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Autore: Betta7    24/07/2015    10 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO.
CONTRASTO.

Pov Akito.

Credevo davvero che fossimo cresciuti per cose come quelle, litigi infiniti che ci portavano a far pace in camera sua con un vaschetta di gelato e un film. Odiavo quando Sana mi costringeva a quelle sceneggiate, ma sapevo anche quanto lei le amasse, quindi spesso mi limitavo ad annuire e ad evitare qualsiasi discussione. Eravamo cresciuti, senza dubbio, ma eravamo rimasti in un certo senso gli stessi. Io, come sempre, non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti, e questo comportava il più delle volte uno Tsuyoshi che non mi lasciava mai in pace e lei, d'altro canto, era sempre stata tarda nel capir le cose. Lo sapevano tutti, persino Fuka, che ormai si era rassegnata da tempo al fatto che non avrebbe potuto avermi, mentre lei continuava a far finta di non vederlo. Nei miei gesti riconosceva quelli che qualsiasi migliore amico farebbe. Si, anche Tsuyoshi era il mio migliore amico, ma di certo non mi svegliavo al mattino grondante di sudore dopo averlo sognato e, soprattutto, non provavo alcuna gelosia verso di lui. Con Sana invece era un continuo pugno nello stomaco, con tutti quegli attori che le giravano attorno e che io dovevo sopportare senza battere ciglio. Quante sere avevo passato ad ascoltare i suoi racconti e a cercare di trattenere il mio istinto di ucciderli tutti.
Tsuyoshi mi ripeteva ormai da anni di rivelarle i miei sentimenti, io avevo sempre sviato e rimandato, semplicemente perchè quel momento mi metteva un'ansia addosso che non riuscivo a spiegare neanche a me stesso. Se le avessi davvero detto ciò che provavo per lei da tutti quegli anni, mi avrebbe guardato con occhi diversi il che poteva essere sia un bene che un male. E io di rischiare ero terrorizzato, perchè se lei avesse chiuso il nostro rapporto l'avrei vista andare avanti senza di me, vivere la sua vita da star senza batter ciglio, mentre a me sarebbe mancato tutto.
Quindi, per anni, avevo tenuto la bocca chiusa, e il mio apparire sempre controllato e distaccato mi aveva aiutato a nascondere lo tsunami di emozioni che mi investiva quando la vedevo tutta in tiro il sabato sera, quando la guardavo ballare nei locali, quando passavamo le domeniche a studiare matematica e io mi perdevo il filo del discorso perchè lei cominciava a giocherellare mordicchiandosi le labbra. Ecco, quelle erano cose che mettevano a dura prova il mio autocontrollo e rovinavano la mia salute mentale.
Spesso mi soffermavo a guardarla, anche tra i banchi di scuola, quando i professori spiegavano qualcosa che le interessava poco, e le veniva sempre una piccola ruga sulla fronte. Oppure avevo notato che quando aveva una discussione con Fuka metteva il broncio a me solamente perchè sapeva benissimo che con lei non attaccava. E io mi divertivo a vederla col muso lungo, e mi divertivo soprattutto a vederlo sparire quando un raggio di sole le arrivava sul volto. Era magico, a volte mi capitava di guardarla anche mentre dormiva. Si muoveva raramente, contrariamente a quanto lo faceva da sveglia, e io mi soffermavo ad osservare il suo petto che si alzava e abbassava ritmicamente.
Adoravo quei momenti di tranquillità, mi facevano capire quanto le cose potessero essere diverse, se solo avessi trovato un po' di coraggio.
La ragazza S e il ragazzo A. Era così che i nostri compagni amavano definirci, era così che tutto il liceo amava definirci. Io non ci avevo mai veramente dato peso, non finchè mi ero reso conto che le cose stavano cambiando, e avevo cominciato a considerare quella definizione come qualcosa di più.
Ormai mancavano meno di due settimane alla fine del liceo e poi sarebbe iniziata la tanto temuta università. Temuta, si, perchè se avessi potuto avrei di gran lunga deciso di evitarla. Avevo ricevuto una proposta da un college americano ed ero ancora indeciso se accettare o meno. Se pensavo razionalmente, e lo facevo raramente, c'erano mille motivi a dirmi di prendere la mia valigia e partire senza guardarmi indietro, mentre non avevo trovato nessun motivo abbastanza valido da trattenermi in quella città.
Ma, se mettevo da parte la mia testa, e mi figuravo davanti Sana... allora lì le cose si complicavano sensibilmente. Mi ero sempre detto che tutto sarebbe cambiato, che Sana avrebbe aperto gli occhi, che i miei amici l'avrebbero smessa di cercare di metterci insieme perchè se qualcosa fosse accaduto sarebbe dovuto nascere da noi e da nessun altro. Ma Sana non faceva altro che partire e tornare, senza lasciare traccia di se' , senza dire ciao o dare una spiegazione, per noi era semplicemente normale vederla una volta al mese, se eravamo fortunati.
