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Autore: angelo_nero    20/07/2015    0 recensioni
Dal primo capitolo :"Lui si limitava a fissarla senza proferir parola. -Dì qualcosa! Insomma ti ho rivelato le mie origini!- gridò esasperata, ricordandosi solo dopo della bambina che dormiva nella stanza accanto. Pregò che non si svegliasse.
Vegeta inclinò leggermente la testa di lato e qualcosa nei suoi occhi cambiò. -Perché indossi la mia T-shirt?- le chiese di rimando in tono piatto.
Bulma rimase interdetta, spiaccicò la faccia contro il materasso con un lamento mentre le gambe ricadevano pesantemente sul letto. Rialzò la testa e fissò male il marito che ne se stava seduto indolente con le mani poggiate sul materasso a sorreggere il peso. -Io ti dico una cosa del genere e tu mi chiedi perché indosso i tuoi vestiti? Mi prendi in giro?- gli disse continuando a fissarlo male. Lui non fiatò restando immobile."
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. Grande famille
 
 
 
Okay, rivelare la cosa al marito era stato più semplice di quanto avesse creduto, non che si aspettasse chissà quali reazioni da lui. Aveva semplicemente avuto la solita reazione apatica, con la sua faccia da schiaffi che la guardava impassibile. Bulma sbuffò rendendosi conto che a Vegeta poteva persino dire che gli stava per cadere un masso in testa o, peggio, che la Terra stava per esplodere, e lui non avrebbe fatto una piega. Era il tipo di uomo che sembrava non essere toccato da niente, nemmeno se la cosa lo riguardava direttamente, figuriamoci se riguardava un’altra persona, se pur vicina a lui.
Con questi pensieri per la testa, la donna camminava per il corridoio rileggendo per l’ennesima volta la lettera della madre. Si chiese per quale motivo si fosse fatta viva, invece di rimanere nell’ombra e lasciarla in pace. Come se non avesse altri problemi per la testa, quali un marito particolarmente apatico e una bambina di due anni, che sembravano volerla far esasperare.
-Ciao mamma.- disse una voce dal basso.
La donna alzò lo sguardo dai fogli e sorrise al figlio. –Ciao Trunks. Già terminato l’allenamento con papà?-
Vide il ragazzino alzare gli occhi al cielo mentre riprendeva il percorso ed entrava in cucina. –Magari. Mi ha concesso una pausa solo perché entrambi stavamo morendo disidratati.- disse aprendo il frigorifero. Tirò fuori una bottiglia d’acqua gelata e fece un lungo sorso.
-Bevi piano. Non vorrei ti venisse una congestione.- lo riproverò la donna appena messo piede in cucina. Sentì il ragazzino sbuffare mentre chiudeva il frigo. –Piuttosto,- continuò –Devo dirti una cosa importante.- gli disse tornando a rivolgere l’attenzione ai fogli.
-Cosa? Hey!- sentì dire da Trunks dopo pochi secondi.-Stavo bevendo io!-
Alzò la testa dai fogli per capire con chi ce l’avesse il figlio. Si accigliò. –Non bere così di corsa.-
Vegeta era entrato nella stanza, silenzioso come un fantasma- anzi forse i fantasmi fanno più confusione- ed aveva strappato la bottiglia dalle mani del figlio, bevendone il contenuto con velocità.
-Ho appena rimproverato tuo figlio per lo stessa cosa! Rischi di prenderti una congestione, soprattutto ora che sei accaldato.- gli disse Bulma incrociando le braccia al petto.
Il Saiyan la ignorò continuando a bere indisturbato, nonostante gli sguardi carichi di astio che il figlio di lanciava. Finito di bere, ridiede la bottiglia al precedente proprietario, che gliela strappò dalle mani e gli lanciò un’occhiataccia. Vegeta lo ignorò.
Bulma sospirò chiedendosi se Trunks, crescendo, fosse diventato più simile al padre di quanto già non fosse.
-Cosa dovevi dirmi mamma?- la voce del bambino la portò via dai suoi pensieri.
L’azzurra rimase un attimo a pensare a come avesse potuto dirlo al figlio. –Ecco, diciamo che non sono chi ti ho detto di essere.- buttò lì, sperando che il ragazzino non la guardasse stralunato. Speranze che vennero infrante quando portò lo sguardo su di lui: aveva una faccia decisamente interrogativa, se fossero stati in un fumetto sopra la sua testa si sarebbe formato un enorme punto interrogativo. Si schiarì la voce e provò in un’altra maniera. –Voglio dire… ho origini un po’ diverse da quelle che conosci.- ecco ora era un po’ più chiara, anche se il bambino continua a guardarla stranito. Probabilmente pensava che sua madre si fosse impazzita.
Bulma sospirò, massaggiandosi con pollice e indice lo spazio tra le sopracciglia. –Trunks… Come te lo spiego… I tuoi nonni, non sono realmente i tuoi nonni. Cioè, sì, lo sono ma ce ne sono degli altri, nonni di sangue.- disse rendendosi conto che si stava ingarbugliando da sola. –Oh insomma! Com’è complicato!- urlò esasperata alzandosi dalla sedia sotto lo sguardo di padre e figlio.
Trunks, dal canto suo, non ci stava capendo niente e aveva seriamente cominciato a pensare che la madre lavorasse troppo, farfugliava cose senza senso.
Bulma prese un respiro profondo e aprì bocca per provare di nuovo. –Tua madre intende dire che è stata adottata da quelli che tu conosci come tuoi nonni. I suoi genitori, quelli veri, sono due borghesi di origini francesi.- la voce di Vegeta, ormai esasperato da quella conversazione senza capo né coda, interruppe il terzo tentativo di spiegazioni della donna.
L’azzurra sospirò. –In poche parole…- disse avvicinandosi al figlio. Gli diede la lettera per fargliela leggere, forse avrebbe capito qualcosa di più. Lui la prese guardando prima la madre, che gli rivolgeva un sorriso tirato, poi il padre, che in tutto quel frangente non aveva battuto ciglio.
 
