Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: Mnemosine__    18/07/2015    8 recensioni
Poseidone, l'unico che sembrasse avesse prestato fede al giuramento di non avevre figli, ne aveva aveva avuto uno da una mortale.
E aveva anche la faccia tosta di chiedere alla figlia maggiore di mantenere il segreto e di aiutarlo a nascondere il bambino?
"Cosa vuoi che faccia?" Chiese senza tanti convenevoli quando suo padre le aprì la porta.
"Vivere qui. Dovrai proteggerlo dagli occhi degli dei e dei mostri."
"Cioè vuoi che rinunci alla mia vita per fare da baby-sitter. Va bene, lo farò. Ma se Zeus lo scoprirà ti prenderai tutta la colpa.
"Grazie"
"Ringrazia di avermi fatto giurare." Ringhiò lei. "Allora? È un maschio o una femmina?"
Poseidone fece segno a Sally di avvicinarsi con il fagottino.
"Ti presento Perseus, tuo fratello." Elisabeth sbuffò imponendosi di odiare da subito il fagottino, lo avrebbe solo protetto come voleva suo padre e quando la pulce fosse stata abbastanza grande l'avrebbe lasciato e sarebbe tornata a fare i cavoli suoi.
Quando, però, gli occhi dei due si incontrarono tutti questi propositi andarono dritti dritti al Tartaro.
Quel bambino era speciale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ade, Apollo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Blood Brothers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                   

                                        UNO                                                                                                                         
 

"Bene, chi ha voglia di rispondere a qualche domanda?" La voce del giovane supplente di letteratura fece scendere dalle nuvole le menti dei suoi studenti, risvegliandoli da uno stato di dormiveglia.

 C'era chi fantasticava sullo splendido pomeriggio che avrebbe passato fuori da scuola e chi, come la maggior parte delle ragazze, fissava il docente come Tantalo guarda il cibo. Non avevano torto però, non capitava tutti i giorni di avere per supplente di letteratura un giovane uomo con un fisico perfetto e abbronzato, gli occhi azzurri coperti da un paio di occhiali da sole e dei morbidi boccoli biondi che si spostavano ad ogni suo movimento. Insomma, non capitava spesso di ritrovarsi una specie di super modello al posto del vecchio professore decrepito a fare lezione.

Alcuni di loro sobbalzarono, guadagnandosi un'occhiataccia dall'insegnante. Altri sbatterono ripetutamente le ciglia, accigliati, come per constatare di aver sentito bene.

Stava spiegando le avventure del mitico Odisseo, l'uomo dall'agile mente, ai suoi alunni; ma si era accorto che nessuno di loro prestava attenzione alle sue parole, così l'uomo decise di rovinare la giornata a tutti i ragazzi nell'unico modo che conosceva: interrogando.

L'intera aula ammutolì. Sul volto del giovane insegnante, che non doveva superare i venticinque anni, si dipinse un ghigno vittorioso.

"Nessuno? Non mordo mica." Continuò lui facendo scorrere gli occhi azzurri come il cielo sugli alunni, occhi che, famelici, cercavano una potenziale vittima; dopo una silenziosa ricerca sorrise. Incrociò un paio di occhi verdi come il mare, gli unici che non mostravano paura.

La padrona di quegli occhi si portò una ciocca di capelli, che era sfuggito dall'elegante treccia in cui era raccolta la lunga chioma ramata, dietro l'orecchio e lo guardò con disappunto.

"Jackson, ti va di raccontarmi qualcosina riguardo a Scilla? E, bada, non voglio sentire le solite cose come: è un mostro che incontra Odisseo, ma qualcosa di nuovo."

L'insegnante sentì l'aria che usciva dai polmoni degli altri studenti, aria trattenuta per paura di un'imminente interrogazione. Guardò la ragazza che aveva davanti accavallare le gambe, perfettamente a suo agio, senza però cambiare espressione.

