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Autore: perkynurples    21/07/2015    3 recensioni
Bilbo Baggins conduceva una vita piuttosto tranquilla, grazie mille, fino a quando una vecchia conoscenza non ha deciso di stravolgerla, e ha finito per accettare un lavoro che è... diciamo che non è proprio la sua specialità, e potrebbe alla fine costargli un po' di più del suo prezioso stile di vita accogliente. Chi l'avrebbe mai pensato che fare il tutor al nipote un po' più che leggermente prepotente di un monarca leggermente minaccioso potesse rivelarsi una tale... avventura?
[Modern Royalty AU; Pairing: Bilbo/Thorin]
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Fili, Gandalf, Kili, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ehm... ciao... siete vive/i?
Piccola premessa: la prima parte del capitolo è praticamente un saggio di storia su Erebor, quindi capisco se volete saltare quella parte perché spiega e non spiega. Del resto la storia è dal punto di vista di Bilbo e non si è soffermato molto su certi dettagli... la seconda parte invece... vi lascio una scatola di kleenex, ok? Okay... ... ...

*riscappa via*


CAPITOLO XXIII

 

Non è del tutto vero, quello che ti dicono che tutta la vita ti scorre davanti agli occhi quando pensi che stai per morire. Sembra molto bello nei film, i montaggi dei momenti più importanti, i volti delle persone che sono state importante per te, e così via. Bilbo ricorda di aver pensato oh allora ci siamo, e Dio, spero che i ragazzi siano nelle loro stanze, ed è stato tutto qui. È ingiusto, davvero. Non vede da dove lo sparo è venuto, non riesce neppure a capire dove è stato esattamente colpito, perché la sola forza del colpo lo fa cadere quasi senza sforzo.

Il pavimento si affretta ad incontrarlo, e tutto ciò che riesce a pensare è perché non è successo nell'Ala Comune, almeno lì i tappeti sono rossi. Il dolore è come una camicia di forza, avvolgendolo e rendendolo incapace di muoversi, e ogni respiro che fa è più faticoso di quello precedente. Sente sapore di rame, e sente delle voci e passi frettolosi che potrebbero o non potrebbero esistere solo nella sua testa, e poi qualcuno lo afferra per la spalla, che potrebbe essere solo un'altra illusione, e qualcuno sta dicendo il suo nome, Bilbo, Bilbo, e vuole dirgli di andare via, non dovrebbe succedere così.

Ma lo fa, succede, e nella frazione di secondo prima di perdere conoscenza, pensa di ricordarsi di avere paura, ma poi il mondo svanisce e nulla conta più davvero.

***

Si sveglia prima in una foschia tenue, i suoi occhi quasi si rifiutano di aprirsi, e qualcosa gli fa male quando prova a respirare correttamente per la prima volta. Gli dole il petto perché il suo cuore decide di salutarlo battendo un ritmo piuttosto frenetico, e pensa di sentire qualcosa di freddo ed estraneo sugli avambracci e sul viso... è tutto troppo da sopportare, e così, senza curarsi troppo di qualunque pericolo che potrebbe ancora esserci, decide di timbrare il cartellino e tornare a dormire. Sì.

Sua madre sta servendo la colazione. Uova strapazzate e salsicce e funghetti fritti col burro, e a Bilbo non piacciono quelli, oh no, li mette sempre da parte sul bordo del piatto. Il ricco sole del mattino rende tutti i colori nella cucina più luminosi, e pensa di poter sentire il cinguettio degli uccelli e il rumore delle macchine che passano fuori dalla finestra spalancata, lasciando entrare tutto quel piacevole ronzio. Non riesce a vedere sua madre, ma sa che è proprio lì, proprio dietro di lui al lavello della cucina, legandosi il grembiule a fiori intorno alla vita, con i capelli raccolti in una crocchia alta e disordinata...

Gli sta dicendo qualcosa, ma è come se la sua voce provenisse da una radio due stanze sopra – Bilbo non riuscirebbe a capire le parole, neanche se ci provasse, e pensa di non averne bisogno. Va tutto bene, comunque. Molto pacifico. Presto prenderà lo zaino della scuola e lei gli ricorderà di guardare due volte prima di attraversare la strada, e se ne andrà...

È troppo tardi ormai.

C'è un'altra voce, una che non riconosce, ma è molto più chiara, anche se fa di tutto per non ascoltarla.

È troppo tardi.

“No,” dice, la sua bocca ancora piena, “no, posso ancora farcela.”

Troppo tardi.

Si alza di scatto, afferrando lo zaino della scuola e guizzando fuori dalla stanza, e il ronzio della voce di sua madre non cessa, e qualcosa gli dice che è meglio così, se sparisce proprio quando lei non sta guardando...

Troppo tardi – non ce la farai mai.

Si affretta fuori dalla porta e sul marciapiede, lo splendore del sole del mattino attraverso la chioma delle foglie di un castagno quasi lo acceca, e sa che può arrivare all'angolo del negozio di barbiere, può fare in tempo a prendere lo scuolabus, certo che può, l'ha fatto innumerevoli volte.

Inizia di colpo a correre, i ciottoli sotto i piedi una macchia scura, ed eccolo, c'è quasi, naturalmente ce lo farà, ce l'ha fatta quella volta che è uscito casa e ha visto il bus chiudere la porta, ce l'ha sempre fatta, se solo potesse...

Il colpo echeggia tra gli edifici circostanti, come un grande schiaffo, e pensa che potrebbe essere un ritorno di fiamma di un'auto, o qualcosa, qualsiasi cosa, ma lo shock lo spinge comunque in avanti e in ginocchio, e oh, se mi strappo questi pantaloni, mamma mi ucciderà. Il pavimento è sorprendentemente morbido, e la calda luce dorata del sole si affievolisce, sostituita da una foschia bluastra tenue, e sente improvvisamente freddo, sente dei passi, sente delle voci, Bilbo, Bilbo, è troppo tardi, troppo tardi...

***

Si sveglia di soprassalto, e gli ci vuole un attimo prima che tutto cominci ad avere senso. Ha davvero freddo – è la prima sensazione che riconosce. E tutto è stranamente ostile e blu intorno a lui – gli serve un po' di tempo per mettere a fuoco, e alla fine decide che è a causa delle tende chiuse, il sottile tessuto illuminato dalla luce del giorno che cerca e non riesce ad entrare nella stanza. La stanza... Chiude gli occhi, inspirando profondamente, e quando li riapre, ha già deciso di impegnarsi di più a concentrarsi.

Lenzuola bianche, una strana ringhiera sul letto, un soffitto alto, un televisore issato sulla parete di fronte a lui, e quel bip... che cos'è? Con molta fatica, gira la testa e vede una sorta di macchinario accanto al letto, con uno schermo e tutto, che lampeggia e suona quasi allegramente... Oh. È in un ospedale. Beh, alla buon'ora ci è arrivato, accidenti.

Quella strana sensazione di qualcosa che serpeggia intorno al suo polso ritorna (ritorna? Quando l'ha mai sentito prima? È tutto frastornato), e alza le mani per guardarle, e vede, dei tubi traslucidi e sottili che strisciano da dietro la sua mano sinistra lungo l'avambraccio come ragnatele, e scomparendo sotto il tessuto sconosciuto di... qualsiasi cosa ha indosso.

Anche tenere la mano sollevata è un calvario, si rende conto subito, e così la lascia cadere giù. Cerca di spostarsi sul letto, perché c'è una pressione strana sul fianco e sulle reni, come se qualcuno si fosse dimenticato qualcosa tra le lenzuola prima che gliele rimboccassero. Ogni suo movimento è eccessivamente attento, perché si aspetta che il dolore si manifesti in qualsiasi momento – anche se non ricorda perché se lo aspetta. Era... Che cosa è successo esattamente?

No, sedersi non è un'opzione, a quanto pare – i suoi muscoli si rifiutano di collaborare. È come se fosse appesantito dal sangue che scorre nelle vene, come se il suo corpo avesse solo una limitata quantità di lavoro che gli è consentita, ed è appena rimasto a secco. Antidolorifici, probabilmente, fornisce il suo cervello con sorprendente chiarezza, poi ritorna a quel modo strano e confuso di pensare – cosa, perché, che dolore? È tutto molto difficile da navigare, come cercare di ricordare un passaggio di un libro di testo che ha sempre e solo guardato e non ha mai avuto il tempo di impegnarsi a memorizzarlo in modo corretto. La sua mente continua a scivolare sopra il bordo di ciò che dovrebbe ricordare, ostinatamente e inutilmente. E poi c'è quel incessante bip, ed è aumentato?! Oh, questo è grandioso, non sarà mai in grado di ricordare così!

La porta si spalanca, e c'è poi una fitta di dolore alla fine quando sobbalza in posizione verticale, o almeno ci prova – ed è bello, in un certo senso, perché taglia direttamente attraverso il fitto velo drappeggiato sui suoi pensieri, almeno per un momento. La persona alla porta è un'infermiera, un sorriso luminoso che si diffonde sul suo viso, e momentaneamente, Bilbo si preoccupa di come deve sembrare, i suoi capelli probabilmente un disastro, la sua... che diavolo ha indosso – uno di quei camici ospedalieri brutti senza didietro? Fantastico.

“Bentornato, signor Baggins,” dice l'infermiera, ed è contento di sentire e riconoscere il leggero accento – significa che è ancora in Erebor, almeno, giusto?

Perché non dovrebbe esserlo comunque? Pensare lucidamente sta richiedendo molto da lui.

“Bentornato?” ripete a pappagallo debolmente, poi, schiarendosi la voce perché è incredibilmente secca, “dove sono... andato?”

Lei sorride con ancora più affetto, e si muove per sistemargli i cuscini dietro di lui in modo da metterlo più a suo agio.

“Ha dormito per circa due giorni,” risponde in modo disponibile.

“Perché, cosa... che mi è successo?” biascica Bilbo, anche se sta facendo l'impossibile per enunciare.

“Le hanno sparato, signore,” arriva una semplice risposta, “ha subito un intervento chirurgico, e l'abbiamo tenuto addormentato per un po' per recuperare meglio. Niente di grave, non si preoccupi.”

“Mi hanno sparato... sembra una cosa piuttosto seria,” ribatte Bilbo debolmente, cercando di discernere dove esattamente gli hanno sparato – tutto il suo corpo si sente pesante e insensibile, qualunque dolore che deve sentire in questo momento è probabilmente prevenuto sapientemente da qualche pillola o altro.

“Non c'è da preoccuparsi, signore,” continua l'infermiera nel suo tono accomodante, come se stessero discutendo del tempo, “si ricorda cosa le è successo?”

Bilbo guarda imbambolato lei, e poi il muro... Può ricordare? Quando si concentra abbastanza duramente, vede un corridoio, tappeti con ricchi motivi geometrici e quadri alle pareti e quant'altro... Ricorda che stava seduto attorno a un tavolo, c'erano Gandalf, e Bard, e Frida, e sì, oh, Thráin e Bofur con lo zio, e la Duchessa... e i biscotti...

“Io... ci proverò,” dice con incertezza, e viene ricompensato con un ulteriore sorriso.

“Sono sicura che servirà solo quello. Rimanga immobile, vado a prendere il dottore per farle dare un'occhiata.”

Gli ci vuole un po' per assorbire tutte le sue parole, ma poi annuisce.

“Può...?” borbotta, indicando debolmente verso la finestra, “le tende? Mi piacerebbe...”

“Certo!”

La luce è accecante, ma non così dolorosamente, e vede... verde. Le foglie svolazzanti di un albero, e al di là di esse un pezzo di cielo scuro.

“Non so... dove mi trovo,” ammette umilmente.

“Da qualche parte al sicuro,” arriva una risposta vaga, “ora, i suoi effetti personali sono qui dentro. Vuole qualcosa a portata di mano?”

Può vederla indicare il comodino, ma ci mette un sacco di tempo per capirlo.

“Oh,” mugola, “Oh, io... sì, il mio – il mio telefono, per favore?”

“Ecco qui. C'è qualcos'altro che posso fare per lei prima di andare a trovare il dottore?”

Il peso del suo telefono gli dà una sensazione estranea, sembra troppo in mano sua, e ha davvero problemi di concentrazione.

“Uhm, potrei avere un bicchiere d'acqua?” cerca di dire, nemmeno sicuro se gli escono le parole, “o qualcosa del genere? Ho davvero molta... sete.”

“Vedrò cosa posso fare,” annuisce la donna con quel sorriso inflessibile, “torno subito. Se sente del malessere, questo piccolo pulsante ci dirà di venire.”

Glielo mostra come se mostrasse qualcosa di completamente nuovo ad un bambino, e pensa che una parte di lui che esiste ancora, si sarebbe offesa in circostanze diverse, ma adesso è sepolta in profondità, dormiente – non sa se sarà mai in grado di rievocarla.

“Grazie,” mormora, e la donna scompare così come è apparsa.

Seppellisce la testa nel cuscino ormai-molto-più-morbido e guarda fuori dalla finestra per un po'. Pensa di poter vedere le gocce di pioggia, come piccole perline scintillanti sul vetro, ma per vedere bene, avrebbe bisogno degli occhiali...