-Fatemi capire,- disse Trunks distogliendo lo sguardo dai fogli. –Sei la figlia legittima di… Andrè e Sophì Dubois, che a causa di una bancarotta hanno perso tutto e hanno dato le loro quattro figlie in adozione, con la prospettiva di dare loro una vita migliore.- Quando vide la madre annuire tornò ad osservare i fogli. –E ora che hanno recuperato i loro averi, hanno deciso di fare questa sorta di riunione di famiglia.- Sembrò una domanda più che un’affermazione. Posò i fogli sul tavolino, dietro al quale era seduto, e fissò la madre. –E quando dovrebbe esserci questa riunione in Francia?- chiese.
-Mercoledì.- rispose la donna.
-Okay.- Il ragazzino dai capelli glicine si alzò dalla sedia. –Papà?- richiamò l’attenzione dell’uomo che se ne stava appoggiato all’isola della cucina, braccia incrociate e aria annoiata. Solo quando si voltò, rimanendo in silenzio, Trunks continuò. –Possiamo riprendere l’allenamento se vuoi.-
Il genitore non disse una parola, si staccò dal ripiano e passò davanti moglie e figlio senza fiatare, diretto alla camera gravitazionale. Il bambino lo seguì, anche lui in rigoroso silenzio.
Bulma si lasciò cadere su una sedia, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio. Era stata dura.
 