"Ci sono molti miti su come Scilla si è trasformata in un mostro, questa è la versione che preferisco io. Anfitrite, la sposa di Poseidone, era, tra le mogli degli dei, la più fedele e meno gelosa di tutte.

Non si arrabbiava se il marito corteggiava altre donne, mortali e immortali, e accoglieva a braccia aperte i suoi figli illegittimi.

Una volta però, Anfitrite si ingelosì e volle vendicarsi sulla rivale: una bellissima ninfa, Scilla, figlia di Ecate e di Forcis, il vecchio dio marino che aveva oltre a Scilla e a Toosa, altri figli, come le Graie e le Gorgoni. Quando Anfitrite si accorse dell'amore tra Poseidone e la bella ninfa, chiese consiglio a Circe, la maga figlia di Helios, la quale le diede delle erbe magiche da stemperare nelle acque dove la ninfa era solita fare il bagno, una costa della Calabria sullo stretto di Messina.

Appena Scilla si immerse nelle acque venne trasformata in un mosto con dodici piedi e sei lunghissimi colli, con sei teste dalla cui bocca uscivano insistenti latrati. Il mostro prese possesso di una caverna della costa calabra di fronte al quale, sulla costa siciliana, c'era un'altra caverna dove abitava un altro mostro, Cariddi, figlia di Poseidone e di Gea.

Le navi per attraversare lo stretto, dovevano evitare di cadere nel vortice d'acqua provocato da Cariddi, che inghiottiva e rigettava poi fuori il mare, e Scilla che poteva divorarle." Finito il racconto, sia il professore che la narratrice poterono notare, con rammarico il primo e con soddisfazione la seconda, che tutti i compagni erano rimasti ad ascoltare la storia a bocca aperta.

"C'è qualcos'altro che desidera chiedermi professore?" chiese la ragazza pronunciando con scherno l'ultima parola.

L'uomo trattenne un sorriso, certo che la sua allieva non sapesse rispondere e chiese, con un misto di tristezza quasi nostalgica nella voce: "Nell'Iliade, abbiamo accennato ad un certo Ascelpio. Chi era?"

"In Grecia, Asclepio, o Esculapio decida lei come lo vuole chiamare, veniva venerato come il dio della medicina, delle guarigioni e dei serpenti. Molti riferimenti ad Asclepio sono stati ritrovati anche in ambito "occulto": la sua capacità di riportare in vita i morti lo rendeva difatti anche il dio invocato dai negromanti."

 Il sorriso gli si spense in un baleno, man mano che la ragazza parlava. Si passò una mano tra i boccoli biondi, nervoso.

"Apollo si innamorò di Coronide mentre ella faceva il bagno in un lago. I due consumarono la loro passione, poi il dio andò via, lasciando un corvo a guardia della ragazza."

Il professore sospirò, quasi malinconico.

"Coronide decise di sposarsi con Ischys, e il corvo, quando li vide assieme, volò da Apollo per riferire. Quando scoprì che Coronide era incinta, il dio decise di punire il corvo, tramutandogli le piume da bianche in nere, poiché non aveva allontanato Ischys da Coronide.

Artemide uccise Coronide trafiggendola con un dardo, per vendicare il fratello disonorato. Apollo, però, decise di salvare il piccolo che Coronide aveva in grembo, e chiese ad Ermes di prenderlo dal corpo della madre. Apollo decise di dare al piccolo il nome di Asclepio.

Secondo quello che si racconta, il semidio Asclepio ricevette dalla dea Atena il dono di cambiare il suo sangue con quello di Medusa la Gorgone. Da allora il sangue che sgorgava dalle vene del suo fianco sinistro era velenoso e portatore di sventure, ma quello del fianco destro aveva il potere di guarire qualsiasi malattia e persino di fare risorgere i morti, ciò fece arrabbiare sia Zeus che Ade, poiché l'afflusso dei morti dell'oltretomba diminuiva.