Molto lentamente, sentendo il bisogno di stringere il telefono in un mano rendendo così tutto quanto molto più difficile per se stesso, rotola leggermente di lato per guardare nel cassetto dove sono presumibilmente le sue cose. Mentre tenta di aprirlo, qualcosa... tira. Come un crampo nelle viscere, o qualcosa del genere, e sibila, anche se non sente proprio dolore, non ancora, e decide per un nuovo corso di azione. Utilizzando ogni oncia della sua forza, si siede un po' più dritto, e arrotola il sottile tessuto del camice, solo per rivelare delle bende intorno allo stomaco e al petto, di un bianco vivido e soffici... le delinea con le dita, con attenzione, scoprendo che una striscia viaggia sopra la spalla, presumibilmente per tenere tutto al suo posto. Una nausea improvvisa lo sopraffa, e si risistema il camice e crolla sulle lenzuola, fissando il soffitto a lungo. Gli hanno sparato. Si sente stranamente... distaccato da tutto. Dalla sua ferita (di cui ancora non conosce l'entità o la sua posizione esatta, comunque).

Ascolta il dottore descrivergli i dettagli – molto fortunato, un tiro pulito, nessun foro d'uscita, addome basso a sinistra, intestino in gran parte intoccati, ci si aspetta un recupero senza problemi, dieta necessaria – e costringe il suo corpo a concordare. Quasi desidera il dolore, ma tutta la zona del suo stomaco e la parte bassa della schiena ostinatamente non rispondono. Andiamo, vuole gemere, dimmi che è tutto vero. Che è davvero successo.

Si sente molto stupido quando l'infermiera lo sovrintende mentre prende un attento sorso d'acqua – non fa nulla, si limita a lenire un po' il suo mal di gola, e si sente... spento. Come se un po' della sua determinazione, e gran parte del suo pensiero attivo, fossero colati via insieme al sangue ha perso. Gli dicono che potrebbe sentire le vertigini per tutto il giorno (a quanto pare è quasi ora di pranzo, e non sa cosa provare a riguardo), e che è perfettamente normale, e di chiamare ogni volta che sente anche un minimo malessere.

L'infermiera gli dà il telecomando della TV, e promette che sarà in grado di fare una passeggiata domani, complimentandolo per la sua irrequietezza, ma non è... non è irrequieto. Tutt'altro. Il suo cervello stanco sta cercando di ricordare tutte le preoccupazioni che sembravano così importanti non molto tempo fa, ma i dettagli ancora gli sfuggono.

Finalmente, scopre che il suo telefono è ancora operativo e che la batteria non è morta, e non sentendosi particolarmente sollevato al riguardo, chiama Gandalf, sperando che potrebbe essere troppo occupato per rispondere.

“Bilbo!”

Purtroppo risponde, e sembra anche abbastanza agitato. Bilbo si domanda se finirà per addormentarsi nel bel mezzo della conversazione.

“Ciao,” dice con un filo di voce.

“Sei sveglio! Come ti senti?”

“Io non... non lo so,” Bilbo sospira, “come... mi dovrei sentire? Che succede, Gandalf?”

“Sembra che tu abbia bisogno di dormire un po' di più,” l'uomo ridacchia, e Bilbo si unisce a lui, nolente, stanco.

“Sai una cosa,” decide Gandalf, “passerò questo pomeriggio – puoi aspettare fino ad allora? Mi piacerebbe rispondere a tutte le tue domande adesso, ma–”

“Non ho... nessuna domanda,” replica Bilbo quasi sulla difensiva.

“Allora mi aspetto che le avrai abbastanza presto. Per il momento lasciami solo dire che sono tutti al sicuro. Beh, più o meno – quelli che stanno al momento in mezzo ai piedi di Sua Maestà, potrebbero non esserlo.”

“Lo sa,” Bilbo espira, e non è nemmeno una domanda.

“Beh, certo che lo sa,” fornisce Gandalf, che agisce come se fosse una buona notizia, “ma non preoccuparti – di tutti noi, tu non sei certamente sulla sua lista di persone che vorrebbe decapitare ogni volta che ne ha l'occasione.”

“Gandalf,” mugola Bilbo, e sente qualcosa di affilato in gola, un dolore fantasma che proviene dal nulla, completamente indipendente dalla propria ferita, naturalmente, “che cosa è successo?”

“Ti spiegherò tutto quando arrivo, te lo prometto,” dice l'uomo onestamente, “ma per ora, ho bisogno solo che tu mi aspetti. Riposati. È tutto sotto controllo.”

“Sotto controllo,” ripete Bilbo, decidendo di credere a Gandalf, per una volta nella sua vita.

“Sì. Ci vediamo presto, amico mio.”

E Bilbo potrebbe farfugliare qualcosa sottovoce in un maldestro tentativo di una risposta gentile, ma un'inevitabile, onnicomprensiva oscurità sta già erodendo gli angoli della sua coscienza, e pensa che lasciare che prenda il sopravvento e lo faccia addormentare dolcemente potrebbe essere la sua migliore decisione negli ultimi tempi.

***

Quando si sveglia di nuovo, è ad una luce molto diversa, la stanza bagnata dal bagliore quasi etereo, color oro e rosa, del bellissimo sole del tardo pomeriggio – grazie ad esso, riesce a non sentirsi così male quando scopre Gandalf seduto accanto al letto.

“Ciao,” tenta di dire, ma le sue corde vocali in realtà non sono all'altezza della sfida – Gandalf ha il buon senso di non aiutarlo mentre allunga la mano molto lentamente per prendere il bicchiere d'acqua e ne beve un sorso molto attento. L'uomo sta guardando Bilbo con circospezione, come se avesse ha paura che potrebbe polverizzarsi da un momento all'altro, ma Bilbo non ha la capacità di preoccuparsi di questo – l'acqua ha il sapore dell'ambrosia ora, e si seppellisce nuovamente nelle lenzuola fresche dopo aver saziato la sua sete, perfettamente pronto a tornare a dormire.

“Mi dispiace tanto per tutto questo, Bilbo,” dice Gandalf, e il suo tono è così serio che Bilbo gli concede quella poca attenzione che può dare.

“Noi – io avrei dovuto prevederlo,” continua Gandalf, “stava andando tutto un po' troppo bene, non credi?”

“Davvero?” borbotta Bilbo, poi, quando le sopracciglia di Gandalf si inarcano, “vedi, io non... non è che non mi ricordo, è solo... è tutto molto confuso. Ho qualche difficoltà a ricordare esattamente quello che...”

La sua voce si affievolisce. È come se la sua mente gli stesse volutamente nascondendo i dettagli più intensi di tutta la traversia – come se non riuscisse ad accedervi neanche se ci provasse davvero. Una sorta di meccanismo di auto-conservazione, forse.

“Vuoi che te lo riassuma allora?” chiede Gandalf gentilmente, e senza pensarci troppo, Bilbo annuisce. Forse inizierà a ricordare nel frattempo.

“Beh, siamo riusciti a riunire tutti insieme – abbiamo fatto incontrare la Duchessa e Bifur Abkhûz con Thráin a Palazzo.”

“Sì, e ci siamo seduti attorno a un grande tavolo, e c'erano... i biscotti?” Bilbo aggrotta la fronte – pensare troppo è come cercare di nuotare nel fango. Sforza i muscoli, e ha molto poche speranze di arrivare da qualche parte.

“Un sacco di biscotti, se ben ricordo, sì,” risponde Gandalf e un piccolo sorriso balla sulle labbra, ma svanisce rapidamente con le sue parole successive, “si era rivelata essere una buona idea per scovare le intenzioni di Bundushar, ma, beh, evidentemente non siamo riusciti a scovarle tutte.”

“Lo Schema,” Bilbo espira, e le sue tempie pulsano come se per avvertirlo.

“Oh sì. Interessante, quello. Bard era molto orgoglioso di aver saputo quale ruolo la madre avesse avuto in questo. Credo che stia ricostruendo la maggior parte di esso in questo momento, dandogli una forma pubblicabile. Per come vanno le cose in Erebor, ci sarà una dichiarazione ufficiale... giovedì, penso?”

“Oggi è...?” chiede Bilbo, quasi troppo spaventato di sentire la risposta.

“Lunedì,” fornisce Gandalf in tono leggero.

“Oh.”

“Sì. Tutto accade così in fretta da queste parti.”

“È vero,” Bilbo sospira, e gli sembra sempre di più che la sua energia si stia dissipando dal suo corpo con ogni respiro che lascia sfuggire dai polmoni – cerca di combatterlo, lo fa davvero.

“Allora, Bundushar è...?” chiede, e una parte di lui sa che la domanda è troppo grande, troppo estesa, ma ha solo bisogno di sentire...

“È stato ufficialmente accusato di... un sacco di cose, cospirazione per tentato omicidio tra le tante, ma si sta nascondendo. Non ha lasciato il paese, per quanto ne sappiamo.”

Non quello.

“È stato lui a spararmi?” chiede Bilbo, ed è del tutto stupido e anche sbagliato, lo sa, ma non sembra avere molto controllo sulle sue parole ancora.

“Certo che no,” risponde Gandalf.

“E allora chi?”

“Qualcuno che lavora per lui, non c'è dubbio.”

“Non c'è dubbio,” ripete Bilbo, e per qualche ragione, quella breve frase strattona qualcosa sepolto nel profondo delle parti al momento non disponibili della sua mente – gli ci vogliono secoli per formulare la prossima domanda, incerto di quello dovrebbe chiedere.

“Tu... non sai chi...?”

“È stato qualcuno che sapeva che Thráin, la Duchessa e Bifur si sarebbero trovati tutti nel Palazzo, allo stesso tempo,” dichiara Gandalf semplicemente, “Bundushar sapeva che una volta avremmo messo loro tre insieme, sarebbe stata solo una questione di tempo scoprire cosa stava facendo. È ragionevole supporre che volesse sbarazzarsi di loro, tutti in una volta. Non è stato saggio aver cercato di farlo nell'edificio più protetto di tutto il paese, ma ormai il gioco è fatto.”

“Ma... come?” chiede Bilbo con un filo di voce, “Come ha fatto – voglio dire... tutto ciò ha ben poco senso in generale, Gandalf. Pensavo che avessimo deciso che affossarlo sarebbe stata solo una questione di... com'era? Un paio di parole accuratamente selezionate?”

“Oh, allora ti ricordi,” Gandalf sorride tristemente.

“Quasi tutto,” mente Bilbo.

“Beh,” Gandalf esala, appoggiato allo schienale della sedia (ha l'aspetto più stanco che Bilbo gli abbia mai visto, osserva), “la teoria è che ha avuto una talpa per tutto questo tempo. Qualcuno sporco – perdonami il gergo da serie TV poliziesca – che gli ha passato le informazioni vitali per tutto il tempo.”

“E tu non sai chi sia questa persona,” borbotta Bilbo.

“Ci sono... dei sospetti. Qualcuno infiltrato nel Palazzo completamente inosservato, e sapeva esattamente dove andare a trovare il nostro... incontro. Ti ha sparato, e l'ha fatto sembrare come un incidente, come se fossi d'intralcio, niente di più.”

“Sono stato d'intralcio per tutto il tempo, non è vero,” osserva Bilbo seccamente.

“Allora,” nota Gandalf a bassa voce, “niente di tutto questo è colpa tua. Nessuno di noi l'aveva previsto. Ero già quasi fuori dal Palazzo quando è successo, e quando sono tornato dentro...”

“Cosa?” chiede Bilbo, premendo la mano sullo stomaco in qualche tentativo di tenersi insieme mentre si rotola di lato per avere una visione migliore di Gandalf, “che cosa è successo?”

L'uomo lo guarda quasi con tristezza per un lungo momento straziante, e ricorda a Bilbo il Gandalf che conosceva, più che in qualsiasi altro momento durante la sua permanenza qui – un uomo alto e vivace che camminava per i corridoi della scuola dove Bilbo aveva passato i suoi anni migliori. Dove era andato a finire?

“Beh, innanzitutto, ti avevano sparato,” dice Gandalf infine, e il suo solito genuino sorriso allegro ha un accenno forzato ora, “avevo paura che anche gli altri fossero in imminente pericolo, ma...”

“Ma?” pungola Bilbo, dopo un lasso di tempo in cui Gandalf non fa altro che fissare il vuoto, assorto nei suoi pensieri.

“Beh, ho chiamato per chiedere aiuto per te, il che ha emesso un blocco su tutto il Palazzo, naturalmente, e poi ho rinchiuso Thráin, Bifur e la Duchessa con gli altri in una stanza, e abbiamo aspettato,” continua quasi a malincuore, “per molto tempo. Avevo preso accordi con gli uomini del Commissario Surkaz – avrebbero dovuto monitorare tutto, e colpire se necessario, ma di certo se la sono presa comoda. Ma suppongo che non ci fosse niente da... beh, notificare alla fine. Chiunque ti abbia sparato non ha potuto finire la sua missione, qualunque essa fosse, o – e questa è l'opzione peggiore – ha ottenuto esattamente quello che voleva ed è scomparso così come è arrivato.”

“Gandalf,” mugola Bilbo, la propria voce alle sue orecchie suona molto più terrorizzata di quello che si aspettava – e Gandalf lo fissa semplicemente, fronte corrugata.

“Bilbo, sei assolutamente certo che non sai chi ti ha sparato?”

