che le cadevano sul viso mentre dormiva. Credeva di non averla mai vista così serena in vita sua, di non aver mai potuto guardarla così a lungo intenzionalmente. Le passò una mano tra i capelli, cercando di conservare un tocco leggero, per non svegliarla.
In realtà avrebbe voluto svegliarla. Avrebbe voluto vedere quel color ambra spalancarsi di luce nei suoi occhi. Avrebbe voluto avvicinarsi e riprendere a baciarla con foga, tirando quei capelli selvaggiamente. Ma non poteva farle questo. Non poteva trascinarla così nella sua vita. Non poteva distruggerla.
Tris era un tipo complicato, una che aveva i demoni della malinconia a trafiggerle il cuore come fosse un puntaspilli, una che quando alzava lo sguardo, oltre la fierezza nascondeva un mare di tristezza. Una forte, che non si arrendeva mai, che non sopportava le ingiustizie e… e che quando teneva a qualcuno.. faceva tutto quello che era in suo potere per rendere quel qualcuno felice. Non le importava di soffrire, non le importava di un accidente. Quello a cui dedicava tutta se stessa era dare il 100% di sé a quella persona, provare a darle un motivo per restare e… prometterle –mantenendo sempre la parola- che non l’avrebbe lasciata mai, a meno che non glie lo chiedesse. E Andrea non poteva. Non poteva toglierle quella luce dagli occhi, non riusciva proprio a pensare di farla star male, di essere la causa della sua tristezza, della sua lontananza. Ma l’aveva già sperimentato in quelle due settimane, in cui l’unica cosa della quale gli importava era poterla rivedere, poterla riavere accanto a sé. Non poteva trascinarla così in sé stesso. Semplicemente perché sapeva che l’avrebbe coinvolta nei suoi problemi, nella parte della sua vita che non raccontava mai a nessuno e non voleva. Tris ci era incespicata, in Andrea, nel primo anno di college. E lui non aveva nemmeno pensato che quella ragazza con i capelli da matta potesse condizionarlo tanto. Non pensava nemmeno che sarebbe riuscito a conoscerla cosi bene, non pensava di VOLERLA conoscere così a fondo. Era stato errore di percorso, uno sbaglio permetterglielo. Permettergli di guardarlo negli occhi e vederci la sua anima, invece che una tela di rabbia. Un errore lasciarle conoscere il suo modo di pensare veramente. Un errore farle capire quando stava male. Un grande, enorme errore confidarle paure, segreti e gioie. Era tutto un errore e lui non si era accorto che lei lo guardava sempre di più in modo diverso, che leggeva nei suoi occhi ogni cosa, ancor prima che glie lo dicesse. E non se n’era reso conto finché la sera prima non aveva sentito quella cosa, allo stomaco e poi al centro di sé. Quello che lo aveva portato a baciarla e a dirle che voleva farlo da tempo.. ma aveva sbagliato anche quello. E l’aveva capito troppo tardi, quando ormai erano andati ben oltre il bacio e lui aveva affondato la testa nel collo di Tris, mormorando il suo nome, come una litania. La cosa peggiore in tutto questo però, era che fosse vero quello che le aveva detto. Aveva sempre sentito una spinta verso di lei, era sempre stato attratto da quelle labbra che si schiudevano così facilmente, dai suoi occhi grandi che sapevano parlare e dal suo corpo robusto e piantato a terra. E quando aveva ascoltato il suo battito, quella sera… era stato come una puntura di morfina a qualcuno che ha le convulsioni: piano piano si era calmato, fino a stendersi accanto a quel corpo che sentiva suo.
Ma la mattina, quando si era svegliato, ancora accanto a lei, senza maglietta e con un braccio a cingerle i fianchi aveva pensato che non potesse esserci risveglio più dolce, cosa più bella da sentire per prima la mattina, se non il liscio della sua pelle e il profumo dei suoi capelli. Ma proprio per questo non poteva restare, aspettare che si svegliasse. Non poteva permettersi di rovinare una cosa bella come quella. Non capiva se lo faceva per sé, oppure se stava scappando di nuovo da lei. in ogni caso, raccolse la felpa e uscì dalla stanza con le scarpe ancora slacciate ai piedi.
