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Autore: Jade MacGrath    26/02/2005    4 recensioni
Alexandra è sempre stata tiranneggiata sorelle maggiori, Bellatrix e Narcissa Black. Per volontà di Lucius Malfoy ha dovuto lasciare la famiglia e il suo paese. Ma Alex sa attendere… e di cosa può essere capace una Black per vendicarsi e riprendersi tutto?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Rodolphus Lestrange, Severus Piton, Sirius Black
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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A distanza di settimane, Alex continuava a essere certa che Silente sapesse quel che aveva fatto. Non pretendeva di ingannarlo, ammesso che ci fosse qualcuno in grado di farlo…

O forse era solo un attacco di paranoia galoppante, perché non credeva nel delitto perfetto.

Le circostanze, però, sembravano suggerirle il contrario.

 

Il cadavere di Lucius Malfoy era stato ritrovato un paio di giorni dopo, in fondo al crepaccio, con il morso di un vampiro sul collo, trapassato da parte a parte da una spada e con il collo spezzato. Cosa lo aveva ucciso? Una delle cause? Tutte?

Alla fine il Guaritore del San Mungo incaricato dal Ministero scrisse nel rapporto che non poteva stabilirlo con certezza. Comunque a nessuno interessava, a parte alla sua vedova e al figlio adolescente. Anzi, Alexandra era certa che tutte le persone che avessero fatto le condoglianze a Narcissa e Draco, in privato tirassero un sospiro di sollievo, e gettate le maschere stappassero lo champagne. Narcissa doveva sospettarlo anche lei, o sospettava che fosse Alex a farlo. Quando aveva scorto la sua odiata sorellina - l’ultima rimasta dei Black - al Ministero, con le insegne appena ricevute di Comandante Supremo degli Auror, semplicemente non ci aveva visto più. L’aveva aggredita fisicamente e verbalmente, accusandola di aver assassinato il marito, e Bellatrix, e Rodolphus, e loro madre, e ricordandole che era solo una puttana da caserma, che non valeva niente e che era questione di poco prima che tutti si accorgessero di quello che realmente era. Alex l’aveva lasciata fare, anche se avrebbe avuto voglia di afferrare quel polso ossuto, stringerlo e poi torcerle il braccio fino a farla strillare, come Narcissa aveva fatto fino a quando non aveva imparato a difendersi almeno un poco. Quella crisi isterica ad ogni modo le era valsa un ricovero nell’ala psichiatrica del San Mungo, in una bella cella dalle pareti imbottite. Draco era stato ospitato da una delle famiglie dei suoi amici, e Alex da quel giorno non l’aveva più visto o incontrato.

Non che avesse tempo per pensare ad un nipote che non conosceva nemmeno. Morto Lucius era morta una delle personalità che dall’ombra aveva tirato le fila dl mondo magico per tutta la sua vita. Ora le cose sarebbero per forza dovute cambiare. In meglio o in peggio, ancora non sapeva dire.

Silente sembrava avere come sempre un forte ascendente sul Ministro, e su buona parte della comunità. Avrebbe fatto valere le sue idee, le sue intenzioni erano buone. Alex aveva conosciuto altri maghi, durante i suoi viaggi, le sue missioni. Aveva conosciuto le loro buone intenzioni. Talvolta erano pure illusioni, talvolta intenzioni serie, mosse da un interesse genuino nei confronti della gente. Ma in entrambi i casi aveva camminato o visto camminare molta gente lungo la strada per l’inferno di esse pavimentata. Era per questo che non riusciva a fidarsi di Silente.

Remus, che lo sapeva, aveva provato a convincerla del contrario, mollando quasi subito. Se Alexandra non aveva voglia di fare una cosa, cercare di costringerla era una cosa inutile e spesso controproducente. E poi non era vitale per il loro rapporto parlare di posizioni politiche e di schieramenti, o della loro assenza.

 

Certe volte, al mattino, guardava a lungo la sua uniforme verde e oro appena ad una gruccia sull’anta aperta dell’armadio, e ricordava come al ritorno in Inghilterra dopo la Romania avesse accarezzato l’idea di congedarsi dagli Auror. Questo prima di rimettere piede al Ministero e di rendersi conto dello squilibrio creatosi. Dalla sua posizione, poteva davvero cambiare le cose. Nessuno avrebbe più dovuto manipolare il Ministero a suo piacimento, come aveva fatto suo cognato tutta la vita.

 

A parte lei, ovviamente.

 

Eccetto per l’ultima parte, Remus condivideva la sua scelta. Per lei, abituata a non fermarsi mai a lungo in un luogo, accettare quella carica significava fermarsi stabilmente a Londra, ed era un passo impegnativo da fare. Gli sarebbe piaciuto dirglielo, ma dopo averla rivista brevemente e per caso ai Tre Manici di Scopa mentre scambiava due parole con Severus, Alex non si era fatta più vedere. Troppo presa dalla sua personale rivoluzione tra i vari Dipartimenti, e dall’intento di far piovere spudoratamente quanti più finanziamenti poteva sul Dipartimento e sulla sua adorata Legione.

