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Autore: _ayachan_    23/01/2009    7 recensioni
E’ un Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
Stipulato in tempi antichi e luminosi, ha il fruttuoso scopo di perpetrare la luce della conoscenza e mantenere integro l'Equilibrio.
Mai verrà infranto, mai verrà tradito il suo segreto. Pena l'oblio eterno.

Il Patto lega uomini e vampiri attraverso un ibrido, l'unico autorizzato: il Ponte. Il Ponte è un essere umano contaminato, che per cento anni farà da tramite tra il mondo della luce e quello della notte. Deve essere potente, scaltro e un abile diplomatico. Oggi, tuttavia, dovrà essere potente, scaltra e un'abile diplomatica. Ma le donne, secondo il vampiro incaricato di mordere il prossimo Ponte, "sono state create per far proseguire la specie. Gli uomini per far proseguire il mondo!"
E allora che si fa?
- Questa fanfiction ha partecipato al contest "Il morso di un vampiro", classificandosi seconda -
Genere: Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il patto

Il Patto





Ci sono cose che hanno un’origine e una fine.
E ci sono cose che, semplicemente, esistono.
Il Patto è tra di esse.





   Libri di economia, finanza, politica, letteratura. Volumi su volumi, impilati ordinatamente da un lato all’altro della stanza, covavano polvere in silenzio, chiusi sul mondo di parole che intimamente custodivano. Scienze, antropologia, lingue moderne e antiche, calcolo, finanza; testi patinati accanto a gemelli rilegati in pelle, notevolmente più spessi, composti di carta ingiallita e densa di odori.
   Posato discretamente su un angolo della scrivania, giaceva un libro dalla copertina in cuoio, spoglia e totalmente neutra. Non riportava indicazioni né colori, ma restava lì, anonimo; le sue pagine erano color ocra, leggermente ondulate dall’umidità e corrose negli angoli. Quanti anni poteva avere? Difficile a dirsi: dai trenta ai trecento. Ma, per ragioni che non trovavano nessuna base logica, in qualche modo si distingueva dagli altri volumi che giacevano sul pavimento o sulle mensole, ormai piegate per il celebre peso della cultura. Senza averne l’aria, era un libro speciale.
   Al di là della carta e del pensiero, nella stanza c’era anche un letto, sistemato in un angolo con l’aria di voler occupare meno spazio possibile. Le coperte erano stropicciate, arruffate sul fondo insieme alle lenzuola, e un corpo era steso per tre quarti tra il materasso e il cuscino, prono. Doveva avere un viso da qualche parte, poiché sembrava umano; ma, se c’era, rimaneva nascosto sotto una gran massa di capelli mori, sparsi tra le lenzuola bianche e le spalle. La sua schiena si sollevava e abbassava lentamente, il rumore impercettibile del respiro riempiva l’aria, ma non produceva nessun altro movimento. Come se la stanza fosse rimasta sospesa in un attimo mai concluso. E l’uomo immobile accanto al letto non contribuiva minimamente a dare una parvenza di vita all’ambiente.
   Era un uomo strano, prima di tutto. Né alto, né basso, magro ma non prestante, indossava un golf blu e pantaloni a coste che sembravano usciti da un’altra epoca. Teneva tra le mani un libro dalla copertina lucida, e i suoi occhi si muovevano di pochi millimetri lungo le pagine coperte d’inchiostro. Erano occhi straordinariamente scuri, pressoché neri, e dal taglio leggermente allungato; spiccavano sull’incarnato pallido, sottolineati da zigomi la cui curva morbida scompariva tra i capelli, e sembravano molto più fissi di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. All’improvviso ebbero un guizzo, e si posarono sul corpo steso scompostamente.
   Dal letto provenne il suono attutito di un sospiro, e poi un movimento leggero, che presto si trasformò in uno più ampio, e coinvolse la schiena e un braccio. Una mano tastò confusamente la massa di capelli, li scostò con malcelato fastidio. Da sotto l’intrico, finalmente, comparve il viso di ragazza che chiunque si sarebbe aspettato, e sollevò uno sguardo leggermente appannato sull’uomo che restava in piedi accanto al letto.
   «Oh» mormorò, con voce arrochita dal sonno.
   «Sono le quattro di pomeriggio» rese noto lui, chiudendo silenziosamente il libro. «E’ una strana sorta di allenamento?»
   «No...» mormorò la ragazza, cercando di convincere i suoi reticenti muscoli a sollevarsi a sedere. «Ho finito tardi. Mi sono addormentata alle otto»
  Con movimenti stanchi portò indietro i capelli che ricadevano sulla fronte, e si guardò intorno stordita. Non era pallida quanto l’uomo accanto al letto, ma aveva il colorito grigiastro di chi non si espone al sole da molto tempo, e le borse violacee di chi non dorme regolarmente da anni.
   Sbatté le palpebre, facendo mente locale, e finalmente tornò a spostare gli occhi nocciola sull’uomo che ancora la fissava.
   «Che succede? Perché sei qui a quest’ora?» domandò corrucciandosi.
  L’uomo gettò un’occhiata veloce fuori dalla finestra, dove, tra i palazzi dell’affollato cielo di Los Angeles, il sole moriva violentemente in un incendio di proporzioni epiche. Ma fu lesto a distogliere il viso, quasi infastidito, e prima di parlare andò a posare il libro sulla scrivania, in cima a una pila già voluminosa.
   «Mi annoiavo» fu il suo sintetico commento.
   «Mh. Bello» commentò la ragazza dal letto, passandosi le mani sul viso stanco. «Allora, signorino non-ho-nulla-da-fare, che ne diresti di sistemarmi la stanza?»
   La ragazza sorrise, osservando di sottecchi lo sguardo con cui l’uomo la fulminò. Con un gesto di resa, quindi, si alzò in piedi e si lasciò andare a un lungo sbadiglio.
  «Cerco di dare un senso a me stessa. Tu... beh, visto che ti annoi, fai un po’ quello che ti pare. Trova qualcosa» con una stanca scrollata di spalle, gli diede la schiena e scavalcò una pila di libri, puntando verso la porta semi-invisibile che spuntava timida tra i volumi.
  L’uomo serrò le labbra con dispetto, poi oltrepassò la scrivania e si lasciò cadere sulla sedia di morbido velluto che la corredava, sprofondando nel cuscino sintetico. Tamburellò nervosamente le dita sul bracciolo di plastica, e fece vagare lo sguardo senza fermarlo su nessun oggetto.
   Mi annoiavo.
   Che scusa improbabile.
  A occhio e croce, lei avrebbe impiegato meno di sette minuti per arrivare al vero motivo della sua presenza lì, e allora l’avrebbe vista precipitarsi fuori dal bagno come una Medusa isterica. Allora sì che le cose sarebbero state difficili.
  Tese una mano verso il libro di cuoio anonimo che, solo, riposava su un angolo della scrivania. Lo aprì distrattamente, facendo scorrere le pagine in un moto rapido e casuale, ma alla fine lasciò che si fermassero poco dopo l’inizio.
   A dire il vero lo leggeva solo per far passare i famosi sette minuti, dal momento che lo conosceva a memoria.

