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Autore: silvermoongirl10    17/07/2015    0 recensioni
Questa storia racconta l'evoluzione dell'amicizia tra Porthos e Aramis, dal loro primo incontro e attraverso la serie. Essere un Moschettiere vuol dire molte cose, una fratellanza leale, buoni amici, grandi avventure e di sicuro strane ferite.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Aramis, Porthos
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Strangers to Brothers

Fine Settembre 1628

Aramis era rannicchiato vicino al fuoco e fissava le fiamme tremolanti, alzando poi lo sguardo sul cielo notturno. Guardando le stelle poteva quasi credere che tutto fosse tranquillo, sospirò e abbassò gli occhi sulle sue mani. Era così stanco. Era a La Rochelle da un anno ormai ed era esausto, ne aveva abbastanza di vivere nella costante paura di un attacco. Gli Inglesi avevano tentato una terza manovra per inviare delle navi in aiuto agli Ugonotti. All’inizio quando avevano inviato la prima flotta era rimasto sorpreso, considerando che il Re d’Inghilterra e Scozia Carlo I (nonostante fosse protestante) avesse sposato la Cattolica sorella di Luigi XIII nel 1625. La terza flotta Inglese aveva bombardato la loro posizione e Aramis era corso da tutte le parti cercando di aiutare quanti più feriti possibile: gli ci erano voluti giorni per far scomparire le macchie di sangue dalle mani. Era crollato contro un muro sentendosi distrutto, nonostante l’armata navale fosse stata sconfitta e si era ritirata in Inghilterra. Aramis sentiva la spossatezza che gli filtrava nelle ossa e ora si sentiva oltremodo stanco, era passato molto tempo da quando aveva dormito pacificamente tutta la notte.

Treville aveva visto quanto fosse esausto e gli offrì un periodo di licenza per tornare a casa per una settimana, e se da una parte era stato tentato di accettare l’offerta del Capitano e andare a trovare sua madre, suo padre e suo nonno, aveva rifiutato per la paura di un attacco e per il timore che le nuove reclute venissero uccise. No, piuttosto preferiva restare a La Rochelle per tenere d’occhio i giovani Moschettieri e assicurarsi che sopravvivessero alla campagna. Il Reggimento aveva perso cinque uomini, tre dei quali nuove reclute; Aramis l’aveva considerata una perdita personale: aveva preso i nuovi arruolati sotto le sue ali e li aiutava come meglio poteva, così la perdita dei tre lo aveva reso agitato per la paura e la sensazione di fallimento. Se da un lato si disperava per la situazione, tirava un sospiro di sollievo sapendo che Athos e Porthos erano a Parigi.

Aramis incurvò le spalle ricordando l’ultima volta che aveva visto Porthos; si passò una mano tra i capelli. Le parole dell’amico gli erano rimaste nella mente durante l’ultimo mese. Sapeva di avere la tendenza a correre rischi quando era in battaglia, ma non aveva mai considerato che fossero la causa della morte dei suoi amici.
“Sarai lì fuori senza di me. Ti lancerai in trovate incaute e ti farai ammazzare! Ti chiedi perché i tuoi amici restano uccisi: loro muoiono tentando di salvarti!”

Ricordava la rabbia che aveva provato, era stato a malapena in grado di fermarsi dal rispondere seccamente che non aveva mai chiesto a nessuno di salvarlo. Ma si era bloccato perché c’era del vero nelle parole del suo amico, allora la colpa aveva preso piede e aveva deciso che era davvero il meglio per l’altro tornare a Parigi. In questo modo Porthos non sarebbe morto cercando di salvarlo. Lo aveva già perdonato, vedendo l’espressione sul viso dell’amico aveva capito che le parole gli erano uscite per sbaglio, quelle frasi erano prive di significato e Porthos avrebbe voluto rimangiarsele non appena lasciarono la sua bocca. Ciò nonostante, mentre l’amico probabilmente sentiva che non volevano dire nulla, Aramis poteva vedere la connessione tra la morte dei suoi compagni e le sue azioni.

Dopo che Henri gli aveva detto che era richiesto alle trincee, mentre tornava verso i suoi uomini correndo, si era ripromesso che nessun altro sarebbe morto per lui. Avrebbe combattuto da solo e sarebbe sopravvissuto o sarebbe morto. Non gli importava quale delle due, solo così nessun altro si sarebbe intromesso e sarebbe morto per colpa sua. Non se lo meritava.

