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Autore: Jordan Hemingway    20/07/2015    1 recensioni
Dal testo:Alle tre e dieci gli ingranaggi del matrimonio ticchettavano precisi come quelli di un orologio.
L’autista aveva fatto scendere la sposa davanti all’hotel e gli ospiti attendevano nella hall sorseggiando calici di liquido argentato.
Le guardie del corpo dello sposo avevano lanciato legami runici contro una mezza dozzina di giornalisti intraprendenti, che il giorno dopo avrebbero scritto articoli pungenti sulla libertà di stampa e la discriminazione tra umani ed elfi.
L’orchestra eseguiva lenti e ballate Sindarin con la consumata abilità di un prestigiatore nel segare in due un folletto.
La cerimonia dell’anno poteva ufficialmente iniziare.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mossa della Regina



Attenzione: la seguente storia presenta l'uso del linguaggio tolkeniano, completamente avulso dal contesto e dalla trama. Non è in alcun modo pensata come un AU del Signore degli Anelli.


A little party never killed nobody,
so we gon’ dance until we drop.
Fergie, A little party never killed nobody (All we got)
 
Alle tre e dieci gli ingranaggi del matrimonio ticchettavano precisi come quelli di un orologio.
L’autista aveva fatto scendere la sposa davanti all’hotel e gli ospiti attendevano nella hall sorseggiando calici di liquido argentato.
Le guardie del corpo dello sposo avevano lanciato legami runici contro una mezza dozzina di giornalisti intraprendenti, che il giorno dopo avrebbero scritto articoli pungenti sulla libertà di stampa e la discriminazione tra umani ed elfi.
L’orchestra eseguiva lenti e ballate Sindarin con la consumata abilità di un prestigiatore nel segare in due un folletto.
La cerimonia dell’anno poteva ufficialmente iniziare.
“Lord Imlach, Dama Morwen.” I futuri sposi si fermarono. “Merin sa haryalyaë alassë.[1]
Im gelir ceni ad lìn[2], Lord Aranel.” Dama Morwen sorrise. “Da molto tempo non avevamo vostre notizie.”
“La Borsa, tutta colpa della Borsa. Gli affari saranno la rovina del popolo elfico, mia signora: nemmeno la mia famiglia mi vede da giorni.”
“Senza dubbio Dama Beruthiel ne sarà rattristata.”
Lord Aranel torse la bocca. “Indubbiamente, se ritenete le fatture dei sarti e dei tappezzieri un mezzo per esprimere rammarico.”
“Un modo molto umano per manifestarlo.” Lord Imlach, annoiato, spostò i suoi occhi sulla sala controllando che tutto si svolgesse come previsto, e che tra le sete e i ricami preziosi non si nascondessero Colt e pugnali.
“L’umanità ha i suoi difetti,” replicò l’altro irritato dal commento, “ma anche alcuni pregi, primo fra tutti la capacità di comunicare chiaramente.”
“Una dote che non molti comprendono.” Fu la risposta. “Mi domando se i soldi del vostro suocero adanedhel[3] abbiano contribuito a formare quest’opinione sul genere umano.”
Stringendo appena più forte il calice, Lord Aranel sorrise. “E io mi chiedo se ai vostri occhi sia più attraente il viso di Dama Morwen o il nome che porta.”
Cuio nin mellon[4], Lord Aranel.” L’elfa posò una mano guantata di nero sul braccio del futuro marito. “Non roviniamo un giorno di festa. Spero di vedervi ancora in questa giornata.”
No galu govad gen[5] Dama Morwen. Calo anor na ven[6].” Con un inchino il Lord si mischiò agli altri ospiti.
“Non c’era motivo di ricordargli la discendenza della moglie.” Sussurrò Morwen, camminando lentamente al braccio di Imlach tra i gruppi di invitati. “Il suo clan è ancora potente.”
“Non per molto.” La voce di Imlach era un appena più sonora di un mormorio. “Speculare con gli umani comporta dei rischi che i Lelaidhrim non hanno calcolato.”
“Potremmo aiutarli.” Rifletté l’elfa. “Aumenterebbe il nostro prestigio.”
“Non muoverò un dito verso chi si mescola agli adanrim[7].”
Dama Morwen sorrise in risposta a un saluto. “Ne parlerai con mio padre.”
Imlach serrò impercettibilmente le labbra. “Come desideri.”
“E cerca di mostrarti più allegro: stiamo per sposarci, ricordi?” La lunga collana di perle dell’elfa tintinnò, sottolineando le sue parole. “Un’unione tra due clan come i nostri è un evento da celebrare con gioia.”
L’orchestra attaccò un nuovo motivo.
 
