Grazie dei
commenti e grazie anche a chi ha inserito la storia
tra i preferiti!!! Sono contenta che vi stia piacendo!!! Ok
non mi dilungo… vi lascio alla lettura del prossimo chappy…
bye… Jelly^^
VIII
Anni
dopo, la vita scorreva normale nel bel palazzo del dio della morte. La moglie a sua insaputa aveva il suo amante e si confidava con la
sua serva; Badb, la sua figlia prediletta, svolgeva i suoi compiti di dea con
diligenza e senza commettere mai errori; Nemain restava sempre assorta e persa
tra le note della sua piccola arpa, parlando poco e ascoltando ancora meno di
quello che avveniva nel mondo reale; Macha svolgeva i suoi compiti con il cuore
pesante e carico di sensi di colpa opprimenti, ma cercando di non commettere
errori per non dover anche traghettare le anime al posto del padre.
Nulla sconvolgeva l’ordine e l’equilibrio della loro vita e Balor ne era contento. Un giorno però, senza nemmeno volerlo,
proprio lui sconvolse irrimediabilmente la vita di tutta la famiglia.
Era
nella sua grande sala da ricevimento, come sempre, e
sedeva stanco sul suo trono, con una mano che reggeva la fronte aggrottata e
l’altra che stringeva tra le dita rattrappite un foglio pieno di nomi; nomi di
poveri mortali destinati a vagare per il resto dell’eternità nel macabro fiume
che scorreva attraverso l’isola degli dei.
-Tonke, chiamami le mie figlie
-certo,
mio signore
Il piccolo Tonke era già sparito dietro la grande
porta, senza farselo ripetere due volte. Poco dopo rispuntò dal punto in cui
era sparito, accompagnato questa volta da tre bellissime ragazze che entrarono
con passo lento e cadenzato nella sala.
-padre
ci avete fatte chiamare?- era stata la maggiore delle
tre a parlare, con lo sguardo fiero rivolto verso la figura imponente del
padre.
-sì,
care. Oggi voglio affidarvi del lavoro extra, scusatemi ma non ce la faccio da
solo, sembra che oggi ci siano più persone del solito che devono lasciare il
mondo mortale!
Aveva un tono quasi
allegro, come se quello che aveva appena detto poteva essere motivo di una
battuta felice. In effetti per Badb fu una bella
notizia, era sempre felice di poter aiutare Balor.
-allora,
Badb a te spetta una donna: Ariel
-sì,
padre
Badb uscì in fretta
dalla sala, orgogliosa di aver ricevuto l’incarico per prima.
-Nemain,
a te spetta un giovane col nome di Tom
Nemain uscì dalla
stanza senza nemmeno rispondere al padre, semplicemente canticchiando una
poesia che stava giusto componendo per lo sventurato Tom.
-Macha,
ti affido l’anima di un giovane: Natan, non mi deludere
Con lei la voce di
Balor era stranamente più fredda e impersonale.
Anche Macha uscì dalla
sala, non per niente contenta di quel lavoro e con il cuore oppresso già solo
all’idea di quello che doveva fare. Non le piaceva assolutamente lavorare da
sola; non sopportava di dover affrontare i visi delle persone in lacrime
attorno al morente e non capiva come facevano le sue sorelle a farlo senza
nessun problema, anzi quasi con gioia nel caso di Badb.
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Macha era appena arrivata nel mondo dei
mortali e, come ogni volta che ci veniva, si meravigliava di quanto potesse
essere strano quel mondo ai suoi occhi, rispetto a quello in cui viveva lei. Il
mondo divino, la loro bella isola, era così calma e
silenziosa, come avvolta in una nuvola ovattata di nebbia che riduceva tutti i
rumori. Il mondo degli esseri umani invece era stranamente caotico, come se
tutti quanti non potessero fare a meno di correre;
correvano dietro qualche capra scappata dai recinti, dietro un ladro che aveva
appena rubato un frutto da una bancarella, i bambini si rincorrevano per gioco,
i giovani rincorrevano fidanzate che si facevano desiderare e i vecchi
correvano dietro a nipoti troppo scalmanati. Nessuno riusciva a stare un attimo
fermo e in silenzio e il rumore, in quella strada dove era giunta Macha, era
quasi insopportabile. Per non parlare degli odori; al naso fine della dea
arrivavano gli odori più strani, sia piacevoli che terribili da sopportare;
l’odore di un dolce appena sfornato da una mamma per la sua figlioletta,
l’odore di fiori appena raccolti da un giovane innamorato, l’odore di spezie
rare che erano esposte sul tavolo di un mercante; ma
anche l’odore di sudore di un uomo che aveva appena finito il suo pesante
lavoro nei campi, l’odore di letame appena pulito dalle stalle, l’odore di
bruciato proveniente dalla cucina di un maldestro apprendista cuoco. Ma la bella dea non poteva soffermasi su quei particolari,
aveva un lavoro da svolgere e voleva farlo al più presto. Si diresse verso la
casa del giovane Natan e vi entrò senza esitazioni.
