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Autore: papavero radioattivo    22/07/2015    4 recensioni
― DAL CAPITOLO PRIMO. ―
«Sascake?» ripeté Itachi, quasi confuso.
«Sascake» gli fece eco Asami, «Sasuke è un piccolo cupcake, non vedi?» continuò, indicando il più giovane, «ha la faccia da cupcake. Non esistono i cupcake in Giappone?» continuò.
«E tu dai nomignoli alle persone appena le conosci?» domandò Itachi, particolarmente divertito
.

Itachi ha ottenuto l'affido di suo fratello minore e si è trasferito a Londra per lavoro. In questa nuova città, completamente diversa da Konoha, Sasuke si porta dietro i suoi quindici anni appena compiuti ed una grande rabbia nei confronti del maggiore, che lo ha costretto a lasciare i suoi amici e la sua vita senza dargli nemmeno tante spiegazioni in merito.
Frustrato e spaesato, Itachi dovrà fare i conti con Sasuke e con una città che non conosce. Il mutismo del fratello, inoltre, non aiuta la situazione, facendo diventare il clima in casa pesante ed invivibile.
È nel marasma quotidiano che Itachi incontra Asami, una ragazza dai tratti orientali che non conosce una sola parola di giapponese ma si definisce inglese al cento per cento.
Senza volervo, il più grande degli Uchiha è finito sulla strada che lo condurrà al suo Ikigai, alla sua ragione per vivere.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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capitolo

N O N O

 

Ritardo (mentale).

 

 

 

Sasuke afferrò la maniglia arancione della gabbietta con entrambe le mani, concentrandosi per tenerla ben stretta mentre Neko, al suo interno, dondolava.

«Tienitelo contro la pancia» gli suggerì Asami, posizionando le braccia come se stesse tenendo un grosso cesto di vimini contro lo stomaco, «Così se ci sono degli animali dentro non li vede ed evitiamo il Pandemonio» gli sorrise.

«Dici che è abbastanza grosso da non riuscire a girarsi nella gabbietta?» domandò senza interessi Sasuke mentre seguiva le sue istruzioni, trattenendo il respiro per lo sforzo. Già il gatto pesava, se poi ci si metteva pure l’ingombro della gabbia!

Asami ridacchiò, avvicinandosi al citofono per farsi aprire la porta. «Sono venuta per il cip e l’antirabbica per un gatto» spiegò brevemente, la guancia era quasi incollata all’apparecchio. La porta si aprì con un sono clack che fece sobbalzare un Sasuke sovrappensiero. Ma Neko rimase impassibile.

«Andiamo?» chiese Asami, gentile, tenendogli aperta la porta mentre l’altro entrava con otto chili di gatto tra le braccia.

Asami gli guardò le spalle mentre appoggiava la gabbia di Neko su una sedia, in modo da riprenderla in modo più comodo. Era cresciuto un sacco, aveva lo stesso fisico di Itachi e, se non fosse stato per quel taglio di capelli corto, sarebbe stato di certo uguale al fratello maggiore. Erano passati quasi quattro anni da quando l’aveva visto per la prima volta – sembrava quasi un bambino! E ora lo stava accompagnando dal veterinario per preparare Neko al viaggio fino in Giappone.

Lei lo sapeva che avrebbe pianto quando Sasuke si sarebbe imbarcato. Già si stava preparando i fazzoletti!

«Asami?» la chiamò il ragazzo, girato appena verso di lei. Aveva quel taglio di occhi un po’ stanco, quasi scocciato, e le labbra tirate perennemente in un’espressione apatica. Che faccia da sberle! Aveva confessato più di una volta a Itachi che ogni tanto avrebbe voluto tirargli due calci rotanti in faccia, gliel’avrebbe gonfiata così tanto che sarebbe assomigliato a Majin Bu di Dragon Ball.

Ovviamente scherzava.

«Come sei frettoloso!» gli rispose, raggiungendolo mentre la veterinaria faceva capolino dal corridoio, salutandoli con un sorriso.

«Siete quelli del gatto, vero?» domandò retorica, aggiustandosi il camice, «Da questa parte, prego»  e fece strada verso il suo studio con le pareti di vetro mentre un altro uomo con la tuta verde si univa lei, iniziando ad estrarre da un cassetto l’occorrente.

«È per il passaporto?» domandò la dottoressa mentre preparava tutte le carte necessarie.

«Sì» ribatté Asami, facendo segno a Sasuke di togliere il gatto dalla gabbia, «Va in Giappone».

