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Autore: JulesBerry    20/07/2015    2 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 24

 


 
 
L’unico modo per non soffrire è non amare,
che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare
sei destinato a soccombere (I)


 
Open your eyes and what do you see?
No more laughs, no more photographs
Turning slowly, looking back, see
No words can save this
You’re broken and I’m pissed
 

Un mistero meraviglioso, la vita. Un meccanismo perfetto di cui tutti noi ci domandiamo il funzionamento, senza mai giungere a una conclusione che possa soddisfare pienamente ogni nostro quesito.
Ci si interroga su cosa renda possibili quei processi automatici, involontari, che ci consentono di esistere, di pensare, di respirare; azioni che hanno luogo in ogni istante, date forse per scontate, come quasi tutto ciò cui l’uomo tende ad abituarsi perché sempre presente nella sua quotidianità.
D’altronde, chi mai fa troppo caso al movimento ritmico del proprio petto, che si alza e si abbassa seguendo la regolare entrata e uscita di aria dai polmoni? Chi si domanda come avvenga il lavoro onirico, responsabile di quei sogni spesso sconclusionati e privi di senso, o di quelli tanto nitidi da avere parvenza reale, ma in entrambi i casi espressione dei desideri o delle paure nostre più profonde? Quasi nessuno, probabilmente.
Sta di fatto che, di fronte alla dolce espressione di un bambino addormentato, qualsiasi interrogativo diventa lecito. Ci si ritrova lì, a chiedersi cosa stia succedendo all’interno di quella testolina, o se abbia e quali siano i suoi pensieri alla vista di tutta quella gente emozionata attorno a lui.
E fu proprio così – circondato da un numero spropositato di parenti in fibrillazione – che, la sera del 21 marzo dell’anno 1998, Richard Desmond Stevens nacque, con i suoi capelli castani, un bel paio di occhi verdi e una spruzzata di lentiggini sul nasino.
Un bel pianto aveva annunciato la sua entrata nel mondo, facendo tirare un sospiro di sollievo e gioia a chi, da nove mesi, stava aspettando con pazienza – poca o molta non importa – di vedere il suo piccolo faccino tondo e roseo, reso ancor più meraviglioso dalla naturale e sana inconsapevolezza delle atrocità esistenti che soltanto un neonato può avere il vantaggio – e il privilegio – di possedere.
Aveva aperto quei grandi occhioni dal colore dello smeraldo e aveva incontrato quelli azzurri di sua madre, prima di regalare un lungo sguardo alla sorella, nonché madrina; sguardo che quest’ultima, prevedibilmente, non aveva tardato a interpretare come una vera e propria dichiarazione d’amore eterno nei suoi confronti.
Margaret lo aveva preso in braccio – suscitando le ire di uno gelosissimo e a tratti offeso Alexander, che si lamentava e scalciava tra le braccia di Fred nel tentativo di liberarsi per mandare via quel piccolo intruso – e aveva iniziato a coccolarlo e cullarlo, accarezzandogli quei ciuffi di capelli un po’ più chiari dei suoi e quelle tenere e morbide guanciotte rilassate che avrebbero fatto sorridere e sciogliere anche il cuore più duro.
Desmond passava giornate intere a osservare amorevolmente il suo secondogenito, lasciandolo dormire sul suo petto per poterlo abbracciare delicatamente ogni singola volta ne avesse avuto voglia, ritenendo non potesse esistere nulla di più rilassante al mondo. Ricordava ancora perfettamente i giorni in cui aveva fatto la stessa cosa con sua figlia, che a differenza del nuovo arrivato non aveva mai perso occasione di dare mostra di tutta la sua iperattività, trasformando quei momenti di pace nella quintessenza del caos.
Gloria, d’altra parte, sembrava ringiovanita di dieci anni, e non tardava a dispensare sguardi dolci e benevoli a chiunque fosse così gentile da lasciare per poche ore la propria dimora sicura per farle visita e, naturalmente, dare il benvenuto al piccolo Richard.

Margaret stava proprio rispondendo a una sua lettera, il pomeriggio di quel 31 marzo del ’98, quando sentì la porta d’ingresso chiudersi con tanta forza da far quasi tremare le pareti.
Alexander smise per pochi istanti di torturare Lola, la sua Puffola Pigmea, e sollevò lo sguardo con fare interessato, intercettando quello perplesso della madre. Questa gli fece cenno di restare fermo al suo posto e si diresse a grandi falcate nella stanza adiacente, dove una figura dai capelli biondi – appena liberatasi da un Incantesimo di Disillusione – scuoteva la testa e borbottava tra sé, impazientita, mentre sistemava il mantello azzurro sull’attaccapanni. La prima la fissò con curiosità, aspettando che lei si accorgesse della sua presenza, riflettendo sulle ragioni di quel comportamento all’apparenza decisamente alterato.
Quando Abigail si voltò, non si sorprese di vedere la cugina lì, ma le rivolse un sorriso sarcastico e sciolse la coda, rompendo l’elastico.
«Dov’è quel fottuto idiota?» le domandò, stringendo i denti, e l’altra non poté non pensare a quanto stesse diventando inquietante e potenzialmente pericoloso quel sorrisino omicida.
«Gail, cos’è successo?» provò Meg, incerta, ma temeva di sapere quale fosse il problema. Immaginava che, prima o poi, la questione sarebbe venuta a galla, ma certamente aveva sperato scegliesse un momento migliore per farlo.
«Il nome Virginia Anderson ti dice niente? E pensare che sono stata così stupida, stamattina, da credere che fosse realmente preoccupato per me, quando invece l’unica cosa che voleva fare era proteggere la sua dannata faccia dai miei calci!» disse l’altra, il cui viso stava via via assumendo tutte le possibili sfumature di viola, e Margaret ripensò velocemente a quello scambio di battute cui era stata protagonista e spettatrice quella stessa mattina, in cucina, durante la colazione.

