C’è
solo fuoco. Le sue spire, di un colore giallo-rosso, lambiscono delle
figure
indistinte, dalle sembianze umane che squarciano il cielo con le loro
urla
ferite. C’è tanto sangue. Sull’erba.
Sugli alberi. Sui fiori. Su di me. Una
voce, familiare ma eterea, emerge dal caos.. Promettimelo…
Promettimelo…
<
Lexie vieni giù, i ragazzi devono
andare a scuola! > lo strillo mi sveglia di soprassalto.
Picchio
la nuca contro la testiera del letto
soffocando un’imprecazione. Ho il cuore in gola, brividi
gelati lungo il corpo
e il pigiama è appiccicato alla mia pelle sudata. Cerco di
scacciare dalla
mente l’ennesimo incubo che ogni tanto perseguita il mio
sonno e inizio a
pensare alla solita ruotine che scandisce le mie ore diurne. Mi alzo e,
tanto
per migliorare il mio umore mattutino, mi guardo allo specchio. Due
occhi di
colore blu elettrico mi restituiscono lo sguardo, capelli neri corvini
molto
spettinati fanno da
contorno alla mia
faccia pallida ancora assonnata e occhiaie profonde mi segnano il
contorno
degli occhi. Ok, addio autostima. Sto proprio uno schifo.
L’orologio segna le 7.40
quindi sì sono decisamente in ritardo. Frugo
nell’armadio e, nel mucchio
informe che dovrebbe contenere l’agglomerato dei miei
vestiti, pesco a caso un
paio di jeans corti e una maglietta nera con un una spirale multicolore
al
centro, una delle mie preferite. Percorro il corridoio di corsa e mi
fiondo verso il bagno. Ma un ragazzino allampanato mi supera di slancio
e mi
sbatte la porta in faccia.
< Joey!
> urlo infuriata.
Potrei
tranquillamente rompere la serratura,
aprire la porta e buttare fuori di peso la giovane peste che sta
occupando il
mio bagno ma questo non è il mio stile. Perlomeno non qui.
Decido quindi di far
colazione e scendo in salotto. Come al solito, è un
disastro. Inciampo su
mucchi di vestiti sparsi qua e là e quando raggiungo il
tavolo devo lottare
contro l’invasione di scatole di cibo e bottiglie vuote per
accaparrarmi una
tazza di cereali. Mentre mi godo il croccante bottino conquistato con
fatica,
la osservo. Gina è lì , accasciata su una delle
tante sedie che avrebbero bisogno
di una rivisitazione all’imbottitura sgualcita. È
ubriaca già di prima mattina.
Una volta aveva abbastanza autocontrollo su di sé da evitare
le pesanti sbronze
mattutine ma, ultimamente, è difficile che non si scoli
almeno un bicchierozzo prima
del sorgere dell’alba. Mi sorprende che sia riuscita, poco
prima di crollare inerte
sulla sedia, a sbraitare così forte. Mi preparo in fretta e
furia, usando il
pettine di riserva e sciacquandomi nel lavabo della cucina. Un paio di
teste
arruffate emergono dallo stipite della porta.
<
Pronti per andare? > chiedo, cercando
di infondere nella mia voce un pizzico di entusiasmo. Non funziona.
Jane, un
piccolo angioletto biondo di sei anni mi guarda assonnata, e Max mi fa
un
sorriso tirato e un po’ confuso. Mmmh a quanto pare devo
ancora allenare
ulteriormente la mia capacità di trasmettere entusiasmo
nelle giovani menti fanciullesche.