               E’ un Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
               Stipulato in tempi antichi e luminosi, ha il fruttuoso scopo di
               perpetrare   la   luce  della   Conoscenza   e   mantenere  integro
               l'Equilibrio.
               Mai  verrà  infranto,  mai  verrà  tradito  il  suo  segreto.  Pena
               l’oblio eterno.


   Con una smorfia, l’uomo fece scorrere le pagine, sempre senza seguire un filo logico. Erano trascorsi quarantacinque secondi, calcolò.
   Sbuffò, mentre i suoi occhi vagavano annoiati sulle lettere vergate ancora a mano, secondo uno stile obsoleto ma in qualche modo affascinante. Preferiva nettamente la versione latina, dovette riconoscere. Quella moderna aveva un non so che di volgare.
   A che punto era il suo conto? Meno di cinque minuti.
   Allora doveva aver sbagliato qualche calcolo, perché con disappunto avvertì il sottile cambiamento nell’aria un attimo prima che la porta del bagno si spalancasse; e capì di averla sottovalutata.
   «Imo!» sibilò la ragazza, ferma sulla soglia del bagno con espressione furiosa.
   «Estelle» rispose lui con un piccolo cenno del capo, quasi stancamente. «Hai fatto prima del previsto»
   «Non osare scherzare!»  esclamò lei,  attraversando la stanza con  brusche falcate,  e urtò una pila di libri  in equilibrio precario.  Raggiunse la scrivania, vi sbatté le mani sopra, e la sua voce si confuse con i tonfi dei volumi che cadevano polverosi. «Sei qui per quello, vero?»
   L’uomo roteò gli occhi sbuffando.
  «Certo che sì» fu costretto ad ammettere, giocando nervosamente con una pagina del testo che sfogliava. «Per quali altre orride ragioni mi sarei dovuto spingere fino a questa cloaca in pieno pomeriggio?»
   Negli occhi della ragazza brillò un lampo di trionfo.
   «Allora è il momento?» domandò con voce vibrante. «Ci siamo?»
   «Non esattamente»
   L’entusiasmo di Estelle ebbe un brusco arresto.
   «Prego?»
   Imo posò il libro sulla scrivania, con gesto quasi sdegnoso, e si alzò dalla sedia senza guardarla.
   «Ritengo che ci siano molte cose che non hai ancora considerato, piccola mezzosangue» enunciò, con voce asciutta e calda al tempo stesso.
   Estelle strinse un pugno, e involontariamente serrò i denti.
   «Prego?» ripeté, in un sibilo furente.
   «La questione del cambiamento. E il tempo limite. Ciò che implica. La prigionia, gli obblighi, il mondo in cui ti troverai a muoverti... Se tu avessi veramente capito tutto ciò che ti è stato raccontato, non ci troveremmo qui»
   «Imo! Devi solo eseguire degli ordini
   «Ma il libero arbitrio ancora esiste, giusto?» con stizza, l’uomo si voltò e le scoccò un’occhiata astiosa. «E io non voglio»
   «Allora perché non lo dici a chi di dovere, così mandano qualcun altro?» Estelle si passò una mano tra i capelli, esasperata. «E’ tanto semplice, tanto elementare!»
   «Non ho mai detto di non volerlo fare. Ho detto che non voglio che succeda» puntualizzò Imo.
   Nella stanza scese improvviso il silenzio.
   «Tu... cosa?» alitò Estelle, colta alla sprovvista. «Da quando ti opponi agli ordini di Ashan?»
   L’uomo si voltò, quasi infastidito. «Non mi oppongo ai suoi ordini, ma alle sue scelte! Nello specifico, mi oppongo a te»
   «Ok. Rinuncio a seguirti»
   Sfibrata, Estelle si lasciò cadere sulla sedia occupata pochi attimi prima da Imo; era ancora tiepida.