 
 
Porthos era in piedi in una delle camere della guarnigione: con Aramis ancora sul campo di battaglia voleva restare lì finché gli uomini sarebbero tornati, in questo modo sarebbe stato vicino in caso di nuove notizie, o di feriti. Le voci si erano diffuse ed erano giunte a Parigi dicendo che gli Inglesi avevano inviato una terza flotta che aveva bombardato la Forza Reale Francese lasciando molti morti o feriti, nessuno conosceva i loro nomi e così lui non sapeva se Aramis era tra essi; i messaggi non passavano tra la guarnigione e i Moschettieri a La Rochelle. Ma dopo due settimane senza che arrivassero soldati feriti o morti, Porthos lo aveva preso come un buon segno per il fatto che suo fratello fosse ancora vivo e vegeto.

Guardò oltre la finestra, guardando le stelle si sentì un poco confortato di stare guardando le stesse cose che stava guardando Aramis, sapendo che il suo amico traeva conforto nel guardare il cielo pacifico.

Se è ancora vivo.

Porthos spinse via quel pensiero velocemente com’era arrivato, Aramis non era morto, semplicemente non lo era. Il suo amico era testardo e non si arrendeva facilmente. In realtà era così ostinato che se qualcuno gli avesse detto di fare qualcosa che lui non voleva, avrebbe fatto completamente l’opposto. Porthos rise sommessamente ricordando tutti i guai in cui Aramis si era cacciato a causa di questo particolare tratto della sua personalità. La risata gli morì in gola, il buon umore svanì nella notte. Se da una parte Aramis era così testardo da non arrendersi, d’altro canto avrebbe messo da parte la sua ostinazione e si sarebbe arreso se questo significava far sopravvivere suo fratello: si sarebbe ucciso con la sua stessa spada se questo voleva dire far sopravvivere i suoi compagni. Non per la prima volta Porthos si rimproverò per avergli detto che era la causa della morte dei suoi amici. Conoscendolo, sapeva che si sarebbe tenuto lontano da tutti, assicurandosi che nessuno lo avrebbe aiutato. Facendo in modo che gli altri sarebbero sopravvissuti, non preoccupandosi della sua vita.

Porthos sapeva che se il peggio sarebbe giunto e suo fratello non avrebbe fatto ritorno a Parigi, non si sarebbe mai perdonato. Poteva non essere stato lui a sparare con il moschetto o sfoderare la spada, ma il sangue di Aramis sarebbe stato sulle sue mani.

Guardò alla sua sinistra e fissò la sua spalla ancora fasciata, i ricordi offuscati sul momento in cui si era ferito. Si ricordava chiaramente il volto preoccupato di Aramis chino sopra di lui, e il sollievo che si era disegnato sul suo viso quando aveva capito che Porthos aveva solo un taglio profondo sulla gamba e una spalla dislocata.

Ricordava anche il terrore che gli aveva afferrato il cuore quando aveva pensato di aver perso Aramis; la sensazione di disperazione che aveva sentito a Savoia non era nulla a confronto. Quando gli era stato detto del massacro aveva testardamente rifiutato di ammettere che l’altro fosse morto, senza corpo non c’erano prove che il suo amico era stato ucciso. Quando lo aveva trovato vivo aveva provato che aveva ragione. Ma vedere Aramis che assomigliava ad un cadavere sul campo di battaglia fuori da La Rochelle… rabbrividì. In quel momento aveva conosciuto il puro terrore e la perdita, perché sdraiato davanti a lui c’era il corpo del suo migliore amico, e se era accaduto il peggio, sdraiato davanti a lui c’era la prova della sua morte.

Ora capiva perché, quando Aramis parlava della sua vita prima dei Moschettieri aveva sempre lo sguardo devastato. Ora sapeva perché si rifiutava ostinatamente di parlare dei suoi amici del suo primo anno come soldato, Porthos non conosceva nemmeno i loro nomi. Aramis gli aveva raccontato solo di Victor; sembrava che il Moschettiere non volesse mai ricordare i suoi compagni. Ora sapeva di avere torto: non era che Aramis volesse dimenticarli, voleva bandire dalla sua mente le immagini dei loro cadaveri sul campo di battaglia. Aramis era ancora vivo, e nonostante ciò Porthos non riusciva a bandire dalla sua memoria le immagini del corpo di suo fratello immobile nella foresta sul confine con Savoia e ora a La Rochelle. Nonostante dalla morte degli amici di Aramis fossero passati sei anni Porthos vedeva che per l’altro era ancora doloroso parlarne. Non poteva biasimarlo; se avesse perso suo fratello, sarebbe stato lo stesso per lui.