«Morgana maledetta, tra quaranta minuti devo essere al San Mungo, devo sbrigarmi» aveva commentato Abigail, addentando il suo muffin e posizionando con precisione il suo uovo fritto sul pane tostato imburrato. La cugina aveva scosso la testa, ridacchiando, mentre con una mano teneva la forchetta con il bacon e con l’altra il cucchiaino con cui prendere l’omogeneizzato di frutta da dare ad Alexander, seduto sul seggiolone accanto a lei.
«Vacci piano, rischi di affogarti» le aveva ricordato la ragazza, beccandosi un’occhiataccia proveniente dall’altra parte del tavolo.
«Non preoccuparti per me, mammina. Piuttosto, sta’ attenta a non confonderle come la scorsa volta» l’aveva rimbeccata la bionda, riferendosi alle due posate che la ragazza teneva nelle mani e a quella mattina in cui, effettivamente, questa aveva quasi inconsapevolmente fatto esperienza del cibo per infanti – capendo, ovviamente, perché suo figlio facesse tante storie prima di ingerire quella roba.
Meg, d’altra parte, aveva cercato di reprimere un brivido di disgusto, che però non era sfuggito a George. Questi le aveva fatto l’occhiolino, prima di sfiorare l’angolo della bocca di Abigail con il pollice per togliere via quella poca schiuma di cappuccino che vi era rimasta.
«Non sembri molto entusiasta di andare, blondie. Non è da te» le aveva fatto notare, però, scrutandola con curiosità. Lei aveva fatto un sorriso tirato, prima di sospirare.
«Hai ragione, è che… be’, oggi dovrò fare coppia con un’apprendista, ed è davvero insopportabile. Una certa Virginia Anderson, se non sbaglio… il mio cervello si rifiuta persino di ricordare il suo nome» aveva ammesso, ma sia Fred che Margaret – udendo quel nome – si erano quasi strozzati con ciò che stavano mangiando, mentre George era diventato pallido come un lenzuolo.
Quest’ultimo aveva iniziato a interessarsi alle linee del parquet, mentre i primi due tossivano per provare a riprendersi, al che Abigail aveva sollevato le sopracciglia e si era voltata in direzione del suo ragazzo, interrogativa. «Che ho detto di tanto sconvolgente?»
«Oh, niente! Senti, dolcezza… non sarebbe meglio se restassi a casa? Hai avuto la febbre, ieri, e fuori c’è davvero un tempaccio, non voglio che tu stia male di nuovo» aveva provato lui, sfoggiando un tono notevolmente convincente, che gli aveva assicurato un dolce e caldo sorriso da parte della giovane.
«Sei adorabile, tesoro, ma sto bene. Non preoccuparti per me, intesi?» lo aveva rassicurato questa, accarezzandogli il viso e stampandogli un bacio sulle labbra.
Margaret, a quel punto, aveva pensato che il pericolo fosse stato scampato e che, con un pizzico di fortuna, forse sua cugina e Virginia non si sarebbero scambiate più di qualche parola di cortesia. Aveva solleticato il nasino di Alexander, facendolo ridere, e poi si era protesa verso Fred, nel tentativo di sbirciare la pagina di giornale che questi stava leggendo.
«Novità?» gli aveva chiesto, versandogli una tazza di tè. Lui aveva posato il quotidiano e l’aveva ringraziata, bevendo un sorso di quel delizioso liquido bollente.
«Le solite falsità, Pasticcino. Mi chiedo cosa ci aspettiamo a disdire l’abbonamento con la Gazzetta del Profeta, è un inutile spreco di soldi.»


«Dov’è?» la ridestò Abigail, che adesso non si sforzava più di tenere repressa l’irritazione e, anzi, sembrava sul punto di farla esplodere come una bomba a orologeria.
Margaret deglutì, pregando che qualcuno la salvasse da quella situazione, ma soltanto un’invasione aliena direttamente sul loro portico avrebbe potuto distogliere l’altra dai suoi intenti; così, fu costretta a fare una smorfia svogliata e a indicare il piano superiore.
Sapeva che non sarebbe finita bene, e in effetti lo immaginava da quando il suo migliore amico, diversi mesi prima, le aveva esposto il problema e fatto quella confessione, meritandosi una bella dose di Fatture Orcovolanti – successivamente rivelatesi immeritate – come premio per la sincerità. Aveva promesso di mantenere quel piccolo segreto, ben consapevole dei rischi che correva, perché era certa che se la sua cara coinquilina avesse sospettato della sua complicità, questa non l’avrebbe mai perdonata – se non, ovviamente, dopo una sessione di prostrazioni al suo temibile cospetto.
«Meraviglioso» commentò la bionda, fingendo entusiasmo e muovendo qualche passo verso la rampa di scale. Tuttavia, la cugina la afferrò per un braccio, impedendole di proseguire.
«Gail, ascolta…» iniziò questa, ma l’altra le rivolse uno sguardo tanto fulminante da riuscire a interromperla istantaneamente.
«No, Meg. Non lo posso accettare. So che me l’hai tenuto nascosto unicamente per non farmi soffrire, ed è per questo che non potrei mai avercela con te, ma lui non la passerà liscia. Non può.»
«Abbie, ho il concreto presentimento che tu abbia avuto delle informazioni disastrosamente sbagliate. Se vuoi, possiamo parlarne prima noi due e…»
«L’unica cosa che vorrei fare in questo istante è piangere, o in alternativa urlare e insultarlo tra le lacrime. Si accettano suggerimenti su quale sia la via migliore per preservare la propria dignità» Abigail la interruppe di nuovo, ma questa volta nel suo sguardo si poteva scorgere non unicamente la rabbia, ma una profonda e crudele tristezza.
Margaret non seppe cosa rispondere: vedere l’amarezza negli occhi di quella che, a tutti gli effetti, considerava l’altra metà di sé, le faceva tanto male da impedirle qualsiasi ragionamento sensato. Avrebbe giurato di poter vedere l’anima della ragazza che aveva di fronte lacerarsi nuovamente negli stessi punti in cui era stata ricucita con tanta cura, attenzione e dispendio di energie vitali. Era a tratti paradossale come l’osservatrice silenziosa di quella lenta rinascita adesso fosse costretta ad assistere all’ennesimo crollo delle macerie, totalmente priva di mezzi per contrastarlo, nonché per impedire che quell’avvilente combinazione di emozioni prendesse a martellate anche lei fin dentro le ossa.
Sarebbe stata un’impresa del tutto vana: era sempre stato così, fin da quando erano bambine e sembrava che decidessero volontariamente di essere di malumore insieme con l’unico scopo di sostenersi a vicenda, mentre in verità si trattava di quel processo di sintonizzazione automatica di sentimenti e stati d’animo che solamente in due spiriti così uniti può avere luogo in maniera tanto inconsapevole e spontanea. Era inevitabile che, anche in quella circostanza, la sofferenza di una fosse vissuta e partecipata anche dall’altra, ostacolando ogni possibilità di mediazione tra le due parti in conflitto.
«Mamma!» chiamò Alexander, impaziente, gattonando sempre più velocemente fino al corridoio di ingresso. Margaret si riscosse dai suoi pensieri e sospirò con fatica, prima di lanciare uno sguardo a suo figlio, i cui occhioni azzurri chiedevano nella forma più dolce e incantevole possibile la sua attenzione.