   «Non è tanto difficile»  riprese lui,  percorrendo la stanza con ampie falcate,  le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo di un felino innervosito.  «Anche se tornassi da Ashan e gli dicessi che mi rifiuto di contaminarti, lui manderebbe un altro, e nulla cambierebbe. Ma io mi rifiuto di pensare che il Ponte debba essere tu»
   «Dimmi che non lo fai per il mio cromosoma X...» gemette Estelle, scuotendo penosamente la testa.
   «Esattamente  per  quello!»  scattò Imo,  offeso.  «E’ contro ogni tradizione,  contro ogni logica!  Le donne sono state create per far proseguire la specie.  Gli uomini per far proseguire il mondo!»
   «Dio, non ci credo! Siamo nel ventunesimo secolo! Ma vivi con i paraocchi, come i cavalli?»
   «Se il mondo è folle, non capisco perché la follia debba essere tollerata»
   «Non voglio sentire una parola di più!» Estelle gli puntò un dito contro, minacciosa, e lo squadrò con astio. «Vai da Ashan e chiedigli di mandare un altro, o giuro che non appena avrò un paio di zanne ti farò a pezzi, come mio primo atto consapevole»
   Imo scosse la testa, incassandola tra le spalle.
   «No. Voglio convincerti a cambiare idea»
   «Non  ci  riuscirai» Estelle  roteò gli occhi,  incrociando le braccia con ostinazione.  «Ho passato un’intera vita a pensare  a  questo momento,  ho vissuto solo in funzione di esso! Non puoi pretendere che ora io decida improvvisamente di cambiare idea! Sei un idiota, se lo pensi»
   «Ti ucciderò»
   Estelle si irrigidì all’improvviso, fissandolo.
   «Non dici sul serio» mormorò, avvertendo un brivido lungo la schiena.
   «Sì» replicò lui, immobile. «E lo farò, se non desisterai»
   «No» insisté lei, sentendo le guance che si arrossavano per l’indignazione.
   Di scatto, protese una mano e afferrò il libro che lui aveva lasciato sulla scrivania, sfogliandolo febbrile. Imo la fissò accigliandosi, e un’ombra di inquietudine gli passò sul viso.
   «Non puoi!» esclamò Estelle all’improvviso, trionfante, sbattendo il libro aperto sulla scrivania. «"Un membro della Stirpe, di qualunque rango, che si macchi di un delitto non autorizzato dalla Stirpe stessa, incorrerà nella pena più grave: l’uccisione, e il conseguente oblio". E tu non vuoi né essere ucciso, né essere dimenticato!»
  «Ma posso perdere il controllo»  rigido,  Imo le scoccò un’occhiata altezzosa.  «Succede spesso mentre mordiamo: perdiamo la ragione, a punti tali da provocare una conseguente amnesia a breve termine... La Stirpe è molto tollerante, quando accade»
   Estelle esitò. Se c’era una cosa che aveva imparato di Imo, era che sapeva mentire alla perfezione. Ed era quello ciò che di lui più odiava.
   «Non lo sarebbe oggi» tentò. «Perché se hanno scelto te lo hanno fatto con la certezza che saresti stato in grado di arrivare fino in fondo... Altrimenti avrebbero chiamato un altro. Lo sappiamo tutti e due»
   Imo la fissò, assottigliando gli occhi.
   «La tua voce tremola» sussurrò. «Non mi sembri così convinta di quel che dici»
   Estelle deglutì silenziosamente. Gran bastardo di un vampiro. Era facile fare il gradasso quando poteva percepire ogni singolo, irregolare battito cardiaco.
   Eppure, nonostante la situazione fosse pericolosamente in bilico, nonostante lo fosse proprio a causa di quella sua sicurezza, non poteva fare a meno di invidiargliela.
   La voleva anche lei, sin da quando aveva memoria. Disperatamente.