***
 
Percorreva a passo svelto l’atrio gremito di persone, il suono dei suoi tacchi rimbombava per l’intero edificio. Era un personaggio piuttosto in vista, oltre che una donna molto bella, quindi ogni persona all’interno si voltava  a guardarla, bisbigliando qualcosa al vicino. Lei non ci fece molto caso, piuttosto rimase concentrata verso il suo obbiettivo, ignorando tutto ciò che la circondava. Persino la sua famiglia.
Dietro di lei, Vegeta e Trunks la seguivano senza far domande tenendo il suo passo forsennato, impossibile per qualsiasi persona normale. Peccato che loro non erano normali.
Il ragazzino aveva sulle spalle uno zaino stracolmo e a tracolla un’altra borsa, si guardava attorno incuriosito; era solo la seconda volta che metteva piede in aeroporto, di solito o si muovevano in volo o con uno dei tanti elicotteri delle CC. Portò lo sguardo sull’uomo al suo fianco, sembrava piuttosto scocciato da quella situazione.
Vegeta fissava la compagna davanti a sé, assicurandosi di non perderla di vista, l’idea di girarsi l’intero edificio –di tre piani- alla ricerca della donna non l’allettava affatto. Preferiva non doversi avventurare lì dentro più di quanto fosse necessario.
Bulma si fermò di botto guardando prima a destra poi a sinistra, indecisa su quale fosse la strada da prendere. Poi svoltò decisa a destra, incurante degli sguardi delle persone intorno a lei. Non rallentò l’andatura neanche quando avvertì la bambina scivolarle dalle braccia, le intimò di tenersi forte e la sistemò meglio con il braccio con cui la sorreggeva, con l’altra mano trascinava l’enorme trolley fucsia stracolmo di vestiti.  Quando si fermò di nuovo fu davanti un enorme display che riportava gli arrivi e le partenze dei voli. Lo osservò per un po’ poi, sempre a passo svelto, puntò i sedili dove la gente si sedeva in attesa che il loro volo venisse chiamato. Mise giù Bra, che si arrampicò su quello più vicino a lei, prima di sedersi. Marito e figlio la imitarono, quest’ultimo si liberò dello zainetto e della tracolla posandoli a terra.
 
-La smetti? Mi fai venire i nervi!- le intimò l’uomo affianco a lei.
Bulma fermò all’istante la gamba che aveva preso a muovere su e giù, in un moto di stress. Neanche se ne era accorta. Portò un dito alla bocca e iniziò a mordicchiare un’unghia. Dire che fosse agitata sarebbe stato un eufemismo.
Dopo un quarto d’ora, in cui non aveva fatto altro che accavallare e scavallare le gambe dal nervoso, facendosi riprendere più volta dal compagno seduto al proprio fianco, si alzò di botto e prese a camminare avanti e dietro davanti ai sedili. In preda a pensieri del tipo “e se non si ricordano di me? Cosa faccio? E se non gli piace la mia famiglia? Devo dirlo subito che Vegeta è un alieno? O devo aspettare un po’? o non glielo devo dire affatto? E se le mie sorelle si fossero scordate di me? E se…”
-La vuoi piantare di camminare avanti e indietro qua davanti!? Mi stai facendo venire il mal di mare!- tuonò il Saiyan esasperato dal comportamento della compagna. Neanche stesse per incontrare il presidente americano.
-Sono agitata, Vegeta. Non mettertici anche tu!- gli rispose la donna continuando a fare avanti e dietro. In quel momento il caratteraccio del compagno era l’ultima delle sue preoccupazioni.
Vegeta serrò le labbra in un moto di rabbia, non fiatò.
Quando finalmente il loro volo venne chiamato, Bulma si fermò dal suo continuo andare avanti e dietro. Prese il trolley in una mano e la manina di Bra nell’altra e, senza aspettare i suoi compagni di viaggio, si precipitò all’imbarco. Sapeva che l’avrebbero raggiunta.
La prima classe del loro volo aveva i sedili disposti a due a due, uno di fronte a l’altro, separati da un tavolino a scomparsa, da entrambi i lati dell’aereo. Erano di pelle bianca e blu, le pareti erano bianche mentre il pavimento era azzurro. Vegeta iniziò a pensare che quel colore lo perseguitasse.
-Vediamo… 5b e 6b sono quelli di Trunks e Bra, mentre i nostri sono 5a e 6a.- disse Bulma con il biglietto in mano.
Non arrivò nessuna risposta dall’altra parte, se non un impercettibile mugugno d’assenso mentre si sedeva al proprio posto.
-Aero!- disse Bra, inginocchiata sul suo sedile guardava fuori dal finestrino.
-Si, guarda quello è bianco e verde. E quello invece ha le strisce rosse.- le diede corda Trunks indicando fuori dal finestrino.
Bra aveva un’espressione incantata sul visino –Grande.- disse osservando il fratello.
Il glicine annuì e le sorrise, tornando poi ad indicare gli aerei sulla pista. –Guarda Bra! Quello sta partendo!-
Bulma sorrise felice, i suoi figli andavano d’amore e d’accordo nonostante i caratteri un po’ esuberanti. Trunks era il perfetto fratello maggiore che si era immaginata. Si ritrovò a pensare, con malinconia, alla versione del futuro del suo bambino; Mirai! Trunks ne aveva passate tante e per questo nei suoi occhi c’era una scintilla di tristezza che, negli occhi del bambino del presente, non vi era.
Portò lo sguardo sul compagno seduto davanti a lei; fissava fuori dal finestrino con le braccia incrociate e la solita espressione imbronciata. Se non fosse stato per l’intervento di Mirai! Trunks lui non sarebbe lì con lei, per vivere quella nuova avventura.
-Avvertiamo i signori passeggeri che l’aereo sta per decollare, vi invitiamo a sedervi ed allacciare le cinture di sicurezza.- proruppe la voce del pilota dall’alto parlante.
Bulma smise di rivolgere i suoi pensieri al ragazzo del futuro, per prestare attenzione a Bra che era ancora in ginocchio sul sedile.
-Bra, l’aereo sta per partire devi sederti ed allacciare la cintura.- le disse la donna mentre si alzava per aiutarla.
-Parte? Aereo parte?- chiese la bimba fissando la madre che la rimetteva seduta e le allacciava la cintura.
-Si, per questo devi stare buona, seduta e con le cinture allacciate.- le disse armeggiando con la chiusura, cercando di stringere bene le cinghie.
-Quanto?- chiese Bra toccando la cintura incuriosita.
Bulma le indicò la luce su cui era disegnata una cintura slacciata. –Vedi quella luce rossa? Quando si spegne puoi slacciare la cintura.- le disse dolcemente.
Bra fissò per un po’ il punto indicato dalla madre poi le sorrise e si mise a guardare fuori da seduta.
-Hai allacciato bene la cintura, Trunks?- si rivolse al maggiore che aveva già messo le cuffie sulle orecchie.
-Si mamma, non preoccuparti.- le rispose sorridendole mentre lei controllava che fosse stata allacciata per bene.
Quando tornò al proprio posto allacciò la cintura, conscia che la grande paura di volare, che aveva da bambina, era scomparsa del tutto. Beh, come si può aver paura di volare su un mezzo di trasporto quando lo si è fatto senza alcun tipo di protezioni tra le braccia del proprio compagno? Lo guardò, illuminato dalla luce del tramonto le pareva ancor più bello e tormentato, mezzo in ombra mezzo in luce. Sembrava rilassato.
 
