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Autore: _Lady di inchiostro_    21/07/2015    5 recensioni
«Che ne dici di spiegarmi in che rapporti siete?»
«Puro rapporto a fini scolastici, è chiaro.»
«Mi hai preso forse per deficiente? Tanto lo so che tra voi due c’è qualcosa, non sono mica cieco!»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Bugiardo! L’ho visto, te l’ho detto che non sono cieco…»
«Davvero? E da cosa l’avresti visto?»
«Da come ti guarda.»

**
Law è il tipico ragazzo totalmente dedito allo studio. Forse sarà il suo essere fin troppo meticoloso e scrupoloso che lo porterà a dare ripetizioni a Monkey D. Rufy, un ragazzo che odia dover studiare ma che batte tutti in qualsiasi sport.
E se tra i due dovesse nascere qualcosa? Potrà davvero andare avanti col caratteraccio che si ritrova Law?
Per non parlare di cosa ne potrebbe pensare il fratello maggiore di Rufy…
**
{AU: contesto scolastico} {LawLu} {Rating giallo per via del linguaggio piuttosto “colorito”} {Possibilità OOC}
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sabo, Trafalgar, Law/Rufy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Discorsetto
{Come convincere un fratello maggiore iperprotettivo delle tue buone intenzioni}



Una volta. L’unica dannatissima volta in cui Trafalgar Law si era interessato delle condizioni di un’altra persona.
In realtà, quello che gli interessava era la frattura scomposta che suddetta persona si era procurata, per questo si offrì di accompagnarla in infermeria.
Insomma, quando gli sarebbe capitata un’altra occasione del genere?
Certo, assistere ai vari interventi chirurgici negli ospedali come tirocinante era stimolante per la sua conoscenza, ma lo era anche il poter controllare da vicino le sofferenze che affliggevano i suoi compagni. La maggior parte della popolazione scolastica considerava questo suo comportamento da sadico, tranne forse due persone.
La prima era di certo Monkey D. Rufy, il ragazzo che aveva scortato in infermeria. Si era lasciato toccare il braccio con tutta tranquillità, lamentandosi ogni tanto per il dolore ma sorridendo subito dopo, sinceramente incuriosito da quello che Law stesse facendo, finché quest’ultimo non fu sbattuto fuori dall’infermiera.
La seconda era l’insegnante di scienze, che aveva rivangato l’accaduto dopo ben due anni. Allora, lui era uno studente del terzo anno di liceo, mentre quel Rufy era soltanto del primo, e quella fu l’unica volta in cui si scambiarono al massimo una parola.
Adesso, quando a Law mancava davvero pochissimo per diplomarsi e ambire finalmente a una buona università, proprio quest’insegnante gli chiedeva di dare ripetizioni al ragazzo in questione, dato il loro rapporto.
Che poi, rapporto? Era già tanto che s’incrociassero in corridoio e che uno dei due si ricordasse di salutarlo – cosa che faceva sempre l’altro, per la cronaca!
Come c’era d’aspettarsi, Law rifiutò immediatamente. Il fatto che fosse considerato il migliore nelle materie scientifiche era un motivo d’orgoglio per lui – del resto, voleva fare il chirurgo, doveva essere per forza bravo –, non una scusante per usarlo come bambinaia di un ragazzino che non voleva saperne nulla dello studio.
L’insegnante, però, non demorse, implorandolo e promettendogli che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di convincerlo.
Ovviamente, la situazione ridicola che si venne a creare non dispiacque a Law, oltre al fatto che gli fu offerto il vantaggio di poter chiedere tutto quello che volesse.
La richiesta fu piuttosto palese: l’insegnante avrebbe dovuto parlare con qualche suo amico dell’università per permettergli di avere un posto sicuro. Non che non avesse già un posto assicurato, con suo padre cardiologo e sua madre oncologa, ma non si sapeva mai.
La povera donna, suo malgrado, accettò, già consapevole da tempo che Trafalgar Law fosse intelligente quanto meschino e doppiogiochista; ma era anche uno studente modello, ed era sicura che Rufy sarebbe migliorato con il suo aiuto.
Forse, però, la donna non aveva poi avuto tanto a che fare con Law da conoscerlo fino in fondo.
Non appena li presentò l’uno all’altro, Law provò per quel moccioso interesse e antipatia in egual misura.
«Ah sì, tu devi essere Torao, giusto?» aveva pronunciato il ragazzo ancor prima che l’insegnante finisse di parlare, ostentando uno dei suoi grandi sorrisi.
No, okay, forse quella frase aveva reso Rufy più antipatico che interessante agli occhi di Law. Odiava tutti quelli che storpiavano il suo nome.
Ma il danno oramai era fatto, e a Law non restava che armarsi di pazienza e provare a insegnare a quel troglodita almeno le basi della materia.
Cosa che, appunto, non fu per nulla facile. Nelle settimane a seguire, Law aveva anche scoperto che quel ragazzino era uno scansafatiche di prima categoria: quando lo andava a trovare per farlo mettere sotto con lo studio, lo trovava sempre a procrastinare davanti alla televisione, a guardare programmi sportivi, armato sempre di cibo in gran quantità; a volte, lo trovava disteso a letto a sonnecchiare, senza però staccarsi dalle sue amate scodelle ricche di leccornie varie.
Come facesse ad essere così magro, con tutte le schifezze che mangiava, Law non l’avrebbe saputo mai. In fondo, era solo una pura curiosità scientifica di cui poco gli interessava la risposta. 
Quello che gli premeva di più, era tentare di ridestare quel moccioso dal suo stato di dolce fan niente e di mettergli un libro sotto il naso. E, anche quando ci riusciva – con le dovute minacce, non si metteva mica a pregare la gente! –, non era detto che Rufy prestasse effettivamente attenzione: il più delle volte, si stufava dopo aver letto neanche mezza riga, per non parlare di quando il libro non lo apriva proprio.
Insomma, dopo un mese di lezioni private, in cui Law non veniva retribuito (stavolta l’insegnate l’aveva fregato, o la caparra o il posto assicurato) e in cui non si vedevano miglioramenti da parte del moretto, il futuro chirurgo avrebbe potuto benissimo andarsene e lasciar perdere tutto. 
