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Autore: Mrs Carstairs    19/07/2015    1 recensioni
-tratto dalla storia-
A svegliare Tris fu la luce del sole che entrava dalle finestre. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le veneziane. Si accorse poco dopo di non essere a letto ma… in poltrona. Aveva dormito tutta la notte in quella scomoda posizione, appollaiata su quella poltrona infossata, perché? D’istinto, lo sguardo corse al letto, trovandosi a rimirare le coperte sfatte, il lenzuolo attorcigliato e uno dei due cuscini a piedi del letto. Andrea sussurrò. E decise finalmente di alzarsi per sgranchirsi quelle povere gambe piegate da chissà quante ore. Come si avvicinò al materasso dalla parte dello scendiletto, vide qualcosa, incastrato tra le pieghe del piumone. Allungò una mano e lo prese tra due dita. Un biglietto. “Grazie.” A.
in un certo senso la storia è presa dalla realtà. quello che ho sentito ho descritto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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In un batter d’occhio Tris si era trovata nello spogliatoio della palestra, aveva spalancato la porta a vetri con forza, facendo sbattere i battenti sul margine del muro bianco dietro di lei. Poi si era infilata nel corridoio, costeggiando i bagni ed era finita nello spogliatoio femminile. Era vuoto. Nessuno faceva lezione di educazione fisica al lunedì. Ma lei aveva bisogno di sfogarsi e correre era ciò che doveva fare per riuscirci. Si sarebbe trovata sfinita poi, senza nemmeno un briciolo di forza per pensare. E non pensare era quello che le serviva.
Si levò i vestiti con movimenti rabbiosi, senza raddrizzare la felpa o la maglietta, senza appendere i pantaloni, ficcando tutto nella borsa come una furia. Poi si mise le cuffie nelle orecchie e accese l’ipod, lasciandolo cadere nella tasca dei pantaloncini. Uscì dallo spogliatoio, dirigendosi al campo di atletica in un’andatura veloce, quasi una corsa leggera.
“Passion in my eyes, I lived it everyday, but how could you go throw it all away? 
In my dreams it's me and you, it's there I saw it all come true 
As time went by faith in you grew, so one thing's left for me to do” 
M. Shadows urlava nelle orecchie di Tris le parole di Betrayed, dandole il ritmo della corsa, coprendo i suoi pensieri. Anche se tradita era come si sentiva adesso. Tradita in amore, in amicizia e non da una persona di cui non le importava… ma dalla persona a cui più teneva al mondo. E le parole di Andrea bruciavano ancora nel suo cuore.
“I feel it burn inside, burn in me like the rising sun 
Lifted into the sky, took away the only thing I loved 
I know after tonight all your power crumbles in my arms 
So don't worry, I'll be fine, when my life ends, I'll leave this scar” 
La canzone continuava, le strofe scivolavano via piano piano, seguite dall’assolo di Synyster Gates, l’unica cosa capace di distrarla seriamente da quei dannati pensieri.
Correva, correva, incapace di fermarsi, incapace di trattenere aria nei polmoni per troppo tempo. Un paio di lacrime percorsero le sue guance fino ad irrigarle il collo, mentre percorreva l’anello di terra battuta, costeggiando le scalinate del campo di atletica. Sbatté velocemente gli occhi, per cacciarle via, ma nuove altre scesero a inumidirle il viso. E allora lasciò che fosse il vento della corsa ad asciugargliele, a mandarle via dai suoi occhi. E più correva, più la tristezza e il dolore si trasformavano in rabbia, e quel freddo interiore veniva sciolto dal fuoco che le percorreva le vene, come sempre quando aveva il vento nei capelli. Corse sempre più veloce, il cuore che le batteva all’impazzata, il fiato inesistente, si sentiva soffocare, la vista annebbiata, ma non si fermava. Sentiva il rumore delle sue stesse scarpe battere con forza o leggerezza il terreno. Anche se adesso i passi della corsa erano pesanti, incontrollati. I muscoli le bruciavano, la canotta bianca zuppa di sudore, la musica che continuava a trasportarla verso sensazioni nuove, evitandole di sentire il dolore fisico e lo stremo del suo corpo. Seguiva il ritmo della chitarra, non si fermava, come un cavallo imbizzarrito che cerca la via di fuga nell’anello in cui è rinchiuso. Poi pian piano si impose di rallentare. Cominciava a sentirsi troppo leggera, la testa pesante, le tempie che le pulsavano da morire. Avrebbe dovuto fermarsi ora, oppure avrebbe rischiato grosso. Così riuscì a ritornare a quella corsetta leggera che l’aveva portata in campo. E allora entrò in palestra, recuperando ancora in corsa le fascette per combattere. Non le indossava da un pezzo, ma le stavano dando sicurezza e le infondevano l’adrenalina necessaria per tenerla ancora in piedi. Adesso era ferma di fronte al sacco da boxe nel quarto angolo della palestra. Osservava quell’ammasso di gomma dura con fierezza,  le labbra a scoprire i denti in un ghigno di fatica e furia, come una bestia indomabile. Nel momento in cui cominciò a tirare pugni a quell’affare, sentì fitte di dolore percorrerle gli avambracci e i polsi. Ne è passato di tempo dall’ultima volta eh Tris? E di nuovo, tirò indietro la spalla destra per colpire il fantoccio. Altro dolore. Non c’era da lamentarsi. Lo avrebbe fatto e rifatto, finché non l’avesse fatto correttamente.
 