Durante il viaggio passarono delle hostess con carrelli stracolmi di cibo, dolce e salato, e di bibite varie. Inutile dire che fu svuotato per metà dalla fame eccessiva dei tre Saiyan presenti, per fortuna che era tutto gratis.
Quando guardò l’orologio si erano già fatte le otto e quarantacinque, il sole era calato sulle città lasciando spazio al cielo notturno con le stelle. Cominciava a sentire i morsi della fame, come sicuramente gli altri tre membri della sua famiglia.
-Mamma ho fame.- piagnucolò Bra scuotendo la madre per attirare la sua attenzione.
-Anche io ho fame.- disse Trunks facendo scivolare le cuffie sul collo.
Bulma guardò il marito, che aveva distolto lo sguardo dal cielo stellato per posarlo sulla bambina, indecisa sul da farsi. Non ebbe tempo di formulare una frase che entrarono le hostess per prendere le ordinazioni dei passeggeri, era ora di cena.
Nonostante la faccia un po’ stralunata che fecero le cameriere, presero l’abbondante ordinazione della famigliola senza fiatare. Dopo pochi minuti fu servita la cena; premendo un tasto il tavolino a scomparsa faceva la sua apparizione, nello spazio libero tra i due sedili.
Anche gli altri passeggeri guardarono sbigottiti l’enorme quantità di cibo servita ai quattro posti, ma rimasero in silenzio, commentando piuttosto tra di loro.
Purtroppo il viaggio fino in Francia era piuttosto lungo anche in aereo, nonché piuttosto stressante. Ci volevano circa dodici ore con volo diretto.
Bra sbadigliò stropicciandosi un occhietto, mentre fissava imperterrita il cielo stellato fuori dal finestrino. Era stanca ma il panorama l’attirava troppo, era qualcosa di nuovo per lei e molto affascinante ai suoi occhi di bambina di due anni.
Trunks sbadigliò di rimando, guardò l’ora sul display dell’ ipod: 23:20. Ecco perché aveva sonno. Si guardò attorno e si chiese se non ci fosse qualche modo più comodo per dormire, forse poteva sbracare i sedili. Si mise alla ricerca di qualche leva o tasto, che gli permettesse di farlo. Trovò un tasto con la figura del letto vicino all’oblò. Lo schiacciò ed entrambi i sedili cominciarono a muoversi, fino a stendersi completamente.
-Wow!- disse compiaciuto. D’un tratto il sonno scomparve e si mise alla ricerca di qualche altro tasto strano. Trovò, sul lato esterno del suo sedile, un tasto che raffigurava i due sedili vicini. Lo premette ed i sedili, in un batter d’occhio, furono l’uno accanto all’altro. Peccato che però così non poteva stenderli del tutto.
-Forte!- esclamò.
-Trunks, abbassa la voce.- lo rimproverò la madre.
Il bambino si guardò attorno per scoprire che quasi tutti i passeggeri si erano appisolati, chi sdraiato e chi seduto. Alcuni con il portatile acceso e le cuffie sulle orecchie. Decise di continuare l’esplorazione in silenzio.
 