Eppure, non successe. Law continuò a dare lezioni a Rufy.
Lui giustificava il suo comportamento dicendo a se stesso che lo faceva per la bella figura che avrebbe fatto all’università, ma in verità c’era anche qualcos’altro.
Rufy gli interessava, inutile negarlo. Non gli era mai capitato di osservare una persona così prima d’ora, così vera.
Solitamente, le persone accanto a lui tendevano a nascondersi dietro una maschera, assumendo atteggiamenti rigorosi per evitare di irritarlo, o al massimo tentavano di provocarlo, invano.
Forse, gli unici a non essere così erano Sachi e Penguin, suoi compagni, per cui nutriva un consistente affetto nonostante fossero appiccicosi e insopportabili.
Bene, Rufy era proprio come quei due, se non di più.
Sembrava quasi che non se la prendesse per l’atteggiamento cinico che Law aveva nei suoi confronti, al contrario, era quasi come se l’attirasse; durante la lezione, non la smetteva di fargli domande personali, di proporgli qualcosa di diverso purché non studiassero, e di sorridergli.
E la cosa non faceva che nutrire l’interesse che Law provava verso quel ragazzino, attutendo di poco l’avversione che provava per lui.
Di certo Law non avrebbe mai pensato – o per meglio dire, accettato – che quel tipo d’interesse fosse in realtà più profondo.
Lui era Trafalgar Law, lui non provava affetto per nessuno, men che meno per uno come Monkey D. Rufy, che era il suo esatto opposto.
Ma si sa, a volte bisogna che le cose accadano per farle entrare in zucca alle persone troppo sicure di come sono. 
Avvenne dopo tre mesi dall’inizio delle ripetizioni. Rufy aveva aperto la porta a Law, sghignazzando al suo solito, ed era tornato a sedersi sul suo adorato pouf, davanti alla televisione. Fin qui nulla di strano: come da routine, Law gli aveva spento la TV con un rapido gesto, e con un altrettanto rapido gesto Rufy l’aveva riaccesa.
Si può ben intuire come la cosa si protrasse per un po’, con Law che minacciava Rufy, e con quest’ultimo che non aveva alcuna intenzione di scollarsi dal suo posto, incrociando le braccia e imbronciandosi. 
Quella fu l’unica volta in cui Law alzò le mani su Rufy, anche se avrebbe voluto farlo già tempo addietro. Lo prese per la spalla e lo sbatté letteralmente al muro, soffiandogli in faccia di smetterla di fare il bambino con voce intimidatoria.
E poi avvenne.
Un bacio a fior di labbra, niente di più.
Rufy aveva praticamente coperto la distanza che li separava per posare le labbra sulle sue.
La cosa che turbò Law non fu tanto il fatto che l’altro lo stesse baciando, quanto che a lui non stesse dando fastidio.
Forse era questa la scusante per non averlo picchiato, dopo che Rufy si mise a ridere per la faccia stranita che aveva assunto.
Ed effettivamente, quell’accaduto poteva benissimo essere classificato come un banale incidente, anche perché il più piccolo non si era per nulla offeso della sua reazione.
Il problema era che Rufy aveva lasciato Law totalmente spiazzato; e nessuno può permettersi di farlo, eccetto che non sia opera di Law stesso.
Così, non appena il ragazzo lo riaccompagnò alla porta, salutandolo sull’uscio, quest’ultimo si ritrovò a essere tirato per il colletto della camicia e ad assaporare nuovamente le labbra di Law.
«Vedi di non farci l’abitudine…» aveva borbottato dopo averlo lasciato, coprendosi il volto con la visiera del cappello ed entrando in ascensore.
Se Trafalgar si aspettava un’espressione da teenager innamorata da parte di Rufy, si sorprese nell’osservare il moro che ridacchiava come un pazzo, come se avesse appena scherzato con un suo amico, le guance ancora colorite di rosso.
E non poté fare a meno di sorridere anche lui, impercettibilmente, mentre le porte automatiche si chiudevano, chiedendosi se alla fine Rufy non gli piacesse davvero.


In seguito, le visite di Law si fecero notevolmente più frequenti. Prima si trattava solo di due o tre giorni la settimana, e tutti dedicati allo studio, adesso invece Law andava a casa di Rufy tutti i giorni.
Nessuno dei due seppe come arrivarono a quel punto, probabilmente era avvenuto gradualmente e senza che loro se ne accorgessero.
Era ovvio che parte dei pomeriggi volavano via per colpa dei compiti, che, da quando c’era Law, Rufy non faceva più malvolentieri.
Le tentazioni c’erano sempre, o non sarebbe più stato Monkey D. Rufy, ma il ragazzo si diceva che, se poteva godere ancora per un po’ della compagnia di Torao e di vederlo contento, poteva anche resiste per qualche oretta.
Capitava, in alcuni casi rari, che i pomeriggi fossero accompagnati da momenti di tenerezza, ma niente che andasse oltre i semplici baci e il contatto corporeo di qualche carezza. Anche se, doveva ammetterlo, l’istinto di Law faticava a rimanere celato, pronto a sbattere Rufy sul letto e a scoparselo se era necessario.
Sì, le cose tra di loro erano davvero cambiate – non sapeva dire se in meglio o in peggio –, sebbene lui non si sentisse ancora sicuro di chiamare quella cosa una relazione seria.
Non per questo, lui si era considerato da sempre un etero, anche se doveva confessare di essersi ritrovato a osservare il culo sodo di Eustass Kidd in svariate occasioni; e lo credeva anche di Rufy, dato che Boa Hancock, classificata come la più bella della scuola, gli moriva praticamente dietro.
Tutti, compreso Law stesso, gli davano dello stupido per non accettare di uscire con una come lei. Adesso, però, quando osservava lo sguardo furbetto che gli lanciava di tanto in tanto, Law era più che sicuro che anche a lui non sarebbe dispiaciuta una bella scopata.