«Un bel viaggio!» commentò, infilandosi i guanti.

Sasuke aprì la grata e lasciò che Neko zampettasse fuori dalla gabbia arancione, gli lasciò una carezza sul pelo, facendolo stendere sul tavolo in metallo mentre ascoltava Asami chiedere alla dottoressa come fare per passare Neko a lui e per ultimare il passaporto.

«Gli farà più male l’antirabbica o il cip?» domandò poi la ragazza, togliendo la gabbia dal tavolo, osservando la nonchalance con cui Neko se ne stava sdraiato sul tavolo.

«Il cip» rispose la dottoressa con un sospiro, «Ha un ago molto grosso» spiegò, mostrando una sorta di pistola verde con la punta di quasi mezzo centimetro di diametro. «Glielo mettiamo tra l’orecchio e la spalla sinistra, lo registriamo e poi facciamo l’antirabbica».

Asami annuì, osservando Sasuke che continua a coccolare Neko, tirandogli via una consistente palla di peli caduti per il cambio stagione. L’inserviente si avvicinò al ragazzo, mostrandogli come doveva tenere fermo il gatto. «Non avere paura di tenerlo» gli spiegò, facendo afferrare saldamente Neko per la collottola.

La veterinaria si avvicinò, disinfettando la pelle di Neko nel punto in cui ci sarebbe stata l’iniezione, prima di afferrare il lembo di pelle e cercare di bucarlo, «Che pelle da asino!» commentò, prima di riuscire a far entrare dentro l’ago. Neko si irrigidì di colpo e Sasuke aumentò la presa, schiacciandolo appena contro il tavolo. In un momento, la dottoressa estrasse l’ago e tamponò con un batuffolo di cotone, prima di lasciare una carezza alla guancia dell’animale, «Ma che bravo gatto che sei!» gli disse, prima di schioccargli un bacio sul muso.

«Vediamo dov’è…» borbottò l’altro medico, brandendo uno strano strumento con un display verdastro sul lato, assomigliava ad un metal detector e la cosa fece quasi spaventare Sasuke. Tastò il gatto per cercare il cip, «Non lo trova» disse alla veterinaria, passando più volte l’arnese su Neko, il quale iniziava ad agitarsi, «Dobbiamo tosarlo».

Asami ridacchiò, osservando la macchinetta per rasare il gatto mentre la veterinaria faceva stendere Neko, aiutando Sasuke a tenerlo fermo. Quando la breve operazione fu conclusa, il gatto sembrava assolutamente contrariato.

Il metal detector suonò e il cip venne identificato. «Signorina, mi segua» disse l’uomo, facendo segno ad Asami di raggiungerlo al computer, in modo da poter compilare tutto il necessario per mettere in regola lo spostamento del gatto.

«Ora tocca all’antirabbica» informò la veterinaria, andando a prendere l’ago e la fiala necessari, «Tienilo come prima» gli chiese.

«Neko…» lo chiamò piano Sasuke, cercando di calmarlo. La donna lo vaccinò vicino alla zampa posteriore sinistra e, appena estrasse l’ago, il gatto sfuggì alla presa di Sasuke, cercando di saltare giù dal tavolo.

«Buono…» cercò di calmarlo la donna, massaggiandogli la zona della puntura, «È un bravo gatto…» commentò, sorridendo.

«Ha fatto più storie per questo che per il cip» disse Sasuke, osservando Neko arrendersi alla situazione, sdraiandosi sul tavolo con fare melodrammatico.

Ormai mancava solo che fosse pronto Sasuke, poi sarebbe potuto partire.

Tornare in Giappone.             

 

  -――-

 

Asami scese dall’auto mentre Itachi aiutava Sasuke a scaricare le valige dall’auto e lei recuperava Neko, infilando l’indice nel trasportino per fargli una carezza. Non lo aveva mai visto così tranquillo, e anche se sapeva che era colpa del tranquillante, le faceva quasi impressione vederlo così docile e assonnato.

Con i suoi otto chili era il gatto più robusto della cucciolata di Guinness, ma non era grasso, erano otto chili di muscoli e pelo e pesava quanto un cucciolo di cane.

Si era imposta di non piangere, Sasuke non stava partendo per la guerra, e appena Itachi sarebbe riuscito a prendersi una settimana di ferie sarebbero andati a trovarlo in Giappone, quindi non c’era alcun bisogno di fare la vecchia sentimentale.