Bulma sbadigliò portandosi una mano alla bocca. Guardava fuori con un braccio appoggiato al bracciolo e la testa posata sulla mano, stare seduti era noioso e stressante allo stesso tempo. Aveva già controllato le e-mail, finito il lavoro arretrato e aggiornato il server. Di ascoltare musica o guardare un film non ne aveva voglia, tantomeno di leggere qualcosa. Avrebbe preferito fare qualcosa assieme a lui, ma sapeva che era una richiesta impossibile.
Sbadigliò ancora stiracchiandosi.
-Vado in bagno.- disse prima di alzarsi.
Tornata a sedere lo ritrovò nell’esatta posizione nella quale lo aveva lasciato: braccia conserte e lo sguardo fisso sui figli, come se potessero scappare da un momento all’altro e lui volesse imprimersi nel cervello il loro aspetto.
Sbirciò l’ora dal telefono, segnava le 00:15. Si voltò ad osservare i bambini al suo fianco e si stupì nel vederli entrambi placidamente addormentati.
-Da quanto dormono?- chiese sottovoce al compagno.
-Un paio di minuti.- le rispose voltandosi a guardare fuori.
-Uffa questo volo non finisce mai.- disse appoggiandosi al sedile sbuffando. Erano passate solo poche ore da quando erano partiti, ma le sembrava un’eternità. Forse avrebbe dovuto accettare la proposta del compagno di raggiungere il luogo in volo, tre le sue braccia.
-Quanto ti ci è voluto ad arrivare sulla Terra la prima volta?- buttò lì nel tentativo di far conversazione.
-Un anno.- rispose lui senza guardarla.
-Un anno? Mi stai dicendo che hai passato un intero anno su una navicella in viaggio?- gli chiese sconcertata, lei non sopportava poche ore di volo figuriamoci giorni!
-Già- rispose monosillabico lui.
-E come hai fatto? Cioè come hai passato il tempo?- le chiese sinceramente curiosa.
-Ho dormito.-
E dal tono che aveva usato il discorso finiva lì. Il suo tentativo di fare conversazione fu spazzato via.
 
Era passata un’altra ora quando guardò nuovamente l’orologio e la sua noia non faceva che aumentare, così come la stanchezza fisica e mentale. Passare il tempo in religioso silenzio era logorante per una chiacchierona come lei, ma non poteva aspettarsi altro dal compagno, per lui era già un grosso sacrificio aver accettato di partire con loro rinunciando a giorni di allenamento.
Giocherellò con la cintura slacciata, il pensiero di dormire da sola non l’allettava però. Non che fosse letteralmente sola, però era abituata ad avvertire il calore del compagno accanto a lei durante la notte e l’idea di privarsene non le andava giù. Ma lui non avrebbe mai accettato di dormire insieme, come stavano facendo Trunks e Bra accanto a loro.
-Vegeta?- lo richiamò.
-Mh?-
-Ti dispiace se avvicino il mio sedile al tuo?-
Lui scrollò le spalle. –Fa come ti pare.-
Bulma, felice come una pasqua, premette il pulsante che il figlio le aveva mostrato prima, quello con raffigurati i due sedili l’uno accanto all’altro. Poggiò la testa sulla spalla del compagno.
-Sai l’idea di dormire sola non mi piace.- sussurrò chiudendo gli occhi. Li riaprì di scatto quando avvertì i sedili scivolare in avanti, non erano completamente sdraiati ma neanche seduti, una via di mezzo. Gli sorrise constatando che i braccioli, che fungevano da divisori, erano scomparsi.
-Grazie.- sussurrò richiudendo gli occhi, e stavolta si addormentò.
 