Alzò gli occhi al cielo e mormorò, “Lascialo vivere, fa che torni vivo.”

Una mano si posò sulla sua spalla destra, si spaventò e si guardò attorno per vedere Athos che lo fissava di rimando. L’espressione sul volto dell’altro Moschettiere era quella di sempre, ma nei suoi occhi Porthos poteva scorgere la preoccupazione per lui e Aramis.

“Starà bene, tornerà indietro.” Affermò Athos e lo disse con una tale convinzione che Porthos quasi ci credette. Ma le parole che aveva gridato ad Aramis gli vorticavano nella testa insieme agli occhi sgranati dell’amico pieni di dolore, perdita e ricordi inquietanti.

“Dopo quello che gli ho detto…” Sussurrò Porthos scuotendo tristemente la testa, “Non lo invidierei se decidesse di non parlarmi più. Se dovesse tornare.”

“Tornerà. A questo punto non aver ricevuto alcuna notizia è un buon segno.” Sottolineò Athos, “Anche se non so cosa vi siete detti, in quanto sono affari tuoi non miei, conosco Aramis. So che ti ha già perdonato e non appena ti vedrà te lo confermerà lui stesso. So che hai paura che sia distratto a causa di ciò, ma ha molta più fortuna di chiunque altro io conosca. Tornerà. Aspetta e vedrai.” Athos gli rivolse un piccolo sorriso prima di voltarsi e andarsene.

Porthos lo guardò muoversi e poi tornò a voltarsi verso il cielo notturno sopra di lui. Voleva credere ad Athos, lo voleva davvero, non faceva apposta ad immaginarsi la morte dell’amico. Ma senza alcun ferito tornato non c’era nessuno che poteva dirgli che Aramis era ancora vivo ed era passato quasi un mese da quando era partito dal Fort Louis e lo aveva lasciato là solo.  Colpì il davanzale con la mano destra abbassando la testa, nella sua mente scorrevano tutti i bei momenti che lui e Aramis avevano condiviso; quando avevano irritato deliberatamente Athos e Treville, fingere di duellare tra di loro nel cortile della guarnigione davanti alle nuove reclute facendoli restare seduti con la bocca aperta per lo stupore e lo sbigottimento, tutte le lotte nelle taverne a cui avevano partecipato.

“Torna indietro Aramis, basta che torni vivo.” Sussurrò prima di voltarsi per allontanarsi dalla finestra e sdraiarsi a letto sperando di non svegliarsi a causa degli incubi di ricevere la notizia che suo fratello non sarebbe tornato.

 
 Fine Ottobre 1628

Aramis era in piedi accanto a Henri e guardava gli Ugonotti che stavano caricando contro di loro, poi spostò lo sguardo sul giovane; il ragazzo gli era rimasto incollato accanto nei giorni scorsi, dopo che era stato assegnato alla sua pattuglia. Notando come i Protestanti fossero vicini gentilmente, ma con forza, spinse Henri tra il gruppo di uomini della loro squadra. Henri lo guardò sorpreso e confuso.

Aramis annuì verso gruppo, “Starai più al sicuro con loro, resta lì e ricordati cosa ti ho insegnato, starai bene.”

“E tu?!” Esclamò Henri, mentre spostava lo sguardo dalla pattuglia a lui.

Aramis gli rivolse un piccolo sorriso, “Starò bene, solo stai con loro, Henri, qualunque cosa accada a me o a chiunque altro stai attaccato a Philippe e Tristan e al resto della pattuglia.”

Henri aprì la bocca senza dubbio per ribattere, ma Aramis oltrepassò velocemente lui e la sua squadra finchè fu davanti a tutti: sparò con le sue due pistole e le ricaricò riuscendo a fare fuoco altre due volte prima di estrarre la spada. Strinse gli occhi e fissò i Protestanti giurando che nessun altro dei suoi amici sarebbe morto. Gli Ugonotti erano stati quasi sconfitti, una settimana al massimo e Aramis sapeva che si sarebbero arresi. Solo altri sette giorni e sarebbero potuti tornare tutti a casa e lui avrebbe potuto rivedere Athos e Porthos, rassicurandosi ancora che stessero bene. Gli mancavano terribilmente, ma Henri era un ottimo sostituto. Smise di pensare ai suoi amici in quanto gli Ugonotti erano abbastanza vicini per combattere.