Max è l’ultimo arrivato. È qui da un
paio di mesi. Non ha detto una sola parola
da quando è stato recuperato. Non so quale sia la sua
storia, ma di sicuro non
prevede unicorni saltellanti e arcobaleni lucenti, come quelle di tutti
noi del
resto. Siamo i ragazzi della 107esima casa famiglia di Los Angeles. Io,
Joey, Jane
e Max. Joey viene dal riformatorio di Upper Street, sulla
quattordicesima, così
come Jane. Mentre il piccolo Max l’hanno trovato su una
strada in periferia,
raggomitolato in fondo a un cassonetto di immondizia, che piangeva
impaurito. È
un miracolo che siano stati gli Agenti Paritari a trovarlo prima di
qualcun
altro o di qualcosa di altro. Nessuno sa cosa gli sia successo o quanti
anni
abbia. Sappiamo solo che dopo un breve periodo in un orfanatrofio,
è stato
scelto per il Programma. Ogni anno pescano a caso alcuni ragazzini dai
riformatori, dai penitenziari giovanili, dalle strade e inseriscono le
povere
piccole anime sbandate in una Casa Famiglia, per portarli sulla via
della
redenzione. Questa è la storia ufficiale. In
realtà si tratta soltanto di scaricare i
ragazzini problematici al primo sconosciuto che passa, che
però è abbastanza
furbo da capire che gli assegni mensili possono essere piuttosto utili
a
migliorare la sua triste e penosa vita. Ovviamente non sono delle cifre
esorbitanti, ma sono sufficienti per permettere una vita quanto meno
dignitosa,
difficile da trovare di questi tempi. Ma, chissà
perché, nelle Case Famiglia è
stato riscontrato un progressivo aumento di Affidatari totalmente
sballati, o
pieni fino al collo di debiti di gioco oppure sempre sbronzi, come nel
caso di
Gina. Ma per spiegare la difficile realtà in cui ci troviamo
oggi, bisogna
partire dall’inizio. Dal momento della Rottura, tutto
è cambiato. Anni e anni
fa la barriera intradimensionale tra i le realtà si
è spezzata. Si sono
riversati nel nostro mondo migliaia di mostri e di demoni di ogni
genere e
specie. Il Grande Male è arrivato, ha distrutto ogni
briciolo di resistenza ed
è scoppiato il caos. Esercito, militari, governo, forze di
polizia, cittadini,
tutti hanno cercato di contenere i danni combattendo gli
invasori con ogni mezzo, riuscendo a
conquistare una situazione di stallo. Ma a causa della guerra
prolungata, molte
città sono state distrutte. Interi paesi sono stati rasi al
suolo, insieme ai
loro abitanti. Quando tutto sembrava perduto, loro sono arrivati.
Pochissimi si
sono presentati come salvatori aiutando
i pochi sopravvissuti a sterminare i mostri e a riportare
l’ordine nelle poche
comunità umane ancora rimaste in piedi. Altri hanno
preferito ritirarsi nell’ombra
allungando le loro radici malsane nei meandri delle città.
Ma la maggior parte
di loro si sono appropriati di interi Paesi, alleandosi con i demoni,
istaurando una dittatura e uccidendo tutti coloro che si opponevano al
loro
governo. In breve hanno sedato le ultime rivolte e hanno istaurato
un’alleanza con
il mondo dei demoni o per meglio intenderci, hanno stabilito un
rapporto
gerarchico che prevedeva la loro suprema sovranità. Poi
hanno stabilito le
proprie leggi, e hanno preteso l’obbedienza incondizionata di
demoni e umani. Insomma,
in altre parole, ne hanno fatte di cotte e di crude. Ma si sa, come
insegnano
il mito e l’epica, gli Dei seguono solo i loro capricci.
Il
Programma impone alcune regole, allegramente esposte
nell’atrio di casa e
pronte ad essere “ analizzate attentamente e studiate con
perizia“da noi
Affidati (cit. del nostro assistente sociale: Gary Linders,
più comunemente
noto come il Vecchio G. L. ). In sintesi ecco i principali
“decreti
inviolabili”:
1
)Rispettare il proprio Affidatario come una figura genitoriale (ehm
questo
punto non mi è proprio chiaro, Gina una figura genitoriale?
Ma per favore…)
2)
Frequentare la scuola senza riportare alcun debito a fine anno OPPURE
(il
maiuscolo non è mio, notate la serietà di questi
tipi ) trovarsi un lavoro per supportare
il difficile compito di mantenimento dell’Affidatario
3)
Rispettare l’orario del coprifuoco imposto dal vostro
Affidatario (che cosa si
intende esattamente per coprifuoco? Le mie lacune scolastiche tendono a
farsi
sentire sempre più spesso ultimamente)
Se
ti beccano a infrangere una di queste
sommarie, sei fuori e ti guadagni un biglietto, questa volta di sola
andata,
per il Riformatorio. Se ti beccano. E con questo ho detto tutto.