La luce che entrava prepotentemente dal finestrino non gli dava pace, provò a voltarsi dalla parte opposta ma fu tutto inutile. Si chiese per quale assurdo motivo la sera prima non avesse abbassato quella specie di tenda, almeno avrebbe potuto dormire di più.
-Trunks! Trunks!- si sentì scrollare dalla sorella. Addio sonni tranquilli.
-Cosa c’è, Bra?- le chiese mettendosi a sedere.
-Guarda!- indicò fuori dal finestrino.
Trunks si mise in ginocchio su quel letto improvvisato e si avvicinò all’oblò, chissà cosa aveva visto di strano. Guardò storto la sorella prima di sbirciare fuori.
-Wow!- esclamò.
Sotto di loro si estendeva il continente Europeo in tutta la sua bellezza. Sembrava un quadro, tutto quel verde che predominava, la cima bianca delle montagne e il mare tutto attorno. La luce del primo mattino faceva risplendere l’acqua sotto di loro, quanto avrebbe voluto poter uscire e toccarla sospeso in aria.
-Signori e signore, sono le 9.00 fuso orario francese e la colazione sta per essere servita. Invitiamo i passeggeri a destarsi dal proprio sonno ed effettuare le ordinazioni. Un paio d’ore e atterremo. Grazie.- la voce metallica proveniente dall’interfono fece destare ogni passeggero addormentato.
 
Aprì gli occhi con lentezza, sbattendo le palpebre un paio di volte cercando di mettere a fuoco l’ambiente attorno a sé. Le ci volle un po’ prima di ricordare che erano su un aereo, diretti in Francia. Accanto a lei, anche il marito stava riprendendo possesso delle facoltà cognitive. Alla fine era crollato anche lui, distrutto dal viaggio. Gli sorrise quando le rivolse uno sguardo assonnato, di tutto si potrebbe dire tranne che fosse il principe di una razza guerriera estinta. Con quella faccia assonnata ricordava più un bambino.
Durante l’atterraggio le si tapparono le orecchie in modo fastidioso, inutili i tentativi di stapparle con i classici metodi. Dovette aspettare di scendere dall’aereo per togliersi quel fastidio.
In aeroporto un signore con i frak, con tanto di guanti bianchi e cappello da autista, li attendeva con un cartello con su scritto il nome completo dell’azzurra.
-Bon jour madame Dubois. Je sui Alfred, l’autista personale dei vostri genitori. Accompagnerò voi e la vostra famiglia alla villa. Prego seguitemi.- Alfred parlava mezzo in francese e mezzo in giapponese, risultava divertente la cosa in quanto le due lingue avessero due accenti completamente differenti.
Fuori dall’edificio li attendeva una lussuosa limousine bianca. Prima che Bulma potesse poggiare la mano sulla maniglia, Alfred la precedette aprendole lo sportello e togliendole la valigia dalle mani. La donna sorrise all’autista ed entrò all’interno dell’auto, seguita dagli altri componenti della sua famiglia.
 