***   
 
Appena finita la lezione del professor Spigelmann, Andrea era aveva preso la sua tracolla da terra, uscendo dalla classe ad andatura decisa. La catena tintinnava ad ogni suo passo, assicurando il portafoglio ad uno dei passanti dei Jeans. Percorrendo il corridoio degli armadietti cercava con lo sguardo una massa di capelli scuri e ricci e tutte le ragazze con una felpa addosso diventavano un target, ma cambiava direzione appena capiva che non si trattava di lei. Svoltò l’angolo, trovandosi nell’atrio pieno di ragazzi che si dirigevano nelle diverse aule per le lezioni successive e anche qui fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, senza trovare niente di lei. Allora uscì dall’edificio, accendendosi prontamente una Marlboro appena messo piede all’aperto. Camminò per un po’ sui vialetti costeggianti le aiuole, per poi spegnere la sigaretta sulle grate di una presa d’aria. Tris.. dove diavolo sei finita? Pensò, pentendosi dell’indifferenza che aveva mostrato poco prima. Avrebbe dovuto per lo meno spiegarle il perché non avrebbero più potuto stare insieme in quel modo.. cercare di essere morbido, di…anzi no. Forse era stato meglio così. Forse avrebbe evitato più sofferenza ad entrambi. Lei lo credeva un bastardo, un senza cuore. Forse aveva anche smesso di credere in quel che rimaneva della loro amicizia. Almeno ora sarebbe stato più facile. Distrutto alla radice. Se lei si fosse allontanata da lui e basta, non ci sarebbe stato bisogno di spiegazioni, o tanto meno di addii.
Ma mentre pensava a tutto questo, non si era accorto di dove lo stavano portando i suoi piedi. Di nuovo era finito al dormitorio e stava salendo le scale che portavano alla sezione femminile. Arrivato in fondo al corridoio, alla 121, inchiodò di colpo, come fosse stato un robottino telecomandato e alzò lo sguardo, la fronte aggrottata. Era sorpreso, dopotutto. Nonostante stesse decidendo di lasciarla andare, era di nuovo capitato lì, da lei. O almeno, in un posto che le apparteneva. Rifletté. Dalla stanza non proveniva musica, né rumore alcuno. Ed era strano, perché Tris… non riusciva mai a stare ferma, o senza musica, a meno che non dormisse. Ma non sarebbe riuscita a chiudere occhio dopo quella mattina e lui lo sapeva benissimo. Così, decise che sarebbe tornato indietro. Dopotutto storia era la sua materia preferita.
Proprio mentre stava per uscire dal corridoio, qualcuno lo urtò in corsa, finendogli contro il petto. d’istinto Andrea chiuse le mani sulle spalle di quel qualcuno e lo allontanò da sé per guardarlo in viso.
“ehi, sta attento, guarda dove vai!” ma quel qualcuno abbassò ancor di più la testa coperta dal cappuccio di una felpa grigia e, senza rispondergli, si scostò, avanzando verso il fondo del corridoio. Andrea fece ancora qualche passo avanti, ma poi inchiodò.
“Tris!” chiamò a gran voce, voltandosi, mentre la vedeva entrare nella 121 e chiudere la porta. Il ragazzo si precipitò di fronte all’uscio, battendo una mano aperta sul legno.
“cazzo, Tris! Apri questa dannata porta!” ringhiò, senza averne particolare intenzione, in realtà. Ma alla sua non risposta non poté far altro che arrabbiarsi di più. Credeva che avrebbe funzionato evitare di cercarla, starle lontano. Ma se anche i suoi piedi e la sua voce lo tradivano così…  come mai avrebbe potuto riuscirci?
E allora la mano aperta si trasformò in un pugno, un pugno che si chiudeva così tanto su sé stesso da far conficcare le unghie corte del ragazzo nella carne rosea delle sue mani.
“Tris ti prego!” ma la ragazza non dava segno di essere presente dall’altra parte della porta.
 
Tris era in piedi, di fronte alla porta che veniva percossa da continui tremori. I pugni di Andrea si sentivano bene e facevano tremare gli infissi dell’uscio. La ragazza si strinse nelle braccia per un momento, ma poi si mise ritta come un fuso, ad ascoltare come la voce del ragazzo si stava man mano incrinando, diventando roca, arrabbiata e avrebbe osato dire… dispiaciuta. Probabilmente ora le avrebbe detto qualsiasi cosa pur di cancellare la freddezza del mattino, o la sparizione improvvisa dal suo letto. Ma lei non avrebbe di certo aperto. Tutte quelle ore passate a correre e a tirare pugni a quel coso, sfregiandosi le nocche delle dita, per provare a tenerlo fuori da sé stessa e… e in cinque minuti secchi lui stava demolendo tutto. Aveva cancellato il suo lavoro. No. Avrebbe aspettato che s’arrendesse. Tanto avrebbe dovuto andarsene prima o poi. Per mangiare, se non altro. Non poteva di certo pensare di starsene lì a vita. E lei invece sarebbe potuta tranquillamente non uscire più di lì. Già. Almeno far finta, di non farlo. La finestra della stanza dava su un terrazzo con la scala d’emergenza ed essendo al primo piano, le sarebbe bastato un saltino per atterrare sul vialetto. Dopo un po’ i colpi alla porta finirono, ma la voce di Andrea si sentì di nuovo.
“ok! Resta lì dentro per sempre. Perché io da qui non me ne vado” e lo sentì chiaramente sedersi con la schiena appoggiata alla porta. Allora Tris s’alzò, cambiò la felpa e i pantaloni, e uscì dalla finestra, restando sul balcone per un po’. L’aria di mezzogiorno era più calda di quella di quando aveva corso, ma.. poco le importava.
   
 
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