   Otto bambini ordinatamente in fila, separati da almeno un metro e nei loro abiti migliori. Sette maschi e una femmina, tutti tra i cinque e gli otto anni, tutti tesi, incapaci di stare fermi, intimoriti dalla stanza troppo grande e troppo lussuosa.
   Davanti  a  loro,  con sorrisi falsi e predatori,  tre uomini.  Due sono uomini d’affari, avvolti nei loro soprabiti costosi e cosparsi di profumo, ma l’ultimo è per qualche ragione nettamente diverso. Più giovane, innanzitutto, più bello, e in un certo senso più nobile. Tutti e tre sono ricchi, ma lui riesce a portare l’alta sartoria con un tocco di charme che agli altri manca. E li guarda con molta, molta più attenzione.
   Finché il suo sguardo non si fissa sull’unica bambina.
   Gli altri due uomini sembrano improvvisamente turbati, si innervosiscono.
   «Oh, lei... Chiediamo scusa, ma i numeri... Se è un problema la facciamo uscire, davvero»
   L’uomo li mette a tacere con un cenno, e loro ammutoliscono. Continua a fissarla, come si fa con un’opera d’arte, come si fa con qualcosa che non si comprende, qualcosa di bello, di sublime, quasi. Poi si avvicina. Un passo, due. La bambina ricambia lo sguardo, impietrita, spaventata e affascinata al tempo stesso; non può distogliere gli occhi, proprio non può. L’angelo biondo l’ha scelta, muoversi è impossibile. Si ferma davanti a lei, a meno di un braccio di distanza, ed è davvero alto e bello. Ha gli occhi ambrati, grandi, magnetici. Ma non sorride. Mai.
   «Come ti chiami?» domanda, con voce melodiosa.
   «Estelle» risponde lei, fievole.
   «Estelle» ripete lui, assaporando il suono del suo nome sulla lingua. «In graduatoria?» domanda poi, con voce completamente diversa, dura; non ha bisogno di voltarsi, i due uomini capiscono subito che si rivolge a loro, e trasaliscono.
   «Prima» balbettano, con un certo disagio.
   L’uomo sorride, finalmente. Ed è miele colato su oro e mirra, un incantesimo che scende su Estelle e la incatena per sempre, volente o nolente.
   «Il mio nome è Ashan. Da oggi non lo scorderai mai più»

