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Autore: Ali_di_pagine    20/07/2015    0 recensioni
Era una cosa strana. Come l'odio e l'amore fossero vicini.
Draco ne aveva sempre sentito parlare, ma non ci aveva mai creduto realmente.
Sapeva solo che quella notte, era iniziato tutto.
E non sapeva come o perchè, sapeva solamente che non avrebbe mai più potuto vivere diversamente.
Perché c'era qualcosa di diverso, nel modo in cui i ricci della grifondoro brillavano alla luce della luna, quella sera.
C'era qualcosa di diverso nel modo in cui la vedeva, qualcosa di diverso in lei.
Non poteva sapere, però, che la differenza si trovava in lui.
Non era stato lo stesso, da quando Potter l'aveva salvato nella Stanza delle Necessità, ma mai si sarebbe aspettato ciò che stava per avvenire nella sua distrutta, eppur così facilmente aggiustabile vita.
Sarebbe bastato che lei si fosse girata, che lo avesse visto come mai l'aveva visto prima. Annullato. Basito. Cambiato.
Hermione Granger era diventata la sua luce, la sua salvezza... E lui nemmeno lo sapeva.
[pubblicato anche su Wattpad]
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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L'aria era pesante, la notte scura dava un'atmosfera sospesa nel tempo, ed Hermione cercava il coraggio di lasciare quel gufo andare. Era nella sua stanza, la civetta bruna attendeva che aprisse la finestra per recapitare il messaggio da lei scritto. 
Camille non era ancora rientrata, ma l'avrebbe fatto da un momento all'altro... Sarebbe dovuta andare in Guferia per la sua battaglia interna d'intenzioni. 
Era almeno mezz'ora che faceva un dibattito interiore per decidere se mandare o meno quel messaggio a Malfoy. Più o meno a cena, le era venuta quella brillante idea. Solo che, una volta salita in stanza subito dopo aver mangiato, non aveva avuto il coraggio di inviare le "istruzioni". 
Voleva farlo. Voleva incontrare Malfoy un'ultima volta per chiarire le cose, poi quella fissazione sarebbe passata in un batter d'occhio. Ripensò a quei giorni... Lui non l'aveva più guardata come aveva fatto quelle notti. Persino quando litigavano, il suo sguardo era stato diverso da quello che le aveva riservato dopo. Aggrottò la fronte, rendendosi conto di voler ancora sentire il ghiaccio di quelle iridi nelle sue, voleva ancora quelle sensazioni che non avrebbe dovuto provare per un semplice scambio di sguardi.

La civetta picchiava con il becco sul vetro della finestra chiusa, producendo un suono al limite del sopportabile, ed aveva un'aria scocciata. Sicuramente si stava chiedendo perché mai la ragazza l'avesse chiamata ma non volesse che uscisse per recapitare la lettera. Proprio mentre si stava avvicinando alla finestra, la porta della sua stanza si aprì.
Camille entrò in tutto il suo splendore, con il capelli biondi che le ricadevano morbidi sulle spalle e gli occhi celesti che la puntarono subito.

«Ciao, Camille.» le disse Hermione.

«Hermione, ti devo dire una cosa.» le rispose lei.

«Certo, dimmi.»

«La McGranitt ti vuole nel suo ufficio.» disse Camille senza batter ciglio.

«Cosa? E perché?» Hermione si voltò immediatamente verso la ragazza che, intanto, si era andata a sedere sul suo letto. Se c'era una cosa che allo stesso tempo invidiava e che la sconcertava di Camille, era la sua schiettezza.

«Speravo che questo me lo dicessi tu. Hai fatto qualcosa?» le chiese.

«No, lo sai che non é quello di sicuro.»

«Probabilmente é per il fatto che esci spesso di notte. Non può essere sempre passato inosservato, non credi?»

Hermione non fece in tempo a rispondere che sentì di nuovo un picchiettare sul vetro. Le tornò in mente Malfoy e la lettera. Si girò, e restò sorpresa guardando un gufo nero che aspettava pazientemente che aprisse la finestra, da fuori. Nel becco aveva una lettera.
Andò ad aprire il vetro, ma non fece in tempo a far entrare il gufo nero che la civetta con il suo messaggio per Malfoy si inoltrò nella notte, sicuramente diretta dal biondo serpeverde.