Poi, una mattina, dopo aver come al solito guardato la sua divisa verde e oro appesa ad una gruccia sulla porta dell’armadio, decise che quel giorno aveva di meglio da fare, e che per un giorno il suo vice avrebbe fatto benissimo a meno di lei.

Per prima cosa, dopo essersi infilata una tuta da ginnastica e aver bevuto una tazza di caffé, aveva staccato uno ad uno tutti i ritratti urlanti dei membri della sua famiglia, iniziando da quello di sua madre, e risparmiandone solo uno dove comparivano tutti. Dopo averli ammucchiati nel seminterrato, li aveva fatti a pezzi con l’ascia con cui gli elfi spezzavano i ciocchi per il caminetto del salotto, e li aveva guardati bruciare. La cosa le aveva portato via abbastanza tempo, ma sperava ugualmente le avanzasse tempo per fare il resto delle cose che doveva fare entro quel giorno.

Buttato l’ultimo pezzo di legno nel fuoco, Alex si alzò dal tappeto del soggiorno, e andò in camera sua. Lì, scelse dall’armadio un maglione nero e un paio di pantaloni di velluto dello stesso colore, e si gettò sulle spalle il suo mantello da viaggio. Tornata in soggiorno, buttò una dose abbondante di Polvere Volante di tre tipo diversi nel camino, e urlò il nome russo della sua destinazione. Un cimitero di maghi appena fuori San Pietroburgo.

Per quanto a Londra i crochi fossero fioriti da un pezzo, in Russia non si poteva dire che fosse arrivata la primavera. Alex camminò tra le file di lapidi, cercando con gli occhi quella di Yekaterina Romanov. Alla fine scoprì che non c’era: Yekaterina era sepolta nella tomba di famiglia. Le tombe erano tutte in terra, sotto un baldacchino di pietra con il nome di famiglia inciso. Le sovrastava un angelo di pietra dall’espressione triste. Una delle mani era al petto, e l’altra era levata sopra di esse in una sorta di gesto benedicente. Alex prese dalla tasca dei pantaloni l’anello di Lucius che i vampiri le avevano lasciato tenere, e lo infilò al dito indice della mano tesa dell’angelo.

 

‘Sai, trovo che il nome Elektra ti si addica.’

 

All’epoca Alexandra non aveva capito perché Katya avesse detto quelle parole. All’epoca però non sapeva neanche che Katya avesse delle doti minori di chiaroveggenza.

“Ho letto qualche libro. Le tragedie su Elettra. Per inciso quelle di Sofocle, Euripide, Hugo von Hofmannsthal e Margherite Yourcenar. Tu lo sapevi vero? Lo sapevi che ce l’avrei fatta. Che come Elettra avrei coltivato il desiderio di vendetta per quello che avevano fatto a me, per quello che ti hanno fatto, o che sapevi ti avrebbero fatto, e che poi l’avrei messa in pratica. Solo che in questa tragedia non c’era un Oreste a cui far compiere l’atto, e non ci saranno Erinni a perseguitarmi. Se l’è cercata. Punto e basta. Può biasimare soltanto se stesso.”

Alex si inginocchiò, e sfiorò la fotografia di Katya.

“È tutto finito, finalmente. Ora avremo un po’ di pace. Beh, tu sicuramente… per me sarà un discorso un po’ più lungo, credo.”

Alex rimase ancor qualche istante a fissare il viso sorridente della sua amica, poi si alzò e ritornò al camino in casa del custode. Un’altra manciata di polvere, e Alex ripartì alla volta di Hogsmeade.

Per qualche strano caso, il numero quindici aveva un significato nella sua vita. A quindici anni c’era stata quella specie di dichiarazione a Remus, quando l’aveva baciato nella sua stanza. Quindici erano stati gli anni di esilio, in parte imposto, ma per la maggior parte volontario, dall’Inghilterra. Quindici erano il numero di volte in cui aveva ripetuto ‘non è possibile’ al suo riflesso allo specchio, dopo aver scoperto di essere diventata una mezzosangue. Quindici era anche la data in cui era morta Katya, e la stessa in cui, aveva scoperto, era morto anche Sirius.

Non erano state sempre rose e fiori tra loro, ma una visita a Sirius doveva farla. Anche da morto rimaneva l’unico parente che avesse voglia di vedere.

Non si sorprese più di tanto quando vide che a fissare la lapide di Sirius con un’espressione triste e seria al tempo stesso c’era l’ultimo sopravvissuto della combriccola dei Malandrini. Alex si avvicinò in silenzio a Remus, e da dietro gli cinse le spalle con le braccia, appoggiando la testa contro di lui.

“È l’anniversario della sua scomparsa. Un anno esatto.”

“Ti manca molto.”