   Ashan. Un suono morbido, che scivola nel palato come neve.
  Non lo aveva dimenticato, così come non aveva dimenticato la tonalità ambrata dei suoi occhi, o il profumo quasi impercettibile che emanava dalla sua pelle. Ashan, l’angelo che l’aveva scelta, l’aveva anche legata a sé, alla sua causa, alla ragione per vivere che le aveva imposto. E mai imposizione era stata più dolce.
  A distanza di anni, Estelle ancora bramava Ashan e ciò che rappresentava. Nonostante l’adolescenza, nonostante il denaro, nonostante le emozioni, l’incantesimo con cui l’aveva legata agiva inesorabile, e la spingeva a rifiutare tutto, ogni singola cosa, pur di essere come lui, pur di essere accanto a lui. L’inestimabile valore della sua natura umana impallidiva, di fronte al dono della perfezione. Ed Estelle era stata educata ad essere perfetta, sommersa dai libri e costretta ad imparare volontariamente lo scibile che era in grado di raggiungere.
  «Non sei tipo da fartela sotto» sibilò rivolta a Imo, serrando i pugni. «Ashan ti ha mandato qui per mordermi, e tu mi morderai. Lo sai che non è una formalità, ma un compito. E sai che è importante, più importante di ogni altra cosa. Ashan mi ha scelta, anche se sono femmina: se lui mi ha scelta, tu devi inchinarti e obbedire al suo volere. Queste sono le regole, no?»
   Imo contrasse leggermente la bocca, come se avesse ingoiato un boccone amaro. Sfortunatamente per lui, la ragazza aveva centrato il punto.
   Gli ordini di Ashan non si discutono, pena la morte e l’oblio.
  Aprì e chiuse i pugni, combattuto. Gli ordini non si discutono, certo, ma lasciare tutto in mano a quella femmina era troppo. Le donne sono fatte per procreare. Pro-cre-a-re. Era così semplice, così perfetto! Da quando il mondo era impazzito? Da quando aveva frainteso la creazione?
   «Lui mi ha scelta. Me. Qualunque ragione avesse, non sono affari tuoi» mormorò Estelle, intravedendo una crepa nella corazza di Imo. «Quindi... Fai il tuo lavoro, e basta. Poi vattene»
   Calò un silenzio denso come pece. E senza volerlo, Estelle ripensò alla prima volta che lo aveva incontrato.

   «Da oggi sarà lui a occuparsi della tua educazione. Si chiama Imo»
  Era più magro e smunto dei suoi compagni, questo fu ciò che pensò vedendolo. Gli altri erano affascinanti, eleganti, pressoché perfetti (anche se non ne aveva visti moltissimi); lui invece aveva una nota inspiegabilmente goffa.
   «E tu, Jamus?» chiese Estelle.
   La creatura accanto a Imo sorrise distaccata, nella sua algida perfezione.
   «Io mi occuperò di altre cose»
   Estelle rimase delusa. Era convinta di essere lei la cosa più importante. Pensava che, dopo dieci anni, anche loro si affezionassero.
   Ma per loro dieci anni erano un secondo, lo avrebbe capito soltanto tempo dopo.
   Studiò per qualche istante quello strano Imo che le presentavano. Le sembrava poco affidabile, e anche piuttosto irritato. Ne ebbe paura. Era la prima volta che le capitava di averne, e si accorse di non essere preparata. Smarrita, guardò il suo vecchio maestro, in cerca di aiuto.
   «Starete insieme qualche anno» disse lui, magistralmente distaccato. «Poi arriverà il gran giorno. Credo che ci rivedremo dopo di allora, Estelle»
   E la semplice menzione del gran giorno bastò a riconfortarla.
   Presto tutto sarebbe stato perfetto.