Abigail approfittò dell’attimo di distrazione della cugina, che stava prendendo in braccio il bambino, per dirigersi al secondo piano, ignorando i suoi richiami.
Sentiva i suoi passi dietro di sé, ma non le interessava: era troppo arrabbiata, troppo ferita perché potesse importarle di qualsiasi cosa. A ogni scalino superato percepiva la sua agitazione crescere e gonfiarsi, e con essa il desiderio di fronteggiare chi era stato capace di tradire in maniera tanto sconsiderata la sua fiducia.
“Sono tutti uguali, che ti aspettavi?” le sussurrò una vocina nella sua testa, e Abigail pensò che fosse impossibile darle torto. Sapeva di essere stata una stupida, una povera ingenua a credere che lui fosse diverso dagli altri, che non l’avrebbe mai delusa, quando invece la vita le aveva dimostrato che, in un modo o nell’altro, tutti gli uomini hanno le potenzialità e le occasioni di farlo.
Giunta all’ultimo piano, si impose di mantenere il controllo della situazione, o per lo meno di non dare eccessivamente in escandescenze fin dall’inizio: era necessario concedergli l’opportunità, seppur velata, di salvarsi da quella delicata circostanza; non era mai troppo tardi per dire spontaneamente la verità.
Con immensa fatica, riuscì a impostarsi un lieve sorriso sul viso e bussò tre volte alla Stanza Esperimenti, dal cui interno proveniva un delizioso ma ingannevole odore di Crostatine Canarine; senza aspettare risposta, aprì di poco la porta e infilò la testa all’interno di quel laboratorio domestico.
«Si può? Accidenti, che profumino!» disse, annunciando in tal modo la sua presenza. Fred e George sollevarono gli sguardi dal calderone e incrociarono il suo, rivolgendole due sorrisi identici.
«Certo che puoi! Stanno finendo le scorte, ne stiamo preparando altri. Sicura di non volerne uno, tesoro?» fece il primo, lanciandole un dolcetto appena preparato. Lei lo afferrò al volo e lo posò su un ripiano vicino, ridendo: nessuno dei due poteva immaginare quanto difficile le stesse risultando un gesto tanto semplice come quello.
«Gentile come sempre, Fred, ma per questa volta passo!»
«Non sei qui per le Crostatine, allora? Ero certo che la loro fragranza fosse tanto irresistibile da attirare chiunque nelle loro vicinanze!» commentò il ragazzo, fingendosi sconvolto. Meg, apparsa in quell’istante sull’uscio con in braccio Alexander, sembrava più confusa che altro: perché sua cugina non si era ancora messa all’opera per far saltare in aria la casa?
«Non proprio, in effetti. Piuttosto, dovrei scambiare due parole con George, se possibile» spiegò Abigail con tranquillità, sfoggiando un altro faticoso sorriso.
«No che non è possibile» s’intromise Margaret, tesa al pari di una presa elettrica, trascurando le occhiate malevole che l’altra aveva appena iniziato a riservarle. George corrugò la fronte, perplesso.
«E perché mai?»
«Perché dovete lavorare, no? Qualunque cosa debba dirti, potrà farlo in un altro momento» tentò la più grande delle due ragazze, fingendo che si trattasse di una questione di poco conto. Fred, d’altra parte, iniziò a ridere.
«Questa è bella, Pasticcino! Usciamo, lasciamo loro un po’ di intimità.»
«Ma…» riprovò Meg, adesso preoccupata per ciò che stava per accadere, ma Fred la prese per un braccio e la portò via con sé.
«Niente ma» concluse, chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasta sola con George all’interno della stanza, Abigail si passò una mano tra i capelli e scrollò le spalle, tentando di celare il crescente senso di disagio, nonché un pizzico di inspiegabile imbarazzo.
«E allora? Non vieni a salutarmi?» chiese, ammiccando nella sua direzione. Lui si avvicinò di qualche passo, sorridendo.
«Potrei mai non farlo?»
«Questo devi dirmelo tu, Weasley» fece ancora lei, utilizzando un tono giocosamente sensuale. George, in risposta, le posò le mani sui fianchi e la attirò a sé, baciandola subito dopo. Nonostante la rabbia la portasse a essere notevolmente riluttante nei confronti di quei gesti di affetto, Abigail non si oppose, recitando la sua parte fino all’ultimo. Per cui, quando si furono separati, lei iniziò ad accarezzargli delicatamente le spalle, salendo di tanto in tanto fino al collo.
«Ora va meglio» sussurrò dolcemente, e ciò le fece pensare di meritare il premio come migliore attrice dell’anno quantomeno per il duro impegno. Lui le diede un pizzicotto sulla guancia e continuò a sorriderle.
«Il lavoro? Che hai fatto oggi?»
«Le solite, entusiasmanti cose: ho curato un caso di avvelenamento da pozioni, ho eliminato qualche fattura e ho preparato antidoti su antidoti.»
«Non ti annoi, questo è sicuro.»
«Assolutamente» gli diede ragione, impostandosi addosso uno sguardo eloquente; a tal punto, approfittò di quella considerazione per indirizzare il discorso secondo i suoi intenti. «Soprattutto se l’apprendista con cui fai coppia ti racconta delle storie davvero molto interessanti

«Per i sudici calzini di Merlino, si può sapere cosa ti prende?» domandò Fred che, per il corridoio del secondo piano e con Alexander tra le braccia, non riusciva a comprendere per quale ragione sua moglie fosse tanto agitata da utilizzare le Orecchie Oblunghe per origliare ciò che gli altri due, nella stanza, erano impegnati a dirsi.
Margaret, esausta di sentirsi considerata come la povera pazza di turno, sbuffò e sollevò la testa, allontanandosi di poco da quei lunghi fili color carne.
«In primis, non utilizzare queste espressioni davanti al bambino: ci sarà tempo affinché le impari, ma di certo non è questo» lo rimproverò, riservandogli uno sguardo severo che gli fece alzare gli occhi al soffitto. «Seconda cosa, ogni mio comportamento ha una valida spiegazione, non dimenticarlo.»
«E, di grazia, quale sarebbe stavolta?»
«Abigail sa di Virginia, Fred!» comunicò Meg, adesso stridula, sicura che solo in tal modo il ragazzo avrebbe compreso la gravità dei fatti.
Difatti, come volevasi dimostrare, Fred sgranò gli occhi. «Morgana maledetta
«Fred, santo cielo! Il bambino!» lo riprese ancora lei, esasperata. Lui sollevò le sopracciglia e si portò una mano ai capelli.
«Benedetto Godric Grifondoro, Maggie! In casi come questi è impossibile non imprecare!»
«Lo so, dannazione!» si lamentò la giovane mamma, ormai in preda a una crisi di nervi: era certa non sarebbe passato molto tempo prima che si fosse sentito il rumore di oggetti frantumati e di fatture lanciate senza alcun minimo ripensamento.
Fred, invece, tentò di mantenere il controllo e di fare un quadro della situazione. «Allora, respira. Riflettendoci, George non ha fatto nulla di male, o sbaglio? Va bene, è stato un po’ ingenuo e non ha capito che le azioni di quella pazza avevano un secondo fine, ma proprio per questo lo considero una vittima!»
«Vale lo stesso per me, lo sai.»
«Ma se hai continuato a scagliargli addosso Fatture Orcovolanti per almeno mezz’ora!» commentò il ragazzo, incredulo, non riuscendo a togliersi dalla mente l’immagine di suo fratello che, scappando per gli angoli più reconditi della casa, veniva attaccato da una serie di mostriciattoli orrendi, mentre Margaret lo rincorreva lanciando incantesimi a destra e manca.
Quest’ultima arrossì di colpo e sollevò le braccia in segno di resa. «Va bene, ero davvero furiosa con lui, ma solo perché pensavo che stesse stando ai giochetti subdoli di quella vipera: non immaginavo fosse così idiota da non accorgersene!»
«Bene, e allora perché dovremmo preoccuparci? Non è successo niente, no?» tentò Fred, speranzoso, ma Meg scosse lentamente la testa e contrasse il viso in una smorfia, lasciando trapelare tutta la sua amarezza.
«Amore, Abigail sa solo ciò che quella stronza ha deciso di raccontarle, e dubito fortemente che le sue parole corrispondano alla verità.»