***
L’aula era praticamente vuota quando Tris sedette in uno degli ultimi banchi. Il signor Spigelmann non era ancora seduto alla cattedra, ma la sua valigetta di cuoio troneggiava sul grande banco, ancora chiusa. Tris tirò fuori dalla tracolla l’astuccio e il suo blocco degli appunti. Poi si appoggiò con una spalla al muro, cominciando a scarabocchiare cose a caso sul primo foglio. Si domandava il perché delle azioni di Andrea, della sua fuga mattutina, sorridendo un po’ al ricordo della sua maglietta ancora sul pavimento di camera sua. Pensava e ripensava al momento in cui Andrea l’aveva baciata, sul suo letto, così dolcemente, con una delicatezza di cui probabilmente nemmeno lui si credeva capace. L’aveva baciata, l’aveva accarezzata, spogliata e poi.. e poi si era fermato, come spaventato da qualcosa. Forse si era reso conto pienamente di come il battito di Tris fosse pericolosamente aumentato al suo tocco, o forse non voleva andare oltre, o ancora.. o ancora aveva capito di aver fatto un grosso sbaglio. E quindi aveva aspettato che lei s’addormentasse, per poi sgattaiolare silenziosamente fuori dalla 121, allontanandosi da lei. Ma allora perché aveva detto quelle cose? Perché le aveva detto di star facendo la cosa giusta? Perché le aveva detto che era quello che voleva? Forse per Marylin? Già, alla fine non sapeva nemmeno se avevano chiuso sul serio o no.. magari Andrea era ubriaco e non aveva pensato alle conseguenze. Ma anche lei doveva essere ubriaca, giusto? Eppure ricordava tutto, ogni singolo istante, ogni suo esitare, ogni suo avvicinarsi sempre di più a lei, ogni suo brivido… e la sensazione di vuoto che era seguita. Vuoto. Uno spazio bianco, il nulla, una parte mancante di sé. Come un pezzo di puzzle mancante in una scatola da 1000 pezzi. Quello che sembra il più piccolo, il più insignificante… ma che quando manca nella figura si rivela il più importante, magari quello proprio al centro.
L’aula si era riempita pian piano, come il suo primo foglio del blocco prendi appunti di fronte a lei. Accanto a lei non si era seduto ancora nessuno, quando sentì un peso morto cadere sulla sedia del banco vicino al suo. Non voltò nemmeno lo sguardo, sapeva benissimo chi era. La pesantezza dei movimenti, la svogliatezza nel sedersi, le gambe larghe sotto al tavolo, il bacino in avanti, in modo da trovarsi seduto praticamente sull’osso sacro..
“wow.” La voce del ragazzo risuonò quasi fredda nelle orecchie di Tris. “devi aver dormito male stanotte, la tua faccia non è delle migliori.” Lo scherzo freddo nella voce del ragazzo le faceva venire i nervi, ma non riusciva davvero ad arrabbiarsi. Era troppo stanca forse, per contrattaccare.
La ragazza girò distrattamente il viso verso di lui, gli occhi che gridavano di voler piangere, le labbra strette in una linea dura, quasi bianca.
“forse.” Si limitò a dire, in un sussurro. La stava trattando come se non fosse successo niente, come se la sera prima non fosse esistita in quelle 24 ore, come se non avesse dormito con lei, come se non l’avesse baciata, come se non avesse ascoltato il battito del suo cuore.
La lezione cominciò, distraendola per 5 minuti da quei pensieri. Ma nemmeno l’estetismo di Oscar Wilde riusciva a spazzare via quelle sensazioni, entrandole nella testa per un po’. Il professor Spigelmann continuava la sua spiegazione del ‘Ritratto di Dorian Gray’, quando parve accorgersi di qualcuno, in fondo all’aula, con lo sguardo fisso sulla finestra.
“signorina Fairfox. Signorina Fairfox, si sente bene?” Tris ci mise qualche secondo a capire che Spigelmann stava parlando con lei. voltò lo sguardo verso l’uomo in giacca e cravatta, cercando di mettere a fuoco l’immagine, ma le sembrava sempre più difficile.
“si io.. sto bene” disse incerta, fissando il pavimento, con i gomiti e le mani appoggiati sul banco, le dita che si chiudevano a pugno, per nasconderne il tremore. Poi Andrea chiuse una mano sul suo polso sinistro, facendola sussultare. Tris cercò di divincolarsi, mentre il professore andava avanti con la lezione e quando ci riuscì, si alzò dal banco, raccogliendo la tracolla e il blocco dal banco, per poi uscire dall’aula senza dire una parola. Sapeva che si sarebbe presa un richiamo, ma non le importava niente di essere messa in punizione.  Appena uscì dalla classe attraversò il corridoio, arrivando in fretta al suo armadietto. Mosse le dita per inserire la combinazione e meccanicamente ci poggiò dentro libri e blocco degli appunti. Poi si immobilizzò.
Quello che è giusto. 
Quello che voglio.
Quello che non ho voluto fare per troppo tempo…
Strinse la mascella contro la mandibola, sentendo il leggero stridio dei denti che sfregavano. Chiuse una mano a pugno e con l’altra chiuse l’armadietto con una sberla, il colpo che rimbombava nel corridoio vuoto. Si voltò, imboccando l’uscita dell’edificio. Prese a camminare, per poi correre, sempre più veloce, col cuore che le batteva nel petto a più non posso. Come la sera prima. Il respiro irregolare. 
   
 
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