C'è quel pulsare nelle tempie di nuovo, e Bilbo quasi geme per il dolore, non desiderando altro che riaddormentarsi di nuovo – ma se sebbene sia ancora incredibilmente inutile quando si tratta di concentrazione o pensare lucidamente, il suo corpo non sembra voler riposare in questo momento. No, sente una strana sorta di agitazione ora, come un fantasma persistente che preme sulla spina dorsale, la pelle d'oca e un freddo che non hanno nulla a che fare con il clima autunnale fuori.

“Non... non mi ricordo,” risponde obbediente, con voce bassa, “Non sono riuscito a vedere – non ho nemmeno visto da dove lo... lo sparo è venuto, ad essere onesto. Ho sentito il primo, e credo di aver – corso, non so perché, credo di aver avuto questa... questa idea che chiunque stesse sparando voleva arrivare ai Principi, e così ho corso in quella direzione, almeno credo di averlo fatto... E poi... beh. Sai. Mi ricordo, ehm... di essere caduto? Sì, suppongo sia ovvio. Ma nessun dettaglio, solo – solo questo. V-venir sparato. Dolore?”

Gandalf ora lo fissa con uno sguardo quasi attonito, e Bilbo si rende conto come tutto deve sembrare – ma tutto questo è solo un'unica grande macchia sfocata ora, anche il dolore. Anche quel qualcosa che si ricorda di aver provato, gli ricorda di decidere che dovrà riclassificare le sue esperienze fisicamente dolorose, perché nulla, nemmeno cadere da quell'albero quando aveva quattordici anni e rompersi un braccio in due punti diversi, potrà mai essere paragonato a questo... Ma non ricorda. Non lo sa. È come guardare una fotografia – può ricordare quello che aveva provato in quel momento, ma non è lo stessa cosa di provarlo adesso. Alla fine dei conti, si sente molto strano e per niente forte.

“Mi dispiace,” ridacchia con un sorriso di scusa, “non sono molto utile, vero?”

È come se le sue parole svegliassero Gandalf da una specie di stordimento, e si riconcentra su Bilbo come se lo stesse vedendo per la prima volta.

“Due spari,” dice lentamente, quasi con attenzione, “quello che ti ha colpito, e... l'altro prima di quello? Sei assolutamente certo di averne sentito un altro?”

“Oh, um... sì?” Bilbo inclina la testa, “sì, l'ho sentito. Mi ha spaventato a morte. Te l'ho detto, ecco perché ho corso... dovunque pensassi fosse meglio correre, io...”

“Affascinante. Allora deve essere stato quello che ho sentito io, perché mi ha fatto correre anche a me – verso di te, naturalmente. Ma due? Non riesco a ricordare di averne sentito un altro. Dovrò indagare. Le registrazioni delle videocamere sono state inconcludenti finora, o almeno così mi hanno detto, ma questo è un nuovo punto di vista da considerare.”

“Gandalf,” dice di nuovo Bilbo, quasi disperatamente, cercando di arrivare a lui attraverso quella fin troppo familiare eccitazione crescente, “cosa devo fare?”

Gandalf lo guarda quasi sorpreso.

“Cosa vuoi fare, Bilbo?” osserva, “mi aspetto che tu debba riposare un po' di più, forse provare a camminare domani – è risaputo che stare lungo per troppo tempo dopo un intervento non fa bene per la circolazione sanguigna...”

“No, sì, ma cosa devo fare?” ripete Bilbo con insistenza, “cioè – qualcuno mi verrà a fare delle domande, no? E i Principi, cioè, ho ancora un lavoro da svolgere, e–”

“Bilbo,” lo interrompe Gandalf, “rilassati. Sul serio, rilassati. Ti meriti questa pausa più di chiunque altro – ti hanno sparato, per l'amor del cielo. Hai bisogno di rimanere calmo. Tutto viene tenuto sotto controllo mentre parliamo.”

“Non mi sembra proprio,” borbotta Bilbo, distogliendo lo sguardo, e Gandalf ride brevemente.

“Non è così brutto come sembra. Non ti preoccupare più di questa faccenda – non avrei mai dovuto trascinarti in essa fin dal principio. Troveremo Bundushar al più presto. Presto sarà tutto finito.”

“Non me l'avevi già detto una volta – che era finita?” sottolinea Bilbo, e Gandalf fa un sospiro spezzato.

“Credo di averlo fatto. Ma è finita – dovrebbe esserlo. Per te. Ora sei al sicuro, e sto dedicando tutti i miei sforzi per far sì che rimanga così. Non voglio più mosse coraggiose e speculazioni e bugie da te. Va tutto bene ora. Hai fatto abbastanza.”

Bilbo lo fissa, sempre meno convinto ad ogni parola.

“Non posso... dimenticare che tutto questo sia mai accaduto,” ribatte ostinatamente.

“No, non penso che tu possa dimenticare – e non penso che dovresti. Ma ti prometto che non dovrai parlare con i media, o essere oggetto di qualsiasi interrogazione o nulla. La polizia potrebbe voler parlare con te ad un certo punto per avere una dichiarazione, ma sarà tra almeno un paio di giorni, e anche se ciò accade, sarò lì a guidarti attraverso di essa e controllare che non si ripercuoti su di te più del necessario. Ma per favore, promettimi che adesso ti concentrerai a stare meglio. Questo è tutto ciò che ti chiedo.”

Bilbo trattiene il suo sguardo, qualcosa di simile alla sfida che si agita dentro di lui, ma non può davvero durare a lungo, naturalmente – e così si arrende per primo, sospirando e seppellendosi sempre di più nelle lenzuola.

“Chi può dire che qualcuno non verrà qui a spararmi?” farfuglia; si rende conto solo ora di quanto la conversazione l'abbia sfiancato – gli arti e la testa fin troppo pesanti, è quasi pronto a tornare a dormire.

“Sei perfettamente al sicuro qui,” Gandalf sorride, “te lo garantisco. Chiedi a Bifur Abkhûz – ha vissuto qui per anni.”

“Aspetta – cosa?” Bilbo aggrotta la fronte, e Gandalf inclina la testa.

“Nessuno ti ha detto dove ti trovi?”

“Un ospedale?” dice Bilbo con scherno, poi, brontolando, “no, Gandalf, nessuno mi ha detto dove mi trovo. Dove mi trovo?

“La Struttura di Degenza Vustduban,” risponde Gandalf con un luccichio quasi fiero negli occhi, “serve principalmente come rifugio sicuro per varie persone ricoverate in modo permanente – come il signor Abkhûz – ma ha anche un team di dottori di emergenza piuttosto eccellente, naturalmente. È stata una mia decisione farti ricoverare qui, piuttosto che un ospedale comune. È più sicuro, e oserei dire che il cibo sarà molto, molto meglio, una volta che ti sarà permesso di assaggiarlo. Sono sicuro che ti lasceranno fare visita al signor Abkhûz quando ti sentirai abbastanza in forma. Queste persone sono dei professionisti – la discrezione è la loro priorità. Nessuno ti disturberà qui senza la tua esplicita autorizzazione. Probabilmente presto ti chiederanno di approvare un elenco di visitatori, e non lasceranno entrare chi non è sulla lista. Avrai un recupero perfettamente confortevole, te lo prometto.”

È il turno di Bilbo di guardalo a bocca aperta senza parlare, un po' sorpreso. Qualcosa dentro di lui tenta di protestare contro tutto questo, ma non è abbastanza potente ancora, repressa da antidolorifici e una stanchezza che stava minacciando di sopraffarlo molto prima che un colpo di pistola gli desse l'opportunità reale di riposare per giorni e giorni.

“Grazie,” dice alla fine, con molta calma, lo sguardo che guizza fuori dalla finestra. Ha cominciato a piovere, e combatte con la necessità di afferrare la coperta e tirarla fino al mento, come era solito fare quando era un bambino.

“È stato un piacere, amico mio,” risponde Gandalf, “è il minimo che potessi fare dopo tutto quello che ti ho fatto passare. Ora riposa di più, preoccupati di meno. Guarda il notiziario, se ne hai voglia. Ti farò sapere se ho tempo di farti visita di nuovo, ma mi terrò in contatto in entrambi i casi.”

Lascia la domanda appesa nell'aria.

“Va bene,” replica Bilbo in tono spento, “per quanto tempo pensi che dovrò stare qui prima che possa tornare al Palazzo?”

“Non ne ho idea,” Gandalf scrolla le spalle, “discutine con i dottori, trovate una soluzione. Ma ti pregherei di rimanere qui per almeno una settimana, forse due. Fino a quando le elezioni non saranno finite. O, meglio ancora, fino a quando non metteremo le mani su Bundushar. Fino ad allora...”

Bilbo cerca un accenno di qualcosa sul suo volto, in realtà non sa cosa, ma poi, ancora una volta, si arrende, annuendo brevemente.

Una sorta di soffocata impotenza spaesata lo sopraffa quando la porta si chiude dietro di Gandalf. A quanto pare, la sua testa ha altre cose in programma che lasciarlo dormire. Qualcosa lo sta assillando nei meandri della sua mente, qualcosa che non sarà in grado di cogliere finché la sua testa non sarà perfettamente schiarita, ma... Gli piace questo sempre meno. Non essere capace di ricordare correttamente, vedere gli eventi che lo hanno portato qui come niente di più che immagini sfocate, scollegate le une dalle altre.

Valorosamente (e molto lentamente) scende dal letto – muovere le gambe è un calvario, ma non impossibile, ed è sollevato quando sente il pavimento freddo sotto i piedi. Indossa dei calzini che non ricorda di possedere, ricorda molto vagamente che sua madre indossava gli stessi quando era in ospedale – aiutano con la circolazione del sangue, o qualcosa del genere. Si alza dimenticandosi i tubi che portano dalla sua mano alla flebo, ma per fortuna il palo è mobile, e così si appoggia su di esso e fa il primo passo cauto in avanti. È molto meno difficile di quanto avesse previsto, sebbene si senta come se stesse trascinando un peso di piombo con lui, posato da qualche parte nelle viscere.

Prima, si fa strada verso la finestra. Si trova al secondo piano dell'edificio, e vede le foglie di un albero di castagno piuttosto monumentale che quasi toccano il vetro, e al di sotto e al di là di esso un prato ben curato, attraversato da sentieri e panchine, tutto bagnato dopo una pioggia recente. Potrebbe quasi essere tornato al Hurmulkezer – il modo tranquillamente organizzato del parco sotto gli ricorda così tanto i giardini del Palazzo. Ad un tratto si sente molto triste, e la sua mente vaga a Thorin, e ai ragazzi. Vuole parlare con loro, ascoltare le loro voci... dovrebbe? Non sa davvero cosa fare.

Si sente come un vecchio, appoggiato alla sua... come si chiama? Gruccia da flebo? Lui stesso non è mai stato realmente in un ospedale prima d'ora. Ah sì, la sua mente continua a vagare... Sospira pesantemente, in modo spezzato, ed è contento quando la natura chiama – è il motivo per cui ha deciso di strisciare fuori dal letto, e significa che le cose ancora … funzionano bene almeno, sì?

Gli ci vuole stupidamente un sacco di tempo per attraversare la stanza, e ancora di più per usare il bagno, ma questo è niente in confronto al tempo che passa semplicemente in piedi davanti allo specchio a fissare la sua immagine riflessa.

Ha un aspetto... beh, orribile, non c'è davvero nessun altro modo per descriverlo. Cereo, bianco malaticcio, borse sotto gli occhi, i capelli in disordine (o meglio, più del solito). I suoi occhi sono vitrei come se avesse l'influenza, e si spruzza l'acqua sul viso e strofinarli gli fa solo dolere la testa. Ma gli fa anche ricordare... qualcosa. Voci, pensa? Bilbo, Bilbo!

Geme tra le mani e guarda se stesso attraverso le dita che gli ricoprono il viso. C'è qualcosa che manca. C'è qualcosa a cui dovrebbe pensare, che dovrebbe ricordare, di cui dovrebbe avere paura, anche adesso... giusto?

Bilbo!

Erano nel bel mezzo dell'ascoltare Thráin e Bifur raccontare un'altra storia della loro giovinezza, ridendo vigorosamente... No, no, dopo quello. Frida che metteva almeno una tonnellata di file sul tavolo tutti in una volta. La Duchessa con i suoi bellissimi occhiali di lettura d'argento che leggeva questo o quello, Bard e Gandalf che si scambiavano sguardi curiosi, Bofur, che era stato di Bilbo un conforto in tutto quel caos, che scrollava le spalle o sorrideva ogni volta che Bilbo guardava verso di lui...

Sì, tutti quei dettagli ci sono, ma non sono importanti.

Lo sguardo sul volto di Thráin quando hanno iniziato a parlare dello Schema. Sì, quello. Bofur che calmava lo zio quando si alterava troppo per Bundushar, e Frida che aiutava la nonna a vagliare rapidamente attraverso i diversi file dagli Archivi, dita in bilico su articoli di giornale databili fino a vent'anni fa...

Moria Fa Fortuna! Formare un conglomerato sull'orlo del millennio è la strada giusta da percorrere?