Comunque, per adesso, erano entrambi consapevoli di voler aspettare, almeno per vedere che cosa effettivamente fosse quel rapporto, se una possibile relazione di coppia, o solo pura attrazione fisica.
Quindi, no, ufficialmente non stavano ancora insieme. Peccato che qualcuno non l’avesse ancora capito.
E qui si arriva alla parte più importante dell’intera vicenda, nonché la più imbarazzante.
Erano già sei mesi che Law aveva in pratica piantato le tende a casa di Rufy, benché non fossero mancate le occasioni di invitarlo a casa sua, ma preferivano evitare in quanto Lamy, sua sorella minore, non faceva che ficcanasare in camera sua; Rufy aveva protestato per questo fatto, volendo tornare a casa di Law tutte le volte che si presentava la possibilità – in verità, voleva solo giocare ancora col suo gatto Bepo –, ma Law aveva sostenuto di doverci andare piano per evitare di essere scoperti.
Nessuno avrebbe dovuto pensare altro rispetto a un semplice rapporto tra compagni di scuola, e persino in questo luogo tentavano di comportarsi come facevano all’inizio, salutandosi appena.
Purtroppo, però, non è facile non essere scoperti, specie se da un ottimo osservatore e da una persona che aveva un magnifico rapporto con Rufy. Per cui, la mossa di Law di vedersi solo a casa del minore, fu un po’ azzardata.
Mai, però, si sarebbe aspettato di trovarsi in una situazione così assurda.
Trafalgar aveva suonato al campanello della casa di Rufy, come ogni pomeriggio, solo che, per la prima volta da quando si recava lì, ad aprirgli fu il fratello maggiore del ragazzo, Sabo.
Spalancò appena gli occhi grigi, non scomponendo la sua aria di superiorità nemmeno per un attimo. Il biondo, nel frattempo, stava stringendo il legno della porta, quasi come se potesse frantumarlo con le dita, e lo guardava con un’espressione carica di odio.
Law sapeva di non stargli simpatico, anzi con molta probabilità l’avrebbe cacciato via a calci se avesse potuto, e la cosa era ovviamente ricambiata.
Da quanto aveva potuto osservare, Sabo era piuttosto protettivo con Rufy, anche se non aveva ancora avuto la felice idea di entrare in stanza con prepotenza mentre loro si stavano baciando, come aveva fatto Lamy.
Lo vedeva lo sguardo di scherno con cui lo osservava, quando capitava che bussasse per entrare in stanza. La cosa positiva era che, almeno, sembrasse rispettare la privacy di suo fratello minore.
Sembrasse, appunto. Law non aveva ancora chiaro con che razza di famiglia aveva a che fare.
«Dov’è Rufy?» chiese, rimanendo sull’uscio della cucina, dopo essere entrato in casa e non aver trovato il ragazzino a ciondolare sul letto della sua stanza.
Law assottigliò lo sguardo, rendendosi conto solo in quel momento che Sabo si era seduto davanti al tavolo, i gomiti poggiati sul ripiano e le dita intrecciate davanti al viso, piuttosto serio.
«L’ho mandato a compare delle cose…» disse, alzando gli occhi verso di lui. «Dovevo parlare con te… in privato…»
Law, ancora una volta, rimase stupito, ma non lo diede a vedere. «E di cosa, esattamente?»
«Di Rufy.»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, mentre l’altro gli faceva segno con la mano di accomodarsi davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Si sedette, proprio come gli era stato detto, mentre la sua naturale curiosità veniva stuzzicata sempre di più.
«Che ne dici di spiegarmi in che rapporti siete?» domandò l’altro, con una punta di amarezza e sarcasmo.
«Puro rapporto a fini scolastici, è chiaro» rispose naturalmente il giovane, incrociando le braccia e alzando le spalle.
Sabo fece un sorriso tirato, poco convincente. «Mi hai preso forse per deficiente?» disse, alzando di parecchio il livello della sua voce. «Tanto lo so che tra voi due c’è qualcosa, non sono mica cieco!»
Ancora una volta, Law si ritrovò a sgranare gli occhi, leggermente incredulo. Non aveva mentito, tra lui e Rufy non c’era ancora niente di certo, ma il fatto che da fuori qualcuno potesse intuire che fossero fidanzati, beh, gli faceva dubitare della validità della sua strategia, per la prima volta nella sua vita.
«Non so di cosa tu stia parlando» continuò Law, mantenendo il suo tono di voce fermo.
Sabo sbatté un pugno sul tavolo, e questo fece alzare il sopracciglio a Law, come se non fosse stato minimamente turbato da quel gesto. «Bugiardo!»
La sillabò appena, quella parola, e Law si chiese se non fosse intenzionato a ucciderlo. Non che Sabo lo spaventasse, per carità, aveva visto anche di peggio, era solo curioso di sapere dove voleva andare a parare.
«L’ho visto, te l’ho detto che non sono cieco…» insistette, le pupille totalmente dilatate e le dita che scrocchiavano a ogni suo minimo movimento.
Una persona sana di mente sarebbe sicuramente scappata dinanzi ad una scena del genere, ma non Trafalgar. «Davvero? E da cosa l’avresti visto?»
Fece un ghigno divertito, col solo intento di far innervosire ulteriormente il biondo, cosa che non avvenne, bensì questo parve rilassarsi totalmente.
Entrò quasi in uno stato di trance, in cui la tensione era lo stesso palpabile nell’aria, assorto nei suoi vorticosi pensieri.
«Da come ti guarda.»
Ecco, se il bacio di Rufy l’aveva colto completamente alla sprovvista, questa frase rischiò quasi di farlo cadere indietro con la sedia. 
Lui non ci aveva mai visto nulla di anomalo nello sguardo che gli rivolgeva quel ragazzino. Allora, che cosa intendeva dire quel bastardo?
«Non so se Rufy ti ha raccontato cosa è successo due anni fa…» mormorò Sabo, ingoiando quasi un boccone amaro.
«Sì, mi ha accennato qualcosa…» Ed era vero.
Di solito, Law non amava raccontare le sue vicissitudini passate. Era una questione di principio, se lui non s’immischiava nei fatti degli altri, allora nessuno doveva farlo con lui.