Per la maggior parte del tempo, mentre era dall'altra parte del mondo, io la odiavo. E la odiavo così tanto che la cosa mi sfiniva, mi svuotava, ma poi quando tornava e si precipitava a casa mia tutta sorridente e con un abbraccio pronto per me, dimenticavo di colpo tutti i motivi per cui l'avevo odiata e ricominciavo ad amarla, come avevo fatto negli ultimi diciotto anni.
Quindi, la mia vita al momento si trovava nella fascia dell'odio puro, perchè Sana era in viaggio e non sarebbe tornata prima del giorno dopo. L'avevo chiamata mille volte ma continuava a scattare quella maledetta segreteria in cui mi chiedeva di lasciarle un messaggio e mi diceva che mi avrebbe richiamato. Non lo faceva mai.
Poco dopo che mia sorella uscì di casa il mio telefono squillò e io, da bravo idiota, mi ci fiondai sopra per rispondere.
«Sana?». Mi venne spontaneo, lo ammetto, ma tre secondi dopo avrei voluto sotterrarmi.
«Cavolo, Akito. Credo che tu abbia dei seri problemi se anche al telefono rispondi così.»
«Ciao, Tsuyoshi. Hai chiamato per una ragione in particolare o solo per farti mandare a fanculo in diretta?».
Lo odiavo quando faceva allusioni o battutine stupide, nonostante sapessi che il suo unico scopo era spronarmi.
«Come siamo suscettibili, immagino che Sana non ti abbia ancora chiamato.»
Lo avrei ucciso, era ufficiale.
«No, non è tornata e non ha chiamato, ma questo non c'entra col mio umore, coglione.»
Ero poco credibile anche a me stesso, figuriamoci se la persona che mi conosceva meglio al mondo si sarebbe bevuto una cosa del genere.
«Va bene, Akito, è ovvio. Comunque ho chiamato per ricordarti che domani ci sono le prove del ballo, quindi dovresti portare tutto quello che ti avevo chiesto di comprare - e che spero per te tu abbia comprato - e aiutarmi a decorare la sala.»
«Ti porterò tutte quelle cose che si, ho comprato, ma scordati che io rimanga lì ad attaccare festoni e brillantini ovunque.»
«Okay, siamo in allarme nero. Ti lascio in pace, ci vediamo domani.»
Chiusi la telefonata senza nemmeno salutarlo, volevo bene a Tsuyoshi come se fosse stato mio fratello, ma c'erano volte che tutto il bene che gli volevo veniva sostituito da un profondo fastidio per la sua continua voglia di impicciarsi.
Dalle elementari continuavamo quell'assurdo gioco, da quando aveva scoperto i miei sentimenti per Sana aveva deciso categoricamente che non avrebbe avuto pace finchè non ci avesse visto mano nella mano a comportarci come facevano lui e Aya.
Notizia dell'ultima ora: anche se, e sottolineo se, fosse successo in un futuro molto lontano, non mi sarei mai messo a chiamare Sana con nomignoli strani del tipo pasticcino o tesorino, o biscottino, o chissà con quale altro vomitevole modo chiamava la sua ragazza.
Per me tutte quelle dimostrazioni d'affetto erano praticamente inutili e a volte guardare loro era come assistere ad un incontro di box dove il giocatore su cui hai scommesso sta miseramente perdendo: uno schifo.
Quindi, ammesso e non concesso che io e Sana avremmo trovato il modo di parlarci, non avrei smesso di chiamarla Kurata, anche solo per vederla arrabbiata continuamente.
Provai a richiamarla, ma tornai a sentire la sua voce registrata e tirai il telefono sul letto, in preda alla frustrazione.
Perchè faceva così? Perchè per ogni minima parola doveva fare una tragedia? Erano ormai tre giorni che si ostinava a non rispondermi al telefono, e solo perchè le avevo detto di mollare un po' il suo lavoro, o non avrebbe trovato un'università decente da frequentare. Era la verità, che le piacesse o no, e io le avevo parlato in quel modo solo perchè mi stava a cuore il suo futuro e nient'altro. Ma no, lei non la vedeva così e si era premurata di farmi chiamare da occhiali da sole per comunicarmi che non aveva più intenzione di andare al ballo con me.
Ma il ballo era tra due giorni e se non si fosse presentata, lasciandomi in pasto alla ragazza che me lo aveva chiesto prima che io lo chiedessi a lei, allora l'avrei uccisa e poi ero sicuro che non avrebbe trovato un altro accompagnatore così in fretta - complice anche la sua assenza dalla città, grazie al cielo - e che non avrebbe mai deciso di andare al ballo da sola.
Quelle erano tutte ragioni per mantenere la calma, per decidere che si, anche se era una pazza furiosa, non mi avrebbe mai piantato in asso, ma conoscendo Sana non sapevo cosa aspettarmi da lei. Sarebbe stata capace di venire al ballo con me e poi infilarmi un intero tubetto di panna nelle mutande.
Stavo diventando paranoico, in modo piuttosto maniacale, e forse Tsu aveva ragione a dirmi di darci un taglio.
Ma come avrei potuto farlo se ogni azione di Sana mi mandava fuori di testa?
Quella ragazza per me era un fottuto mistero e neanche se fossimo finiti con la fede al dito l'avrei mai capita!