La casa non era nulla di speciale, piccola e un po’ spoglia, ma fortunatamente
ben pulita e libera dagli odori più sgradevoli che
Macha temeva di annusare. Trovò il ragazzo con un coltello affilato vicino alla
gola, era arrivata giusto in tempo per assistere alla
sua fine e prendergli l’anima. Era un peccato che dovesse
proprio morire, pensò Macha, perché era davvero un gran bel ragazzo. Aveva neri
capelli lisci e leggermente lunghi, con la frangia che gli ricopriva la fronte,
sudata per la tensione al pensiero di quello che stava per fare, e i ciuffi che
ricadevano sul collo muscoloso anch’esso sudato; doveva avere anche un bel
fisico scolpito e doveva essere molto alto, poiché sembrava che facesse fatica
a stare piegato in quella posizione, con le ginocchia piegate, la testa
appoggiata su queste e il coltello poggiato minacciosamente alla gola. Ad un
certo punto alzò lo sguardo, come se avesse sentito entrare qualcuno, e lo posò
sulla figura della dea.
Macha restò sconvolta da quello che i
suoi occhi videro. Quegli occhi lei li aveva già visti. Erano due grandi e
profondi occhi viola, lucidi per la tristezza, che fissavano con una strana
espressione quelli sconvolti della dea che gli stava di fronte. Anche lui sembrava averla riconosciuta. Il cuore di Macha
ebbe un sobbalzo quando si ricordò dove aveva già visto i suoi occhi e per un
attimo fu come se il tempo si fosse fermato per entrambi, per poi tornare
indietro di anni, fino a quel giorno di quasi
venticinque anni prima; quando Macha aveva preso l’anima della sua prima
vittima insieme alle due sorelle: l’anima di Kona.
Ecco dove aveva visto quegl’ occhi: erano quelli del bambino che, dal suo angolo ai
piedi del letto della madre morente, la implorava con lo sguardo di non
portargliela via. Ora non erano più due occhi infantili che
la imploravano, ma i due occhi di un adulto che aveva deciso di farla finita,
ma che potevano vedere perfettamente la dea pronta a portargli via l’anima.
-perché io vi posso vedere?
-io… non lo so… non
dovreste vedermi
-ma anni fa io vi ho vista di nuovo! portaste
via mia madre e a poca distanza da quel giorno vidi portare via anche i miei
fratelli e mio padre, ma non eravate più voi la loro assassina
-sono state le mie sorelle, io non
volevo portarvi via vostra madre, credetemi!
-sì, me ne ricordo. Voi cercaste di
fermare la dea dai capelli bianchi
-sì, mia sorella, ma non ci riuscii e i ho sensi di colpa tutt’oggi per avervi fatto assistere ad un
simile spettacolo, troppo crudele per i vostri occhi allora infantili
-e ora siete venuta a concludere
il vostro dovere? Sarete voi a prendere la mia anima?
-sì
-era proprio destino che ci rincontrassimo, ma non speravo in questa circostanza
-non vedo in quale altra circostanza avrei potuto incontrarvi
Macha era sconcertata, non pensava che avrebbe mai rivisto il
bambino dagli occhi viola e adesso non lo voleva
uccidere, il suo cuore sembrava che non volesse permetterglielo e minacciava
pericolosamente di smettere di battere, nonostante la sua natura immortale.
-già, avete ragione
Il giovane non sembrava per niente spaventato, anzi sembrava
realmente felice di aver rivisto la bella dea, che non aveva mai smesso di
perseguitare i suoi sogni sin dall’infanzia. Adesso che l’aveva ritrovata non
la voleva più lasciare.
-e se io adesso non volessi più morire? Se
volessi passare il resto della mia vita accanto a voi?
Macha era ancora più sconcertata. Non pensava che avrebbe mai
sentito pronunciare simili parole da una delle sue vittime e non sapeva come comportarsi. Decise di non porre fine alla sua
vita.
-non credo che voi vogliate realmente
passare il resto della vita accanto alla dea della morte
-ma voi non potete essere la dea della morte. Siete troppo bella
e troppo buona, dovreste essere la dea dell’amore
Quelle parole colpirono a fondo nell’animo di Macha. Quello
sconosciuto aveva colto nel segno il suo problema.
-e invece sono quello che sono, ma visto che dite di non voler più morire me ne andrò
e spero di non dovervi più rincontrare o sarei costretta a terminare il mio
dovere, quindi non cercate più di uccidervi, Natan
Natan, come era dolce il nome di un
semplice mortale se pronunciato dalle labbra di quella bellissima dea. Il
ragazzo credeva di vivere un sogno meraviglioso e non voleva dirle addio così.
-io invece vorrei
rivedervi. Tornerete da me, mia dea? Non so
nemmeno il vostro nome…
-sono Macha. No, non credo che tornerò
da voi perché non desidero uccidervi. E non cercate di uccidervi per vedermi,
perché se dovessero venire da voi le mie sorelle, o peggio mio padre, non vi risparmierebbero
-allora se non volete che io muoia
tornate da me
La dea andò via, sparendo dalla vista di Natan,
visibilmente sconvolta per quello che era successo e impaurita al pensiero
delle conseguenze che sarebbero derivate dalla sua trasgressione delle regole.