Ah, sì, gli articoli. Ad un certo punto, avevano cominciato ad annotare i titoli. Qualcuno ha pensato che sarebbe stato meglio elaborare una linea temporale, e avevano finito con quello che agli occhi di Bilbo sembrava un po' come uno di quei tavoli da disegno da film, quelli che appartengono ai detective ossessionati, con perni e fili colorati che connettono le parti importanti. Solo che questo aveva meno perni e fili, e più tazze di caffè a mo' di fermacarte, ed era cosparso di briciole di biscotti. Ma era lì, tuttavia – la storia. Lo Schema.

~~~ ~~~ ~~~

“Passami quello sul tasso di esportazione, cara, ti dispiace?”

Frida era seduta accanto a Bilbo, e al momento era chinata su di lui a cercare in un mucchio di file in mezzo al tavolo ottemperando al desiderio della nonna.

Kigh, amaduh,” Bard, separato da loro da un mare di documenti, era rivolto verso Bifur, e Bilbo non sapeva se doveva dedicare i suoi sforzi a tradurre quella particolare conversazione, o a quel piatto di biscotti laggiù.

Gandalf era di nuovo al telefono. Da quanto tempo erano qui? Ore, sicuramente.

“Posso aiutarti?” chiese a Frida, per cortesia più che interesse effettivo, e la donna sospirò.

“Non lo so. Tutto questo ha molto poco senso. Che cosa stai cercando, nonna?”

“Non lo so ancora,” rispose la Duchessa seccamente, “se ho ragione, ci dovrebbe essere qualcosa qui su quella ditta che Bundushar aveva istituito prima di Moria, sai, quello che ti ho detto?”

Frida brontolò, metà in accordo metà in confusione, e Bilbo condivideva quel sentimento. Fino a quel momento non erano arrivati da nessuna parte – erano soprattutto incapaci di concentrarsi su una cosa tutti insieme, questo era il problema. Troppo spesso, Bifur o Thráin, o tutti e due in una volta, si perdevano nei ricordi. Troppo spesso, Gandalf, che all'inizio sembrava di poter indirizzare tutta la baracca da qualche parte, dovette congedarsi per rispondere ad una chiamata. Bilbo si sentiva piuttosto inutile, circondato da migliaia di articoli in khuzdul di cui poteva capire solo circa tre quarti – sicuramente non tanto quanto avrebbe voluto.

Prese un altro file senza etichetta – era stato incaricato di passare in rassegna quelli per il momento, finché non sarebbe riuscito a trovare un qualche tipo di sistema. Tra cento anni, forse.

“Oh, questo è in inglese!” esclamò allegramente a nessuno in particolare – nessuno stava prestando molta attenzione a lui comunque.

Questo file era più spesso degli altri, e presto divenne evidente perché – conteneva... sì, altri articoli di giornale, ma anche...

“Oh cavolo... eh, Gandalf?” mugolò Bilbo mentre scrutava l'insolita disposizione dei documenti davanti a lui, ma l'uomo si era allontanato di nuovo dal gruppo, chiacchierando in... francese, giusto?, e così Bilbo semplicemente si aggiustò gli occhiali e tornò alla sua lettura.

Erano... cosa si chiamano? File personali? Oppure... pezzi di loro, comunque. Nomi che Bilbo non riconosceva, ma la maggior parte di loro sembrava essere di giornalisti degli anni Ottanta, cosa che concluse dagli articoli che univano ogni persona e che portavano il loro nome. Nomi khuzdul, perlopiù, ma... che aveva a che fare la BBC con questo? Oh, informatori stranieri, sì, aveva un senso...

Bilbo sorseggiava il suo tè e leggeva di loschi accordi commerciali, e previsioni di guerra e spionaggio industriale, tutto questo suonava un po' inverosimile da dove era seduto, un po' come la trama di un libro che si può leggere in un lezione di storia economica, o di uno di quei film con un sacco di abiti grigi e gente che fuma al chiuso che da sempre lo facevano addormentare.

Si strozzò un po' con il suo Darjeeling quando girò una pagina e vide il nome Laura Ibindikhel in cima ad essa, accompagnata da una foto della donna. Era straordinaria, proprio come Bard l'aveva descritta, e il figlio aveva certamente prese da lei – gli occhi penetranti e gli zigomi affilati, i capelli scuri e le forti sopracciglia determinate erano tutti lì, più morbidi ma molto riconoscibili...

“Bard, ecco qualcosa su tua madre!” gridò Bilbo, ma il giornalista semplicemente agitò la mano verso di lui – sembrava essere del tutto assorto in quello che doveva essere una storia insolitamente coerente di Bifur. Bilbo si strinse nelle spalle e ritornò al file.

'Scoprire l'invisibile'. 'Oltre i Confini – l'Incredibile Storia di una Donna che Infrange i Limiti'. 'I Rischi del Successo – la carriera di Laura Ibindikhel è a repentaglio o solo agli inizi?' 'Laura Ibindikhel Accusata!' – la famigerata giornalista (31 anni), sulle tracce di ciò che crede potrebbe condurla a scoprire quello che lei ha descritto come 'il più grande complotto che abbia mai infestato la nazione di Erebor', è stata accusata di violazione di domicilio, in base alle accuse dell'insigne uomo d'affari Smaug Bundushar in persona. Bundushar, una stella nascente nel regno alpino, ha avuto i suoi problemi con la Ibindikhel apparentemente da quando ha annunciato la creazione del Conglomerato di Moria–'

“Bard!” gridò Bilbo di nuovo, gli occhi ancora incollati al file, “devi vedere questo!”

“Non ora, Bilbo.”

“Ma...”

'Accuse Svanite! La scorsa settimana, Laura Ibindikhel è uscita fuori indenne da ciò che si credeva essere un caso da stroncamento di carriera contro di lei. Le accuse mosse dall'imprenditore Bundushar sono state ritrattate in circostanze dubbie, e speculazioni circa l'intervento straniero in favore della Ibindikhel sono già sorte. I legami della giornalista con l'avamposto dell'Intelligence Britannica nella capitale di Erebor, Azanulbizar, sono di dominio pubblico, ed è solo questione di tempo prima che–'

“Bard, sul serio!” esclamò Bilbo, ma quando vide che il giornalista non gli stava prestando alcuna attenzione, si alzò dalla sedia e girò intorno al tavolo verso di lui.

“Mi dispiace molto interrompere, davvero, scusa,” balbettò, “ma devi sul serio vedere questo. Leggilo.”

Aprì con forza il file sulla pagina con il viso della madre di Bard sul tavolo di fronte all'uomo, e fece del suo meglio per sopportare lo sguardo truce di lui e Bifur, che avrebbe dovuto essere molto più minaccioso se l'uomo non avesse le briciole dei biscotti sui baffi.

“Leggi questo,” disse semplicemente, e Bard aggrottò la fronte, ma lo assecondò.

“Che cosa abbiamo qui?”

Quello era Gandalf, chinandosi su Bilbo per vedere.

“C'è un intero file sulla madre di Bard,” spiegò Bilbo eccitato, e Bifur aggiunse qualcosa in khuzdul che non afferrò.

“Non capisco,” disse Bard lentamente, “intervento straniero? Legami con l'avamposto dell'Intelligence Britannica? La fa sembrare come una specie di spia o qualcosa del genere – Dottor Grey? C'è qualcosa che non mi sta dicendo?”

Gandalf era quasi accigliato, così assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse di Bard in un primo momento.

“Hm? Io – beh. Non ne sono sicuro. Mi faccia fare una telefonata...”

E scomparve prima che potessero fermarlo, marciando via. Bilbo si mise a sedere accanto a Bard.

“Questo cita il Conglomerato di Moria,” sottolineò, “cosa pensi...”

“Non lo so,” mormorò Bard, “davvero non lo so.”

“Che cos'è?” chiese la Duchessa dall'altra parte del tavolo, e anche Bofur e Bombur si affollarono intorno allo zio per sbirciare, e così Bard lesse l'articolo ad alta voce per farlo ascoltare a tutti, con Bofur che lo traduceva ad una velocità sorprendente per Bifur.

E c'era di più. Molto di più. Per qualche ragione, la madre di Bard aveva scelto Bundushar come il suo obiettivo principale, tanti anni fa, e sembrava assolutamente irremovibile a trovare qualsiasi prova schiacciante. Nel corso degli anni che avevano portato alla rivoluzione, aveva accusato Bundushar di sottrazione di fondi esteri, falsificazione di prove, falsa testimonianza in tribunale, anche cospirazione per tentato omicidio... Tutto ciò per arrivare a lui, da ogni angolazione possibile.

Bard ripescò alcuni articoli effettivamente scritti da lei, non su di lei, e si comportò come se tutto stesse iniziando ad avere molto più senso, mentre Bilbo era seduto lì con le carte che si accumulavano davanti a lui, sempre più perso. Poi Gandalf tornò, e la sua dichiarazione radicale difficilmente gettò luce su tutta la faccenda, ma forse era solo Bilbo che non riusciva a cogliere il quadro ancora più grande.

“Ho appena parlato con qualcuno in Inghilterra,” disse Gandalf, strizzando l'occhio a Bilbo per qualche ragione, “ed è come avevo previsto – Laura Ibindikhel ha lavorato come informatrice per noi dai primi anni Ottanta fino alla sua prematura scomparsa.”

“E 'noi' significa...?” domandò Bard.

“L'MI6.”

Bilbo pensava di poter quasi sentire tutta la stanza trattenere il respiro. Avrebbe voluto molto essere scioccato come tutti gli altri, ma ancora non riusciva davvero a dare un senso a tutto questo.

“Allora... cosa?” chiese, seguendo quello che sua madre gli aveva insegnato (non esitare a chiedere se non sai qualcosa, è meglio che comportarsi come se la sapessi), “era una spia?”

“Detta molto rozzamente, ma sì,” rispose Gandalf, “e Bundushar era il suo incarico, o almeno così sembra. Con il tempo, potrei essere in grado di tirare fuori alcuni documenti su di lei dai nostri archivi...”

Si allontanò proprio così, tirando fuori il cellulare ancora una volta e digitando qualcosa, e Bard si alzò di colpo dal suo posto, marciando verso Frida e sua nonna, mentre Bifur iniziò a borbottare ai nipoti... Stava di nuovo diventando tutto un caos, e Bilbo non sapeva cosa fare, ma per fortuna, la Duchessa gli fece cenno di avvicinarsi, e così obbedì, portando anche Thráin con la sedia a rotelle.

“Professore, nella vostra conversazione, Bundushar supponeva che lei fosse una spia, giusto?” gli chiese direttamente la donna severa, e Bilbo annuì a disagio.

“Ah sì. Sembrava convinto che tutto... questo,” un gesto vago che descriveva il suo fagotto di stranezze personali e ansie, “fosse solo una recita.”

“Hmm,” commentò la Duchessa, spingendo gli occhiali sul naso.

“È perché aveva già avuto a che fare con le spie,” spiegò Bard, senza mai distogliere lo sguardo dai file sparsi davanti a lui.

“... Okay?” Bilbo si strinse nelle spalle, cercando di vedere quello che stavano vedendo, e Frida era quella ad avere pietà di lui.

“Erano solo voci risalenti a molto prima della rivoluzione, ma c'era stato tutto un gran clamore sul fatto che fosse iniziata con l'intervento straniero,” spiegò, “Bundushar è considerato il principale responsabile anche ora, naturalmente, ma non è stato mai dimostrato niente. È scomparso prima che qualcuno potesse inchiodarlo, e poiché la sua più grande opposizione – vale a dire, Laura Ibindikhel – se n'era andata allora, non c'era nessuno che potesse portarlo in tribunale. Il che è il motivo per cui è potuto tornare dopo tutti questi anni e comportarsi come se niente fosse successo. Ma sì, si diceva che non si stesse nascondendo da Erebor di per sé, ma da... beh, qualcun altro. Il coinvolgimento della signora Ibindikhel con gli inglesi lo conferma.”

Ma non era l'intera storia. Nemmeno l'inizio di essa, in realtà, e Bilbo era sempre di più in soggezione mentre iniziava a prendere forma davanti a lui. Aveva letto quello che poteva sulla rivoluzione, naturalmente, e c'era stato quel mese che Bard aveva passato ad inoltrargli tutti i tipi di articoli e interviste con Bundushar, ma scoprì di sapere davvero solo una piccolissima parte di tutto questo. Avrebbe dovuto scriverselo per ricordare tutti i nomi e accadimenti, ma era occupato altrove.

I tre – Thráin, Bifur e la duchessa di Khazad – non sapevano niente del lavoro della loro amica per l'MI6, ciò stava diventando sempre più chiaro piuttosto rapidamente. La Duchessa Elsa, la mente più sana tra i tre, ricordò che Laura aveva lasciato un libro incompiuto prima di morire. Bifur si ricordò, anche se in maniera un po' frammentata, una conversazione che aveva avuto con lei in cui gli aveva detto di stare estremamente attento ad andare contro il Conglomerato di Moria, perfino accettare di lavorare per quella nuova società mineraria... Thráin sapeva che lei era molto interessata a una sorta di fondazione che lei e la giovane Principessa Dís volevano iniziare. Tutto sommato, hanno passato un sacco di tempo a speculare, Bilbo e Frida e Bofur a scrivere date e nomi, e Bilbo sapeva che stavano cercando di trovare uno schema...

Lo Schema. Si verificò una svolta... non nel modo Bilbo si sarebbe aspettato che accadesse. Non con una frase o con un pezzo di informazione emerso apparentemente dal nulla, ma piuttosto con la creazione di un mosaico faticosamente intessuto di fatti. Il Conglomerato di Moria diventava quatto quatto sempre più forte, quasi in segreto, mentre il vecchio Re diventava sempre più malato, sempre meno in grado di esercitare le sue funzioni di conseguenza. Bundushar si sbarazzò dell'opposizione velocemente, mentre nessuno guardava, facendola franca perché nessuno guardava. Il Paese era stato dato alle fiamme dal proprio sovrano, la cui mente era stata a sua volta data alle fiamme da una malattia che nessuno avrebbe potuto prevedere o fermare, e una grande azienda che inghiottiva quelle più piccole come uno squalo che inghiotte i colorati pesciolini di barriera non era motivo di preoccupazione per nessuno in quel momento.

Il monarca delirante non aggiungeva nulla alla pace, vedendo spie e bugiardi ovunque tranne che nel posto giusto. E questo era esattamente ciò che Bundushar voleva: far apparire lui e la sua azienda come sostenitori della Corona, alimentando per tutto il tempo il marcio che la stava lentamente consumando dall'interno. Laura Ibindikhel ne era a conoscenza, ma prima che potesse fare qualcosa a al riguardo, Bundushar fece in modo che anche lei venisse screditata. Morì ancor prima che la rivoluzione ebbe inizio, sbranata e disonorata da una serie di processi giudiziari effettuati da persone che quasi certamente lavoravano per Bundushar.

Bilbo ascoltò tutto questo, e si domandò come cavolo aveva fatto il paese a sopravvivere. Come cavolo Thorin era riuscito a resuscitarlo, ridare la vita a qualcosa di così malato. Ma un paio di litri di tè più tardi rivelò che, mentre Thorin fece un'enorme, impressionante mole di lavoro sul Paese, non sarebbe andato da nessuna parte senza la sorella. Era stata l'unica che aveva creduto a Laura Ibindikhel fino al giorno in cui la giornalista non morì, ed era stata lei quella a cacciare Bundushar dal paese. E nessuno lo sapeva. Con la polizia resa inutile, impegnata con la gestione dei disordini pubblici, piuttosto che con le eventuali cospirazioni che cercavano di distruggere il Paese dall'interno, Thráin aveva coraggiosamente tentato di prendere in mano la situazione. Ma anche lui venne presto considerato un nemico, dallo stesso padre nientedimeno. Eppure, lui e i suoi amici e colleghi, molti dei quali erano seduti allo stesso tavolo insieme a Bilbo, avevano fatto del loro meglio per costruire un caso contro Bundushar, e Smaug a sua volta aveva fatto del suo meglio per sbarazzarsi di loro uno ad uno.

La Duchessa Elsa – all'epoca ancora con il marito al suo fianco – alla fine fu costretta a lasciare il paese. Un paio di persone finirono nel mirino del vecchio Re e furono imprigionate. E dopo l'assassinio inscenato di Thráin, Bifur Abkhûz era tutto solo...

Quello che non sapevano era che la giovane Principessa aveva agito seguendo le istruzioni di Laura Ibindikhel per tutto il tempo, ed era stata in effetti lei ad aiutare le persone a rimanere vive. Aveva fatto in modo che i nonni di Frida potessero emigrare in sicurezza, la loro destinazione tenuta accuratamente segreta. Era stata l'unica a sapere che Thráin era sopravvissuto, e aveva mantenuto il segreto per sé per tutti quegli anni, come era nel piano originario. L'azienda mineraria del marito era stata il suo trionfo, la sua possibilità di schierarsi contro il Conglomerato di Moria con qualcosa di solido in mano, ma lei, come molte altre persone prima di lei, aveva ampiamente sottovalutato Smaug Bundushar, e l'aveva pagato con la sua vita.

Bilbo era seduto sulla sua sedia, la testa che gli girava, e non sapeva se piangere o ridere – con i fatti disposti in presenza di tutti, sembrava quasi semplice. Anche se sembrava sbalorditivo, inconcepibile, e francamente un po' irrealistico. Bilbo provò un tale dolore per Thorin. Thorin, la cui sorella l'aveva aiutato a sopravvivere alle loro perdite, che l'aveva aiutato a far rinascere un paese dalle sue ceneri, che aveva portato con sé un segreto che non avrebbe mai potuto dirglielo. I perché e i se avevano poca importanza, Bilbo lo sapeva. Lo Schema era stato rivelato. Laura Ibindikhel stava per scriverci un libro – il manoscritto era sparito, o almeno così tutti decisero. Aveva fatto un ottimo lavoro a lasciare il figlio fuori da tutto, e Bilbo aveva osservato il volto di Bard per tutta la serata, l'opprimente incredulità, lo shock, l'orgoglio dopo aver appreso quello che la madre aveva compiuto. Guardò Bifur Abkhûz quasi sopraffatto dall'emozione quando venne dimostrato che aveva avuto ragione, quando finalmente venne data una forma ai frammenti dei suoi ricordi, interconnettendoli insieme alla fine. Guardò Thráin commosso fino alle lacrime, mentre la verità sulla figlia finalmente emergeva. Lui e Bilbo fecero un patto quella notte di raccontare tutto a Thorin il più presto possibile.

E lo Schema era stato proprio questo. Uno schema. E anche il nome di un file contenente tutte le informazioni e le prove schiaccianti che Laura Ibindikhel aveva raccolto su Bundushar, e che ora giaceva da qualche parte in fondo a questo o quel polveroso archivio in Inghilterra, ma non era quella la cosa importante. Le storie erano importanti – taciute per un decennio, ma ancora collocandosi al loro posto come gli ingranaggi di un orologio, girando senza soluzione di continuità. Bilbo non pensava di aver mai visto niente di più sorprendente – una manciata di persone che rivivevano la storia e riscoprivano antiche verità e bugie. Si sentì davvero come parte di qualcosa di grande, quella notte, anche se non aveva assolutamente nulla a che fare con tutto questo. Non era stato nemmeno particolarmente utile, ad essere onesti. Ma essere lì, essere testimone di tutto, era più di quanto potesse mai sperare di meritare.

Continuava a domandarsi se Thorin l'avrebbe presa in modo simile. Gli avevano mentito, l'avevano ingannato, gli avevano trattenuto informazioni vitali... Ma Bilbo non provava più paura ad affrontarlo. No, si sentiva come... si sentiva come se avesse bisogno di essere lì per lui, assicurarsi che gestisse bene, o no, tutte queste rivelazioni. Era quasi ansioso, quella notte, di dirgli tutto il più presto possibile, ed era contentissimo quando Gandalf concordò con lui, per una volta. Era tutto... incredibilmente esilarante, e Bilbo onestamente credeva che tutto fosse diretto verso un luminoso e felice traguardo. Glielo fecero credere tutti.

“In Inghilterra farò scovare da qualcuno i file della signora Ibindikhel negli archivi,” gli disse Gandalf mentre camminavano fianco a fianco, Bilbo diretto a vedere i ragazzi, la testa che gli girava ancora un po' (avrebbe mai smesso?), “potrebbe volerci un po' di tempo, ma sono sicuro che conterranno alcuni dei pezzi finali del puzzle. Abbiamo già il coltello dalla parte del manico, Bilbo. È solo una questione di tempo prima che i professionisti gli diano uno sguardo tirando fuori tutti quei frammenti di informazioni legalmente ammissibili di cui abbiamo bisogno per sbarazzarci di Bundushar ufficialmente. Ma ormai è una persona finita, in gran parte grazie a te.”

“Oh, per favore,” Bilbo ridacchiò, sentendosi piuttosto stordito, “ho fatto ben poco. Sono solo sopravvissuto a stare nella stessa stanza con lui un paio di volte, tutto qua.”

“È più di quanto avrei mai dovuto richiedere da te, eppure l'hai fatto comunque. Si tratta di un debito non potrò mai ripagare. Ma – Ah, ecco la mia uscita. Ci sentiamo presto!”

E Bilbo lo salutò, lo osservò dirigersi a sinistra e sparire dietro un angolo, e lui stesso continuò sul suo tragitto. Vacillò nella parte superiore del vano scala che lo avrebbe portato al piano inferiore e alle camere dei Principi, e non sapeva nemmeno perché. Un certo... spostamento nell'aria. Rimase in ascolto per un po', ma non sentì nulla tranne che per il debole ronzio delle luci, il tipo di silenzio pesante, a cui si era abituato nel massiccio e maestoso edificio.

Scese le scale con passo svelto, tirando fuori il cellulare per controllare l'ora – quasi mezzanotte. Avrebbe solo sbirciato dentro le camere dei ragazzi in silenzio, vedere se erano addormentati, e poi tornare dagli altri...

Il primo sparo echeggiò apparentemente non appena le sue suole toccarono il tappeto blu e oro del terzo piano, e quasi inciampò. Non era forte, ma lo riconobbe fin troppo bene, subito ricordando l'attacco al Palazzo, e il sibilo ovattato della pistola di Dwalin, ridotto dal solito forte colpo echeggiante ad un fischio quasi sopportabile dal silenziatore. Significava che il tiratore non poteva essere lontano, e proveniva da davanti...? Bilbo esitò solo per un secondo prima di mettersi a correre, dirigendosi verso gli alloggi dei Principi, contro tutto quello che Dwalin avesse mai tentato di insegnargli. E, naturalmente, aveva di nuovo lasciato la pistola nella sua stanza, e, naturalmente, Tom e Bert erano lì a proteggere i ragazzi, e, naturalmente, Bilbo stava assolutamente facendo lo stupido...

Pensò di aver inciampato in un primo momento, che le sue gambe l'avessero tradito facendolo planare. Vide un lampo di qualcosa, qualcuno, nel corridoio che stava passando alla sua sinistra, ma che sarebbero potute essere le luci soffuse che lo ingannavano... Cercò di alzarsi – e diamine, da dove veniva quel dolore? Ostinatamente, pensando di dover essere atterrato ad un angolo molto sfortunato, cercò di arrampicarsi in piedi... gridò di vero dolore, e il suo cervello finalmente si mise al passo con il suo corpo. Si premette la mano al fianco, ed era come se avesse aggirato una sorta di sicurezza intrinseca – il dolore si precipitò nella sua testa, avvolse gli artigli di fantasmi intorno ai suoi sensi, spinse tutta l'aria dai polmoni, e Bilbo sapeva quello che avrebbe visto sulla sua mano molto prima di riuscire a vederlo. Non riusciva a sentire il tappeto sotto di lui, non riusciva a sentire nient'altro al di là del dolore che letteralmente lo stava divorando, e aprì la bocca, ma non poteva essere sicuro di poter emettere alcun suono.

Bilbo! Bilbo!

Probabilmente stava già dando di matto, e aprì gli occhi, li chiuse, li riaprì – inutile. La sua visione era stata ridotta a macchie offuscate e tocchi di colore e di luce, e la sua bocca riempita dal gusto di qualcosa di incredibilmente amaro, e quando la presa di qualcuno sulla sua spalla tentò di trattenerlo nella realtà, era probabilmente già andato da tempo.