   Imo era diverso dagli altri. Era più umano; meno succube alla Stirpe, in un certo senso.
   Solo ora che se ne rendeva conto, Estelle si chiedeva perché Ashan avesse inviato lui. Sicuramente c’erano altre centinaia di volontari più adeguati.
  Era tutto così sbagliato! Per una vita l’avevano preparata a cambiare, l’avevano educata, plasmata e orientata verso di loro. Poi, all’improvviso, la prospettiva si ribaltava, senza che nessuno l’avvisasse.
   Forse era una prova, pensò all’improvviso. Per testare il suo istinto. E lei stava pure rischiando di perderla. Merda.
   Gli uomini l’avevano scelta per la sua intelligenza, loro per ragioni che ancora non comprendeva. Pensava fosse qualcosa nel suo sangue, o nel suo corpo, ma ora iniziava a sospettare che sapessero scavare più a fondo, molto più a fondo.
   Avevano visto in lei qualcosa di speciale? Ma cosa? E come poteva riconfermarlo?
   Diventando una di loro.
   Lo realizzò all’improvviso, seguendo gli oscuri meccanismi dei suoi ragionamenti. La missione non riguardava solo Imo, ma anche lei. Da quando, dodici anni prima, Ashan l’aveva scelta, le aveva anche affidato un incarico. E ora si trovava davanti alla prova più dura.
   Serrò i denti, fissando l’avversario.
   Per arrivare ad Ashan, qualunque cosa.
  Di scatto portò la mano al collo, e artigliò il maglione di cachemire che glielo fasciava, abbassandolo ferocemente. Espose la giugulare con tono dichiaratamente provocatorio, lasciando che il cuore nel petto scoppiasse e la rendesse ben evidente, e infine, colpo di grazia, si morse il labbro. A fondo, con rabbia, alla ricerca delle gocce di sangue che avrebbero inferto l’ultima spinta al delicato equilibrio su cui si reggevano entrambi.
   «Qualunque cosa sia, fallo» sibilò.
   Ebbe  a  malapena  il  tempo di vedere il guizzo scarlatto negli occhi di Imo,  la subitanea trasformazione del suo viso e il brillio candido tra le labbra rosse. Registrò tutto nella frazione di un secondo, poi ci fu l’urto, e i suoi occhi si chiusero d’istinto. Sentì l’aria lasciare i polmoni con un rantolo doloroso, una pila di libri le cadde sulle gambe, e il cuore, nel petto, batté con violenza inusitata, allarmato. Non riuscì a riprendere fiato, perché quando il suo diaframma si sollevò alla ricerca di ossigeno, qualcosa premette e lo bloccò. Nello stesso istante, il dolore acuto alla base del collo, pochi centimetri sopra la clavicola, e le scintille davanti ai suoi occhi ciechi.
   Allora esplosero i ricordi, come coriandoli confusi, e si mescolarono nella confusione della tempesta.

   E’ un Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa. Uomini e vampiri, creature della luce e creature delle tenebre. Lo capisci, Estelle? Sì, Jamus, è semplice. Brava bambina. Sei intelligente.
   Sei intelligente, Estelle. I tuoi voti sono strabilianti. E’ anomalo, ma forse... Vorremmo portarti a conoscere certe persone. Non avere paura.
   Non avere paura.
Ho paura. Fa male. C’è solo male, ovunque, dolore, dolore, dolore. Il mio cuore... Chi sta stritolando il mio cuore?
   Cosa mi insegnerai, Imo? Ho già imparato tutte queste cose. Studierai da sola. Io mi limiterò a girarti intorno. Perché, Imo? Perché sì.
   Ancora gli anni non avevano un conto, ed Essi già erano. Essi già pensavano, agivano, e colpivano. Poi, Essi vollero camminare nella Luce. E così la Stirpe strinse il Patto.
  Ma perché non possono farlo da soli? Cioè, che bisogno hanno di me, maestro Jamus? Tu sei il Ponte, Estelle. L’importantissimo Ponte che permette ad Ashan di conservare il Controllo.
   Senza di Essi l’ordine non avrebbe luogo. Nella luce, ogni cosa sarebbe semplicemente confusa e indistinguibile. Essi sono la mente. Il Ponte è il loro braccio.
Dovrebbe smettere. Perché non smette? Perché fa così male?
Imo... Imo, lo stai facendo. Stai cedendo.
Perderai, dunque?
Perderemo insieme?
   Sono tutte leggende, Estelle. Gli uomini trasformati in vampiri non sono vampiri. Sono ibridi, hanno una vita limitata e poteri deboli. Allora anche io sarò debole? Non sarò una di voi? Tu sarai speciale, Estelle. Tu sei il Ponte.
   Il Ponte regola i rapporti tra la Stirpe e la Luce, e dunque l’Equilibrio. Il Ponte è scelto per la sua posizione sociale, e per le sue capacità individuali. Il Ponte verrà legato alla Stirpe con un laccio indissolubile. Soltanto la morte potrà spezzarlo.
Una di loro...
Forse non è così importante...
   Soltanto la morte. Spezzare il laccio. Soltanto la morte. Brucia. Brucia!
   Brucia da morire!