Parò facilmente i colpi dei suoi nemici, le loro abilità con la spada non erano nulla se comparate alle sue. Ma era diverso combattere da solo; di solito Porthos era dietro di lui o vicino. Si era sempre sentito rassicurato di avere i suo amici che combattevano vicino a lui. Ma ora era solo.

Mentre la battaglia andava avanti Aramis si allontanò dai suoi compagni, non aveva intenzione di permettere a nessuno di loro di aiutarlo e di farsi uccidere nel mentre. Il suo piano, tuttavia, fu spazzati via quando con l’angolo dell’occhio vide che la spada di Henri volò via dalla sua mano, un Ugonotto che lo spingeva in ginocchio e lo guardava malevolmente mentre alzava la spada per assestare il colpo finale. Henri guardò il suo nemico con uno sguardo duro, Aramis si sentì un po’ orgoglioso che in questo momento disperato Henri rifiutasse di mostrare alcuna paura. Ma non sarebbe morto: non aveva intenzione di far sì che accadesse.

Così calciò via l’uomo che stava combattendo che finì direttamente sul sentiero di guerra di Tristan. Aramis caricò con la spada alzata e all’ultimo secondo prima che Henri venisse colpito, spinse di lato con la sua lama quella dell’Ugonotto. Con la sua mano libera lo premette a terra e fu vagamente consapevole del giovane che strisciava sul pavimento per raggiungere la spada persa. Aramis, con gli occhi stretti e guardando fisso l’uomo che aveva cercato di uccidere Henri, si mosse di lato finché non fu tra il ragazzo e l’Ugonotto.

“Potresti anche aver salvato il tuo amico, Moschettiere.” Sogghignò l’uomo creando dei sibili mentre muoveva la spada da un lato all’altro del suo corpo, “Ma hai solo ritardato il suo destino, lui morirà. Anche se devo uccidere tu prima di lui.”

Aramis fece un sorrisetto, “Provaci.” Alzò la spada più in alto e guardò l’uomo attraverso gli occhi stretti che potevano essere intravisti da sotto la falda del cappello.

Il suo commento ebbe l’effetto sperato in quanto l’Ugonotto si sentì insultato: Porthos avrebbe detto quanto stava diventando incauto e Aramis poteva solo essere d’accordo. Ma offendere il suo avversario stava distogliendo la sua attenzione da Henri.

L’uomo fece uscire un grido di guerra e caricò Aramis che mise i piedi alla stessa larghezza delle spalle e si assicurò di essere fermamente in equilibrio. Il suo nemico aveva indubbiamente una costituzione più grossa di quella di Porthos e Aramis sapeva che se non fosse stato abbastanza preparato si sarebbe ritrovato a terra nel giro di pochi secondi come se fosse stato colpito da un cavallo.

Mentre l’uomo si muoveva verso di lui, dovette abbassare la testa, ruotare su un piede e raddrizzarsi per portare a segno il suo colpo. Stava riuscendo a far arretrare il suo avversario, quando all’improvviso l’uomo afferrò il suo mantello e tirò. Aramis fu sbilanciato e fece quasi cadere la sua spada a causa della sorpresa della pressione attorno al collo. Con la schiena contro l’Ugonotto Aramis non perse tempo ad alzare un suo piede e colpire con forza l’uomo che stava cercando di strangolarlo. L’altro ululò per il dolore e lasciò la presa sul mantello di Aramis che se ne liberò in fretta, si voltò e rimase sorpreso nel vedere che l’uomo già alzava la sua spada per attaccare ancora.

Aramis non aveva idea quanto quella lotta stava durando, ma sapeva che si stava stancando e che non poteva durare ancora a lungo. Ora sapeva come sarebbe stato affrontare Porthos in un vero combattimento con la spada, qualcosa che aveva intenzione di evitare anche solo per un duello amichevole invece di uno di quelli finti che avrebbero fatto per impressionare le nuove reclute. Aramis si guardò intorno per cercare aiuto, ma, ricordando che si era tenuto lontano da tutti, capì che l’atto di salvare i suoi amici sarebbe stata la sua rovina. Ma vide Henri combattere vicino, assicurandosi senza dubbio che nessun’altro Ugonotto arrivasse per lottare contro di lui.