~~~ ~~~ ~~~

Si sveglia vergognosamente presto, a giudicare dal colore dello stralcio di cielo visibile fuori dalla finestra, e momentaneamente soffre di una forte confusione prima di ricordare – davvero ricordare – e lasciando un gemito debole scivolare tra le labbra, chiudendo gli occhi, posando la mano sulla pancia, ancora non abituato alla compattezza delle bende. L'ultima cosa che ricorda di ieri (era ieri? Forse ha dormito di nuovo per un giorno intero? Due?) è fissarsi il volto nello specchio nel piccolo bagno laggiù, e non ricorda di essere tornato a letto o di essersi addormentato. Oh beh.

Si gira lentamente per scoprire il suo telefono sul comodino, e gli serve un sacco di forza di volontà per afferrarlo, e un sacco di adattamento per leggere lo schermo senza occhiali. La data, l'8 ottobre, significa a malapena qualcosa per lui, ma il piccolo 'Mar' sotto di essa lo calma. Sì, ieri era lunedì, e Gandalf era qui, e...

La sua mente è invasa da ricordi che devono essere tornati a lui mentre dormiva, e sente quel sapore amaro di rame che ora assocerà sempre con l'essere sdraiato a faccia in giù su un tappeto in un corridoio, occhi vitrei spalancati... Si schiarisce la gola, riscontra che è inaccettabilmente secca, e si guarda intorno alla ricerca di un bicchiere d'acqua, non ne trova nessuno. Com'era quella storia del pulsante per chiamare l'infermiera quando ne aveva bisogno?

Decidendo di probabilmente potersi permettere di essere un po' egoista, lo usa, e lei è rapida ad arrivare, ottemperando ai suoi bisogni e facendogli un paio di domande semplici circa il suo stato, alle quali risponde al suo meglio delle sue conoscenze, molto orgoglioso di essere in grado di parlare in modo coerente.

“Si ricorda quando le ho detto della lista dei visitatori che avevamo bisogno che compilasse, signore?” gli chiede l'infermiera mentre gli risistema il cuscino e la coperta, e quando Bilbo annuisce leggermente, continua, “bene. La faremo dopo aver provato a mangiare un po' di cibo solido, va bene? Dovrebbe iniziare ad avere fame in pochissimo tempo. Ma abbiamo ricevuto una chiamata dal suo datore di lavoro, chiedendo una possibile visita dei ragazzi a cui bada.”

“Stanno bene?” bisbiglia Bilbo.