   Un’altra pila di libri rovinò a terra, sollevando una piccola nube di polvere.
   Da qualche parte,  decine di piani più sotto,  il ronzio attutito del traffico si mescolava alle folate di vento,  e  nel  minuscolo appartamento riecheggiava solo il modesto tramestio dei libri che si sistemavano.
   Imo si sollevò lentamente dal corpo di Estelle.
   La sua testa era un vortice confuso di pensieri e sensazioni.  Sebbene non avesse mai provato emozioni umane,  era certo che l’ebbrezza  della sete superasse di gran lunga qualunque ormone chimico.
   Si tirò in ginocchio, e raccolse il sangue che era colato fino al mento, portandolo alle labbra con un tremito avido. I suoi occhi rimasero fissi su Estelle, sulla gola esposta e ancora tiepida che fino a pochi istanti prima era stata contro la sua bocca. Il sapore del suo sangue era fermo sulla lingua, caldo e terribilmente perfetto. Non aveva mai toccato sangue più perfetto... Forse perché lei era il ponte? Forse era in base a quello che Ashan sceglieva, generazione dopo generazione? Dopotutto c’era bisogno di un umano che fosse più di un umano. Una creatura dall’intelligenza sensibile, in grado di comprendere i meccanismi del mondo della luce e di quello delle tenebre, e unirli, metterli in comunicazione e farli coabitare. Forse le doti intellettuali si scioglievano nel sangue, e gli donavano un sapore che definire afrodisiaco era poco.
   Il Ponte viveva soltanto cento anni. Poi, perché non impazzisse, la Stirpe si occupava di eliminarlo. Gli umani non erano progettati per essere perfetti troppo a lungo: la loro mente, inevitabilmente, cedeva. Eppure quegli umani, quell’umana, erano particolari. Il loro sangue aveva qualcosa d’insolito, quasi di pericoloso. Rischiava di diventare una droga. Forse era quel sangue che permetteva a lei e a tutti i Ponti di resistere, di mantenere il controllo.
   Probabilmente, che Estelle fosse donna non importava affatto. Gli uomini non avevano mai pensato che una femmina potesse essere il Ponte, e di conseguenza nemmeno la Stirpe.
   Ma Ashan aveva deciso, al di là delle convenzioni. E quel sangue non poteva che essere la prima scelta.
   Era così facile convincersene, dopo averlo assaggiato...
  «All’inizio sarai confusa» sussurrò, passandosi lentamente le dita sulle labbra. Il suo compito non era finito. «Non avere paura. La sensibilità tornerà presto. E poi, per prima cosa, avvertirai la sete. E’ normale. Il tuo corpo ha bisogno di nutrimento nuovo»
   Gli occhi di Estelle guizzarono per un istante, sotto le palpebre socchiuse.
   «Brava, inizia dalle basi»
   Le sue labbra tremarono, le dita fremettero impercettibilmente.
   «Così, poco a poco»
   Imo si fece indietro, fino a raggiungere il letto. Si lasciò cadere seduto, ancora scosso da un lieve tremito.
  «La trasformazione è a malapena iniziata. Proseguirà per diversi giorni. Quando desidererai solo sangue, allora sarà completa... Ora muoviti con cautela. L’istinto ti spingerà a fare cose che non puoi ancora fare. Controllati»
   Le gambe di Estelle si contrassero, piegandosi all’improvviso. Un rantolo le riempì i polmoni vuoti.
   «Ci sei quasi. A breve potrai alzarti»
   Con un mezzo ghigno, Imo si accarezzò il collo pallido, più pallido di quello di Estelle. La guardò rotolare su un fianco, continuando a somministrarle piccoli consigli, a descrivere le condizioni in cui si trovava, a prepararla a quello che sarebbe venuto, così come era stato istruito a fare.
   La guardò e si chiese perché mi sono fermato?
   Il suo sangue era inebriante. Le motivazioni c’erano tutte. Eppure, alla fine, si era fermato. Alla fine si era limitato al suo compito, nulla di più.
   Ashan, avevi previsto anche questo?
   Vide Estelle sollevare lentamente il capo, l’espressione stravolta e ferina degli umani appena trasformati. Non aveva nulla della perfetta bellezza dei vampiri: le occhiaie erano ancora lì, e ora le pelle tendeva sugli zigomi. Chissà cosa si provava ad essere contaminati. Per quanto lo avessero preparato, non riusciva a immaginarlo davvero.
   «Mi vedi?» le chiese, passandosi la lingua sulle labbra.
   Estelle lo fissò ad occhi spalancati e vuoti.
   «Quando mi vedrai, la sensibilità sarà acquisita»
   Senza volerlo, Estelle sollevò le labbra e mostrò i denti, nient’affatto acuminati.
   «Il tuo primo istinto probabilmente sarà...»
   Non terminò mai la frase. All’improvviso Estelle fu su di lui, e quasi gli parve di sentire i suoi muscoli gridare per il dolore. Colto di sorpresa, si sentì spingere sul letto e avvertì la lacerazione dei canini smussati sulla pelle del collo. Gli sfuggì un gemito, perché per raggiungere la giugulare dovettero tormentare una generosa porzione di carne, e poi conficcò le unghie nelle sue braccia, ancora sorprendentemente morbide e calde.
   «Non così!» ruggì, staccandola a forza.
  Estelle lo fissò ad occhi sgranati, il viso imbrattato di rosso e i capelli in disordine. Tentò nuovamente di attaccarlo, ma questa volta fu lui a spingerla con la schiena al letto, e prima di accorgersene la bocca premeva ancora contro il suo collo, e il sapore del suo sangue gli riempiva la bocca.
   Staccarsi fu un atto incondizionato, per la seconda volta. La droga migliore della sua eternità era anche l’unica da cui si ritraesse spontaneamente. Estelle si contorse sotto la sua presa, e tentò ancora di avventarsi su di lui. Imo la tenne giù, e scoprì all’improvviso che la trovava eccitante. Per quanto fosse in disordine, fuori di sé e femmina, all’improvviso la trovava eccitante.
   Sorrise, anzi ghignò, aumentando la stretta sulle sue braccia.
   «Hai sete?» sibilò, chinandosi su di lei.
   Estelle ringhiò, protendendosi verso il suo collo.
   «Sarò il miglior Ponte che la storia ricordi» promise con voce roca, e quelle furono le prime parole della sua nuova condizione, le prime lucide, almeno.
   Imo snudò i canini; tese il collo.
   «E allora bevi»