La villa Dubois, un’antica costruzione del 700, era situata a Marseille una città francese che affacciava sul mare, nel sud del paese. A pochi chilometri dal centro, la villa si presentava con una facciata di avorio su cui spiccavano le grandi finestre tipiche dell’epoca in cui era stata costruita, si estendeva su tre piani. La porta principale era in cima a una scalinata di marmo lucido. Un’enorme giardino circondava la casa, sulla parte frontale vi era una fontana enorme con una statua greco-romana al centro.
Trunks si guardò attorno affascinato, case così le aveva viste solo sui libri scolastici o su internet.
-Bulma!- gridò una voce femminile.
La donna si voltò e vide le tre sorelle correrle incontro, le abbracciò di slancio.
-Chantal, Eloise, Fumiko! Che bello rivedervi.- disse con gli occhi lucidi, erano anni che non vedeva le sorelle e non si era resa conto di quanto le fossero mancate.
Tutte e tre, così come Bulma, avevano i capelli azzurri; Chantal li portava lunghi fino alla base della schiena, i suoi occhioni azzurri erano esattamente come quelli di Bulma; Eloise li portava legati in una treccia, erano più scuri di quelli delle altre, più tendenti al blu mentre i suoi occhi cambiavano dall’azzurro al verde a seconda della luce; Fumiko li aveva rasati da una parte e lunghi fino alle spalle dall’altra ed avevano delle sfumature violette, i suoi occhi erano verdi come quelli di un gatto ma grandi e lucidi, esattamente come quelli delle sorelle.
-Dio come sei cresciuta! Il mio ultimo ricordo di te risale a quando avevi ancora il pannolino!- scherzò la più grande delle quattro.
Bulma sorrise.
-Bhe? Che ci fate sulla soglia voi quattro? Entrate!- la voce dolce della madre la colse di sorpresa.
Si staccò dalle sorelle ed andò ad abbracciare la genitrice, le lacrime avevano cominciato a solcare le sue guance. –Maman!- esclamò in francese.
-Oh, suvvia! Non c’è bisogno di commuoversi, mon cherì!- le disse la donna scostandola da sé. –Ricomponiti, non vorrei che tuo padre ti vedesse con il trucco colato.- scherzò.
Bulma rise asciugandosi le lacrime, notò che la madre aveva gli occhi lucidi di gioia.
-Cos’è tutto questo casino?- proruppe una voce profonda in francese.
Un uomo sulla sessantina, con capelli corti violetti e vispi occhi verdi, entrò nella stanza. Rimase a bocca aperta alla vista della figlia. –Lucille- mormorò.
-Ciao papà- lo salutò Bulma mentre nuove lacrime minacciavano di scendere. Suo padre non era cambiato di una virgola dall’ultima volta.
-Lucille! Bambina mia, sei veramente tu? Vieni fatti abbracciare!- proruppe allargando le braccia, pronto ad accogliere l’amata figlia.
Bulma non se lo fece ripetere due volte e corse ad abbracciare il padre, ricominciò a piangere di gioia fra le braccia paterne.
-Fatti guardare! Come sei cresciuta.- disse facendole fare una giravolta. –Quanti anni hai?-
-Trentotto.- rispose sorridente. Di colpo un brivido la percorse lungo la schiena e si ricordò di essersi dimenticata un pezzo. –Entrate voi due, nessuno vi mangia!- disse rivolta al marito e ai figli.
I diretti interessati si guardarono tra di loro prima di decidere di entrare.
-Vogliamo rimanere qui in eterno? Accomodatevi, così facciamo le presentazioni con calma.- la voce gentile di Sophì riscosse tutti.
 