“Certo che stanno bene,” l'infermiera sorride, “abbiamo ricevuto una chiamata da un certo signor Balin oggi – sembrano piuttosto irremovibili nel vederla, o almeno così mi hanno detto.”

Bilbo la fissa a bocca aperta un po' stordito – è solo molto attentamente discreta, o non sa davvero dove lavora? Decide di ignorarlo finché non è in grado di pensare di nuovo in modo lucido.

“Ah... sì,” borbotta, “sarebbe bello.”

“Solo se se la sente veramente,” gli dice con fermezza, “non vogliamo turbare il processo di guarigione.”

“Oh, no, no,” Bilbo cerca di agitare la mano, ma la solleva appena dalle lenzuola, “Mi piacerebbe vederli. Davvero.”

Potrebbero farmi sentire un po' più vivo, e meno come un guscio vuoto, pensa amaramente.

***

Passa la mattina facendo... non molto, ad essere onesti. Riceve dei messaggi da Frida e Bard che gli chiedono della sua salute – Gandalf li ha probabilmente aggiornati. Accende valorosamente il televisore e guarda il notiziario, ma non c'è niente – beh, è vero che Smaug Bundushar è stato ufficialmente accusato di... sì, Gandalf aveva ragione, di un sacco di cose, e che è irraggiungibile, e che 'il giornalista Bard Ibindikhel ha annunciato che il lavoro di un decennio di sua madre, Laura Ibindikhel, è stato ciò che ha contribuito a far luce sugli illeciti di Smaug Bundushar'... Bilbo non possiede ancora la capacità mentale di tradurre il notiziario khuzdul, e così fa zapping finché non trova la BBC World, e ascolta un servizio incredibilmente noioso sul mercato azionario o roba simile, mentre fuori la pioggia ricomincia, un dolce ticchettio sui vetri.

'... e sabato, il futuro dell'unione fiscale è stato discusso – quello che in origine era un incontro di cortesia convocato dalla monarchia spagnola, si è rapidamente trasformato in un confronto da tempo atteso sui temi che l'Unione Europea ha ritenuto in passato secondari. Le riserve di lunga data del Re ereboriano verso quello che ha pubblicamente definito un'istituzione sull'orlo dell'obsoleto sono ben note, e la sua politica severa di...'

Bilbo fissa lo schermo quasi senza fiato, il cuore in gola – Thorin viene mostrato seduto e che cammina e che parla con gli altri politici, facilmente la figura più imponente tra tutti loro, e Bilbo si è quasi dimenticato del suo viaggio all'estero... soprappensiero, prende il telefono e lo stringe mentre Thorin e il Presidente della Francia si stringono la mano sullo schermo. Bilbo dovrebbe chiamarlo? Dovrebbe almeno mandargli un messaggio...?

No, sicuramente Thorin è incredibilmente occupato in questo momento – cosa deve aver pensato, arrivando a casa solo per scoprire tutto quello che era successo? Bilbo non lo biasima per... non avergli fatto visita, o qualcosa del genere. Perché avrebbe dovuto? Sicuramente deve essere immensamente confuso, a dir poco, e Bilbo non può esattamente dargli la colpa per... fare quello che sta facendo. Gandalf gli ha detto che Bilbo è sveglio, ovvio che l'ha fatto. E inoltre, Bilbo non è del tutto sicuro che sarebbe stato in suo potere reagire di conseguenza se Thorin fosse apparso qui di punto in bianco...

La sua testa gli consente solo una certa quantità di preoccupazione prima che inizi a fargli di nuovo male, ma per fortuna l'infermiera appare per somministrare una nuova dose di antidolorifici, e anche per cercare di far mangiare a Bilbo qualcosa. Non ha per niente fame, ma la polenta è sorprendentemente gustosa, 'tutta roba molto sana, dovrebbe far andare i movimenti intestinali finalmente', e riesce ad ingoiarne un paio di cucchiai. Momentaneamente rafforzato da ciò, compila la lista dei visitatori autorizzati – non molto lunga – e che a sua volta lo stanca abbastanza da farlo riaddormentare, assicurando l'infermiera che va assolutamente bene svegliarlo se qualcuno viene in visita.

Che è esattamente quello a cui si sveglia – un piacevole calore, un debolissimo profumo di aria fresca per la pioggia che filtra attraverso la finestra socchiusa, e Fíli e Kíli. La prima cosa che vede quando si apre la porta sono due abiti scuri che riescono a fargli davvero paura prima di riconoscere Bert e Tom, le guardie del corpo dei ragazzi – e dopo di loro, i Principi che si precipitano dentro, vivi, in cappotti coordinati, seguiti da, stranamente, Bofur.

“Bilbo!” esclama Kíli, e prima che qualcuno possa fermarlo, si arrampica per sedersi sul bordo del letto, “sei vivo?”

“Sono molto vivo,” Bilbo ridacchia, sminuendo con un gesto vago della mano le deboli proteste delle guardie del corpo e prendendo la mano di Kíli nella sua, “e tu?”

“Sto bene!” annuncia Kíli.

“Bene,” Bilbo fa un sorriso esausto, poi, rivolgendosi al Principe più grande, “ciao, Fíli.”

“Ciao... sei così bianco,” osserva Fíli quasi con cautela.

“Sì, mi sento un po' così così adesso,” Bilbo tenta di fare un ampio sorriso.

“Bofur ha portato la frutta!” si ricorda Kíli, e l'autista si fa avanti.

“Ehi,” sorride a Bilbo, anche se il suo sguardo è molto più circospetto di quello dei Principi, e mette la busta di carta sul comodino, “con i complimenti di Bombur e Mirjam. Arance, uva... ah sì, e un paio di quelle veneziane alla cannella che ti piacciono tanto.”

“Grazie,” dice Bilbo in tono serio, “... che ci fai qui?”

“Bofur è la nostra tata!” spiega Kíli, e Fíli rotea gli occhi, mentre l'autista aggiunge, “tata temporanea. Sono stato affabilmente scelto per accompagnare i Principi qui, dato che sarei venuto qui comunque.”

“Possiamo vedere tuo zio adesso?” chiede Kíli.

“Forse dopo,” Bofur sospira, lanciando a Bilbo uno sguardo che non riesce a decifrare, “io vado a vederlo adesso e lascio voi due abrâlhîth con la vostra vera tata, che ve ne pare? Li vengo a prendere presto, Bilbo.”

“Va benissimo,” Bilbo sorride.

“Ricordate quello che ha detto l'infermiera,” dice Bofur ai Principi, “non affaticate il paziente. Comportatevi bene.”

E con questo, scimmiotta a Bilbo un rapido saluto militare e scompare, insieme a Tom, che presumibilmente va a fare la guardia alla porta, mentre Bert è vigile alla finestra.

“Allora?” chiede Bilbo chiaramente, decidendo con fermezza di nascondere qualsiasi segno di debolezza, “come va? Spero che non abbiate usato la mia assenza come scusa per non finire i compiti!”

“Fíli mi ha aiutato con la matematica,” dice Kíli, e il fratello maggiore annuisce.

“Sì, infatti. Ma Bilbo, ti hanno sparato. Che è successo?”

“Che è successo?” ripete Kíli a pappagallo.

“Beh...” inizia Bilbo, guardando un po' impotente Bert, il cui sguardo è severo e impenetrabile come sempre, ma scuote la testa quasi impercettibilmente, e così Bilbo aggiunge, “veramente non lo so. Stavamo facendo una sorta di incontro con tuo nonno...”

“Thráin ce l'ha detto,” lo interrompe Fíli, “e tutti si stanno comportando come se niente fosse, ma Thorin marcia per il Palazzo assolutamente furioso, e ci sono persino più guardie di prima, e ho provato a chiederglielo, ma non mi ha detto nulla che lo possa spiegare. Mi ci è voluto un po' di tempo per convincerlo a farci venire qua.”

Indâd è davvero arrabbiato,” mormora Kíli, le dita che indugiano sopra i tubi intorno al polso di Bilbo – Bilbo dà un buffetto delicato sulla sua mano, e sospira, massaggiandosi la fronte.

“Oh ragazzi,” esala, “Mi dispiace tanto per quello che sta accadendo.”

“Non è che sia colpa tua,” osserva Fíli.

“Sì, non è colpa tua, Bilbo,” aggiunge Kíli, poi, con più entusiasmo, “quando tornerai al Palazzo?”

“Presto, spero,” risponde Bilbo sinceramente, “vogliono tenermi qui per un paio di giorni, credo.”

“Possiamo venire a trovarti?” chiede Kíli.

“Quando volete. Ma solo se non interferisce con i compiti.”

“Dovresti provare a camminare,” fornisce Fíli, e quando Bilbo lo guarda con curiosità, aggiunge, “ho letto a riguardo. Non appena sei in grado, dovresti camminare un po', così il suo sangue può...”

“Circolare.”

“Circolare meglio, sì.”

“Grazie, Fíli. Proverò a farlo.”

Rimangono seduti per un po' più di tempo, Kíli seduto abbastanza vicino così che Bilbo possa avvolgere il braccio intorno a lui mentre Fíli fa zapping tra i canali della TV in modo irrequieto. Bilbo condivide l'uva che Bofur gli aveva portato con loro, e a loro volta promettono di portare più cibo dal Palazzo. Poi Bofur torna, e potrebbero essere passati venti minuti o un'ora, Bilbo sinceramente non lo sa. Il suo amico richiede un momento da solo con lui, e così Bilbo fa promettere ai Principi di essere bravi e di non preoccuparsi tanto.

“C'è qualcosa che vuoi che dica a Thorin?” chiede Fíli quando se ne stanno per andare, e Bilbo lo fissa imbambolato e un po' senza fiato per un momento, il suo cuore batte quasi dolorosamente.

“Io... io non lo so,” balbetta, incrociando lo sguardo preoccupato di Bofur, “digli... di non preoccuparsi tanto. E che sto bene... E di annaffiare le piante.”

Fíli fa un sorrisetto compiaciuto e Kíli ridacchia, ma tutto questo riesce a far sentire Bilbo molto peggio. I ragazzi lo salutano e se ne vanno – troppo presto per i suoi gusti – e Bofur indugia.

“Come ti senti?” chiede una volta che sono soli.

“Oh, sai,” Bilbo sorride un po' amaramente, sforzandosi di sedersi meglio, “una meraviglia.”

“È un gran casino, Bilbo,” dice Bofur seriamente, e quando Bilbo lo guarda meglio, si accorge che un po' della sua aurea ottimista si è dissipata, e sembra... stanco, a dir poco.

“Oh?” mugola.

“Sì. Non appena Sua Maestà è ritornato e ha saputo tutto, l'intero Palazzo è caduto nel caos più totale – mi ha ricordato quel periodo dopo l'attacco. Più guardie, giornalisti ovunque, anche i servizi segreti... Dwalin licenziava la gente a destra e a sinistra. A me non diranno nulla, naturalmente, ma Bifur e Thráin hanno più o meno deciso di comunicare attraverso di me, quindi... sai. Sono qui.”

Bilbo lo fissa senza dire una parola, e il tumulto emotivo che sta vivendo deve essere evidente, perché Bofur sembra quasi mortificato.

“Mi dispiace, non volevo farti preoccupare,” dice, “Vorrei solo che trovassero Bundushar, e tutta questa ikminrab finisse.”

“Lo so,” Bilbo fa un sospiro spezzato, chiudendo gli occhi per un po', sa che il suo amico lo permetterà, “anch'io.”

“Hai parlato con Grey?”

“Sì.”

“E?”

“E niente,” mormora Bilbo, “non sono ancora del tutto convinto che non sia stato un sogno. Non credo che lui ne sappia molto più di noi. Ha un modo di apparire speranzoso anche quando le cose vanno davvero in malora, ma non vorrei... non so. Non lo so.”

“Riposati e basta,” dice Bofur gentilmente, e quando Bilbo apre gli occhi, sembra quasi triste, “in men che non si dica, andrà tutto per il meglio.”

Ma è quello il problema. Bilbo non riesce a vedere la luce alla fine del tunnel. Dorme più di quanto sta sveglio, e pensa che la situazione rimarrà così per almeno un paio di giorni. E dopo? Quando potrà vedere Thorin di nuovo? Finora tutti lo stanno trattando come se fosse la vittima in questo, ma tutti non è Balin, o Dwalin, o il Re in persona. Bilbo sinceramente non può dire ciò che il futuro porterà, e dormirci sopra è un concetto talmente ridicolo, date le circostanze, ma lo fa comunque.

***

La più grande impresa che consegue il giorno dopo è fare colazione, e fare una passeggiata. L'infermiera che si prende cura di lui lo accompagna in ascensore, e le assicura che non ha bisogno di una sedia a rotelle, grazie mille, ma questo è, naturalmente, una grande sopravvalutazione della sua forza. Un bellissimo parco si estende davanti a lui, gli alberi addobbati in pieni colori autunnali e l'aria che profuma di terra bagnata, ma nonostante l'ambiente piuttosto tonificante, riesce ad arrivare solo alla prima delle panchine che costeggiano il sentiero prima di doversi sedere.

“Adesso vado a prendere la sedia a rotelle,” annuncia l'infermiera severamente, e Bilbo non ha la forza di discutere con lei, e quindi si stringe la vestaglia dell'ospedale intorno alle spalle, e osserva un paio di merli che litigano per qualcosa tra l'erba. Vede altri pazienti, che camminano lentamente o seduti come lui, accompagnati da infermieri in bianco, ma non individua Bifur. Non che lo voglia particolarmente – cosa potrebbe dire all'uomo comunque?