E fu particolarmente grato a Rufy quando smise di insistere con domande sconvenienti, intuendo che non avrebbe mai ricevuto risposta.
Le risposte, però, Rufy le ottenne lo stesso. Dopo un po’ di tempo, ma le ottenne.
Successe qualche mese prima, durante la riunione generale di tutte le classi per l’inizio del nuovo quadrimestre, dove si annunciarono le eventuali attività che l’istituto aveva messo in programma.
C’era una vasta gamma di scelta, nulla da ridire al riguardo, e molti ragazzi stavano già facendo a gara per iscriversi ed evitare che i posti finissero subito. E fu davanti alla massa di persone che Law trovò Rufy, intento a discutere pesantemente con il suo gruppo di amici.
Non l’aveva mai visto rivolgersi in maniera così brusca, visto l’affetto immenso che provava verso di loro.
In seguito, Law se lo vide passare davanti come un razzo, e fece finta di non aver visto niente. Forse, in quell’occasione, avrebbe fatto a meno di seguire il suo principio, fiondandosi immediatamente da Rufy per chiedergli spiegazioni, ma rimase lo stesso impassibile. 
E continuò a fare così anche durante il pomeriggio, mentre osservava un Rufy dall’aspetto moggio.
«Dovrei scusarmi…» aveva infine mormorato il moro, non prestando attenzione al paragrafo che Torao aveva letto fino ad allora.
Law chiuse il pesante tomo che aveva in mano, non staccando gli occhi da Rufy che aveva cominciato a mormorare frasi sconnesse.
Così, senza volerlo veramente, Law era venuto a conoscenza che suo fratello Ace aveva perso la vita in un incidente due anni prima. La macchina era finita fuori strada e nessun medico poté fare alcunché. E, con un ultimo sussurro, Rufy aveva detto che era morto per colpa sua, perché lui si era fatto promettere che sarebbe venuto ad assistere alla partita.
Il giovane e futuro studente di medicina sapeva quanto gli bastava per classificare Rufy come uno degli alunni più scarsi di tutta la scuola; ma, quando si trattava di dover scegliere un membro della propria squadra per qualche attività sportiva, tutti si fiondavano proprio su di lui.
Era davvero un asso, questo nessuno lo metteva in dubbio, soprattutto nel basket – il che era strano, poiché non brillava di certo per la sua altezza, ma faceva davvero dei salti degni del miglior campione. 
Ed era grazie a lui se, due anni prima, la squadra aveva vinto la partita con un punteggio eccellente, sebbene il braccio di Rufy dovesse stare in riposo per via della frattura.
Non ci volle un mostro di scienza per intuire che la ragione della conversazione col suo gruppo di amici e del suo ritirarsi sempre davanti a qualsiasi proposta di giocare, fosse dovuta proprio a quell’incidente. 
Law non seppe come comportarsi in tal proposito: nessuno gli aveva mai raccontato una cosa così tanto privata, e non poté fare a meno di domandarsi perché Rufy l’avesse fatto, appunto. Tutto quello che gli venne in mente, gli sembrò totalmente sbagliato, costatando quanto quel ragazzino riuscisse a mandarlo in paranoia, cosa che neanche lo psicologo più esperto di tutto il paese sarebbe riuscito a fare.
L’ultima ipotesi che gli venne in mente fu quella che, poi, mise in atto per davvero. Gli raccontò anche lui della perdita di una persona cara, il suo primo insegnante privato, Corazon, assassinato dal suo stesso fratello, Donquixote Doflamingo.
Rufy rimase in assoluto silenzio durante tutta la narrazione, gli occhi velati di tristezza mista a un’ingenua curiosità da bambino. Confessargli quelle cose stava costando parecchio a Torao, anche perché avrebbe finalmente ammesso che non era una statua di pietra, che anche lui poteva affezionarsi a qualcuno.
Per questo motivo, nel profondo del suo cuore, lo ringraziò sinceramente per quello che aveva fatto.
Law, però, non l’avrebbe saputo mai, avrebbe solo sfruttato le sue informazioni per sostenere la conversazione che, adesso, stava avendo con suo fratello.
«Non l’ho mai visto provare tali sensi di colpa per le sue scelte…» La voce ridestò Law dai suoi ricordi, accorgendosi che Sabo si era messo nella stessa posizione di prima, stringendo con forza le dita tra di loro. 
«È scoppiato a piangere come un bambino, dopo il funerale, senza frenarsi. Urlava tra i singhiozzi che la colpa era solo sua, che era perché l’aveva odiato per non essere venuto quel giorno se era morto. Alla fine, dovetti portarlo in braccio nella sua stanza, dopo essersi assopito. Non lo facevo da quando aveva sette anni…»
Sabo si morse il labbro inferiore e nascose la sua debolezza almeno per quei pochi minuti. Preferiva morire trapassato che mostrarsi in quello stato a uno come Trafalgar Law.
Quest’ultimo rimase impassibile, non provando alcun tipo di compassione per le parole dette da quello lì. Eppure, era evidente che anche Sabo si sentiva in colpa.
A quanto ne sapeva, lui era tornato a casa proprio da due anni a questa parte. Qualche tempo prima, si era trasferito per questioni lavorative, lasciando i suoi due fratelli. Quale fosse questo fantomatico lavoro, nessuno lo sapeva; certamente, per averlo abbandonato dopo la notizia della morte di Ace, non lo avrebbe riottenuto più tanto facilmente.
E non era detto che lo rivolesse davvero. Non dopo che suo fratello era morto senza poterlo riabbracciare per davvero. Non dopo che aveva abbandonato Rufy, totalmente da solo.
«Tutto questo perché dovrebbe riguardarmi, per intenderci?» domandò Trafalgar, scacciando le sue idee sulle emozioni che Sabo stava provando in quel momento.