*

Continuavo a guardare l'orologio, temevo che Sana fosse di parola e che non sarebbe venuta davvero al ballo con me, ma per ogni parte di me che si ostinava a urlarmi di scappare da quella situazione ce n'era un'altra, più forte, che mi imponeva di non dare di matto e andare avanti.
Indossai il maledetto smoking che Sana mi aveva fatto comprare, dopo un estenuante pomeriggio al centro commerciale in cui non mi aveva neanche voluto mostrare il suo vestito, perchè doveva essere una sorpresa. Non ci stavamo di certo sposando! Eppure Sana sembrava convinta al cento per cento, e io non avevo osato contraddirla in nessun modo, perchè sapevo a cosa andavo incontro.
Quando salii in macchina ero piuttosto nervoso, sistemai il fiore che le avevo preso sul sedile accanto al mio e misi in moto, assicurandomi che non cadesse o si schiacciasse.
Non aveva specificato quale fiore avesse preferito, ma io mi ero buttato su un bocciolo di rosa bianca, circondato da tre piccole rose rosse.  Si, non era molto originale probabilmente, ma era il modo in cui la vedevo.  Per me lei racchiudeva in sé la purezza totale, unita a quel pizzico di passione inconsapevole e, con un po' di coraggio e una buona dose di alcol, sarei riuscito a dirlo anche a lei.
Parcheggiai davanti casa sua, era la prova del nove, visto che aveva continuato ad ignorare ogni mia chiamata; ad aprirmi fu Sagami, e a me mancò il fiato per un attimo, temendo che mi avesse piantato in asso per qualcun altro o, ancora peggio, per una delle sue serate piumone e film.
«Oh, Hayama... sei tu.»
«Felice di vederti anche io, Rei. Sana è pronta?».
Il bastardo mi fece entrare ed esitò prima di rispondere alla mia domanda. Mi fece accomodare, mi offrii un bicchiere d'acqua - dopo avermi fatto un piccolo test sulla mia facoltà di guida, il che mi rese ancora più nervoso - e, dopo aver aspettato di sentire che il mio cuore stava andando in autocombustione, mi rispose.
«Scende subito.»
Affogati.
Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con le rose all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere.
Odiavo che lei avesse così tanto potere su di me, ma ce l'aveva e dovevo dargliene atto e accettare che fosse impossibile per me disinnamorarmi di lei.
Ci avevo provato miliardi di volte, cercando distrazione in altre ragazze, ma non c'era stato niente da fare, ogni volta mi ritrovavo a dover fare i conti con i sentimenti che provavo per Sana e con ogni emozione repressa.
Alzai lo sguardo e, quando i miei occhi incrociarono i suoi, mi sembrò di non sentire più la terra sotto di me.
«Sei...». Non mi lasciò neanche finire di parlare, mi prese la mano e mi condusse alla porta e io mi sentivo un completo idiota che, per giunta, cominciava pure a diventare balbuziente.
«Si, lo so, ma è l'unica cosa che sono riuscita a trovare, non mi piace neanche un granchè... il vestito che avevo comprato con te era molto meglio.»
Non era un granchè? E allora cosa avrei dovuto aspettarmi da un futuro non è un granchè?
«Non è il vestito del centro commerciale?».
«No, ho avuto un piccolo problemino con quello e non ho potuto indossarlo.»
Rimasi un po' deluso, ero sincero, ma quel vestito mi sembrava sicuramente all'altezza per competere con un abito che non avevo nemmeno mai visto.
Rei ci scattò una foto, contro la mia volontà e anche contro la sua, ma Sana insistè così tanto che avrebbe fatto di tutto pur di farla tacere, dopo di che uscimmo da casa sua e passammo tutto il viaggio in macchina in silenzio.
Lei aveva cercato di aprire qualche argomento, chiedendomi cosa ne pensasse Natsumi del mio smoking e sapevo che me lo chiedeva solo per sentirmi dire che mia sorella aveva approvato la sua scelta perchè da solo non avrei saputo come vestirmi, quindi non dissi nulla e la cosa si rivelò anche piuttosto imbarazzante.
Io le chiesi di Chicago, come era stato andare nella Windy City, e lei mi aveva raccontato un sacco di storie carine su quella città e su ciò che aveva fatto durante il periodo lontana da me... cioè, volevo dire, da Tokyo.
Non avrei mai creduto che stare con Sana sarebbe mai stato così strano o imbarazzante, eppure forse non era davvero il caso di parlarle dei miei sentimenti o la situazione sarebbe degenerata ancora più, ed era l'ultima cosa che volevo.