«Quali storie?» chiese, nel frattempo, George ad Abigail, che lottava con tutta se stessa contro il desiderio di scansare malamente quella mano che le accarezzava i capelli.
«Storie» rispose lei con semplicità, prima di aggiungere: «Conosci Virginia Anderson, no? Andava a Hogwarts durante i tuoi stessi anni, dovresti ricordarla.»
Al sentir pronunciare quel nome, il ragazzo si irrigidì impercettibilmente, ma fu abbastanza bravo a non farsi scoprire; annuì, facendo finta che la questione non lo interessasse né turbasse minimamente.
«Anderson, l’insopportabile Prefetto di Corvonero. Meg l’ha persino affatturata, qualche giorno prima dei M.A.G.O.: Fred ed io abbiamo applaudito per due ore quando ce l’ha raccontato.»
«Davvero un peccato essersela persa» commentò Abigail, stavolta sorridendo sinceramente: avrebbe fatto bene a ricordarsi di congratularsi con la cugina per quell’intuizione accuratamente lungimirante. «Dopo la scuola non l’hai più vista, quindi?» insistette, pregando di ricevere una versione dei fatti più accettabile e meno dolorosa di quella avuta solo poche ore prima.     
«No, non mi pare» negò lui, sempre più a disagio, per poi maledirsi mentalmente: dopotutto, non aveva fatto nulla di male, quindi perché correre ancora inutili rischi ostinandosi a mentire?
«Capisco» annuì lei, pensierosa, sentendosi crollare addosso ogni speranza di trovare una soluzione a quel disastro.
Non passò molto prima che la sua finta espressione rilassata si tramutasse in una di rabbia e di disgusto, e George quasi non ebbe tempo di notare quel repentino cambiamento che un sonoro schiaffo lo colpì in piena guancia; dopo qualche secondo di shock, prese a massaggiarsi il viso, non esitando a fissare la ragazza con uno sguardo ai limiti dello sconvolto.
«Si può sapere cosa ti è preso? Merlino, mi hai quasi sradicato i pensieri dalla testa
«Con quale coraggio osi chiedermelo?» sbottò Abigail, che poteva percepire distintamente il proprio sangue ribollire nelle vene. «Non ti vergogni a mentirmi tanto spudoratamente? Non provi neanche un briciolo di senso di colpa?»
«Gail» tentò lui, ma la giovane non gli diede ascolto, dal momento che stava continuando a inveirgli contro in un’esplosione di delusione.
«Traditore e pure bugiardo! Mi fai schifo
«Cosa? Aspetta… traditore?» ripeté George, adesso confuso, e finalmente intuì la presenza di qualche elemento decisamente errato nel quadro mentale che Abigail doveva essersi disegnata – o che qualcuno, come lui intelligentemente sospettava, doveva aver tracciato per lei.
«Io ero a Belfast, che soffrivo per voi, per te, come un povero cane bastonato, addormentandomi con la speranza di svegliarmi al mattino e ricevere uno straccio di notizia da parte tua, e tu che cosa facevi? Eri troppo impegnato a spassartela con quella… con quella troia!» disse lei alzando sempre più il tono della voce; era sull’orlo delle lacrime, come testimoniavano i suoi occhi arrossati, ma s’impose di essere forte e di non piangere: non voleva mostrargli alcuna forma di debolezza, solo tutto il risentimento che provava nei suoi confronti.
George la osservò fare pochi passi per la stanza e tornare indietro ripetutamente, alla stregua di un rito ossessivo che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarla a recuperare la calma; in realtà, invece, pareva stesse contribuendo a farla infuriare sempre di più.
«Abbie, deve esserci stato un enorme equivoco, lasciami spiegare!»
«Lasciarti spiegare?» riprese a urlare Abigail, portandosi le mani ai capelli e sgranando gli occhi, viola dalla rabbia. «Ti sembro stupida, forse? Credi davvero che ti consentirei di continuare a raccontarmi menzogne? Non ho più parole! Sono stata così ingenua, santissimo Salazar, da pensare che tu fossi diverso dagli altri, e non immagini quanto mi faccia stare male la consapevolezza di essermi sbagliata ancora una volta, per di più tanto platealmente! Ti sarai divertito veramente tanto, scrivendomi quella maledetta lettera, non è così? “Non posso dirti quanto mi manchi”, “sono qui e ti aspetto“, “ci sarò per te, nel bene e nel male”, e blablabla: ma quante cazzate racconti? Ed io che, da grande idiota, mi sono sentita in colpa solo perché il figlio dei Pedersen ha provato a farmi la corte per quattro mesi!»
«Gail, ti stai sbagliando, io non ti ho mai… Il figlio dei Pedersen cosa
«Non pensare di poter tirare Erik in mezzo a questa storia solo per poter cambiare argomento! A differenza tua, io non potrei mai e poi mai procurarti un dispiacere simile!»
«Ma io non…» provò ancora lui a giustificarsi e a chiarire la faccenda, ma i toni soavi della ragazza lo zittirono nuovamente.
«Ci sei andato a letto, George?»
«No, accidenti!» esclamò, profondamente offeso da quelle insinuazioni; peccato che parlare con Abigail e far sentire la propria voce, in quegli istanti, fosse più difficile che duellare con Lord Voldemort in persona.
«E dovrei crederti?» fece lei, stridula, riprendendo la Crostatina Canarina posata sul ripiano diversi minuti prima per scagliargliela contro con violenza, colpendolo in pieno naso.
Lui si portò entrambe le mani al viso e strizzò gli occhi, dolorante. «Cazzo

«Che cosa sta succedendo qui? Ci è parso di sentire litigare qualcuno» esordì nonna Julia, annunciando in tal modo non solo la sua presenza, ma anche quella della consuocera, che insieme a lei stava raggiungendo Fred e Margaret dal piano inferiore. Sicuramente, le due signore non si aspettavano di trovare i ragazzi intenti a origliare ciò che stava accadendo oltre quella porta per mezzo di alcuni strani aggeggi all’apparenza poco raccomandabili.
Meg sollevò lentamente il capo e rivolse uno sguardo tetro alle due donne. «Abigail ha parlato con Virginia Anderson, questa mattina.»
«Per Salazar!» esclamò Vittoria con vigore, sgranando gli occhi. Julia, invece, si portò le mani al petto e assunse un’espressione mortificata.
«Benedettissimo Godric Grifondoro
«Non so come potremo salvare George da questa situazione» commentò Fred, la cui attività cerebrale era in quel momento tanto elevata da poterne quasi percepire il rumore delle connessioni sinaptiche.
«Ma povera creatura, non ha fatto nulla di male!»
«Julia ha ragione, non capisco per quale ragione mia nipote debba farne una tale tragedia!» si lamentò Vittoria, continuando a osservare con diffidenza quelle piccole apparecchiature che i due giovani genitori tenevano ancora in mano.
Fred scosse la testa e sospirò, amareggiato. «Il problema è che non sappiamo cosa abbia raccontato Virginia, capite? Ed Abbie non sembra disposta ad ascoltare la vera versione dei fatti. Quella megera deve averne inventata una davvero grossa e convincente.»
«E il fatto che George abbia detto di non conoscerla, all’inizio, non è stata una gran mossa. Quando una donna fa delle domande, conosce già la risposta: vuole solo testare la sincerità di chi le sta di fronte» aggiunse Meg, pensierosa; le nonne continuarono a fissarla, pietrificate.
A quel punto, Fred tirò fuori un altro paio di fili color carne dalla tasca dei jeans e lo porse alle due signore, sfoggiando il classico sorriso di chi la sa fin troppo lunga e non può fare a meno di vantarsene. «Orecchie Oblunghe?»
«Maledetti Anderson! Quella famiglia è quasi peggio dei Malfoy: porta solo guai!» sbottò Vittoria, afferrando con decisione gli oggetti che il nipote acquisito le stava mostrando, prima di avvicinarsi anch’ella alla porta.