Visto
che sono in vena di esibire le mie
conoscenze storiche, vorrei fare più chiarezza sulla
situazione in cui i
cittadini di Los Angeles si sono ritrovati dopo la Rottura. Con la
Seconda
Invasione gli Dei hanno preso il controllo praticamente di tutte le
città del
Nord America. Una volta conquistato il proprio pezzo di mondo, hanno
fatto
erigere statue e manifesti in loro onore (come ben si sa, gli Dei sanno
essere
piuttosto vanitosi e amano farsi idolatrare come figure divine, mmmh so
che lo
sono ma non è questo il punto). Comunque, ritornando alla
storia, L.A. è stato
un caso più unico che raro. In seguito alla Prima invasione,
la città si è
spaccata in tre parti (nord, sudest e sudovest) ognuna delle quali
è stata
reclamata da qualche tronfio buffone, la cui storia forse
racconterò più
avanti. Dopo pochi anni di governo, nei quali si sono susseguiti
combattimenti
per la conquista di ogni parte della città, gli
pseudo-leader sono stati detronizzati
da una figura misteriosa, apparsa alla giuda di un cavallo bianco, con
una
scintillante armatura color carbone e un elmo nero borchiato che non
faceva
intravedere nulla del volto al di sotto di esso (Jane ha molta fantasia
ma è
anche piuttosto brava a raccontare le storie ). Di questo strano tipo
si sa
poco o, meglio, praticamente nulla. Pare che nessuno l’abbia
più visto dopo la
prima, trionfante apparizione. Lui (o lei), conosciuto in
città come il
Solitario, è a capo di una sorta di Confraternita, formata
da strani individui mascherati
che difendono la città dalle rare incursioni di ribelli.
Tutto questo è quello
che si conosce di lui. Molti credono che sia un Dio, visto che al
Secondo
Arrivo è stato lasciato in pace. Altri credono che sia un
demone dotato di
poteri talmente grandi da intimidire persino gli Dei. Io penso che sia
soltanto
un tipo abbastanza furbo da sapere che ci sono molteplici mezzi per
mantenere
il potere e l’intelligenza
è il
principale. Sotto il suo dominio, le leggi sono semplici e chiare: non
si
uccide, non si ruba, non si rompono i coglioni agli altri. Ogni mese,
nel
giorno del Riscatto, ogni umano deve versare diversi litri di sangue
(maggiori
o minori a seconda dell’età), per nutrire il
popolo demoniaco. A questi ultimi
è vietato uccidere gli umani o fare a loro cose malvagie
come strappargli gli
occhi o mangiargli un arto o cose del genere. Per favorire la
convivenza umano-demoniaca
è stato creato un corpo di Polizia Paritaria che
è formata sia da componenti
umani che demoniaci che si occupano di far rispettare le leggi. In
questo modo umani
e demoni hanno l’illusione di avere ancora un poco di
controllo sulla propria
vita. Si occupano loro dei crimini minori (furti, scazzottate, piccole
faide
mafiose…), mentre il sequestro e l’omicidio sono
di competenza dei membri della
Confraternita. I Confratelli si scomodano solo quando di tratta di
possibili
opere di ribelli.
Mentre
porto i ragazzi a scuola penso che, nel
ghetto in cui viviamo, il nostro piccolo nucleo di Affidati
può dichiararsi
fortunato. I ragazzi possono
studiare visto che una delle poche scuole
rimaste attive (e in piedi) in città è
a 5 km dalla nostra via. E io ho un lavoro che ci permette di campare
(o meglio
due, ma il secondo non è proprio un lavoro come lo intende
la maggioranza delle
persone). Mi occupo di consegnare pacchi da una parte
all’altra della città. È
un lavoro meno noioso di quanto sembra e presenta divesi vantaggi: ad
esempio,
posso passare da Quartiere a Quartiere senza problemi, mentre la
maggior parte
dei lavoratori deve rimanere nella propria Zona. Penso che temano
riunioni
private in bunker segretissimi volti a reclutare anime propense ad atti
ribelli,
o qualcosa del genere. Ognuno deve rimanere nella propria Zona e a
mezzanotte
scatta il Coprifuoco per tutte le persone che non sono autorizzate a
lavorare
di notte. La nostra compagnia ha turni sia notturni che diurni, non
chiedetemi
perché, ma per me è meglio così.