Proprio per questi poteri simili a quelli di un negromante, ovvero guarire i mali, riportare in vita i morti e garantire una vita straordinariamente lunga, Zeus decise di fulminarlo perché temeva che il particolare potere che Esculapio condivideva con gli uomini avrebbe potuto minacciare la fede negli dei, annullando di fatto la sostanziale differenza fra divinità e uomini, ovvero l'immortalità. Apollo però, si sentì oltraggiato per il trattamento severo riservato a suo figlio e si vendicò uccidendo i tre Ciclopi che forgiavano le folgori di Zeus.

Per placare Apollo, Zeus rese Asclepio immortale facendolo diventare un dio minore."

Il giovane docente si alzò dalla sedia su cui era seduto, per avvicinarsi alla ragazza. "E cosa mi diresti di Apollo?"

Lei lo fissò negli occhi e, incredula, rispose: "Apollo è il dio del sole, molte volte confuso con il titano Elio. Figlio di Zeus e gemello di Artemide, è il dio degli oracoli, della medicina e di tutti i tipi di arte; la sua arma prediletta era l'arco, tipo di arma che usava anche sua sorella Artemide, nessuno poteva sfuggire ad un suo dardo, le frecce tirate dai gemelli facevano sempre centro."

"Vai avanti." La incalzò lui, come se fosse desideroso di ascoltare.

"Apollo... lui è sempre stato rappresentato con un fisico tonico e con una muscolatura asciutta, aveva riccioli biondi e occhi azzurri come il cielo. E..."

 "E...?"

"Ed era un grande pallone gonfiato. Pardon, un grande rubacuori. Non ha mai avuto una relazione stabile e non faceva differenza tra maschi e femmine." Concluse lei con una punta di acidità nella voce.

Tutta la classe ascoltava in silenzio, sapevano tutti che, oltre al greco e al latino, quella era l'unica materia in cui la loro compagna era allo stesso livello di conoscenza degli insegnanti, se non più alto. Nelle altre materie invece... arrivava a stento alla sufficienza. Tutto questo, però, era causato da un disturbo del deficit dell'attenzione.

Il professore la guardava negli occhi come se fosse appena stato offeso, poi sorrise e ritornò alla cattedra.

"E cosa mi sai dire di Poseidone?"

"Poseidone, figlio di Crono e Rea, è il fratello maggiore di Zeus e minore di Ade. È il dio del mare e..."

Il racconto venne interrotto dal suono della campana che indicava il termine della lezione e gli studenti cominciarono ad uscire dalla classe.

"Jackson, rimani qui." Disse l'insegnante.

La ragazza annuì e si sedette sul banco dove prima erano appoggiati i libri. Ripose le penne e i quaderni nella borsa e attese. Quando tutti gli alunni furono usciti dall'aula lasciò la borsa su un banco e si avvicinò all'insegnante. Lui alzò gli occhi dal registro e si alzò in piedi per sbilanciarsi in avanti e appoggiare le sue morbide labbra sulla guancia dell'allieva. Lei sorrise e chiuse gli occhi per assaporare quel leggero contatto.

 "Che cosa ci fai qui?" chiese sorridendo e sedendosi sulla cattedra.

"Volevo vedere come sta la mia cuginetta adorata."

"Di solito, quando vieni a trovarmi, mi dai appuntamento in un bar o sulla spiaggia e hai le sembianze di un diciassettenne."

Il dio si strinse nelle spalle "Mancava il tuo insegnante e io ne ho approfittato."

Lei alzò un sopracciglio, scettica. Il nume alzò le mani in segno di resa, cercando di trattenere un sorriso. "E va bene, volevo rimorchiare qualche bella mortale".

Elisabeth abbassò lo sguardo per non far incrociare i suoi occhi con le iridi turchesi del dio, ma non fu abbastanza veloce.  La divinità batté gli occhi, perplesso, quello che aveva visto negli occhi della cugina non era tristezza, vero?

No, tra loro non c'era quel tipo di affinità. Certo, i due erano molto uniti, amici per la pelle Nient'altro, giusto?