«Oh, ma guarda un po’!» disse Abigail in un finto tono sorpreso, prendendo una foto presente tra la roba di George prima che quest’ultimo potesse impedirglielo; raffigurava entrambi – lui nel suo completo scuro e lei in un bell’abito color pesca – giusto due mesi prima, il giorno del matrimonio di John e Anastasia. «Sarebbe davvero un peccato se qualcuno la distruggesse, non trovi
«Gail, adesso...» tentò lui ancora una volta, ma non fece in tempo a muoversi di qualche passo nella direzione della giovane strega che già quest’ultima aveva strappato in piccoli pezzetti la foto, ormai coriandoli, e glieli aveva gettati addosso con rabbia; poi, aveva continuato a frugare tra le cose del ragazzo con le peggiori intenzioni possibili.
«Non dirmi che le hai conservate sul serio!» commentò, allora, mostrando il bel malloppo di lettere e foto che aveva appena trovato. George, ormai pallido, portò una mano avanti e prese ad avanzare lentamente.
«Abigail, posale. Ti prego.»
«Dammi una buona ragione per risparmiarle. Perché dovrei farti questo favore, George?»
«Perché nulla di tutto ciò che ti è stato raccontato ha un senso. Perché l’ho vista, è vero, ma se mi lasciassi spiegare cos’è realmente successo capiresti che io non c’entro niente. Non potrei mai farti questo, Abbie.»  
«Perché mentirmi, allora?» sbottò lei, rossa in viso a causa dello sforzo che tutto quell’urlare richiedeva. «Se non hai nulla da temere da questa faccenda, perché non parlarmene subito e impedire che arrivassimo a questo?»
George, a quelle domande, non seppe cosa rispondere; ammutolito, continuò a guardarla e a cercare le parole giuste da utilizzare, ma la verità era che non aveva idea di che cosa gli avesse impedito di essere sincero e di mettere in chiaro quella questione sin dall’inizio. Non era neanche riuscito a ribattere, ad affermare il suo punto di vista in quella che, in ultima analisi, era stata una discussione a senso unico che non gli aveva consentito alcuna replica; era paradossale come, una volta ottenuta la possibilità di esporre le sue ragioni, si fosse ritrovato a tratti paralizzato, incapace di trovare rimedio a quel disastro di cui lui stesso era stato uno dei principali artefici per mezzo del suo silenzio.  
Abigail, d’altra parte, interpretò quell’inerzia come una palese ammissione di colpa e, quasi impercettibilmente, trattenne il respiro.
«Mi fidavo di te» disse piano, più a se stessa che a lui, rinunciando ormai del tutto a lottare contro quel sadico nodo alla gola che le mozzava l’aria. Fece per gettare tutte le lettere e le foto nel calderone, ma a quel punto George parve riscuotersi e, forse spinto da una forza inconsapevole, la raggiunse in un soffio e le afferrò entrambi i polsi, bloccandola. A causa di quel gesto inaspettato, lei lasciò cadere tutto ciò che teneva in mano, che atterrò sui suoi piedi e che, dunque, poteva essere considerato momentaneamente salvo.
Dopo un iniziale attimo di spiazzamento, Abigail assunse un’espressione indignata e tentò di divincolarsi con forza. «Lasciami andare
«Sai perché non ti ho detto la verità? Lo sai? Perché mi sono sentito un colossale idiota!» ammise lui, serrando ancor di più la presa per evitare che lei se ne andasse proprio in quel momento. «E credimi che quando ti racconterò la verità, anche tu penserai che sia stato uno stupido a non rendermi conto di quali fossero i veri piani di quella stronza. L’ha pensato mio fratello, l’ha pensato Meg, l’ha pensato persino tua nonna, e lo penserai anche tu... e forse è per questo che non avrei voluto che lo sapessi. Se solo tu...»
«Basta, ti prego» lo interruppe Abigail, la cui voce era sul punto di incrinarsi. «Non voglio sentire altro ancora, voglio solo andare via da questa dannata stanza!»
«Gail, tu non puoi ascoltare una sola versione dei fatti e ignorare l’altra! Neanche la conosci, come puoi crederle tanto facilmente?»
«Sono stanca, esausta di dover combattere sempre da sola» fece lei, tanto immersa nello sconforto da non ascoltare più ciò che lui le diceva. Proseguì nel suo tentativo di liberarsi, fino a quando le forze non bastarono più e dovette rinunciare a quella lotta, permettendo al contempo che le lacrime iniziassero a sgorgare e a inondarle il viso: trattenerle l’aveva sfinita.
George, istintivamente, la strinse a sé: le passò una mano tra i capelli e con l’altra le accarezzò la schiena, probabilmente nell’illusione di poter trovare consolazione a quel pianto e placare quei maledetti singhiozzi. Non l’aveva mai vista piangere in quel modo, neanche nei minuti antecedenti la partenza per Belfast; nonostante il temperamento difficile, era spesso riuscita a mantenere una sorta di contegno emotivo efficace a mascherare quelle parti più fragili e vulnerabili della sua interiorità, forse complice quel pizzico di orgoglio che le proibiva di mostrare le sue debolezze agli occhi degli altri. Era evidente come questa situazione riuscisse ad alimentare il senso di colpa del ragazzo un secondo dopo l’altro.
«Mi dispiace» mormorò lui, ma non ricevette risposta.
Passarono pochi secondi prima che Abigail si liberasse dall’abbraccio e, scansandolo, si dirigesse fuori dalla stanza, non degnando di uno sguardo o di una singola parola né lui, né gli altri in attesa al di là della porta.
Margaret, d’altra parte, non esitò a entrare una volta che la cugina si fu allontanata, raggiungendo il migliore amico e posandogli una mano sul braccio; la sua espressione amareggiata non bastava a nascondere la palpabile determinazione. «Ci penserò io, George; metterò a posto tutto, dovesse essere l’ultima cosa che faccio.»
 