E’ un Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
Il Patto dipende dall’Equilibrio.
L’Equilibrio dipende dal Ponte.
Il Ponte dipende dal segreto.
Il segreto dipende dal legame.
Così è da sempre e per sempre sarà.
Ci sono cose che hanno un’origine e una fine.
E ci sono cose che, semplicemente, esistono.
Il Patto è tra di esse.







* * *

Alcune note doverose: da anni mi scervello sul come e il perché esseri umani di carne e sangue potrebbero essere trasformati in vampiri freddi e liberi dalla schiavitù dei bisogni vitali. Francamente non mi convincono né Stoker né la Meyer, c'è sempre qualcosa che nei loro ragionamenti non mi torna... Non voglio nemmeno menzionare la storia dei cromosomi, che mi ha fatto ridere per non piangere, e Stoker potrei salvarlo ricordando il periodo in cui scriveva e soprattutto che addebitava la natura dei vampiri al Maligno (si sa, finendo sul mistico tutto è possibile). Comunque, ad oggi non sono ancora arrivata a nessuna considerazione che mi faccia accettare che un corpo nato per funzionare grazie a sangue e ossigeno possa farne a meno. E quindi non ho indagato a fondo nella natura dei vampiri, dando per scontato che esistano da sempre, e tanti saluti. Come avrete notato, Imo è descritto caldo, ed Estelle non subisce alcuna trasformazione fisica evidente. Il pallore potrebbe anche essere una caratteristica naturale, e, nel caso di Estelle, momentanea anemia e reclusione, ma voi non soffermatevici troppo. Ho fatto una serie di ragionamenti per descrivere questo mio vampirello goffo (che a me, contro ogni logica, fa tenerezza...), ma replicarveli verrebbe troppo lunga!
Ringrazio Ghen e Marian, i due giudici del contest "Il morso di un vampiro", nel quale questa storia si è classificata al secondo posto, e vi esorto brutalmente (ho tirato fuori il manganello) a leggere la prima classificata (di roro) e a unirvi alla mia richiesta di un seguito!
Grazie per aver letto fin qui, e arrivederci!


Curiosità
: "Imo" è la pronuncia inglese di "emo", il celeberrimo termine che indica una vasta parte della popolazione giovanile incline all'autocompatimento e autolesionismo. Imo è così battezzato  perché nella mia testa assomiglia un po' a L di Death Note, fisicamente parlando. Tuttavia, sempre nella mia testa, per motivi che mi sfuggono L è ricollegato a Sasuke Uchiha, della serie "Naruto" (saranno i capelli?), e lui in quel fandom è considerato l'emo per eccellenza. Ecco quindi il perché del nome! (qualcuno me lo ha chiesto... Se il dubbio venisse anche a voi, ecco la risposta!)

  
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