Entrarono all’aeroporto mentre Sasuke spingeva il carrello i bagagli. Sembrava tranquillo, quasi sollevato dal solo pensiero di tornare a Konoha, non lo vedeva così da… mai, praticamente.

«Devi mandarmi una cartolina, Sascake» gli disse mentre si incamminavano per imbarcare le valige, «E fatti sentire, altrimenti ti chiamerò alle due del mattino senza farmi troppi problemi sul fusorario» continuò con un sorriso, mentre Itachi prendeva la gabbietta di Neko dalle sue mani con un «Lascia a me», probabilmente dettato dal fatto che la vedeva arrancare con quegli otto chili in più. «E mandami le foto di Neko» continuò mentre Sasuke annuiva continuando a camminare.

«E facci sapere come ti trovi all’università» aggiunse Itachi. Quella forse era la cosa che più li preoccupava: non avevano consigli spassionati da dargli a riguardo, dato che nessuno dei due aveva avuto la possibilità di frequentarla.

Sasuke sospirò fermandosi in coda, «Avete altro da dire?» chiese, ma non era scocciato, aveva quell’aria da cucciolo orgoglioso che si finge infastidito per rifuggire all’affetto, «State diventando noiosi» borbottò mentre la mano di Itachi gli si posava sulla spalla in un gesto d’affetto.

«Ti abbiamo già detto tutto in quest’ultimo mese» sorrise, lasciandolo poi libero di fare.

Aspettarono che gli consegnassero la carta d’imbarco al check-in, e poi con il bagaglio a mano e Neko lo accompagnarono fino alla sicurezza, dove Asami lo bloccò prima che potesse andarsene senza nemmeno darle un abbraccio.

«Dammi un bacio, Sascake» gli disse aggrappandosi al suo collo, poggiando le labbra sulla sua guancia e stringendolo un poco, «Un po’ mi mancherà sentirti borbottare» gli mormorò mentre lui la lasciava fare, guardando Itachi sorridere a quella scena.

Sarebbero mancati anche lui.

 

  -――-

 

Itachi entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle, cercando di non fare troppo rumore.

L’orologio appeso nel soggiorno segnava le 23:18, ma non gli sembrava comunque il caso di svegliare Asami. Probabilmente già dormiva, aveva avuto tre lezioni quel giorno, e solitamente era stanchissima.

Posò la borsa sul divano, e poi attraversò lentamente il corridoio, inseguito da Paprika e dal suo campanellino che tintinnava nel silenzio. Quando avevano incominciato a convivere si era dovuto abituare anche ai gatti, al loro arrampicarsi sul cuscino e dormire ai piedi del letto, ma non era stato tanto difficile, non quanto convincersi che Sasuke stava bene in Giappone, lontano da lui, in un appartamento con i suoi amici. Da un lato era stato felice di sapere che avrebbe avuto compagnia in casa, ma dall’altro non voleva che se ne andasse, anche se sapeva che prima o poi lo avrebbe fatto.

Non poteva restare con lui per tutta la vita, non era più un quindicenne, era perfino diventato più alto di lui!

Entrò in stanza osservando Asami dormire con Guinness, appallottolata al suo fianco, e poi sorrise chinandosi a lasciarle un bacio fra i capelli. La ragazza mugolò, stringendosi nelle spalle.

«Itachi…» mormorò girandosi a pancia in su, quasi schiacciando la gatta che, stiracchiandosi, si spostò in fondo ai suoi piedi, «Che ore sono?» chiese senza aprire gli occhi, e lui non capì se fosse sveglia oppure se stesse ancora dormendo.

Le accarezzò i capelli sedendosi accanto a lei, coprendola meglio con il piumone, «Tardi, dormi…» sussurrò, ma Asami gli prese la mano, intrecciando le dita alle sue e aprendo finalmente gli occhi.

«Com’è andata al lavoro?» gli chiese, e lui sorrise accendendo l’abatjour sul comodino, accecandola.

«Tutto bene, come sempre» ridacchiò mentre lei strizzava gli occhi, liberandogli la mano, «Adesso la spengo, fammi cambiare» le disse, e lei strisciò fuori dalle lenzuola, allungandosi per abbracciargli il collo e stampargli un bacio sulla guancia.

Oramai erano entrati in sintonia, ognuno aveva metabolizzato le abitudini altrui, i tempi, i ritmi di vita, e non c’era cosa più bella del tornare a casa e avere qualcuno nel letto ad aspettarti.