Spinse il suo nemico su un lato, usò la breve interruzione per togliersi il sudore dalla fronte e fu grato di avere ancora il cappello in testa che gli bloccava gli sgraditi raggi di sole dagli occhi. Si distrasse per un momento e fu riportato alla realtà quando Henri gridò il suo nome. Alzò lo sguardo appena in tempo per vedere l’Ugonotto che si avvicinava rapidamente ancora una volta. I suoi stessi movimenti stavano diventando lenti e ciò gli fece capire che stava combattendo contro lo stesso uomo da più di dieci minuti.

Poi accadde l’impensabile: a causa della sua spossatezza inciampò in una roccia dando all’Ugonotto abbastanza tempo per torcere la spada fuori dalla sua presa. L’uomo balzò in avanti con la sua lama e un dolore acuto esplose nel suo fianco; Aramis intrecciò il suo sguardo con quello dell’Ugonotto, scioccato. Mentre la spada veniva estratta dalle sue carni sentì in lontananza Henri che urlava il suo nome: mentre le ginocchia gli cedettero e colpì il terreno con la testa abbassata, le urla del giovane Moschettiere si fusero con la voce di Porthos e Aramis si chiese cosa l’amico avrebbe pensato quando Henri gli avrebbe detto come era caduto: inciampare su una pietra, si sarebbe deriso da solo se non avesse avuto il respiro bloccato in gola. Alzò un poco il viso per vedere il cielo e così facendo si sbilanciò di lato per poi accasciarsi al suolo sul fianco non ferito. I suoni della battaglia e le disperate suppliche di Henri di alzarsi scomparvero per essere sostituite con il suono del suo stesso sangue che gli martellava nelle orecchie.

La cosa successiva di cui fu consapevole era Henri accovacciato davanti a lui che lo guardava con occhi spalancati per il panico. Il giovane gli spinse gentilmente la spalla così da farlo sdraiare sulla schiena. Aramis sussultò quando qualcosa fu spinto contro la sua ferita; alzò lo sguardo per vedere Henri che gridava a qualcuno di aiutarlo. Il dolore stava scomparendo e Aramis sapeva che era un brutto segno, sapeva che era la sua fine. Lentamente allungò una mano per stringere debolmente quella di Henri, il ragazzo abbassò lo sguardo su di lui e Aramis riuscì a vedere che i suoi occhi brillavano per le lacrime trattenute.

Deglutì per scacciare il blocco che aveva in gola e mormorò “Va tutto bene… non è colpa tua.”

“Starai bene Aramis.” Lo rassicurò l’altro mentre si aggrappava alla sua mano.

Aramis provò a sorridere, ma sapeva che sarebbe assomigliato più a una smorfia, “Va tutto bene Henri.” Sussurrò. Mentre i suoi occhi si chiudevano sentiva il giovane chiamarlo e dirgli di riaprirli. Ma era così stanco. L’oscurità era benvenuta: non c’era alcun dolore e in questo modo non avrebbe più a lungo dovuto essere la causa della morte dei suoi amici. Questo era la soluzione migliore, e lui l’aveva accettata. Se solo Henri, Athos e Porthos sarebbero stati in grado di farlo.

 
Inizio Novembre 1628

Porthos era in piedi nel cortile della guarnigione con tutti gli altri Moschettieri che erano rimasti a Parigi: erano giunte voci che il 28 Ottobre la città de La Rochelle si era arresa. E oggi i loro compatrioti sarebbero tornati, un messaggero era giunto e aveva annunciato ciò, ma non era stato in grado di dire chi era stato ferito, solo che sei lo erano, di cui due gravi. Fortunatamente il Reggimento aveva perso solo cinque uomini durante l’intera campagna. Athos era in piedi accanto a Porthos, per quest’ultimo erano passati quasi tre mesi dall’ultima volta che aveva visto Aramis, ma per l'altro Moschettiere era passato un anno intero. Non riusciva a immaginare di passare tanto tempo senza vedere suo fratello; era stato insopportabile passare tre mesi senza parlargli. Il suo migliore amico aveva la capacità di innalzare lo spirito delle persone nelle situazioni più buie e Porthos aveva disperatamente avuto bisogno che il suo spirito venisse sollevato durante il tempo che lui era a Parigi e Aramis a La Rochelle. Ma nessuno era stato ucciso durante l’ultimo attacco e così Porthos riusciva a respirare un po’ più facilmente sapendo che il suo amico era ancora vivo.