«Merda!» corse alla finestra ma era troppo tardi. Non c'era traccia del messaggero. Non doveva andare a recapitare quel messaggio... Non doveva... O doveva? Non sapeva se il fatto che non avesse avuto scelta fosse un bene o un male.
In quel momento, l'orologio di Hogwarts fece i suoi rintocchi. Erano le nove.

«Tutto bene?» le chiese Camille.

Hermione staccò la testa dal muro, dove l'aveva premuta prima, e spostò lo sguardo sul gufo nero, che aspettava pazientemente sul suo baule. Senza rispondere alla compagna di stanza che la guardava stranita, raggiunse il volatile e si sedette anche lei sul baule. 
Gli prese la lettera dal becco e gli accarezzò distrattamente la testa, cercando di aprire la busta con una mano sola. Non riuscendoci, lo fece con due.
Una volta aperto il foglio, riconobbe subito l'inchiostro verde con cui scriveva la McGranitt. Lesse la lettera velocemente, cambiando espressione ad ogni parola. Arrivata alla fine, era bianca come un cencio.

«Tutto bene?» ripeté Camille, che ora si era alzata dal letto e aveva una faccia più preoccupata.

Hermione posò la lettera lentamente, fissando un punto indefinito a terra. Si passò una mano tra i capelli, tirandoli e sgranando gli occhi. Si alzò.

«Hermione, forse é meglio se ti siedi.» disse calma Camille. Si era avvicinata. La ragazza la guardò negli occhi soffermandosi in quelle iridi celesti e meravigliose, poi corse alla porta.

Attraversò correndo tutta la Sala Comune e le scale, evitando le poche persone che non erano ancora andate in dormitorio. I capelli le arrivavano in faccia e lei li spostava scuotendo la testa. In quel momento, le parole scritte nella lettera le rimbombavano in mente, unendosi in un vortice di informazioni che le dava alla testa... non sapeva come sentirsi. Sarebbe dovuta essere felice. Sì, era così. Ma il brutto presentimento che le attanagliava lo stomaco non le dava pace. Perché dopo tutto questo tempo?, si chiedeva.
Quando giunse all'ufficio della McGranitt, la preside non parve sorpresa. Quando tuttavia lesse il volto della ragazza, avanzò un po'.

«Oh, signorina Granger...»

«Sto bene.» tagliò corto Hermione. Si avvicinò alla donna, i quali occhi verdi la guardavano preoccupati, e si torse le mani.

«Mi dica tutto.» disse con un profondo respiro e, dopo qualche tentennamento, la McGranitt sospirò e cominciò a parlare.

-

L'aria quella sera era pesante. Draco aveva un pessimo presentimento, come se qualcosa stesse per arrivare. La sua stanza era di media grandezza, eppure certe volte lo spazio gli sembrava troppo poco per contenere i suoi pensieri. 
Guardò dalla finestra la scuola.

Da quando la guerra era finita, tutto gli era sembrato sospeso nel tempo. Tutto era come se non fosse veramente presente, come se lo stesse sognando. Le sensazioni erano smorzate, i pensieri offuscati... Eppure non se ne era reso conto se non dopo aver rincontrato la Granger. In quei giorni, l'unica cosa che riuscisse davvero a sentire era il fuoco che lei emanava, e questo lo spaventava a morte. 
Probabilmente non sapeva davvero più chi era. Anzi... Probabilmente non l'aveva mai saputo. Sapeva solamente che ciò che più gli mancava era uno scopo. Persino quando le prospettive erano sembrate sempre più buie nella sua vita, aveva avuto una parvenza di motivo, per rimanere ancora in vita. Eppure, adesso che quel dopo era arrivato, si rendeva conto che gli mancava un progetto. E questa era la grande, enorme differenza tra lui e la Granger, tra lui e chiunque altro. Lui non sapeva cosa fare della sua vita, e buttarla via dopo tutti quelli sforzi per preservarla sarebbe sembrato un grosso spreco... Eppure la tentazione era stata forte, a volte.