Asami lo tirò sul materasso con lei, ridacchiando come una cretina, «Devo dirti una cosa…» sussurrò come una bambina, sciogliendogli i capelli mentre lui faceva leva con i gomiti sul materasso, evitando di schiacciarla.

«Domenica andiamo a cena dai tuoi?» la precedette, ma lei sorrise e scosse il capo, sfiorandogli il profilo del naso con la punta dell’indice.

«Ma se ci tieni tanto dico a mia madre che andiamo da loro» ribatté facendo scivolare le mani sul suo petto, iniziando a sbottonargli la camicia. La faccia di Itachi  bastò a suggerirgli che non aveva intenzione di sopportare un’altra riunione familiare, non dopo averli visti praticamente per tutta la settimana. 

«Sono stati qui tutti i pomeriggi da lunedì» ammise facendola ridere, «Non è che non voglia vederli, solo che-».

«Che vuoi restare da solo con me» scherzò lei, raccogliendogli i capelli con le dita. Era divertente metterlo in imbarazzo, anche se oramai non arrossiva più alle sue stupide frecciatine. «Ma adesso stai zitto e ascolta me, per favore» aggiunse tappandogli la bocca con la mano, impedendogli di ribattere in qualsiasi modo. Lo sentì sorridere contro il suo palmo mentre lei si sforzava di restare seria e guardarlo negli occhi senza ridere con scarsi risultati, «Volevo dirti che ho un ritardo» disse semplicemente

Itachi non sapeva cosa aspettarsi. Conoscendo Asami, per lei «avere un ritardo»  poteva significare anche un ritardo mentale, e di certo non si sarebbe stupito di una battuta del genere. Ma c’era qualcosa nel suo sguardo, che gli faceva capire che non si stava riferendo alla sua stupidità. Itachi trattenne il respiro, cercando di concentrare il suo cervello già stanco.

«Asami…» mormorò, prima di sorridere e vedere i contorni del viso di lei sfocati dalle lacrime, si mise in ginocchio, tirandola seduta per stringerla e lasciarle un bacio sulla fronte.

«Spero siano lacrime di gioia» mormorò lei accarezzandogli i capelli, prendendogli poi il viso fra le mani, «Non ho ancora fatto il test, però» gli disse mettendo le mani avanti – magari non aspettava nessun bambino ed era solo un ritardo dovuto allo stress, o agli sbalzi di temperatura. Ma Itachi non le rispose subito, si limitò a sorriderle e ad accarezzarle una ciocca di capelli.

«Volevo aspettare a farlo, ma visto come si sono messe le cose…» la sua voce era un sussurro mentre le scostava i capelli dietro la schiena, «Asami, vuoi diventare mia moglie?» domandò con una certa semplicità che la lasciò spiazzata. Lo guardò trattenendo a stento una risata e poi gli stampò un bacio sulle labbra.

«Oh sì!» gli rispose mentre il cuore le scoppiava nel petto, e la bocca di Itachi le sfiorava la spalla.

«Avrei voluto prima comprare l’anello, magari portarti fuori a cena, ma possiamo rifare tutto  quando sarà il momento e poi rendere ufficiale la cosa» le suggerì baciandole la clavicola e poi la radice del collo.

«E se non sono incinta?».

«Rimedieremo dopo il matrimonio».

                                                                                                  

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».

 

Lo sappiamo. Lo sappiamo che siamo in ritardo di una settimana, lo sappiamo che questo non è il “miglior ultimo capitolo” di EFP, ma per chi ci segue anche su facebook avrà notato che abbiamo deciso di rallentare le pubblicazioni, e – purtroppo – questo ha influito anche sul benedetto nono capitolo di Ikigai.

In tutti i casi, speriamo possiate apprezzare almeno il contenuto. Siamo circa quattro anni dopo l’arrivo di Sasuke e Itachi a Londra: ormai si sono ambientati e la relazione tra Itachi e Asami è andata ancora avanti. Dopo la partenza di Sasuke per Konoha (da cui poi parte Colla ).

Come per quasi tutto quello che riguarda Neko, si tratta di autobiografia(…), e anche l’imbarco ha qualcosa di personale – giusto a titolo informativo.

Non vogliamo dare una data specifica per quando uscirà l’epilogo, ma speriamo per fine luglio (sempre mercoledì) – dato che sarebbe molto più corto di un capitolo “normale” di Ikigai, e quindi più veloce.

Ringraziamo tutti coloro che hanno seguito questa fan fiction, siete i migliori

 

papavero radioattivo

 

 





   
 
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