 
In passato, quando Imlach era un semplice cane da guardia del clan Helegrim, l’elfo aveva prestato servizio durante cerimonie simili.
Anche ora il suo sguardo spaziava in ogni direzione, individuando con precisione chirurgica ogni punto debole. Deformazione professionale, supponeva: aveva visto troppi matrimoni concludersi con la dipartita più o meno brutale dei novelli sposi.
In alcuni casi per mano propria.
Per questo aveva provveduto personalmente a innalzare barriere protettive e aumentare i livelli di sicurezza: non poteva permettersi uno sbaglio, non quando era così vicino al proprio obiettivo.
Gli accordi di violino e clarinetto riempivano l’atmosfera, ma neppure la musica più assordante avrebbe potuto infastidirlo.
Il viso di Imlach si fece ancora più affilato, gli occhi lampeggiarono.  
Potere.
Era ciò che aveva sempre desiderato sopra ogni altra cosa, e ora brillava davanti a lui, bastava allungare le mani e afferrarlo. 
Niente più inchini sottomessi davanti ai rappresentanti del Consiglio, nessun motivo per reprimere le proprie idee.
Non avrebbe più accettato frecciate sulla sua ascesa da guardaspalle a capo di uno dei clan più potenti della Città, una scalata che aveva infranto ogni convenzione sociale.
Si sussurrava che il precedente capo del clan Helegrim non muovesse un dito senza consultare il suo fidato cane da guardia, e che quest’ultimo non fosse stato estraneo alla morte del superiore.
Pettegolezzi da salotto, privi di sostanza ma velenosi quanto bastava per rappresentare una spina nel fianco.
Presto le cose sarebbero cambiate.
I Thorodhrim erano potenti, ma soprattutto avevano la nobiltà di sangue (si concesse un sorriso amaro al pensiero) che a Imlach mancava: grazie a loro il clan Helegrim avrebbe acquistato importanza sufficiente a imporsi sugli altri e a parlare al Consiglio Cittadino, in cambio di fondi e di arsenale.
I voti matrimoniali erano un piccolo prezzo da pagare per ottenere il controllo assoluto su tutta la Città, elfi, umani, folletti, banshee e ogni altra specie.
Era l’unione tra un Leviatano e un Behemot, e tutti ne erano consapevoli.
Nessuna meraviglia che Imlach avesse schierato tutti i suoi pezzi in previsione di un attacco: gli impermeabili neri dei cani da guardia Helegrim spuntavano ovunque, assieme ai musi fiammeggianti dei cerberi tenuti al guinzaglio.
L’area era stata setacciata alla ricerca di legami runici innescati, gli ospiti erano stati esaminati da macchine che univano gli ultimi ritrovati della scienza alle antiche conoscenze di magia elfica.
Eppure, Imlach sentiva che qualcosa non andava.
Come cane da guardia era stato il migliore: non aveva mai lasciato nulla al caso, si era occupato di ogni incarico con la stessa cura di un drago verso il suo bottino. E aveva imparato che quando il suo istinto decideva di parlargli era meglio prestare attenzione, perché la situazione stava per diventare davvero grave.
“Raddoppiate le ronde.” Ordinò alle sue guardie. “La sorveglianza sarà responsabile per ogni incidente.”
Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare il suo trionfo.
Neppure alla futura moglie e alle sue frecciate.
 