La proprietà dell'ospedale è circondata da un alto muro di mattoni, e lo stesso edificio è più piccolo di quanto si aspettasse, pareti rosse ricoperte di edera, le vecchie finestre alte e il grande cancello principale che suggerisce la vera età di tutto. Per i pochi eletti, pensa Bilbo, e gli fa venire vagamente la nausea considerarsi abbastanza importante da essere qui. Guarda dove ti ha portato la vita.

Per fortuna, il freddo che si infiltra nelle sue articolazioni supera ben presto qualsiasi dubbio esistenziale profondo, ed è molto grato di crollare sulla sedia a rotelle e tornare dentro l'edificio – gli viene mostrata la zona soggiorno comune, così come la sala da pranzo e simili, ma non è interessato in niente di tutto ciò, onestamente. Spera sinceramente di non rimanere qui a lungo. Ha bisogno di tornare al Palazzo, di sistemare così tante cose.

Quella notte, dorme poco. In parte perché il suo stomaco ha deciso di iniziare a svegliarsi a dovere ed è turbato da alcuni movimenti intestinali sgradevoli, ma anche perché ciò che lo circonda riesce a metterlo particolarmente a disagio, uno stato d'animo che vorrebbe davvero che non fosse così familiare. Non aiuta il fatto che si ricordi meglio ora, si ricorda quasi tutto, e si tortura cercando di trovare qualsiasi cosa lui – loro potrebbero non aver notato, qualsiasi cosa che possa far luce su ciò che è effettivamente accaduto. L'unica cosa che alla fine riesce a cullarlo in un sonno instabile è una replica di una vecchia stagione di EastEnders che scopre su questo o quel canale quando una debolissima striscia di luce rosata ha iniziato a colorare l'orizzonte, e guarda la soap-opera con una sorta di disgusto distaccato finché i suoi occhi si chiudono per conto loro.

La mattina porta con sé un clima che non coincide minimamente con il suo stato d'animo – fin troppo brillante, fin troppo bello, fin troppo caldo. Mazzi di fiori, cartoline di pronta guarigione e più frutta vengono consegnati nella sua stanza per tutto il giorno, il che è... ottimo, ma guarda l'abbondanza di colori e si sente fortemente insoddisfatto con se stesso. Si domanda se siano solo gli antidolorifici. Spera che siano solo gli antidolorifici, perché, per quanto l'ansia sia il suo stato di default, di solito non è così lunatico.

Frida – e sua nonna, stranamente – gli fanno visita nel pomeriggio, riconoscendo il suo stato d'animo afflitto immediatamente e decidendo di affrontare il problema mettendolo di nuovo su quella maledetta sedia a rotelle e portandolo fuori all'aria aperta. Entrambe sembrano così mortificate, mi dispiace tanto che questo sia accaduto, e Bilbo sorride debolmente come è suo dovere e le assicura che sta bene. Sa che Frida non è così ingenua, lo vede nei suoi sguardi, quando non sta discutendo con la nonna di come i media stanno trattando la cosa o qualche altra sciocchezza, ma non ce la fa a confidarsi con lei. Cosa c'è da confidare comunque? Che ogni respiro che fa è così amaro che è preoccupato che la sua ferita lo stia avvelenando in modi che non hanno nulla a che fare con gli organi interni danneggiati? Più tardi, mastica le fette d'arancia che l'infermiera ha accuratamente preparato per lui, uno sguardo vitreo puntato verso il televisore, ancora una volta, cieco e sordo a tutto ciò che sta succedendo lì, e pensa che forse sarebbe stato meglio se avesse ripreso dalla famiglia reale – sembrano essere così bravi a gestire queste cose. I ragazzi sembravano così imperturbabili, vedendolo giacere in un letto d'ospedale. Sono dei combattenti, tutti loro, Bilbo lo sa. Sa anche che non è uno di loro. Non è un Durin, capace di andare avanti anche arrancando, o quello che è.

Per fortuna, la precedente notte insonne ora sta facendo sentire i suoi effetti negativi, e si addormenta subito dopo cena, beatamente indisturbato da ulteriori visitatori o chiamate... solo per svegliarsi di soprassalto quando sente un suono. Il suo cervello lo sveglia senza effettivamente registrarlo, ma c'è... sì, ci sono delle voci nel corridoio fuori della sua stanza, e la stanza è buia, completamente buia... Senza volerlo, Bilbo si aggrappa alla sua coperta come se potesse proteggerlo, e allunga le orecchie per sentire meglio.

Riconosce la voce dell'infermiera, piuttosto irritata se ha indovinato bene e... è Dwalin?! Il cuore di Bilbo ora palpita quasi dolorosamente, e la gola è improvvisamente secca. Stanno chiaramente discutendo, ma non può capire le parole, e inoltre, tradurre il khuzdul attraverso una porta non è una delle sue abilità. Quasi senza pensare, accende la piccola lampada sul comodino, e fissa la porta – e come se questo fosse ciò che l'universo stesse aspettando, si apre, l'infermiera che fa capolino...

“Cosa sta succedendo?” chiede Bilbo, mettendosi a sedere.

“Oh – è sveglio! Signor Baggins, sono davvero dispiaciuta per questo, ma–”

Shândab tur.”

È in effetti Dwalin, che entra con prepotenza, occhi severi che danno una scorsa all'interno della stanza finché non si posano su Bilbo, il quale non riesce a trattenersi – deglutisce nervosamente.

“Ci dia un po' di privacy,” tuona Dwalin all'infermiera, e gli occhi della donna si spalancano.

“Signore, questo paziente è in fase di guarigione,” dice severamente, “e non permetterò che la interrompa–”

Ma poi in un batter d'occhio, la stanza si riempe con molte più guardie di sicurezza di quante Bilbo possa contare nel suo stato mentale stordito, e a grandi passi entra Thorin, e non è il Thorin di Bilbo, almeno non per il momento. È il Re che comanda aule di tribunale e le grandi sale del Palazzo con la sua mera presenza, sovrastando tutti nella stanza, imponente e minaccioso, i suoi lineamenti come cesellati nella pietra, e la sua voce, anche se abbastanza gentile, è ancora del tutto travolgente mentre si rivolge alla povera infermiera, dicendo: “Un po' di privacy, per favore.”

La donna lo fissa a bocca aperta in uno stato di soggezione sconcertato, probabilmente cercando di produrre almeno qualche parola ma fallendo, e alla fine, si arrende.

“Mi chiami se ha bisogno di qualcosa, signore,” dice a Bilbo che è a malapena in grado di annuire, e poi la donna si dirige fuori dalla stanza.

Bilbo apre la bocca, ma sa che non sarà capace di dire nulla – Thorin lo guarda allora, ed è peggio di qualsiasi ferita. I suoi lineamenti non mutano nemmeno un po', nessun accenno delle rughe morbide attorno agli occhi che Bilbo è talmente abituato a vedere, le sue labbra una sottile linea turbata, gli occhi penetranti ma distaccati. È orribile. Le viscere di Bilbo si contorcono, e anche lui preme le labbra insieme, un brivido che balla lungo la schiena, lasciando nient'altro che disagio teso e dolore nella sua scia.

“Che è...” comincia, e deve schiarirsi la gola, secca e tesa com'è, partendo da capo, “che cosa sta succedendo?”

Gli occhi di Thorin scivolano via da lui ed avanza a grandi passi per stare dalla parte opposta della stanza, mentre Dwalin riposiziona i suoi uomini con qualche gesto impercettibile e cominciano a perlustrare la camera alla ricerca di... qualcosa.

“Cosa stiamo cercando?” chiede Bilbo, osando uno sguardo verso Thorin, che ora fissa fuori dalla finestra e rimane indifferente.

“Quanto ti ha detto Grey?” gli chiede Dwalin bruscamente, ed è fin troppo evidente, il sospetto nella sua voce, la diffidenza.

“Oh, um... non molto – su cosa?” farfuglia Bilbo, sentendosi sempre di più vulnerabile.

“Su quello che è successo a Palazzo – la notte in cui ti hanno sparato.”

“Oh,” Bilbo sospira tremante, “non... abbastanza, credo. Non ho – non ho visto chi mi ha sparato, se è questo quello che mi stai chiedendo.”

“Non è quello che ti sto chiedendo,” controbatte Dwalin, e poi, dopo aver scambiato uno sguardo breve con Thorin, che annuisce, continua un po' meno minacciosamente, “c'era qualcuno che sapeva fin dall'inizio di quello che succedeva – della vostra piccola... riunione.”

“Era...” tenta Bilbo, ma Dwalin lo interrompe, ovvio che lo fa.

“Non mi interessa. Ne parleremo dopo. Da quando sei qui, qualcuno ti ha suggerito che prima o poi gli uomini del Commissario Surkaz ti avrebbero fatto visita?”

“Il Commissario Surkaz...? No, io non... beh, Gandalf ha detto che è probabile che la polizia voglia farmi qualche domanda, io...”

“Ma davvero,” borbotta Dwalin, voltandosi verso Thorin, i cui occhi guizzano per un istante verso di lui, ma altrimenti rimangono fissi altrove, ignorando del tutto l'interno della stanza.

Uzbad,” annuncia poi una delle quattro guardie, con calma, facendo cenno a Dwalin di guardare dietro il termosifone sotto la finestra. Ovviamente, devono aver trovato quello che stavano cercando, perché Dwalin annuisce a se stesso in tanta soddisfazione quanto il suo volto risoluto possa probabilmente evocare.

“Va bene, ecco cosa accadrà,” si rivolge a Bilbo una volta aver mostrato a Thorin qualunque cosa stiano tutti vedendo, e giocherellandoci, “abbiamo i nostri sospetti su chi la... talpa potrebbe essere. Così anche il Dottor Grey, è per questo che ha messo qui la microspia che ho ora disabilitato.”

“Una – una microspia?” dice Bilbo a fatica, cercando di mettersi a sedere, ma la sua ferita protesta con veemenza, e sussulta anche se fa del suo meglio per trattenersi. Thorin lo guarda, il dolore di Bilbo si rispecchia nei suoi occhi così chiaramente per un istante fugace, ma si dissolve in un lampo.

“Una microspia,” Dwalin annuisce, tenendo tra le dita qualcosa che Bilbo non può sperare di vedere bene senza gli occhiali, “la rimpiazzerò con la mia, e lascerò i miei uomini qua a monitorare la situazione. Se qualcuno associato in qualche modo con la polizia viene a parlare con te, voglio che tu abbia quella conversazione in questa stanza, ci siamo capiti? In effetti, fai più conversazioni possibili in questa stanza. Chiaro?”

“Chiaro – no, non è chiaro,” bofonchia Bilbo, “ti dispiace dirmi esattamente cosa sta succedendo?”

“Non lo so,” sbotta Dwalin, “estenderai la stessa cortesia in futuro?”

La bocca di Bilbo rimane spalancata, ma è completamente incapace di rispondere a quello. La sua ferita sta ora pulsando, non esattamente in modo doloroso, ma come se qualcuno stesse premendo ripetutamente qualcosa contro il suo stomaco, e sta cominciando a sentire un po' di nausea.

“Dwalin,” parla poi Thorin, per la prima volta quella sera, ancora guardando a malapena Bilbo, “barakmâ.”

Lasciaci. Bilbo tenta di dire qualcosa, ma non è davvero al suo meglio oggi, quando si tratta di formare parole reali.

“Thorin–”

“Vai e basta,” ordina Thorin seccamente, e mantiene lo sguardo di Dwalin finché il Responsabile della Sicurezza non cede e marcia fuori dalla stanza, i suoi uomini che lo seguono. Bilbo raccoglie tutte le forze rimastagli e si siede correttamente, stringendo ancora la sua coperta, come un uomo che sta annegando e cerca di aggrapparsi a tutto. Una volta che la porta si chiuse, le spalle di Thorin si abbassano, ed è come se avesse aspettato questo preciso momento per finalmente lasciarsi andare e crollare – è discreto e appena percettibile per qualcuno che non sa cosa cercare, proprio come qualsiasi altra cosa con lui, ma Bilbo è diventato troppo bravo in questo, e non è una bella vista per gli occhi.

“Mi spiace se ci siamo presentati così tardi,” sono le prime parole dirette chiaramente a Bilbo, e tentano di essere così pragmatiche che quasi lo fanno rabbrividire di nuovo, “ma Dwalin ha insistito. Lui e Grey hanno messo insieme tutti i pezzi solo due ore fa, e...”

“Thorin,” mugola Bilbo, non è nemmeno sicuro di aver emesso un suono, ma chiaramente è sufficiente a far tacere il Re, “è... non fa niente.”

“Ah no?” Thorin lo fissa, la sua voce un sospiro spezzato.

Però mantiene lo sguardo di Bilbo, ed è... beh, è quasi più di quello che l'organismo indebolito di Bilbo possa sopportare.

“Io... mi dispiace,” tenta, sapendo quanto terribilmente inadeguato sarebbe sembrato molto tempo prima che le parole lasciassero la bocca, “Non avrei mai dovuto... non sapevo cosa fare, io – non puoi neanche immagine q-quante... quante volte avrei voluto... avrei dovuto dirtelo. Tutto. Molto tempo fa.”