<
Lexie, siamo arrivati> la voce della
piccola Jane mi riscuote dai miei pensieri. Spesso ho la testa tra le
nuvole,
ma visto quello che faccio, ogni tanto bisogna concedermelo. Lascio i
piccoli
davanti a quella che un tempo era una delle principali scuole di L.A.
che ora
si presenta come un edificio fatiscente di sette piani.
L’intonaco dei muri è
completamente andato e da qui si riescono a scorgere cartelloni
sbrindellati e
teste arruffate attraverso i pezzi di un muro ormai decadente. La Davis
School,
un tempo destinata all’istruzione dei rampolli di famiglie
ricche, è diventata
una scuola unitaria: ospita principalmente bambini delle elementari e i
pochi
ragazzi sopra i dieci anni che vanno ancora a scuola. Joey è
uno di quelli.
Nonostante sia una testa calda, la scuola gli è sempre
andata a genio. Forse
perché anche lui è molto intelligente. Tutta la
sua stanza è piena di pezzi di
metallo e di parti di ricambio arrugginite che Joey usa per costruire
strane
apparecchiature di cui non ho mai indagato il possibile uso.
Mentre
mi allontano dalla scuola, i ragazzi
mi salutano. Jane agita la manina, Max mi rivolge un mezzo sorriso e
Joey mi fa
una bella linguaccia. Tipico.
Ora
è tempo di lavorare. Vado alla Jumpy
House, il centro di controllo operativo della compagnia di spedizioni.
Lì è
sempre un caos. Tra pivellini incapaci di sistemare un pacco dietro la
bici e
le urla del capo che cerca rabbiosamente l’attenzione di
qualche corriere, non
sai dove girare la testa. Un ragazzone alto e muscoloso con una bici
sottobraccio, mi chiama con un gran sorriso che, noto subito, non si
scorge nei
suoi brillanti occhi turchesi.
<
Ehi Lexie! >
<
Robbie! > gli vado incontro e ci abbracciamo.
< quando sei tornato? > gli chiedo sorridendo.
<
Stamattina! >
<
Come sta? >
Gli
sparisce il sorriso e lo sguardo si intristisce
di colpo. Aveva chiesto una settimana di permesso per restare nella
Zona Sud,
dove il suo fratellino era rinchiuso in un ospedale governativo,
sospettato di
essere stato infettato da un virus soprannaturale. Non poteva lasciare
la Zona
fino ad accertamenti, ma prima che partisse non sembrava che fosse
così grave.
Lo
tiro in un angolo, per allontanarci da
orecchie indesiderate.
<
Che cosa è successo? > chiedo,
temendo la sua risposta.
<
Non ce l’ha fatta Lexie > la voce
gli trema appena < lui non… l’ho
visto… lui era… > Non trova le parole e
quindi si zittisce. Lo stringo forte e lui sotterra il viso nella mia
spalla. È
rarissimo che si faccia vedere così, persino con me.
<
Allora? Finito di lavorare
scansafatiche? > Davanti a noi si trova il capo a braccia
conserte che
picchetta insistentemente il dito sul suo avambraccio. Al suono della
sua voce
Robbie si stacca di scatto da me e senza una parola va a prendere i
suoi
pacchi.
<
Faccio io le tue consegne oggi> gli
dico seguendolo a ruota e ignorando le proteste di “mancata
educazione” del
capo-
<
No > replica lui con troppa fermezza
< io ho bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa >
<
Va bene, sicuro > rispondo,
stringendogli il braccio. Mentre si allontana si gira dalla mia parte,
mi
guarda e sillaba un “grazie”.
La
mia giornata prosegue tranquilla. Tra pacchi da consegnare, mance da
ricevere e
ragazzini da riportare a casa, è già sera. Ed ora
sì che inizia il
divertimento.