 
Era giunta l’ora della cerimonia: al di là delle vetrate di cristallo, la Città e i suoi edifici si stagliavano contro le ultime luci del tramonto. Presto la notte sarebbe stata rischiarata dai bagliori delle lampade che iniziavano ad essere appese nelle vie sottostanti, e il flusso di tram e passanti diretti verso casa sarebbe stato sostituito da quello dei nottambuli: umani in vena di divertimento, folletti in ritardo per le prove finali dei loro spettacoli, compagnie di nani accompagnati da botti di birra, ladri e prostitute di ogni specie e dimensione.
Niente di tutto questo avrebbe intaccato lo splendore degli elfi, lì nell’elegante attico dove Dama Morwen e Lord Imlach stavano per scambiarsi voti di amore eterno. Interessato ed eterno.
L’orchestra, unica enclave non elfica presente nel salone, continuava a suonare, incurante del mondo di intrighi e risate che si dipanava attorno alle note prodotte dai loro strumenti: del resto venivano pagati per ignorare ed essere ignorati.
Come per istinto, gli ospiti avevano iniziato a radunarsi ai piedi dello scalone in cima al quale sarebbero presto comparsi i due sposi.
“Ecco il vecchio Huntor, in tiro come se fosse al suo funerale.” Commentò Dama Beruthiel in un tono appena più alto di quanto consentito dall’etichetta. “Cercatori d’oro fino al midollo, lui e la figlia.”
“Modera il linguaggio, mia cara.”
“Sei divertente quanto un lenzuolo bagnato, Aranel.” Con un’alzata di spalle ben poco elfica, Beruthiel alzò gli occhi verso il soffitto. “Spero solo che finiscano presto: non voglio perdere l’ultimo spettacolo al Moonshine.”
“Non andrai in nessuna stamberga adanrim stasera.”
“E’ la tua gente, non la mia.”
“Per quanto sia sgradevole per entrambi ricordarlo, cara moglie, sei umana solo per un ottavo.” Sussurrò Lord Aranel, stringendole il braccio. “E neppure gli umani apprezzano molto i traditori della propria specie.”
“E tu sei un esperto in questa materia, vero, tesoro?” La dama sorrise in modo sgradevole. “Quanti di quei piccoli bastardi adanedhel che girano nella nostra tenuta sono frutto dei tuoi lombi?”
Rosso in viso, Aranel stava per replicare quando improvvisamente calò il silenzio.
Imlach e Morwen si erano affacciati alla balaustra di marmo, tenendosi per mano.
 
 
Dire che Imlach detestava la sua futura consorte sarebbe stato eccessivo: del resto, la sua freddezza e il suo autocontrollo erano leggendari. Indifferenza, questo era un termine che definiva meglio i suoi sentimenti verso di lei.
Perché Morwen Thorodhrim sapeva benissimo che agli occhi di Imlach lei sarebbe sempre stata uno strumento, mai una persona.
Del resto lei ricambiava cordialmente il disinteresse.
Anche adesso, mentre la sua mano reggeva con eleganza quella di lei, riusciva a percepire come ogni gesto fosse privo di qualsiasi significato per lui.
Morwen poteva essere un'ipocrita, ma non era stupida: sapeva bene come le finanze del proprio clan fossero sull’orlo della tragedia, e dentro di sé ringraziava gli dèi per l’insperata fortuna di quel matrimonio. Un’unione con un ex-cane da guardia, non con un membro dell’alta nobiltà come invece aveva sognato da bambina, ma che le avrebbe consentito di avere libertà e potere oltre ogni immaginazione.
Matrimoni combinati: parte della cultura elfica dai tempi delle prime Città, quando per evitare che l’influenza delle ballate romantiche portasse alla scomparsa per assimilazione della loro specie si erano iniziate a prendere misure drastiche.
Non che io sia una fanciulla irretita da un cantastorie umano. Anche se quel contrabbassista nell’orchestra... Morwen trattenne una risata.
Dopotutto, per queste cose ci sarebbe stato ampio spazio dopo il matrimonio.
Eppure, nonostante ora suo padre si stesse avvicinando con le due gemme di rito, non poté fare a meno di pensare che sarebbe stato tutto molto diverso, se Imlach l’avesse perlomeno degnata di attenzione invece di fissare i loro invitati come se si aspettasse un attacco a sorpresa.
Non che non abbia motivo di sospettarlo, ma è irritante.
Morwen decise di lasciar correre: avrebbe aspettato qualche mese prima di far capire a quell’arrivista chi avrebbe comandato tra loro.
Huntor sollevò le due gemme e le appuntò sul petto della figlia e del genero.
Lasto iâl Morwen adh Imlach adh elio din Eru.” Augurò loro, per poi aggiungere, in mancanza di un genitore dello sposo: “Tiro Imlach adh Morwen Aran Einior, adh elio din Eru.”[8]
Morwen sollevò la mano, sfilandosi il cerchio d’argento simbolo del fidanzamento e tendendo l’indice verso Imlach, il quale fu pronto a infilarle un anello d’oro e a porgerle la propria mano affinché lei stessa potesse fare altrettanto.
Infine, rivolsero un piccolo inchino verso gli ospiti sottostanti, che ricambiarono con scrosci di applausi e benedizioni.
Fu allora che venne portata la torta.
 