Sabo gli rivolse l’ennesima occhiataccia, prima di sospirare e parlare. «Rufy non ha ancora superato la morte di Ace. Dice continuamente di stare bene e sorride agli altri come se non fosse cambiato niente. Io, però, so riconoscere le sue bugie, fin da quando eravamo bambini» Fece un mezzo sorriso, per poi tornare serio. «Credo che siano passati secoli dall’ultima volta che l’ho visto sorridere per davvero. Lo faceva sempre con Ace, e l’ho sempre invidiato per riuscirci senza fare nulla di particolare. Con te, è la stessa cosa.»
Law si stava rivelando un ascoltatore attento, anche perché pensava la metà delle cose che stava dicendo il biondino. Okay, doveva ammettere che Rufy gli sorrideva spesso, e con ciò? Non era mica detto che si dovessero mettere insieme per forza, no?
«Senti…» riprese Sabo, dopo aver sospirato di nuovo. «Tu non mi piaci, non so che cosa diavolo ci trovi Rufy in te. Ma se lui è contento, io lo sono il triplo.»
Si alzò, percorrendo l’angusto spazio che lo separava dal più giovane a grandi passi. «Perciò, mio caro Trafalgar D. Water Law, se dovessi azzardarti a utilizzare mio fratello solo come mero oggetto sessuale, sappi che non uscirai più da questa casa con le tue gambe. Sono stato abbastanza chiaro?»
Il respiro di Sabo era troppo vicino al suo orecchio mentre gli bisbigliava quella sorta di minaccia, e Law provò un inaspettato brivido freddo lungo la schiena. Non solo perché, santo cielo, aveva scoperto il suo nome per intero – che razza di amici aveva quello lì? Agenti della CIA? –, ma soprattutto perché nessuno gli aveva mai rivolto apertamente delle parole così taglienti.
Di solito, era lui a fare il cattivo con gli altri.
Si rimise in piedi di scatto, il più grande che si apprestava a lasciare la stanza. E no, Trafalgar non poteva di certo fare la figura del cacasotto, una piccola rivincita doveva prendersela per forza!
«E se l’ipotesi di utilizzare Rufy come “giocattolo” sessuale mi appagasse?» disse, con un ghigno malefico.
Non rimase sorpreso dalla reazione di Sabo, ovviamente, era esattamente quello che si aspettava. Lo prese per il colletto, aumentando la presa ogni secondo di più, gli occhi che dardeggiavano. Law, al contrario, continuava a sostenere il suo sguardo con altezzosità e con un sorriso soddisfatto stampato in faccia.
Quello che successe, di lì a poco, fu un mistero per Trafalgar. Sabo allentò la presa e lo guardò come se lo studiasse, non più come se volesse incenerirlo all’istante. La probabilità che sorvolò la mente del giovane era che volesse evitare le domande di Rufy nel trovarli così, dato che stava rincasando proprio in quel momento.
«Sabo!» gridò, eccitato, non appena chiuse la porta. «Ho trovato le cose che mi hai chiesto!»
Il maggiore lasciò la presa con poca delicatezza, dando le spalle a Law. Si passò una mano tra le ciocche bionde e sorrise, stavolta con sincerità.
«Sabo? Dove ti sei cacciato?»
«Cerca di non farlo soffrire. E di renderlo felice» mormorò infine, avvertendo su di sé il peso dello sguardo dubbioso di Law e della paura che Rufy entrasse improvvisamente.
Cosa che, infatti, avvenne. La testa rotonda di Rufy sbucò dalla porta della cucina, sorridendo subito al fratello.
«Ah, eccoti qui!» Porse il sacchetto a Sabo e fece il saluto militare. «Ecco tutto quello che c’era nella lista!»
«Ottimo lavoro, soldato!» Sabo ricambiò con lo stesso saluto.
Osservando quella scena patetica, Law non poté che domandarsi se, sì, Sabo fosse stato un soldato mandato in fronte, o se entrambi i fratelli fossero due imbecilli.
«Oh, ci sei anche tu, Torao!» esclamò Rufy, inclinando la testa di lato. «Non ti avevo visto.»
Il moro sfoggiò un altro dei suoi sorrisi, e gli occhi di Law passarono da quest’ultimo, all’espressione eloquente di Sabo. Si sistemò il suo cappello maculato che portava sempre in testa, anche quando la temperatura raggiungeva i trenta gradi centigradi, e mosse qualche passo.
«Me ne sono accorto, andiamo?» disse scocciato e posando una mano sulla spalla di Rufy. 
Quest’ultimo lo seguì senza battere ciglio, non curandosi di accennare un saluto a suo fratello. A Sabo, però, non importava granché.
L’aveva detto, a lui bastava che Rufy sorridesse in quel modo per renderlo tranquillo. 
E, adesso, lo era anche un po’ di più, benché un senso di rassegnazione gli percuotesse le viscere.
Law non era serio quando pronunciò quella frase. Lui non avrebbe utilizzato Rufy per i suoi scopi perversi.
Ci teneva davvero, anche se l’avrebbe ammesso solo sotto tortura, e non era detto. 
E a Sabo era bastato fissare a lungo quello sguardo malcelato per capirlo.


Entrati nella stanza, Rufy prese immediatamente i pesanti libri di scuola. Era già da un po’ che aveva rinunciato ad afferrare telecomando e cosciotti di pollo come prima cosa, da quando più o meno studiare con Torao era diventato piacevole. 
«Oggi dobbiamo fare biologia, giusto?» disse, sbattendo i libri sulla scrivania con poco garbo. «L’insegnate mi ha detto che sono una frana con la vivicecione delle rane. Ma che cosa posso farci? Io sono abituato a tagliare animali già morti!»
Rise, passandosi una mano dietro la nuca e aspettando la solita voce burbera e profonda dell’amico. Law, però, non emise nemmeno un fiato, stando in piedi a guardarlo, mentre le parole di Sabo continuavano a martellargli la testa.
Cavolo, che razza di trucco usava questa famiglia per ridurlo con mille dubbi da gestire?
«Mugiwara-ya» sbottò infine, sapendo che Rufy si sarebbe girato nel sentirlo pronunciare il suo nomignolo. L’aveva soprannominato così per via del cappello di paglia che portava sempre in testa, un portafortuna che gli aveva regalato un certo Shanks, un uomo che abitava nel paese natale suo e di suo nonno. Non se ne separava mai. «Devo farti una domanda.» 