“Vorrei tanto che l'avessi fatto.”

È abbastanza per mozzargli il fiato – Thorin non è arrabbiato finora, solamente... esiste. Guarda Bilbo dall'altra parte della stanza, con le braccia incrociate dietro la schiena, alto, rigido, la mascella serrata contro il dolore. La distanza tra di loro sembra ora incolmabile.

“Non stavo... continuavo ad ascoltare Gandalf, per non so quale motivo,” continua Bilbo, in qualche modo sentendo che, anche se sa che non troverà mai le parole giuste, deve provarci in ogni caso, “Non lo so perché. È tutta colpa mia... per essere così stupidamente avventato tutto il tempo. Ho passato... Mi sento come se avessi passato la maggior parte del mio tempo qui proprio come un pesce fuor d'acqua, e la maggior parte del tempo, ero troppo – troppo stupido per capirlo, e mi dispiace. Non ti chiedo – non posso chiederti di, ehm, perdonarmi–”

“Mio padre mi ha detto che l'hai aiutato molto ad organizzare tutto,” lo interrompe Thorin come se non avesse sentito una singola parola di quello che Bilbo ha appena detto, “mi è stato anche detto che la mia defunta sorella sapeva che era vivo fin dall'inizio, ma non ha pensato di dirmelo. Ci sono molte cose che molte persone non hanno pensato di dirmi durante gli anni. Mi ci sto abituando.”

È amareggiato, e si sta chiudendo in se stesso più velocemente di quanto Bilbo possa raggiungerlo, e sta soffrendo così tanto, e Bilbo odia riuscire a vedere tutto questo così facilmente, riconoscerlo con un solo sguardo. Il silenzio che segue è soffocante – Bilbo si sente davvero come se stesse correndo a corto di fiato, e si rende conto di avere paura. Paura che se non dice le parole giuste ora, non ne avrà più la possibilità.

“Non ho mai voluto questo,” dice poi Thorin, con sua sorpresa, ancora tranquillo come sempre, “Io .. sai, per molto tempo, ho avuto l'impressione che le cose sarebbero semplicemente... funzionate. In qualche modo sono riuscito a convincere me stesso di meritarmi un po' di pace e tranquillità. Di meritarmi–”

Te. La fine di quella frase è lì e Thorin non ha nemmeno bisogno di precisarla ad alta voce. Sopraffatto dal fatto che Thorin si senta ancora come il colpevole, nonostante tutto, Bilbo si fa coraggio e tenta di parlare di nuovo con almeno un minimo di avvedutezza.

“Non potevi saperlo. Tu–”

“Ma avrei potuto saperlo. Avresti potuto dirmelo.”

Quello è il pugno nello stomaco che Bilbo si merita completamente, ma non fa meno male per questo.

“Lo so,” abbassa la testa, guardandosi le mani, piccole e sottili e estranee sulle lenzuola bianche.

Il suo cuore quasi cede quando all'improvviso Thorin gli sta vicino, la sua mano sospesa su quella di Bilbo, e poi chiudendosi su di essa con esitazione. C'è ben poco conforto nel tocco.

“Avresti potuto dirmi qualcosa,” quasi sussurra il Re, davvero vulnerabile allora, e Bilbo pensa che guardarlo negli occhi potrebbe rovinarlo una volta per tutte. Lo fa comunque.

“Mi dispiace,” dice per quella che deve essere una volta di troppo quella notte, ma è l'unica frase che gli scivola dalle labbra con relativa facilità – pensa di poter passare il resto della vita a scusarsi, se facesse qualcosa per migliorare le profonde linee preoccupate che solcano la fronte di Thorin.

“Ti hanno sparato,” afferma poi Thorin, come se fosse una spiegazione, “Sono tornato domenica per trovare la mia casa sotto protezione, e nessuno era in grado di dirmi dov'eri in un primo momento. I ragazzi mi hanno subito chiesto di te al mattino, perché non eri lì a svegliarli. E ho dovuto dire loro che non sapevo perché ti è accaduto questo. Se avessi saputo che saresti finito così, non avrei mai...”

Le parole lo abbandonano alla fine, e si allontana, la sua mano che sfiora quella di Bilbo, lasciando dietro di sé un freddo terribile. Bilbo deve stringere fisicamente i denti contro l'assalto di rimpianto, e dolore, e rabbia diretta a se stesso, tutto in una volta, ma quasi non basta nel secondo successivo, con Thorin che lo guarda di nuovo in faccia dopo essersi ricomposto. Bilbo si ritrova ad affrontare il Thorin dietro il muro costruito faticosamente di distacco altamente professionale, e una parte di lui è felice che Thorin sia ancora in qualche modo capace di reggere la situazione, mentre l'altra parte di lui vuole calciare e urlare e prendere a pugni le cose.

“Dwalin lascerà un certo numero di suoi uomini qui a proteggerti,” dichiara con fermezza, facendo un giro completo di 180 gradi, “mi hanno detto che non ci sarà alcun intrusione. Per favore... tieni il Palazzo aggiornato sul tuo recupero. I ragazzi vogliono che ritorni il più presto possibile, naturalmente, ma... prenditi il tuo tempo.”

“Thorin,” bisbiglia Bilbo, poi, in modo più risoluto e forse più supplichevole quando il pavimento sotto i suoi piedi comincia a scivolare via ad una velocità vertiginosa, “Thorin.”

Per una frazione di secondo, pensa quasi di essere riuscito ad attraversare il muro di Thorin, le labbra del Re si separano mentre si guardano l'un l'altro, ma poi Dwalin bussa alla porta ed entra dentro senza invito, frantumando il momento.

Buzundâr,” dice a Thorin, che annuisce distrattamente.

Bilbo si sporge in avanti, ma Thorin ingoia qualsiasi cosa fosse sul punto di dire, e se ne va, proprio così, e Bilbo quasi non si accorge di non essere ancora solo nella stanza.

“I miei uomini saranno stazionati fuori dalla tua stanza durante le notte, e facendo i turni come membri del personale durante il giorno,” annuncia Dwalin in maniera molto pragmatica, “Metterò questa–” mostra Bilbo ancora un'altra minuscola microspia, “proprio qui, e la accenderò prima di andarmene. Devi sapere che sospettiamo che qualcuno che lavora per il Commissario Surkaz, abbia anche lavorato con Bundushar fin dal principio. È tutto quello che posso dire, perché questo è tutto quello che sappiamo. Speriamo che questo ci darà una migliore possibilità di trovare quella persona. Tu devi solo... stare buono, e ricordati, sentirò ogni singola parola detta dentro questa stanza. Il Dottor Grey è stato informato, quindi non mi interessa quali cospirazioni pensi di voler fare–”

“Dwalin, non ho mai...” si difende Bilbo, ma debolmente, ma naturalmente non è all'altezza con il Responsabile della Sicurezza nei suoi giorni buoni, ed è solo una formica sotto il suo stivale nei suoi giorni cattivi.

“Mai cosa?” sibila Dwalin, “ti rendi conto di quello che hai fatto? Sai quanti problemi – sai una cosa, risparmierò il fiato. Gli ordini del Re sono di non licenziarti in tronco, e sono gli ordini che seguo, non importa quello che penso personalmente.”

Bilbo trova che le sue mani stanno tremando mentre osserva Dwalin che posiziona la microspia dietro il radiatore – una cosa ben poco sorprendente.

“Quando tornerai a Palazzo, avrò bisogno della tua firma su un paio di cose, riguardo la sicurezza e affini,” aggiunge il Responsabile della Sicurezza, con un filino in più di gentilezza.

“Sì – certo.”

Dwalin gli concede un ultimo sguardo risoluto e altamente scrutatore, e poi semplicemente dice 'Scusa per l'intrusione' e anche lui scompare, e Bilbo viene lasciato tutto solo nella stanza che sembra improvvisamente fin troppo grande per una persona così piccola come lui. Cerca di capire se le lacrime, o qualsiasi altro tipo di reazione, verranno, ma presto si rende conto di sentirsi solo... vuoto. Più vuoto di quello che era prima, sofferente, insulso, impotente e perso. La sua ferita si annuncia quando si alza per andare in bagno dopo quelli che avrebbero potuto essere pochi minuti o ore a fissare il vuoto, e si addormenta solo dopo aver assicurato l'infermiera di stare bene, e dopo che gli ha somministrato un po' di più di antidolorifici. Non sogna, ed è una benedizione.

***

Il resto accade senza che Bilbo venga implicato in alcun modo. Passa precisamente una giornata a gironzolare come un guscio vuoto, in attesa che i venti lo spazzino via, per fortuna senza alcun visitatore che potrebbe avere qualcosa da dire sulla sua autocommiserazione, e poi il piano di Dwalin e Gandalf - qualunque esso sia – ripaga. Non è uno degli uomini del Commissario Surkaz che si presenta a tarda notte quasi esattamente 24 ore dopo la visita di Thorin e Dwalin – è il Commissario Surkaz in persona. A Bilbo non è mai piaciuto l'uomo – i lineamenti dieci volte più lisi e taglienti di quelli di Dwalin, alto e corpulento e calvo, praticamente irradia perfidia, il che, naturalmente, dice tutto considerando Azog Karkâl e Smaug Bundushar. E davvero, se Bilbo ha imparato qualcosa qui, è che le persone che hanno un aspetto cattivo, di solito sono cattivi. Questo ne è l'esempio calzante.

Dopo essere entrato con forza più o meno allo stesso modo in cui aveva fatto Dwalin, sospetta Bilbo, Surkaz è solo e dice a Bilbo 'Spero che capisca perché sono venuto a quest'ora – è solo più sicuro', e questo basta a Bilbo per iniziare a temere per la propria vita. O, più precisamente, avrebbe dovuto essere il momento in cui Bilbo avrebbe dovuto iniziare a temere per la propria vita. Ma è come... è come guardare un film gangster granuloso svolgersi davanti ai suoi occhi, gli ultimi pezzi dello schema (e lo Schema) vanno al loro posto, e dovrebbe essere eccitante, confortante, sconcertante, qualsiasi cosa, ma questo implicherebbe una capacità di provare sentimenti forti, che Bilbo semplicemente non possiede più. È come se la sua breve conversazione con Thorin sia stata una sorta di culmine di tutte le sue preoccupazioni, ansie, errori e sofferenze, e così si siede sul suo letto e guarda del tutto esanime l'uomo che è venuto a fargli visita che viene arrestato davanti ai suoi occhi, nella sua stanza d'ospedale, e tutto ciò a cui può pensare è forse dovrei davvero scriverci un libro.

È del tutto impassibile quando Surkaz viene portato via e Gandalf entra a grandi passi, raggiante, ringraziando Bilbo e dichiarando un lavoro ben fatto.

“Hai messo una microspia nella mia stanza d'ospedale,” mormora Bilbo debolmente. Ha iniziato di nuovo a piovere.

“Vero. E anche il Palazzo, mi permetto di aggiungere. Ma ha funzionato, non è vero?”

“Sì,” Bilbo sospira, ed è allora che se ne rende conto.

È un'epifania, in verità. Non ha davvero posto qui. Non ha davvero nulla a che fare con tutto ciò che sta accadendo – stava accadendo. Quasi vuole congratularsi con Gandalf per avergli fatto credere per così tanto tempo di poter fare la differenza. Di poter aiutare, di essere importante. Sospetta – ne è mortalmente certo – che non sa un centesimo di quello che sta succedendo nell'Operazione Spodestiamo gli Abietti Re del Crimine Miseramente Mascherati da Politici e Imprenditori, e questo è... questo è davvero, davvero un bene. Perché non ha bisogno di sapere. Non vuole sapere, e non deve farne parte, se lo desidera. È liberatorio. È così sciocco. È seduto su un grande letto estraneo in una grande stanza estranea, l'uomo che una volta conosceva cammina avanti e indietro parlando con qualcuno in... tedesco ora, e ha iniziato a piovere di nuovo, e per la prima volta dopo secoli, Bilbo Baggins si sente libero. Libero di fare le proprie scelte, e sa con assoluta chiarezza che soffrirà tantissimo una volta che la sua mente si sarà schiarita a dovere, e prende una decisione proprio in quel momento – ed è quella di stare il più lontano possibile da stanze di degenza con microspie e agenti di polizia doppiogiochisti e ferite da arma da fuoco.

Non sa cosa gli costerà – correzione, può benissimo indovinare cosa esattamente gli costerà, ma si rifiuta di pensarci per il momento – ma si sente come se dovesse fare qualcosa per se stesso, per la propria serenità mentale, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, e, beh... è un bene, giusto? Per mancanza di una migliore, più totalizzante, parola più patetica.

“Gandalf,” dice una volta che è sicuro che l'uomo gli sta prestando di nuovo almeno un po' di attenzione, “voglio andare a casa.”

“Sì, sì, penso che sarai in grado di tornare al Palazzo molto presto. Organizzerò un trasporto sicuro, non ti preoccupare–”

“No,” lo interrompe Bilbo, e in qualche modo, miracolosamente, quella parola è sufficiente ad ottenere l'attenzione di Gandalf, e così aggiunge, colpito dal fatto che la sua voce non vacilli, colpito dal fatto di non sentirsi più combattuto, più arrabbiato, più insicuro, più qualcosa, “Voglio andare a casa.”

   
 
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