 
Huntor Thorodhrim aveva poche certezze nella vita: tra queste vi era la convinzione che fosse di cattivo gusto organizzare una festa secondo i dettami umani, per quanto innocui. Anche se la maggior parte degli elfi dietro la facciata di isolamento e purezza era maledettamente incline a mischiarsi agli umani, in pubblico chiunque si sarebbe mostrato offeso da ogni mescolanza tra le specie.
E dato che in quella sala erano presenti personaggi particolarmente influenti, Huntor, il manipolatore e tessitore di relazioni per eccellenza, aveva ritenuto opportuno attenersi alle tradizioni classiche.
Per questo era sicuro che quella torta pacchiana non fosse parte della festa.
L’enorme piramide di panna e glassa dorata si aprì un varco tra i presenti, spinta dalle braccia dei camerieri rossi per lo sforzo.
L’orchestra attaccò la marcia nuziale.
Alcuni ospiti iniziarono a parlottare e a ridacchiare, senza dubbio criticando la caduta di stile: solo per questo Huntor avrebbe preteso il sangue di chi, tra i suoi sottoposti incaricati dell’organizzazione del matrimonio, aveva deciso di prendere una tale iniziativa.
“Di chi è stata l’idea?” Ringhiò al suo segretario, osservando il viso di Imlach diventare ancora più affilato per il disgusto.
“Non mia, signore.” Fu la replica veloce: tutti i dipendenti di Huntor sapevano che non era il caso di tergiversare con lui, a meno di volersi ritrovare in mezzo a una strada.
Non necessariamente vivi.
“La farò portare via immediatamente.” Aggiunse l’elfo, ma il suo datore di lavoro scosse la testa.
“Ormai è tardi, tutti hanno visto.” Huntor strinse i pugni e alzò il mento. “Voglio i nomi dei responsabili, al più presto.” Soggiunse, cercando di trattenere l’ira.
I camerieri posizionarono il dolce proprio sotto la balaustra. L’orchestra attaccò un motivo allegro, più adatto a un club notturno che a una cerimonia Sindarin, giudicò Lord Thorodhrim.
“Finalmente un po’ di vita!” Esclamò Dama Beruthiel, che si stava godendo lo spettacolo di un Huntor preda del pubblico ludibrio. “Adesso dalla torta uscirà una ballerina svestita, scommetto fino all’ultimo centesimo.”
“Che cosa significa?” Gli occhi di Imlach si assottigliarono: conosceva abbastanza il suocero e socio da sapere che non si sarebbe esposto in modo simile per niente al mondo. Percepì, più che vedere, le crepe che si formavano nella torta, pronta a rigurgitare chiunque vi fosse all’interno.
Morwen tentò un sorriso. “Mio padre deve aver esagerato…”
Di chi era stata l’iniziativa?
La torta si spaccò in due metà.
Con uno scatto improvviso Imlach si gettò a terra, trascinando con sé la moglie e mancando il proiettile di pochi centimetri.
Dalle macerie di panna e zucchero emerse la canna fumante di un fucile.
Solo allora tutti si accorsero che l’orchestra aveva smesso di suonare.
“Sorpresa!” Il cecchino saltò sul pavimento e rivolse un inchino elaborato agli elfi. “Restate calmi e nessuno si farà del male. A parte la sposa.”
E sparò di nuovo in direzione di Morwen.
 
 
 
 
[1] Lett. Ti auguro di possedere gioia.
[2] Felice di vederti (Lett. Una stella splende sul nostro incontro)
[3] Mezzelfo
[4] Vivi e sii mio amico
[5] Le benedizioni siano su di te
[6] Lett. Il sole splenda sul tuo cammino
[7] Umani
[8] Possa Varda udire le invocazioni di Morwen e Imlach, e possa Eru padre di tutti benedirli.// Che Manwe signore dei venti protegga Imlach e Morwen, e possa Eru padre di tutti benedirli.
  
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