Il ragazzo ruotò completamente il busto, in modo tale da guardare meglio il suo interlocutore. Sbatté le palpebre, confuso dal comportamento strano di Law. E anche quest’ultimo non si spiegava il perché stesse agendo irrazionalmente.
Voleva davvero darla vinta a quel damerino che, con tutta certezza, stava origliando la loro conversazione?
La parte di Trafalgar che solitamente prevaleva era tentata di lasciar perdere tutto, di cominciare a studiare e di sottolineare lo sbaglio che il moro aveva fatto prima.
Purtroppo, c’era anche quell’altra parte, quella che non usciva fuori mai, chiusa in una sorta di cassetto immaginario, che gli suggeriva di provarci.
Quella stessa parte che usciva solo quando sua sorella tentava di farlo ridere.
Quella stessa parte che era uscita quando Corazon faceva il buffone, dopo ore intense di studio.
Quella stessa parte che, da quando era diventato “l’insegnante” di Rufy, faticava a rimanere incatenata dentro quel cassetto.
«Come te la cavi con la scherma?» chiese, quasi come se quella frase non fosse totalmente buttata lì a caso e fuori contesto per giunta.
Rufy restò di sale, un’espressione scioccata sul volto. «Eh? Che intendi dire?»
Law alzò le spalle, maledicendosi per aver ceduto così facilmente. «Tutti a scuola non fanno che elogiarti per il tuo spirito competitivo e sportivo. Beh, diciamo che quando ero piccolo ho fatto scherma per diversi anni, e continuo a cavarmela. Non ho mai avuto un avversario degno, perciò voglio provare a sfidare te. Con delle spade vere, però!»
«Delle spade vere?» A Rufy gli sembrava di essere vittima di chissà quale allucinazione; no, non c’erano dubbi, la persona che aveva davanti era Law, col suo solito sorriso da psicopatico sulle labbra. E poi, non gli sembrava di aver mangiato dei funghi bizzarri a pranzo!
«A casa, ho una katana che mi ha regalato mio padre…»
«Una che?»
«Allora, accetti?» sbottò Law, porgendogli una mano e aspettando una sua reazione. 
Era questo il miglior modo per vedere se Rufy soffrisse ancora per Ace? Con una sfida?
Eppure, Law era sicuro che Rufy non avrebbe avuto speranze con lui: un membro della cerchia di amici del moccioso, Zoro, glielo aveva detto, tutto ciò che riguardava lame e acqua non andava d’accordo con Rufy.
Ma lui non rifiutava alcun tipo di scontro, o almeno questo era quello che si raccontava in giro due anni prima.
Ora, invece, Rufy abbassò semplicemente la testa, combattuto, e fece un cenno di negazione. «Mi spiace, ma non mi va…»
Dentro di sé, Law si dovette ricredere e dare ragione alle parole di quel biondino ficcanaso, ma da fuori fece solo una faccia semi impassibile. 
«Dunque, non è vero che sei competitivo. È solo una stronzata…»
«Non mi va e basta!» sentenziò Rufy, dando le spalle all’altro e stringendo i pugni lungo i fianchi.
Law usò una voce melliflua quando tirò fuori una delle sue frasi provocatorie. Si potevano utilizzare mille modi molto più ortodossi per indurre Rufy a sfogarsi, ma si sta sempre parlando di Trafalgar Law. «Oh, perché se fosse stato Ace a proportelo, avresti accettato?»
Il pugno in faccia Law se lo aspettava e no. Disteso per terra, poteva benissimo vedere il volto di Rufy, rosso di rabbia e con gli occhi fuori dalle orbite.
«Non osare parlare di Ace con quel tono…» scandì, le mani che pulsavano e il fiato corto.
Con un altro scatto veloce, fu sopra Trafalgar, che l’unico movimento che aveva fatto era stato il portarsi una mano ad asciugarsi un rivoletto di sangue. Rufy afferrò la stoffa della felpa e cominciò a scuotere il corpo immobile dell’altro. 
«Tu non l’hai conosciuto… non lo puoi sapere che rapporto c’era tra noi due…» Scosse forte la testa, cacciando indietro le lacrime. «Né lui, né Sabo sono i miei fratelli di sangue, ma hanno sempre dato il cento per cento per accontentarmi. Ace… Ace è morto per una stupida promessa che mi aveva fatto! E tutto perché dovevo dimostrargli che sarei diventato migliore di lui quando era al liceo, che da grade sarei diventato qualcuno e l’avrei ripagato per tutto quello che aveva fatto per me! Lui non c’è più, che senso ha continuare con queste competizioni, ora che non hanno più valore?»
Rufy non ebbe il tempo di metabolizzare di essere passato dal gridare quelle parole come un disperato, al non poter neanche respirare per via della mano scura di Law che gli stringeva la gola.
Quest’ultimo l’aveva steso tempo niente, stufo di essere trattato come un pupazzo di pezza. «Primo: bada bene a chi hai difronte, prima di colpirlo» Strinse ancora, e Rufy cacciò un urlo sommesso.
«Secondo: non ti facevo così codardo, Mugiwara-ya. Rinunciare a tutto solo perché ci si crede responsabili, è proprio una cosa tipica da codardi» aggiunse Law, assottigliando le palpebre. «Volevi essere il migliore? Dimostralo! Non andrai mai avanti se continui a piangerti addosso come un poppante!»
Rufy non provò neanche a dimenarsi, completamente rapito dalle sue parole. Law lo lasciò poco dopo, con un sonoro sbuffo e scrollandosi di dosso la polvere.
«Fa come ti pare! Continua a fare la vittima, il povero incompreso dal suo stesso fratello e dal suo gruppo di amici» parlò ancora, lo sguardo e la voce carichi di disgusto. «Ti suggerisco solo di pensare a un’altra cosa: come credi che avrebbe reagito Ace nel vederti fare il rammollito?»