Si sentiva un gran baccano provenire dal salotto: piccoli piedi che correvano, voci, rumori di cose che cadono. Solo affacciandosi nella sala compresero che il casino era provocato da una banda di bambini con gli occhi azzurri e verdi.
-Quanta gente.- mormorò Trunks entrando nella stanza.
Andrè battè le mani un paio di volte per attirare l’attenzione, tutti si fermarono improvvisamente prestando attenzione. L’uomo si guardò attorno –Che casino qui dentro.- disse in francese. I bambini ridacchiarono.
-Ora che ci siamo tutti, possiamo procedere con le presentazioni.- continuò nella stessa lingua. –Lucille ci pensi tu?-
Bulma si indicò sorpresa. –Perché io? Non ditemi che mancavamo solo noi!- disse sconvolta. Si guardò attorno sconsolata mentre una marea di occhi di colore diverso la guardavano in attesa. Sospirò e si posizionò vicino alla sorella maggiore. –Lei è Chantal Sakura, la più grande di tutte noi.- disse rivolta alla combriccola che le stava davanti.
-Ciao.- salutò sorridente la donna.
-Lei è Eloise Kylie, la secondogenita.- disse indicando la donna con i capelli legati a treccia. –Lei invece è Eva Fumiko, la più piccola.- disse poggiando le mani sulle spalle della sorella.
-Ciao! Chiamatemi Fumiko, detesto essere chiamata Eva.- esclamò.
Bulma tornò dall’altro lato e si mise in procinto di presentarli. –Lui è mio marito, Vegeta Prince. Lui è il nostro primogenito, Trunks Vegeta. E lei è la più piccola, si chiama Bra.-
-Uhm.. ciao a tutti.- disse in imbarazzo Trunks.
-Tao!- esclamò la piccola facendo intenerire le donne presenti.
La prima a prender parola fu Fumiko. –Vorrei presentarti la mia famiglia ora.- fece il giro della stanza ed affiancò un uomo castano con gli occhi verdi, era alto più o meno uno e settantacinque. –Lui è Stephan, mio marito.- l’uomo teneva in braccio una bambina castana con penetranti occhi verdi. –Lei è Yuki, la nostra bambina. Ha cinque anni.-
-Okay, la mia di famiglia è più numerosa.- disse Eloise posando una mano sulla spalla dell’uomo che le stava affianco. –Lui è Michael, il mio compagno.-
Michael era alto più o meno quanto Stephan, era moro ed aveva degli occhi azzurri da far invidia. –Ciao.- disse con un leggero accento inglese.
-Quelle due pesti che si rincorrono sono i nostri gemelli, Sebastian e Christian.- continuò Eloise indicando due ragazzini di all’incirca dodici anni che si rincorrevano per la stanza. I gemelli avevano entrambi i capelli scuri e gli occhi azzurri, sembravano identici. –Mentre l’altro appiccicato al gameboy è Arthur.- Il ragazzino fece un gesto veloce della mano in segno di saluto, aveva gli stessi colori dei gemelli, solo che i suoi capelli avevano riflessi blu.
L’ultima a parlare fu la maggiore; Chantal era affiancata da un uomo alto poco di più degli altri due, biondo con gli occhi azzurri, la carnagione chiara suggeriva origini nordiche. –Lui è Jonathan, mio marito. Quella seduta sul tavolo è Erika, i due per terra con le carte sono Riku e Damien, la bambina seduta sul divano è Zoè.-
Erika era la fotocopia spiccicata del padre, lunghi capelli biondi e occhi azzurro ghiaccio; Riku aveva i capelli biondi e gli occhi azzurro/verdi, forse ripresi dal nonno; Damien aveva i capelli della madre e gli occhi del padre mentre Zoè era la fotocopia della madre.
Bulma era rimasta un po’ spiazzata da tutta quella gente, si aspettava che le sorelle fossero sposate ma tutti quei bambini nella stessa stanza non li aveva mai visti.
-Io sono Sophì, la madre di Bulma. È un piacere fare la tua conoscenza.- la donna si era avvicinata a Vegeta, porgendogli la mano sorridente.
Il Saiyan la fissò un attimo poi strinse la mano, in silenzio. Quella donna le dava un non so che di materno, ci avrebbe pensato in un altro momento.
-Io sono Andrè.- disse l’uomo dai capelli violetti avvicinandosi al Saiyan. Era la prima volta da quando erano entrati che non parlava in francese. –Spero tu abbia trattato bene la mia Lucille in questi anni.- aggiunse poi in francese.
La donna accanto a lui gli tirò uno scappellotto. –Ti sembra il modo di rivolgerti a tuo genero? Screanzato!- lo rimproverò in francese.
Andrè si massaggiò il punto colpito. –Era solo una domanda.- borbottò.
Scoppiò una risata generale all’interno della sala, o almeno rise veramente solo chi comprendeva il francese, gli altri, come Stephan e Jonathan che di francese capivano poco, si limitarono a sorridere.






Angolo autrice:
Ecco il secondo capitolo :D
Che famiglia enorme che ho creato, non vi dico per scegliere i nomi e le caratteristiche fisiche =__= Santo internet! 
Okaaaay in Francia non ci sono mai stata, nè parlo francese (ho studiato spagnolo alle medie ò__ò) e non ho la minima idea del motivo per il cui ho deciso di ambientarla proprio in Francia. Mah vediamo come prosegue uwu
Alla prossima.
  
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