Ogni volta che camminava per i corridoi di Hogwarts, da quando era tornato, i bisbigli lo seguivano come un'ombra. Persone che sparlavano. Ma la cosa che più lo disturbava non era che lo giudicassero, ma che nessuno di loro sapesse davvero come fossero andare le cose. Nessuno aveva il diritto di giudicarlo sulla base di stupidissime e mutevoli voci, quando ciò che era successo e il ruolo che lui aveva avuto, erano noti a poche persone.
Blaise, Daphne e Theo gli erano stati vicini, scherzando e facendo come se nulla fosse.
Osservò le quattro mura in cui era chiuso con aria critica, scannerizzando tutto il verde e l'argento che gli saltava agli occhi, tanto falimiare. La sua stanza era singola, non solo perché l'avevano dovuto sistemare più tardi, ma perché la McGranitt aveva pensato fosse meglio così. Quella stupida ipocrita.

Sentì bussare. Si allontanò lentamente dalla finestra, per andare ad aprire, e spalancò la porta senza indugio, quando vide chi era. Si andò a sedere sul letto, guardando pazientemente la persona che stava entrando.
Bella e forte come sempre, Daphne lo guardava mentre avanzava nella stanza, la porta lasciata a chiudersi.

«Ehilà.» disse, buttandosi a peso morto sul letto, accanto a lui.

«Ehilà.» rispose Draco, imitandola e stendendosi accanto a lei sul materasso.

«Sai, una ragazzina del primo anno stamattina mi ha chiesto se era vero che avevi ucciso un ippogrifo a mani nude.» disse Daphne dopo un po', con una risatina leggera. «Aveva uno sguardo tra l'ammirato e l'intimorito.»
Draco alzò gli occhi al cielo e si voltò verso di lei, trovandosi il suo viso a dieci centimetri dal proprio, i suoi occhi verdi fissati in quelli color del ghiaccio di lui. Daphne sbatté le lunghe ciglia bionde, con aria innocente, e fu come tuffarsi in un ricordo di quando erano piccoli e innocenti per davvero.

«Io le ho detto che, in realtà, gli ippogrifi erano tre.» 
Si stava mordendo un labbro tentando di non ridere, ma fallì miseramente quando il biondo alzò un sopracciglio.
Daphne esplose in un'enorme risata che fece sorridere anche lui. Si portò le mani alla pancia, reggendosela in preda alle risa. Poi, dopo qualche secondo, si passò le mani sul viso e lo sbirciò da sotto le ciglia, tentando di darsi un contegno.

«Scusa, scusa é che...» fece poi, in un'ultimo risolino «... é solo che questa situazione mi sembra così assurda.»

«A chi lo dici...» sussurrò Draco, tornando a guardare verso l'alto. Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui l'orologio di Hogwarts fece i rintocchi. Erano le nove. 
Daphne gli diede una spallata.

«Veramente io mi riferivo al fatto che se quei pettegoli ti conoscessero come ti conosco io, saprebbero che l'unica volta che ti sei avvicinato abbastanza ad un ippogrifo, un minuto dopo te ne sei scappato urlante, per un taglietto sul braccio.»

«Ero solo un ragazzino.»

«Quante cose sono cambiate...» sospirò lei.
«Lasciali parlare, Draco. Si stancheranno.» disse poi dopo qualche secondo di silenzio. Lui non disse nulla per un po', ripensando alle parole di Daphne. Si stancheranno. E se si fosse stancato prima lui, cosa sarebbe accaduto?

«E se dovesse non succedere?» domandò, quasi in un sussurro. Daphne non rispose, semplicemente appoggiò la testa sulla sua spalla, facendoglisi più vicina. Gli prese una mano pallida, e vi intrecciò le sue.

«Ehi.» gli sussurrò. Draco non fece alcun cenno. Poteva sentire quelle iridi sincere scrutarlo con insistenza, ma non osava ricambiare lo sguardo.
«Ehi.» ripeté lei allora, più bruscamente. Draco a quel punto si voltò, trovandola seria e vicina. 
«Andrà tutto bene.» gli disse, con decisione.

«Come fai a saperlo?» le domandò lui in un sussurro. In un'angolo della sua mente, era consapevole della civetta bruna che stava picchiettando contro la finestra, con una lettera con sé, ma in quel momento tutto di lui era concentrato su Daphne. Aveva questa capacità, se voleva l'attenzione di qualcuno l'otteneva, a prescindere da chi fosse l'interessato.

Lei fece spallucce.
«Lo so e basta.» rispose semplicemente, e Draco avrebbe potuto giurare che le sue labbra si erano leggermente incurvate verso l'alto.

   
 
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