Glielo soffiò quasi in faccia, proprio come quando lui l’aveva baciato. Rufy sgranò i suoi occhioni, oramai diventati lucidi, e li posò sulla figura di Law intenta a recuperare il suo cappello e a uscire dalla stanza.
«Torao…» lo chiamò, la voce leggermente incrinata.
Aveva ragione.
Aveva pienamente ragione.
Rufy era consapevole di quanto avesse fatto disperare suo fratello Sabo e i suoi amici, di come non li sopportasse mentre gli dicevano qualcosa di simile a quello detto da Law.
Loro, però, non gli avevano sbattuto in faccia la realtà, erano solo stati più comprensivi.
E, ora che ci pensava, se Ace l’avesse visto piangere come quando erano bambini, probabilmente gli avrebbe dato un sonoro pugno in testa.
Le labbra di Rufy tremarono, pronte a scatenare un imminente pianto, e gli angoli degli occhi iniziarono a pizzicargli. Torao, però, non aveva risposto al suo richiamo, pronto ad abbassare la maniglia della porta.
Alla fine, a Rufy non restò che urlare ancora. «LAW!»
Il futuro chirurgo ritrasse la mano, una calda sensazione a bruciargli la bocca dello stomaco. Era la prima volta che Rufy lo chiamava col suo nome corretto. Finalmente, gli rivolse la sua attenzione, non dando a vedere di essere rimasto piacevolmente sorpreso dal gesto di prima.
«Resta» gli disse. Suonava più come un ordine che come una supplica. Malgrado questo, Law si sedette sul bordo del letto, calandosi meglio il cappello sulla testa. 
E il sorriso che si allargò sulle labbra, mentre Rufy scoppiava letteralmente in un pianto liberatorio, non fu di vittoria.
Ma di sollievo.

*
Già era passato un anno da quando non dava più ripetizioni a Rufy, e anche un altro anno scolastico si apprestava a concludersi.
Law parcheggiò la sua macchina, consapevole di essere in ritardo, e scese dalla vettura. L’edificio, che prima era la sua scuola, si ergeva davanti a lui e le voci esultanti all’interno facevano intendere che la partita era finita.
Dopo essersi diplomato, come aveva pianificato, si era iscritto al corso di medicina nella migliore università del paese, mentre Rufy continuò a frequentare la loro scuola.
Certo, non c’era più alcuna possibilità di vedersi tutti i pomeriggi, con Law che doveva sostenere esami ogni mese, ma non mancavano le situazioni per potersi raccontare le loro avventure durante il peridio in cui non si erano incontrati. Cercavano di sentirsi tutti i giorni, perlomeno.
Law si appoggiò al cofano dell’auto, guardando con disinteresse la squadra di basket uscire trepidante e accompagnata da un tifo gioioso. Non ci impiegò molto, il neo tirocinante, a riconoscere il ragazzo che veniva sollevato in alto dal gruppo in questione, quasi come se fosse un fuscello. 
Rufy rideva come non si era mai visto, la coppa stretta sotto un braccio. Law continuò a tenere i suoi occhi grigi puntati sull’esile figura, rimembrando i festeggiamenti avvenuti l’anno scorso, dopo la medesima finale che si teneva ogni anno.
La chiacchierata che aveva avuto con Rufy, preceduta dal discorsetto di suo fratello Sabo, sembrava essere servita al ragazzo. In seguito, si era convinto a rientrare in squadra, donandogli una vittoria schiacciante. Era da due anni che non provava quella sensazione, quasi come se si fosse sentito libero da qualsiasi peso.
«Ace si sarebbe divertito…» aveva mormorato, mentre Law lo riaccompagnava a casa. E sorrise: un sorriso nostalgico, ma pur sempre un sorriso.
A distanza di un anno, le cose non erano cambiate per niente. Rufy era veramente felice, adesso.
Un rumore alla sua sinistra lo mise in allerta, ma si rilassò totalmente non appena intuì di che cosa, o meglio di chi, si trattasse.
«Vuoi farmi un’altra predica?» sbottò, sputando quelle parole quasi come se fossero acido.
Sabo inclinò la testa verso l’alto, il volto parzialmente coperto dal suo bizzarro cappello a cilindro – gentile omaggio di Rufy –, che lasciava intravedere solo un lieve sorriso. «Volevo farti i miei complimenti, Waterloo
Non avevano più avuto modo di parlare a quattr’occhi, come avevano fatto un anno prima, capitava che si rivolgessero la parola per cose futili e in pochissime occasioni.
Law abbassò lo sguardo e sorrise anch’egli. «Era ora, non credi?»
Sabo accennò una risata, guardando prima il cielo che cominciava a scurirsi e poi suo fratello che era assaltato da pacche e da qualche abbraccio.
«Questo non ti da comunque il diritto di far soffrire mio fratello!» gli intimò, senza alcuna intenzione di abbandonare quel sorriso.
«Non te lo assicuro, mammina, dato che io e Rufy non stiamo ancora insieme» rispose alla provocazione, Law, anche lui continuando a sorridere tra sé e sé.
«Certo, certo…» Sabo si tolse dal suo fianco, avvicinandosi al suo fratellino che, finalmente, aveva abbandonato gli altri e la coppa della vittoria per raggiungerli.
Rufy gli si gettò letteralmente al collo. «Ce l’abbiamo fatta anche quest’anno!» disse, avvinghiando le braccia.
«Ho visto, non avevo dubbi!» rispose Sabo, riprendendo fiato dopo che Rufy glielo aveva mozzato e scompigliandogli i capelli corvini.
Quest’ultimo sorrise, già pronto a raccontare tutto nei minimi dettagli, come se Sabo non avesse assistito alla partita. Lui gli tappò la bocca con una mano, per poi posargliele entrambe sulle spalle.
«Me ne parlerai più tardi, mi sono ricordato che devo prendere delle cose in macchina» Notando che le guance di Rufy si stavo gonfiando, contrariato da ciò, Sabo aggiunse. «Ti lascio in compagnia, comunque.»
Rufy seguì la traiettoria che percorrevano gli occhi di suo fratello, ricadendo sul corpo magro di Law, ancora nella stessa posizione di prima e a braccia conserte. Il minore rivolse un ultimo sorriso al fratello, che ricambiò subito, mentre raggiunse il suo compagno.