_____________________________________________

Pov Sana.

Stavo cominciando ad odiare il ballo, in ognuna delle sue forme. Il dj si ostinava a mettere musica che mi avrebbe fatto sanguinare le orecchie di lì a poco, l'unica consolazione - se di consolazione si poteva trattare - era che avevo Akito a sorreggermi.
I tacchi mi facevano malissimo e non facevo altro che lamentarmi, ma perchè diavolo avevano inventato degli strumenti di tortura sofisticati come la gogna, la frusta o la ruota se potevano benissimo fare indossare un paio di Laboutine e uccidere chiunque?
«Kurata si può sapere che diavolo ti prende? Sembri una scimmia impazzita!».
«Sei sempre così gentile con le tue migliori amiche?».
«Per fortuna ho solo te, sennò sai che fatica?!».
Le sue battute ormai mi lasciavano indifferente, erano anni che convivevo con le continue prese in giro di Akito Hayama, il bambino che avevo trasformato da bulletto a bravo ragazzo, e solo grazie ad una fotografia che ancora tenevo gelosamente custodita nel mio cassetto segreto.
«Sai che posso ancora ricattarti, quindi sarà meglio per te se chiudi il becco!».
«Si, ricattami...». Guardò in basso e si accorse che i miei piedi sembravano avere una crisi isterica, quindi capii tutto e si mise a ridere. «E' per le scarpe? Non capisco perchè voi donne vi autopuniate per la vostra condizione di esseri inferiori.»
Lo guardai con gli occhi storti. Esseri inferiori? O era ubriaco fradicio oppure voleva farmi innervosire, e io avrei optato sicuramente per la seconda perchè conoscevo lo sguardo di Akito e quello, senza ombra di dubbio, apparteneva all'Akito che voleva farmi uscire di testa.
«Non cadrò nel tuo giochetto, Hayama. Sono pacifista, stasera.»
Lui scoppiò in una fragorosa risata che non sapevo come interpretare visto che l'ultima volta che l'avevo sentito ridere in quel modo risaliva almeno a mesi prima e ci era voluta una mia caduta dalle scale e un mio polso slogato per riuscirci.
«Solo stasera, sei pacifista?». Aspettò un attimo prima di continuare. «Togliti le scarpe, Kurata.».
«No! Poi sembrerò Sanalo, l'ottavo nano, in confronto a te!»
«Ti ho detto togliti le scarpe, Kurata.».
Non volevo farlo, ma Hayama aveva una capacità assurda nel convincermi a fare qualcosa anche solo guardandomi negli occhi, quindi le tolsi e le gettai vicino alla console del dj, sperando che a nessuno servissero mille dollari di scarpe, altrimenti sarei tornata a casa scalza.
«Fatto, sei contento adesso?». Non parlò e, inaspettatamente, mi mise un braccio sulla vita e mi alzò, facendo poi poggiare i miei piedi scalzi e doloranti sulle sue scarpe nuove.
Era un gesto così dolce, così carino... così da Hayama.
«Meglio?».
Per un secondo mi sembrò che tutto quello che avevamo avuto per la nostra intera esistenza fosse stato un completo errore. Io e Akito non eravamo amici, non quel tipo di amici con dei benefici almeno, e non volevo nemmeno che lo diventassimo. Il nostro rapporto era più profondo, eravamo amici e allo stesso tempo ci comportavamo come una vecchia coppia sposata e la cosa non andava affatto bene.
Però, più lo guardavo, più mi perdevo in quella assurda luce nei suoi occhi, più mi convincevo che, se avessi perso il controllo una volta, una sola volta, non sarebbe contato come sbaglio madornale. Era solo un test, un modo di capire i miei sentimenti che in realtà erano un casino colossale.