Mentre tutti nel cortile erano felici per il ritorno dei loro amici e fratelli, Porthos non poteva ignorare quella sensazione di timore che gli attanagliava lo stomaco da tre settimane. Se da una parte non aveva prove, sapeva che quella inquietante sensazione aveva qualcosa a che fare con Aramis. Era successo qualcosa, e se in altri momenti sarebbe stato in grado di spazzare via quella sensazione, il fatto che Athos avesse iniziato ad avere lo stesso presentimento da tre settimane non dava a Porthos alcun sollievo. Nonostante sapessero che Aramis era ancora vivo.

Tornò al presente sentendo il suono degli zoccoli sulla pietra, poco dopo i primi carri entrarono nel cortile. Uomini saltarono giù e furono subito abbracciati dai loro amici; poi entrò Treville cavalcando accanto ad un carro che tutti capirono subito trasportare i feriti. Il non aver ancora visto Aramis fece perdere un battito a Porthos. Treville chiamò a sè lui e Athos che si scambiarono uno sguardo preoccupato prima di avvicinarsi lentamente. Li seguirono degli sguardi comprensivi, cosa che non rassicurò per nulla Porthos: capì allora che Aramis era uno dei feriti gravi.

Delle barelle erano state tolte da esso mentre stavano in piedi davanti a Treville che era smontato e li guardava con uno sguardo rattristato. Fece un cenno col capo verso il carro e così lo raggirarono per vedere che sull’ultima barella che aspettava di essere tolta c’era sdraiato Aramis, completamente immobile. Porthos fece per salire ma fu bloccato da Treville in quanto Henri e Philippe stavano già portando la barella con Aramis ad una delle camere al piano superiore della guarnigione con Athos, Treville e Porthos alle calcagna.

Porthos rimase in silenzio scioccato al margine della camera mentre Aramis veniva sistemato sul letto, Philippe controllò il bendaggio che aveva avvolta attorno al busto del suo amico e poi si allontanò permettendo all’altro Moschettiere di avvicinarsi lentamente alla pallida figura sdraiata immobile sul letto. Con gli occhi spalancati Porthos rimase in piedi accanto ad Aramis e mise una mano sulla sua fronte; fu turbato di sentire che aveva la febbre. La porta che si chiudeva gli fece spostare l’attenzione su coloro che erano rimasti nella stanza, solo Aramis, lui stesso, Athos e Henri.

Quest’ultimo si avvicinò con una bacinella piena d’acqua e un panno, che allungò a Porthos: sorrise grato al giovane e non sprecò tempo a bagnarlo e metterlo sulla fronte di Aramis. Si sedette sulla sedia che Athos gli aveva portato; poi alzò lo sguardo su Henri che stava fissando l’uomo ferito preoccupato.

“Cos’è successo?” Chiese Porthos delicatamente,

Henri si spaventò e poi calmandosi lo guardò negli occhi con la colpa incisa sul suo volto. “Aramis mi ha detto di stare vicino al resto della pattuglia una volta che ha capito che stavamo per essere attaccati. Ho provato a fare come mi ha detto ma sono stato separato. Stavo combattendo contro un Ugonotto che era circa due volte me. Ha colpito la mia spada facendomi perdere la presa, mi ha spinto sulle ginocchia e ha alzato la spada.”

Porthos sussultò, si immaginò facilmente la situazione che il giovane gli stava descrivendo. Sapeva che Henri era fortunato ad essere di fronte a loro, e sapeva che lo era perché Aramis aveva fatto qualcosa per salvarlo.

Il giovane prese un respiro profondo prima di continuare, “Allora dal nulla è arrivato Aramis che ha usato la sua spada per deviare il colpo mortale e mi ha spinto a terra con la sua mano libera. Ha poi fatto sì che l’Ugonotto si focalizzasse su di lui e si dimenticasse di me, così ho usato il vantaggio e sono strisciato a recuperare la mia arma.”

Porthos scambiò con Athos un piccolo sorriso, e poi abbassò di nuovo lo sguardo su Aramis. Era tipico del loro amico apparire dal nulla durante una battaglia: sembrava scomparire quando lo si cercava, ma non appena avevi bisogno di qualcuno che combattesse al tuo fianco lui era proprio lì, come se fosse apparso dall’aria.

“Quando mi sono voltato ho visto che Aramis stava combattendo alla pari e aveva difficoltà ad avere la meglio. Volevo aiutare, ma ero preoccupato che sarei solo stato d’intralcio e rendere le cose peggiori.” Confessò Henri abbassando un poco la testa mentre guardava il Moschettiere ferito.