“Non pretendo tu capisca. Facevi vita piuttosto solitaria a Hogwarts. Io però per la prima volta avevo trovato quattro amici che sapevano chi ero, e a cui non importava. Ingestibili, alle volte, ma erano amici. E ora sono morti tutti e tre, e tutti per colpa di questa guerra.”

“Fatti un favore, ragiona. Ed escludi Minus dalla lista. Quel mollusco parassita non merita nemmeno di essere nominato. E non dire che non capisco, perché non è vero. Ho anch’io degli amici che sono morti, e so benissimo come ci si sente.”

“Dimmi, Alex… tu sai cosa gli è successo esattamente? A Sirius, intendo.”

“Nessuno sa esattamente quello che succede quando oltrepassi il Velo. È come entrare da vivi nel regno dei morti. Tutto dipende da quanta forza di vivere hai, da quanto i tuoi legami nel mondo dei vivi sono forti. Se ce la fai, se hai validi motivi per voler vivere, puoi ritornare indietro. Niente te lo può impedire. Ma se sono le voci dei morti, a cui dai più ascolto…”

“Sirius avrà dato più ascolto alle voci di James e Lily che alle nostre, a quella di Harry. Pensi sia andata così?”

“Sei tu che eri un suo amico fraterno. Io ero solo la cugina che non ha visto per quindici anni, prima di morire. Dio, quanto avrei voluto farla pagare a Bellatrix con le mie mani…”

“Mi hanno detto che ti sei ugualmente fatta onore.”

“Come sempre.”

“Hai ottenuto quello che volevi?”

“Se sai che mi sono fatta onore, dovresti sapere anche se ho ottenuto quello che volevo.”

“Lo sai, mi piace sentire le cose dalla diretta interessata. Ad ogni modo, lo interpreto come un sì.”

Alex sciolse l’abbraccio a Remus, e si chinò per posare il fiore che aveva portato per Sirius. Fu allora che lo vide. Un ciondolo d’argento, con rubini, zaffiri e diamanti, ognuno al posto della stella che rappresentava. Il ciondolo aveva la forma della costellazione di Orione, e Alexandra lo conosceva benissimo, perché lo aveva visto al collo di Bellatrix da quando aveva compiuto undici anni. Era appeso all’amorino di marmo scolpito sulla sommità della lapide, e Alex lo prese un attimo in mano, non credendo ai propri occhi. Se era lì, voleva dire che…

Lentamente, Alex si volse a guardare Remus, che sostenne e ricambiò il suo sguardo.

In quel momento, il suo cuore si fermò.

Lui sapeva.

E Alex si rese conto che anche lei sapeva quel che lui aveva fatto.

Lo aveva sempre saputo, inconsciamente, fin da quando lo aveva visto in Romania.

 

“Silente ha voluto parlare anche con te?” sussurrò a bassa voce, in tono serio, dopo essersi rialzata.

“Già. Non si spiegava la mia presenza lì” rispose Remus, nello stesso tono. “Infatti non avrei avuto motivi per precedere l’Ordine, a parte…”

“A parte cosa?”

“A parte che io fossi venuto di nascosto lì per te. Non l’ho contraddetto. Era una mezza verità, dopotutto. E Severus, ha avvalorato la tesi di Silente. Sapeva di noi due, Dio solo sa come.”

"Aveva visto la tua stella del Nord al mio collo. Severus è intelligente, non ci ha messo molto a fare due più due."

Alex fissò ancora una volta il ciondolo della sorella maggiore, che continuava ad oscillare nel vuoto, senza dire una parola. Questa volta fu Remus a metterle un braccio intorno alle spalle, e a stringerla contro di sé.

"Se l'è cercata. Può biasimare soltanto se stessa" sussurrò.

Alex non capì se lo diceva a lei o a se stesso, ma non importava. Andava bene così.

La guerra era davvero ad una svolta. La fazione di Voldemort si era indebolita, sarebbe stata questione di poco prima che tutti i suoi seguaci finissero catturati. E la profezia su Harry Potter si sarebbe compiuta. Un ragazzino avrebbe sconfitto il mago più potente degli ultimi tempi. Si diceva che Potter volesse diventare Auror... Alex si ripromise di dire ai responsabili dell'Accademia di fargli vivere l'inferno in terra, se tale voce si fosse rivelata vera. Chissà che dal figlio di James Potter non potesse saltar fuori un Auror decente

E poi Severus si era divertito abbastanza. Ora era il suo turno.

Poggiò la testa sulla spalla di Remus, e lui la strinse più forte. Gli sussurrò all'orecchio se aveva voglia di venire a casa sua, che ora sembrava molto meno lugubre del solito. Remus le fece un piccolo sorriso, che Alex interpretò in modo favorevole, e insieme uscirono dal cimitero, diretti a Londra.

Il ciondolo di Bellatrix smise lentamente di oscillare contro la lapide di Sirius. L'unica pietra a brillare ancora era uno zaffiro, in corrispondenza di Rigel.

 

 

  
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