«Sei venuto!» esclamò quando gli fu davanti.
«Sì» rispose Law, col suo solito tono atono.
«Hai mantenuto la promessa…»
«Già.»
Law aveva promesso al piccoletto che, nonostante non frequentassero più lo stesso corso di studi, lui sarebbe comunque venuto ad assisterlo alla partita. Cosa che, tecnicamente, non era avvenuta, tuttavia a Rufy andava benissimo così.
Era venuto, era arrivato a destinazione, questo era l’importante.
Rufy fece uno dei suoi sorrisi a trentadue denti, portando le braccia a cingere il collo di Law.
«Che stai facendo?» disse immediatamente l’altro, infastidito.
Rufy non rispose, si limitò a fissarlo, gli occhi che brillavano di una luce nuova e, perché no, anche di sfida.
«Non ti posso abbracciare? Non siamo fidanzati?»
«Ancora con questa storia?» Law provò a sottrarsi a quel contatto così soffocante. Ne avevano già parlato prima, e Law gli aveva detto che no, non sarebbero mai stati insieme. Ad ogni modo, Rufy non smetteva di credere il contrario. «Tu ed io non siamo fidanzati, anzi non siamo nemmeno amici! Mi servi solo per i miei… scopi, quindi smettila di sbandierare in giro stronzate del genere!»
Ebbe appena il tempo di finire il suo sfogo, che Rufy posò la fronte contro la sua, senza badare al totale dissenso dell’altro. Teneva gli occhi chiusi e rideva nel suo modo strambo, costringendo Law a guardarlo dritto negli occhi, quando lui voleva solo sfuggire a quella cosa mielosa.
«Torao, sei proprio buffo quando t’imbarazzi!» disse, accompagnandolo con l’ennesima risata.
«Piccolo…» Law strinse i denti, pronto a lanciare un altro insulto al ragazzo, che però rimase in sospeso. Si ritrovò a fissare il volto rasserenato di Rufy, felice della sua presenza. Infine, anche Law chiuse gli occhi, sospirando con rassegnazione. «… bastardo!» terminò.
«Ti odio quando mi fai fare il cretino, lo sai vero?» proseguì, senza accennare alcun movimento. Rufy rise ancora, poi calò il silenzio tra loro due.
Come c’era d’aspettarsi, quel rapporto nato per caso, alla fine era cresciuto per davvero. E anche se Law non l’avrebbe ammesso mai, lui e Rufy adesso potevano definirsi davvero una coppia.
Non solo perché c’era attrazione fisica – quella non doveva mancare –, ma perché c’era stata e c’era complicità. Perché avevo fatto cose che con altri non avrebbero fatto mai.
La cosa più buffa, e Law non riusciva a capacitarsene, era che Sabo sembrava aver accettato la cosa…
«Va bene, avete amoreggiato abbastanza per oggi!» La testa bionda del fratello maggiore di Rufy sbucò dal nulla – segno che li aveva spudoratamente spiati –, separandoli all’istante.
Okay, non era vero che Sabo aveva accettato totalmente la cosa, magari doveva farci l’abitudine.
E poi, se una coppia non ha qualche piccolo intoppo, dove sta l’avventura?    
 
Grazie Chiara,
perché senza le tue idee geniali questa storia non sarebbe nata.
Grazie Laura,
perché sei stata tu a convertirmi, altrimenti non avrei mai scritto niente su di loro.


Parla l’autrice che shippa anche l’improbabile:
Ci sono diverse cose che devono essere spiegate:
-L’idea è nata da quella testa calda di mia sorella. Io ho soltanto preso spunto, anche perché la versione originale doveva essere più comica; purtroppo, però, non posso vivere senza la mia piccola dose di angst (?)
-Ho cercato di inserire più elementi possibili che richiamassero l’opera originale, rendendomi conto che la canonicità è andata comunque a farsi una passeggiata. Ho preferito mantenere in vita la famiglia di Law, per concentrarmi invece sulla figura di Cora. Per Sabo ho scelto la via più semplice, ovvero che i suoi fratelli sapessero la causa della sua lontananza e la comprendessero. Non chiedetemi il motivo, ma ero indecisa se rendere Bepo un gatto o un cane, per gestirlo meglio nella trama; alla fine ho optato per il gatto, perché fa più fiquo (??) <3
-Forse vi sarete chiesti quale sia il lavoro di Sabo (no, in realtà non v’interessa…); non ho voluto approfondire tale argomento, lasciando che siano i lettori stessi a immaginarselo. L’affermazione di Law, tuttavia, non è tanto lontana dalla mia idea di base, eh…
-Il soprannome che Sabo da al nostro chirurgo è per sfotterlo, poiché la pronuncia coincide proprio con quella della città di Waterloo. Tra le altre cose, Oda ha utilizzato apposta questo nome, rendendo omaggio alle due sconfitte che Napoleone subì, quella citata prima e quella di Trafalgar.
-Non sono tanto convinta della caratterizzazione di Law e Rufy. Non ritengo che ci sia una dose massiccia di OOC, così non l’ho inserito negli avvertimenti. Se per voi fosse il contrario, mi piacerebbe che me lo faceste sapere.
-Questa storia non è un insulto a tutte le fan della KiddLaw (tant’è che ho inserito un Law furbetto che guarda le natiche del rosso… xD). È solo una questione di gusti, shippo questi due come non ho mai fatto nella mia vita, forse solo con Ace e Marco faccio lo stesso. Resta il fatto che rispetto le OTP degli altri :’)
In conclusione, tornerò a scrivere altre LawLu? Mi piacerebbe molto, dipende tutto dall’ispirazione. E poi, vorrei un po’ popolare il fandom di EFP, ce ne sono davvero poche… (???)
Che dire, spero che abbiate gradito la storia e che ci rivedremo presto (sempre se non mi uccideranno prima, facendomi partecipare a una sorta di Hunger Games dove vengo sbranata dagli ibridi)
_Lady di inchiostro_

  
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