Il figlio di Zeus sentì una stretta al cuore, senza però, riuscire a capire a cosa collegarlo. Non poteva sentirsi in colpa per aver detto all'amica di volersela spassare con qualche ragazza. Nossignore.

Passò il peso da un piede all'altro.

"Che ci fai ancora qui? Non dovevi andare da qualche mortale?" chiese lei, per rompere il silenzio. La voce le si incrinò leggermente, e lui fece finta di non essersene accorto.

Il dio scosse la testa e tirò fuori dalla tasca della sua camicia un paio di Ray-Ban, mettendoseli tra i capelli. "Vorrei passare un po' di tempo con la mia migliore amica, è da tanto che non ci vediamo."

"E poi sono venuto per dirti che tuo padre ha detto che lo puoi incontrare." Disse per cercare di cambiare argomento.

I libri che la ragazza aveva in mano caddero a terra con un tonfo. In pochi attimi Elisabeth fu a pochi centimetri dalla divinità, e lo guardava con occhi supplichevoli e commossi.

"Da- davvero?"

Lui le mise una mano sulla spalla con fare fraterno e annuì.

"Grazie"

"Te lo meriti. Meriti di vedere com'è diventato, dopo quello che hai fatto." 

"Dov'è?" Elisabeth piangeva di gioia. Dopo ben diciotto anni, avrebbe potuto abbracciarlo, tenerlo stretto a se. In un momento i pochi ricordi che aveva di lui le invasero la mente, belli e vividi come quando li avevano creati insieme. Aveva pregato per anni tutti gli dei, per poterlo rivedere anche solo un momento. Ed ora, il dio che glielo aveva strappato dalle braccia le proponeva di incontrarlo.

"Al Campo Mezzosangue" rispose il signore della musica "Ti ci porto io, ma prima..." fece un gesto con a mano e gli occhi arrossati dal pianto di Elisabeth tornarono normali. "Così nessuno potrà dire che ti sei commossa."

Lei lo ringraziò con un sorriso.

"Ora vieni." Disse il nume prendendola per un braccio e conducendola fuori dall'aula.

Molte delle compagne di classe di Elisabeth che avevano passato la lezione a contemplare i muscoli del professore che la camicia non riusciva a nascondere la guardarono con gelosia.

Il cugino le mise un braccio intorno alle spalle per alimentare quel sentimento e diede sfogo al miglior repertorio di sorrisi rubacuori che aveva.

"Ti diverti?" chiese lei. Lui non rispose, cercando di non dar peso al tremolio di voce di lei, e continuò a sorridere alle varie ragazze (o docenti) che incontravano per i corridoi della scuola.

Quando uscirono, Elisabeth poté notare un mucchio di ragazzi intenti ad ammirare una magnifica Ferrari che rifletteva alla perfezione il colore del sole.

"L'hai cambiata." Fu l'unico commento che il ragazzo poté ottenere. 

Lui rise e disse: "Dolcezza, la moda cambia." Poi aggiunse ad alta voce per sovrastare i commenti dei giovani: "Io dovrei entrare nella mia macchina, è possibile?"

Tutti gli studenti si girarono per vedere a chi appartenesse la voce, rimasero sorpresi nel notare che, a parlare, era stato il nuovo supplente di letteratura che aveva fatto una strage di cuori tra studentesse e insegnanti. Il volto di alcuni di loro rifletteva invidia, quello di altri gelosia, ma la maggior parte mostravano rispetto; perché, si sa, ai maschi le macchine piacciono davvero.

Poco a poco la folla se ne andò, chi a casa e chi in qualche locale.

Il biondino aprì lo sportello dalla parte del passeggero interpretando la parte del galantuomo dicendo: "Prego."

Lei all'inizio sbuffò, ma poi si costrinse a sorridere e ad entrare nel veicolo. Quando tutti e due si sedettero e misero le cinture, lui accese il motore e disse, prima di partire, con una voce suadente che, conoscendo la figlia di suo zio, l'avrebbe solo irritata: "Allora dolcezza, davvero ti sembro un grande pallone gonfiato?"
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Mnemosine__