***
 

«Per le mutande di Merlino, che musi lunghi!» commentò Lee, perplesso, tenendo aperta la porta. «George, che ti è successo alla guancia sinistra?» aggiunse dopo aver notato, sul viso dell’amico, la presenza di una macchia rossiccia, la cui forma era molto simile a quella di una mano femminile. L’interpellato si limitò a borbottare tra sé, varcando la soglia, mentre dietro di lui Margaret scuoteva lentamente la testa, sconfortata.
«È stata una lunga giornata, Lee. Una lunghissima giornata» disse, evitando di toccare volontariamente l’argomento e sperando che il ragazzo fosse abbastanza sveglio da capire che avrebbe fatto bene a non porgere altre sconvenienti domande.
Fred, a scanso di equivoci, preferì essere più diretto. «Non chiedergli nulla, ti prego. Sappi solo che non avresti voluto trovarti a casa nostra, nel primo pomeriggio di oggi.»
Lee, confuso, lo invitò a entrare e a raggiungere gli altri due, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle e si accertava che non ci fossero movimenti sospetti nella boscaglia circostante.
Gli altri tre ragazzi, guardandosi attorno, si resero conto di trovarsi in quello che doveva essere un casolare ormai abbandonato da parecchi anni, come dimostravano le numerose crepe sui muri e l’intonaco staccatosi dal soffitto e caduto sul pavimento, nonché la polvere e le ragnatele che la facevano da padrone un po’ dappertutto, in particolar modo agli angoli delle finestre e sulle superfici. Meg, che con il suo spiccato gusto dell’orrido trovava quell’ambientazione meritevole della sua attenzione, percorse il perimetro della stanza in silenzio, scrutando con preoccupato interesse i pilastri e le travi portanti minacciosamente in bella vista.
«È sicuro, questo posto?» domandò, allora, stringendosi nella sua giacca di pelle per resistere a quella fastidiosa umidità che rischiava di penetrarle fin dentro le ossa.
Lee guardò prima lei e poi fuori dalla finestra, nascondendo l’immancabile tensione in una scrollata di spalle. «Fino a quando non scoprono dove siamo, sì. Più o meno.»
«Meg non si riferiva a quello» intervenne Fred, passandosi una mano tra i capelli. «Si chiedeva quali sono le probabilità che questa roba ci crolli addosso da un momento all’altro.»
«Mi piacerebbe saper rispondere, credetemi. So solo che è il posto migliore che sia riuscito a trovare finora, sebbene l’ultimo fosse veramente ottimo.»
«Tanto ottimo che vi hanno quasi presi» brontolò George, che aveva già occupato posto al tavolo sul quale l’amico aveva sistemato le sue apparecchiature, dondolandosi mollemente sulla sedia. Lee, sempre più interdetto da quello strano comportamento, fece cenno ai due giovani genitori di avvicinarsi.
«Cosa gli è successo? E poi, Gloriosa Morgana, dove diavolo avete lasciato Abigail? Mi aveva promesso che sarebbe venuta!» si lamentò, stizzito, ma abbastanza piano da non farsi sentire dall’altro Weasley, che aveva tutto tranne che una buona cera.
«Abbie è rimasta a casa» buttò lì Fred, facendo in modo che il fratello non lo sentisse pronunciare quel nome.
«A fare?»
«A piangere tutte le sue lacrime, se gliene rimangono ancora» commentò Meg, grave.
«Perché? È morto qualcuno, per caso
«Merlino, ci mancherebbe soltanto questo!» esclamò lei, diventata improvvisamente pallida. Fred le cinse le spalle, accarezzandole, e scosse la testa.
«Ricordi la Anderson, il Prefetto di Corvonero?»
«Certo che la ricordo» non esitò Lee, che annuì. «Aveva fatto del togliermi punti il suo nuovo hobby. Aveva una cotta per George, se non sbaglio.»
«Appunto» dissero Fred e Margaret all’unisono, tutt’altro che entusiasti.
«Qualche mese fa, Virginia ha...» provò a spiegare lei, ma una voce infastidita e proveniente dall’altro capo della stanza la interruppe, facendola sobbalzare.
«Siete gentilmente pregati di smetterla di parlare degli affari miei e di venire qua. Prima la finiamo e meglio sarà per tutti.»
Gli altri tre si scambiarono delle occhiate eloquenti, convenendo silenziosamente che la cosa migliore fosse non alimentare futilmente il suo lampante malumore. Così, si accomodarono sulle altre sedie e presero una cuffia ciascuno, preparandosi per la trasmissione. Lee armeggiò per qualche secondo con le sue apparecchiature, poi si schiarì la voce e si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.
«Pronti?» domandò, al che Margaret sollevò lo sguardo dalla superficie del tavolo traballante e annuì, continuando a torcersi le mani; lo stesso fece Fred, che diede una pacca sulla spalla al fratello per richiamare la sua attenzione, ottenendo l’effetto sperato.
George, difatti, si sedette in maniera più composta e, recuperato un briciolo di entusiasmo, rivolse un cenno affermativo all’amico. «Prontissimi.»