“Hai fatto la cosa giusta Henri.” Assicurò Porthos, il ragazzo alzò di scatto la testa per guardarlo, “Avresti potuto restare ferito o ucciso tentando di aiutare Aramis, e lui non avrebbe voluto che accadesse. Hai fatto la cosa giusta scegliendo di stare in disparte.”

Henri annuì grato; Porthos sapeva che l’altro aveva guardato Aramis con ammirazione durante quell’anno. No, ora erano due anni che Henri si era unito ai Moschettieri e il suo amico l’aveva preso sotto la sua ala. Sebbene lo facesse con tutte le nuove reclute sembrava essere diventato il mentore di quel giovane e di conseguenza un eroe per Henri.

“Allora altri Ugonotti sono venuti verso di noi, probabilmente vedevano Aramis come un bersaglio facile. Così li ho combattuti, tenendoli lontani da lui. La lotta era quasi finita, così ho controllato che stesse bene e ho visto che Aramis era esausto. È inciampato su una roccia e l’Ugonotto gli ha fatto perdere la presa sulla mano e poi… e poi… um… lo ha pugnalato.” Henri serrò gli occhi cercando senza dubbio di bloccare l’immagine dolorosa, Porthos serrò le mani pensando a quanto volentieri avrebbe messo le mani sull’uomo che aveva quasi ucciso suo fratello. “Aramis si è accasciato a terra, l’Ugonotto aveva alzato la sua spada e gli ho urlato di alzarsi, ma non penso che potesse sentirmi. Così sono corso lì e ho spinto l’Ugonotto a terra. Tristan e Philippe sono arrivati e si sono occupati di lui. Così mi sono precipitato da Aramis. Era incosciente… il medico non ha riposto molte speranze sulla sua sopravvivenza, figurarsi vivere durante il ritorno a Parigi.”

Nonostante la grave situazione Porthos sbuffò, “Quel medico non conosce Aramis. È così testardo che fa tutto ciò che vuole, non importa cosa dicano gli altri.”

Athos mormorò che era d’accordo, poi Henri incespicò leggermente: vedendo che il ragazzo era esausto Athos si alzò in piedi e gentilmente lo accompagnò all’uscita.

Porthos, ora solo con Aramis, allungò una mano per sentire il suo battito rassicurante e regolare. Pregò che la febbre passasse presto e che suo fratello potesse svegliarsi così da scurarsi il prima possibile. Se da una parte odiava il fatto che Aramis non volesse più parlargli, lo avrebbe capito.

 
Metà Novembre 1628

Era passata una settimana e alla fine la febbre di Aramis era scesa, le sue ferite stavano guarendo bene. Tutto ciò che restava da fare era chiedersi quando si sarebbe svegliato. Henri aveva spiegato loro come aveva esitato quando Porthos aveva lasciato il forte e che lo aveva incontrato pochi minuti dopo che se n’era andato. Il giovane disse anche loro come Aramis non avesse dormito bene prima dell’attacco in cui era stato ferito, così Athos giunse alla conclusione che il corpo dell’amico stava solo recuperando il sonno di cui aveva bisogno.

Così una settimana e un giorno dopo che era stato portato alla guarnigione, con Porthos nel suo solito posto sulla sedia accanto al letto, Aramis iniziò ad agitarsi e a lamentarsi: Porthos si sporse e aspettò con il respiro trattenuto, presto gli occhi dell’altro Moschettiere si aprirono tremando. Aramis si guardò intorno confuso e iniziò quasi a farsi prendere dal panico.

Porthos strinse la sua mano, “Va tutto bene Aramis. Sei alla guarnigione, sei al sicuro.”

Gli occhi dell’altro si alzarono rapidamente su di lui, “Porthos?”  Gracchiò, la voce rauca perché non la usava da tempo.

“Sì sono io, chi altro sarebbe seduto al tuo fianco?” Sorrise Porthos mentre lo aiutava a bere dei sorsi d’acqua.

“Perché sono qui?” Chiese Aramis, i suoi occhi non incontrarono quelli dell’altro.

“Sei stato ferito.” Gli suggerì gentilmente Porthos, pensando che la domanda era stata posta solo a causa della confusione.

Aramis scosse la testa, “Pensavo di essere morto. Avrei dovuto esserlo.”