Ciò che avvenne dopo non era difficile da intuire, mi fiondai sulle sue labbra e lo baciai, come per ringraziarlo sia del gesto così carino, sia del fatto che, nonostante lo avessi trattato malissimo negli ultimi tre giorni, lui fosse venuto ugualmente a prendermi portandomi quella meravigliosa rosa bianca che ora sfoggiavo al polso.
Fu un bacio strano, inizialmente credevo che mi sarebbe sembrato di baciare mio fratello o qualcosa del genere, ma Akito andava ben oltre qualsiasi mia fantasia incestuosa.
Era come andare sulle montagne russe, un momento prima eri su... e un momento dopo ti ritrovavi con il cuore che sente il senso del vuoto.
Ma non era il vuoto del mio cuore quello che sentivo, bensì quello delle sue labbra: Akito si era staccato.
Avrei voluto protestare, ma mi sembrò piuttosto ridicolo quindi dopo aver pregato di non trovarlo con la faccia contrariata quando avrei aperto gli occhi, mi feci coraggio.
No, non sempre le preghiere vengono ascoltate.
La sua espressione era molto contrariata.
«E questo che cosa significa?».
Cosa significava? Bè... un sacco di cose.
Ho dei sentimenti repressi per te dalla quarta elementare, quando facevi il maschio alpha con quel branco dei nostri amici e, anche allora, sebbene ti odiassi... dentro di me c'era qualcosa.
Qualcosa che, negli anni, si è trasformato in qualcos'altro, e poi in qualcos'altro ancora finchè non siamo arrivati qui, a questo enorme e apocalittico errore, perchè in realtà questo qualcos'altro io non so cosa sia.
No, quella versione della storia mi sembrava un po' troppo da Apocalypse Now, la fine del mondo non era ancora abbastanza vicina da permettermi di scappare da quel momento, quindi feci un bel respiro e parlai.
«Grazie?».
Hayama aggrottò la fronte, era molto, molto contrariato.
«E tu mi baci per ringraziarmi? E di cosa poi, di averti aiutato con le scarpe? Oh cavolo, Sana! Ma mi prendi in giro?».
Stava cominciando a dare in escandescenze e la cosa non andava affatto bene perchè nella mia testa i pensieri non erano abbastanza nitidi da poter aiutare un'altra persona a sbrogliare la matassa della propria.
«Tu mi hai baciata perchè - e cito testualmente - non ti dispiacevo. Adesso convivi un po' tu con il mistero, signor ti porto sui miei piedi!».
L'espressione di Akito si trasformò da contrariata a divertita, era evidente che le mie doti oratorie non erano il massimo, ma lui mi trovava divertente. Forse un po' psicopatica e con qualche problema di sdoppiamento della personalità, ma comunque divertente.
Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro.
E poi, quel bacio, aveva trasformato un po' tutto.
Adesso serviva solamente capirci qualcosa e io, in quello, ero proprio una frana, quindi dovevo riflettere e mettere insieme i pezzi della situazione.
Era ufficiale: un esaurimento nervoso/sentimentale era in atto e io, Sana Kurata, attrice internazionale di soli diciotto anni e mezzo ero stata investita in pieno dai sentimenti che provavo per Akito.
Una seconda cosa era ufficiale: non ne sarei uscita viva.






Ecco qua il primo capitolo vero e proprio.
Ho dovuto aggiornare adesso perchè purtroppo domani non avrò possibilità di farlo.
Ringrazio tutte e tre le persone che si sono soffermate a leggere il prologo, e chi si soffermerà a leggere l'intera storia, siete il motore di tutto!
Un bacino!
Akura.

   
 
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