«Cari ascoltatori di Radio Potter, bentornati su queste frequenze» esordì Lee, entusiasta, da degno speaker radiofonico. «Ci scusiamo di nuovo per queste ulteriori settimane di assenza, a quanto pare i nostri amici oscuri non riescono a stare lontani da noi troppo a lungo.»
«Questo sì che si chiama amore!» commentò Fred, non riuscendo a trattenersi dal dirlo.
«Proprio così, carissimi amici: anche stavolta abbiamo con noi il nostro Rode-, ehm, volevo dire Mordente! Come va, vecchio mio?»
«Be’, per essere uno che vive rinchiuso in una casa sovraffollata da circa sei mesi, direi che va abbastanza bene!»
«Questo è lo spirito giusto! Sai chi dovrebbe prenderne esempio? Il nostro secondo ospite di oggi: SlyFox!» disse Lee, al che George inarcò le sopracciglia e diede in una risata sarcastica.
«La tua simpatia mi disarma.»
«Dovrebbe farlo la mia imperdonabile mancanza di galanteria, piuttosto, dato che devo aver lasciato il “prima le signore” chissà dove» commentò ancora Lee, rivolgendo uno sguardo di scuse a Margaret, che d’altra parte se la rideva dal suo angolino personale. «Miei cari ascoltatori, è con immenso piacere che annuncio la prima dolce donzella mai passata da queste parti. Direttamente dai piani alti del settimanale Believe the Truth, orgoglio del gentil sesso e non solo...»
«Anche se di gentile non ha poi così tanto» scherzò George tra un colpo di tosse e un altro, beccandosi uno scappellotto sulla nuca da parte della migliore amica.
«...abbiamo qui con noi la cazzutissima, bellissima, affascinante, e anche schifosamente sexy...»
«RIVER!» ruggì Fred, quasi sul punto di strappare il microfono dalle mani dell’altro ragazzo.
«...Golden Eagle
«Miei carissimi, buonasera! E che presentazione, River!» fece Meg, che sorrideva persino nella voce. L’amico piegò di poco la testa a mo’ di inchino, prima di proseguire.
«Da quando dirigi Believe the Truth, sei la donna politicamente più scomoda con cui il Ministero debba fare i conti: come ti senti a riguardo?»
«Sono contenta di esserlo, credimi» ammise Meg, ma esitò qualche istante prima di aggiungere dell’altro. «E penso sia fondamentale specificare che non sono solo io, ma che tutti noi insieme rappresentiamo una minaccia. È l’unione che fa la forza, e noi uniti stiamo in piedi.»
«Sagge parole della nostra Eagle» convenne Lee, serio. «Ma passiamo subito al dunque: ancora nessuna traccia del Mangiamorte Capo. SlyFox, cosa ne pensi?»
«Penso ciò che è stato ribadito più volte, e quindi che sia un’ottima strategia da parte di Voi-Sapete-Chi: diffonde più terrore rimanendo nell’ombra, un po’ come un predatore in agguato che attende un passo falso della vittima, che passeggiando indisturbato per le strade della città con la sua allegra combriccola. È molto più difficile non trovarsi impreparati ed essere in grado di difendersi quando ciò di cui si ha paura si nasconde, semplicemente perché potrebbe trovarsi in qualsiasi luogo e potrebbe saltare fuori in qualunque istante» disse George con fare convinto, risvegliandosi completamente dallo stato di apatia in cui si era ritrovato diversi minuti prima. Fred, accanto a lui, annuì e si avvicinò al proprio microfono.
«Trovo che SlyFox abbia perfettamente ragione, ed è per questo che voglio incoraggiare i nostri ascoltatori affinché prendano tutte le dovute precauzioni del caso; muovetevi con cautela, e ricordate che il pericolo è sempre dietro l’angolo, a maggior ragione se l’Oscuro Simpaticone si serve della sua banda di tirapiedi unti o platinati – e non solo – per ammazzare la gente.»
«D’altronde, perché il nostro povero Oscuro dovrebbe scomodarsi personalmente per un inutile Babbano o un Mezzosangue quando ha a disposizione tutti quegli ubbidienti e deficien-, ehm, efficientissimi lacchè?»
«Ottime osservazioni di SlyFox e Mordente: la prudenza in questi casi non è mai troppa. Tornando a te, Golden Eagle, negli ultimi mesi tu e i tuoi collaboratori vi siete meritatamente guadagnati il titolo di Paladini della Verità: non vi siete certo risparmiati, né tantomeno avete risparmiato qualcuno» disse Lee, rivolgendosi ovviamente a Margaret, che si sistemò sulla sedia e si lasciò sfuggire un quasi impercettibile sorriso amareggiato.
«Mio caro River, viviamo in un periodo storico in cui la gente preferisce scegliere ciò che è facile, piuttosto che ciò che è giusto. A me, però, le cose facili non sono mai piaciute» si interruppe per qualche frazione di secondo, durante la quale pensò quasi involontariamente a come quell’ultimo anno e mezzo potesse essere considerato la reale dimostrazione di ciò che aveva appena detto, per poi continuare il suo discorso senza alcuna ulteriore esitazione. «Noi abbiamo abbracciato il giusto, perché del facile non sappiamo cosa farcene: quest’ultimo lo lasciamo a chi non ha il coraggio di fare i conti con se stesso. Mi rende solo profondamente triste vedere come ciò che, in teoria, dovrebbe essere la norma, in realtà rappresenti un’unica – ma, in compenso, dannatamente rumorosa – voce fuori dal coro. Sarebbe bello se fosse il contrario.»
«E noi di Radio Potter non possiamo che essere d’accordo» convenne Lee, che tuttavia aveva iniziato ad apparire insolitamente pensieroso. «Ma, personalmente, sono certo di aver percepito anche qualcosa di molto più sottile e viscerale traboccare dalle parole stampate su quelle pagine. Mi confermi che c’è dell’altro, cara Eagle?»  
Margaret rimase immobile, forse colta alla sprovvista da quella domanda, ed evidentemente indecisa sul da farsi: era ovvio e naturale che ci fosse dell’altro, ma era davvero il caso di specificarlo?
Intercettò lo sguardo di Fred – che era in attesa di una sua risposta, ma che al tempo stesso era consapevole del grande carico emotivo che questa, sicuramente, richiedeva alla ragazza di sopportare – e trovò nei suoi occhi ciò che le serviva per andare avanti in quella discussione; erano gli occhi innamorati e per questo un po’ ciechi di chi era certo che, in qualunque caso, lei avrebbe fatto la scelta giusta.
«È rabbia» sputò fuori, infine, consapevole che, dopo aver iniziato, difficilmente avrebbe accettato di fermarsi. «Sono arrabbiata, River, come solamente può esserlo una ragazza di vent’anni che combatte ogni giorno contro un mondo che cerca di portarle via le speranze, quando queste vuole tenersele legate, incatenate all’anima. È la rabbia di una ventenne che sente incombere il pericolo di perdere le persone che più ama e più ha amato in questa schifosa vita; è la rabbia di una mamma che non sa se vivrà abbastanza a lungo da vedere crescere il proprio bambino, da guardarlo compiere i primi passi da solo o da sentirlo pronunciare le prime frasi sgrammaticate; è la rabbia di una figlia che deve asciugare le lacrime della propria madre, che a sua volta si ritrova a vivere lo stesso identico incubo di due decenni fa, come se il tempo si fosse fermato e nulla fosse cambiato da allora. E proprio lei, mia madre, qualche giorno addietro mi ha chiesto se fossi davvero sicura di ciò che stavo facendo. Le ho risposto che avrei preferito morire adesso, da donna libera e artefice del proprio destino, piuttosto che vivere altri cento anni come una schiava.»
«Morgana maledetta, quanto ti amo» bisbigliò Fred lontano dal microfono, pieno d’orgoglio, senza staccarle lo sguardo di dosso. Lei gli sorrise sinceramente, sfoggiando un bel paio di occhi lucidi e arrossati, e decise di assecondare le richieste di Lee, che le faceva cenno di continuare a parlare. 
«Dovremmo essere tutti arrabbiati, furiosi, ma non solo con chi ci ha portati a questo disastro; dovremmo esserlo innanzitutto con noi stessi, che troppo spaventati li abbiamo lasciati agire indisturbati, abbiamo permesso loro di giocare con le nostre vite e con la nostra dignità... e abbiamo consentito che ci privassero di una delle cose più importanti che ci rimanevano, vale a dire la fiducia nelle persone che amiamo. Quante volte, negli ultimi due anni, avete avuto paura che le persone a voi care non fossero realmente loro? E quante volte le avete guardate con una certa diffidenza, terrorizzati che potessero attaccarvi da un momento all’altro? Ponetevi queste domande, e rispondetevi sinceramente» riprese, come un fiume in piena, lasciandosi trasportare da quel flusso di parole uscito fuori tanto spontaneamente; così, nell’immediato, la sua mente corse ad Abigail, certamente in ascolto dalla sua stanza a Villa Orchidea, e fu proprio in quel momento che si rese conto di avere un’ultima, fondamentale cosa da dire. «Quello che voglio dirvi è: non lasciamo che ci portino via ciò che abbiamo. Lo sguardo di chi ci ama è lo spettacolo più bello e sincero che esista al mondo, e non c’è modo di comandarlo; ecco perché una persona sotto Maledizione Imperius non potrà mai riservarvi lo stesso, solito calore. Voi guardatevi negli occhi: troverete lì tutte le risposte.»