“No.” Sottolineò Porthos, capendo solo ora quali pensieri consumavano la mente dell’amico, sembrava che la sua opportunità di scusarsi fosse appena giunta. “È un bene che tu sia vivo.”

Aramis scosse ancora la testa, “Farò uccidere solo altra gente così.”

Porthos gli mosse il viso così da guardarlo dritto negli occhi, “Non avrei dovuto dirti quelle cose, Aramis. Non erano vere.”

“Lo erano!” Lo interruppe l’altro, sussultando quando mosse il fianco ferito, “Sono la ragione per cui i miei amici e Victor sono morti! E quei Moschettieri a Savoia!”

NO!” Sibilò Porthos, “Non avevo alcun diritto di dirti quelle cose. Tu salvi persone, non causi la loro morte.”

“Ma!-“

“Ma niente!” Lo interruppe Porthos con forza, “Henri mi ha detto cosa è accaduto, hai salvato la vita a quel ragazzo! Grazie a te sta camminando per le vie di Parigi.”

“È una sola persona.” Commentò Aramis,

“Una tra molte.” Replicò Porthos. Fece una pausa e poi aggiunse, “Mi spiace Aramis, per ciò che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti. Ero arrabbiato e anche se questa non è una buona scusa, sono davvero molto dispiaciuto.”

“Oh Porthos.” Sospirò l’altro con un piccolo sorriso, “Non hai niente per cui scusarti!”

Porthos ricambiò il sorriso e afferrò una delle mani dell’amico; Aramis gliela strinse dimostrando che era tutto ok e che lo aveva perdonato.

Il sorriso di Aramis si allargò e chiese, “Allora cosa mi sono perso a Parigi?”

“Per chi mi hai preso? Per una vecchia pettegola?!” Esclamò Porthos,

“Bè in che altro modo potrei sapere cosa sta accadendo nella città da quando sono partito?!” Replicò Aramis. Porthos roteò gli occhi e l’altro sogghignò sapendo che aveva vinto; si sistemò in modo confortevole nel suo cuscino e alzò lo sguardo sull’amico rivolgendogli la sua più totale attenzione. Sfortunatamente per Aramis, la stanchezza causata dalla ferita grave da cui stava prevale: prima di sapere ciò che si era perso a Parigi i suoi occhi si chiusero e si addormentò.

Porthos appoggiò la schiena alla sedia, sollevato di aver evitato di raccontare gli ultimi pettegolezzi. Ma c’era Athos in piedi sulla soglia: entrò nella stanza, si sedette sulla sedia accanto a Porthos sporgendosi più vicino all’altro e con l’espressione seria chiese, “Allora cosa è successo per le vie di Parigi?”.

Porthos lo guardò a bocca aperta e poi si accigliò, “Sei stato in città più a lungo di me!”

“Sì.” Rispose Athos pazientemente come se stesse parlando ad un bambino, “Ma sono stato bloccato nell’ufficio di Treville, non esattamente il posto ideale per scoprire cosa accade in città”.

“Vai e scoprilo da solo!” Ringhiò Porthos,

“Stavi per dirlo ad Aramis, vuoi più bene a lui che a me?” Rispose Athos fingendo uno sguardo ferito,

“Perché è stato lontano dalla città per quattordici mesi ed è ferito! Non è esattamente nelle condizione di camminare per le strade di Parigi e scoprire cosa si è perso, no?!” Protestò Porthos. Vedendo il ghigno di Athos lanciò le braccia in aria e stizzito lasciò la stanza mormorando “Puoi raccontarglieli tu quei dannati pettegolezzi.”

Athos abbassò lo sguardo per vedere che Aramis si era svegliato e stava sogghignando in direzione della ritirata di Porthos. Alzò lo sguardo su di lui, “Allora quali sono le novità?”

Athos sorrise, si spostò sulla sedia di Porthos che era più vicina al viso dell’amico e si accomodò per raccontargli tutto quello che si era perso mentre era via.

Note dell’autrice: Spero che la fine di questo capitolo vada bene. Mi spiace se sembra un po’ sbrigativa, soprattutto le scuse che Porthos rivolge ad Aramis. Ma non sapevo davvero in che altro modo finirlo. Questo avrebbe dovuto essere l’ultimo capitolo ma non posso fare a meno di scrivere un capitolo sull’episodio 4 “The Good Soldier”. Dopo che questa storia sarà completa ne inizierò un’altra di cui ho già un’idea, grazie per aver seguito questa storia significa davvero molto per me!
 
   
 
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