- Angolo dell’autrice

Proprio così, miei carissimi: sono tornata.
Sì, dalla regia mi è stato suggerito di continuare a inserire i reindirizzamenti alle immagini, quindi preparatevi a quello che sarà un altro angolo dell’autrice delirante.
3... 2... 1...
Pronti?
Immagino di sì.
Allora, ancor prima di passare al commento della roba che avete appena finito di leggere, mi sembra doveroso specificare – come avrete sicuramente notato – che si tratta della prima parte di un capitolo decisamente più vasto. Sì, insomma, finita la sessione estiva mi sono lasciata andare un po’ troppo con la voglia di scrivere, così alle prime nove pagine già pronte se ne sono aggiunte altre tredici/quattordici, per l’egregio risultato di ventidue/ventitré pagine di Word in Calibri 11. Non potevo pubblicare quel mostro tutto in una volta.
Ma adesso è necessario passare alle cose serie, e credo che ognuno di voi si sia posto la fatidica domanda: chi è Charles?
No, aspettate, ho sbagliato fandom.
La vera domanda è: cosa accidenti avrà combinato George? O, per meglio dire, che cosa mai avrà architettato questa Virginia Anderson, dato che tutti continuano a considerare Mister Lobo Solitario come la vittima della situazione? Lo scopriremo nel prossimo episodio.
Lo so che è una bastardata lasciarvi su queste spine dolenti fino al prossimo aggiornamento, ma non ho potuto fare altrimenti. In compenso, però, alla fine delle note vi darò qualche indicazione su ciò che accadrà nella seconda parte, più il solito spoilerino. Jules è buona, in fondo.  

Che dire, invece, della nostra cara blondie?
Non sappiamo cosa le abbia detto Virginia, ma certamente possiamo immaginarlo dalla sua reazione: è giustificabile, secondo voi, oppure è stata un tantino eccessiva? La mia, probabilmente, sarebbe stata di gran lunga peggiore, il che è paradossale.
È stata una sofferenza, comunque, scrivere di Abigail in quello stato, e ciò vale anche per il prossimo capitolo. Mi ha un po’ mandato il cuore in frantumi, ecco. Forse dovrei smetterla di immedesimarmi così tanto nei dolori altrui. In particolar modo...:
*Jules scrivendo le scene in questione*
*Jules dopo averle rilette per la prima volta*
*Jules dopo averle rilette per la 382902497esima volta*     
Mi odio per averlo fatto, credetemi. Ma dovevo.
Ciò che invece George, sicuramente, non doveva fare – e invece puntualmente ha fatto – era stare zitto e immobile mentre lei gli lanciava mezza casa addosso. Ma siamo seri?
- L’HAI SCRITTO TU QUESTO CAPITOLO, SANTA MORGANA! NON IO!
Avresti dovuto suggerirmi qualcosa, e invece non hai fatto altro che lamentarti della trama, a detta tua ingiusta. Ho agito di conseguenza.
- Mi hai anche fatto affatturare da Margaret, ti rendi conto?!
Ecco, questo è un punto molto interessante che verrà trattato con più attenzione nel prossimo capitolo. D’altronde, abbiamo imparato a non sottovalutare Meg e i suoi atteggiamenti in stile “from the ghetto”, quindi aspettiamoci molto bullismo da parte sua per il prossimo aggiornamento. :D
Speriamo solo non lo riversi anche sul fratellino, una volta che questi sarà cresciuto – a proposito, che ne pensate del nome scelto per il piccolo Stevens, questo bel cucciolotto? ♥_♥
Sulle quattro comari con le Orecchie Oblunghe non mi esprimo, dato che si commentano da sole: se mia nonna lo leggesse, sarebbe fiera di loro.

Tra una cosa e l’altra, invece, ho quasi rischiato di dimenticarmi di fare un accenno a Radio Potter: vi avevo promesso che avremmo assistito a una delle trasmissioni, e non avrei mai potuto rimangiarmi la parola data! Spero che il risultato, nel complesso, vi sia piaciuto, in particolar modo il discorso fatto da Meg, che possiamo dire si sia scritto completamente da solo.
Quando si dice che si è posseduti dai propri personaggi. Che cosa inquietante.  

Vi chiedo di scusarmi per queste note sconclusionate, ma mi sto letteralmente liquefacendo sulla tastiera per via di questo caldo asfissiante. I miei neuroni hanno dimenticato come fare sinapsi.
E adesso... le anticipazioni dal prossimo capitolo:
1 – Ci saranno diversi flashback che ci permetteranno di capire cos’è successo;
2 – Attraverso qualcuno di questi flashback, faremo la conoscenza di Dorian Russell, il cugino di Margaret;
3 – Scopriremo cos’ha fatto Virginia Anderson;
4 – Ci sarà qualche bel momento Marbigail;
5 – Nei flashback, vedremo una Margaret a mio parere molto badass.   
Quanto a questo che avete appena letto, il titolo è di Oriana Fallaci, mentre la canzone in apertura è Goodbye Kiss, dei Kasabian.

Dunque, ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_Ssleepingwithwolves_Soleil Jonestenna96, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrongmax85, Orma_sleepingwithwolves_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Merrycri,che hanno recensito il capitolo precedente. ♥

Con vostra immensa gioia, immagino, è giunto il momento di salutarci.
Il prossimo capitolo, con ogni probabilità, dovrebbe arrivare tra un mesetto: sì, è prontissimo, ma non mi sento sicura se prima di pubblicare un nuovo capitolo non ho almeno iniziato a scrivere il successivo. È una delle mie tante paranoie, ragion per cui proverò a portarmi un po’ avanti con il lavoro durante questo bel periodo di relax che mi sono giustamente concessa. :D  
Nel frattempo, mi piacerebbe tanto, tanto, tanto, tanto – fate come se continuasse all’infinito – ricevere un vostro parere. ♥ Segnalatemi qualsiasi cosa vogliate, fate congetture, date suggerimenti, sentitevi liberissimi di comunicarmi delle richieste particolari – se ne avete – o anche di dirmi se qualcosa non vi è piaciuta o non vi ha convinti.
Ora, con permesso, vado a picchiare quei simpaticoni dei vicini di casa che da due ore cantano “Finché la barca va” al Karaoke, sgolandosi come se non esistesse un domani.

Stavolta non vi mando un abbraccio: c’è troppo caldo e siamo tutti appiccicaticci.
Vi mando un condizionatore. ♥
Jules
 


- Dal prossimo capitolo:
 
«Cosa?!» fece Abigail, stridula, non potendo credere a una singola parola. [...]
[...] La prima, ancora livida, scese giù dal letto e fece per infilarsi un paio di jeans di tutta fretta, al che per Meg – che cercava di far riaddormentare Alexander, spaventato da quell’improvviso baccano – fu inevitabile assumere un’espressione ai limiti del perplesso.
«Cosa... Cos’hai intenzione di fare, di grazia?»
«Vado a farle una sorpresa: d’altronde, non puoi cercare di prenderti il mio ragazzo e pensare che io non ti faccia arrivare sino all’Inferno e ritorno. Che mi consigli? Un bel Cruciatus, che è sempre di moda, oppure i tradizionali, vecchi e sani metodi Babbani che ci piacciono tanto?»
«Sta’ seduta, non ho finito» ordinò Margaret, che quasi iniziava a divertirsi. [...]
   
 
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