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Autore: pandapattz    25/07/2015    0 recensioni
"Non voglio solo proteggerti per via di tuo padre. Voglio proteggerti perchè ti amo, Robin, e sono un codardo per non avertelo detto prima e per aver rischiato che diventassi di qualcun altro!"
A quel punto annientò la distanza che c'era fra di noi, mi prese il viso tra le mani e mi baciò con passione, i nostri corpi che si adattavano come pezzi di un puzzle.
E fu in quel momento che mi persi totalmente in lui.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il posto in cui mi svegliai somigliava in tutto e per tutto a un'ospedale, solo più silenzioso.
Focalizzai un punto di fronte a me, nel tentativo di riacquistare al meglio la vista, ancora appannata. I ricordi della sera prima mi balenarono in mente, facendomi sudare freddo. Di istinto mi guardai la mano, era avvolta da una fascia bianca, sporca di sangue nel punto in cui il vetro mi aveva tagliata.
- Per fortuna il vetro non ha reciso il muscolo, ti riprenderai velocemente. - disse qualcuno.
Il ragazzo che mi aveva salvata fece il suo ingresso nella grande stanza bianca e si mise accanto al mio letto, costringendomi a mettermi seduta per guardarlo negli occhi.
- Tu chi sei? - chiesi, tentando di sembrare il meno confusa possibile.
Mi rivolse un sorriso sbilenco. - Sono quello che ti ha salvata da quel bastardo. -
- Fin qui c'ero arrivata, e ti ringrazio. Vorrei solo sapere come facevi a sapere chi ero? -
- Conoscevo tuo padre. Lui mi aveva detto che se gli fosse mai successo qualcosa avrei dovuto farti recapitare la sua lettera e proteggerti fino a quando tu non fossi stata capace di farlo da sola. - concluse, giocherellando con il passante dei suoi jeans scuri.
Le sue parole mi lasciarono a bocca aperta. La lettera. Allora tutto quello che c'era scritto era vero.
Lo guardai dritto negli occhi. - Quindi tu sei come mio padre? Cacci i Senz'anima? -
- Si. Noi ci definiamo Protettori, perché proteggiamo il mondo dalle loro minacce. -
Scossi la testa. - E' tutto così complicato! -
- Ti ci abituerai non appena comincerai il tuo addestramento. -
Addestramento. Chissà se sarebbe stato come quello dell'esercito. Ci speravo in un certo senso.
Mi ero talmente persa nei miei pensieri che a malapena mi accorsi di un uomo sulla mezz'età che stava dicendo qualcosa al ragazzo, ancora accanto al mio letto. Lui annuì sommessamente e l'uomo, dopo avermi rivolto un cenno che ricambiai, uscì dalla stanza.
- Ora devo andare, Robin. Passerò appena posso per comunicarti tutto quello che serve sapere. - disse.
Il suo tono era autoritario, sembrava quello di un leader, uno a cui tutti avrebbero obbedito. Incuteva timore in un certo senso e sembrava un tipo che amava starsene sulle sue, eppure mi incuriosiva. Non aspettò la mia risposta e si incamminò verso la porta.
- Aspetta! - lo chiamai, prima che uscisse. - Non mi hai detto il tuo nome. -
Si girò a malapena, mostrandomi il suo profilo perfetto. - Mi chiamo Dallas. -
Senza aggiungere altro mi lasciò sola con i miei pensieri.

Erano passate diverse ore da quando Dallas era venuto a trovarmi e non ero riuscita a chiudere occhio, non appena tentavo di prendere sonno il ricordo dello zio Trent che mi si buttava contro mi balenava nella mente. Avevo voglia di urlare.
Non so per quanto tempo rimasi rannicchiata sul mio letto con le gambe strette al petto, come a farmi da scudo. So solo che quando mi decisi ad alzarmi, dalla piccola finestrella che affacciava su un enorme cortile, la luce del sole arrivava fioca, quindi dedussi che fosse pomeriggio inoltrato.
Ero scalza e indossavo gli stessi vestiti del giorno prima, un paio di leggins sdruciti che usavo per stare a casa e una vecchia maglia di papà che però era stata strappata sul braccio, dove ora, al posto della manica, c'era una una spessa fasciatura bianca che partiva dalla mano. Mi passai una mano tra i capelli e cercai di districare qualche nodo alla buona e meglio.
Nella stanza c'era un piccolo specchio addossato al muro, mi avvicinai e mi specchiai con un gemito, sotto l'occhio avevo un grosso livido viola e il labbro era spaccato sulla parte inferiore. Mi girai di scatto e mi convinsi che a giorni sarebbe passato, trattenni di nuovo a stento le lacrime.
Avevo bisogno di uscire da quella stanza, mi sentivo spaesata. A piedi nudi mi avviai verso la grossa porta di legno bianco e l'aprii con uno spintone, mi ritrovai in un lungo corridoio semideserto.
Alcune donne vestite con un'uniforme verde spingevano annoiate un carrello e ogni tanto sparivano nelle stanze, alcune di loro mi guardarono confuse, ma nessuna mi rivolse la parola.
- Signorina, è in piedi finalmente! - canzonò una donna vestita di tutto punto, con una targhetta all'altezza della tasca del camice bianco. Miss Shepard.
- Sa dirmi esattamente dove mi trovo? - le chiesi, guardandomi intorno.
Lei mi sorrise dolcemente. - Dallas sarà stato molto vago con lei, tuttavia non è di mia competenza spiegarle dove si trova e qual è il suo compito, sono solo la dottoressa di turno. Andrò a vedere se riesco a rintracciarlo e farlo venire da lei. -
- Lui mi aveva detto che sarebbe venuto appena si fosse liberato, magari non può. - Avevo solo bisogno di fare una bella doccia.
- Certo. Allora andrò a chiamare la signora Verdant, la madre di Dallas, lei comanda tutto qui, vedo se è libera. -
Stava già per avviarsi sui suoi tacchi vertiginosi, ma la richiamai supplicante. - Vorrei solo fare una doccia, il resto può aspettare per ora! -
Lei mi guardò con più attenzione e il suo sguardo si addolcì, parve capire. - Ma certo tesoro, che stupida. Ti accompagno negli spogliatoi, e ti porto dei vestiti puliti, così potrai darti una sistemata. - disse, mettendomi una mano sulla spalla e scortandomi lungo il corridoio.
Davanti agli spogliatoi c'era una targhetta con scritto 'riservato al personale' , ma miss Shepard mi fece ugualmente segno di entrare.
- Non posso farla salire agli spogliatoi dei Protettori fino a quando Dallas non avrà chiarito questa faccenda, ma posso fare uno strappo alla regola su quelli del personale infermieristico! - disse, strizzando l'occhio.
La ringraziai con un sorriso e lei mi indicò le docce. - Ti porto subito i vestiti, fa con calma. - detto questo uscì frettolosamente dalla porta.
Mi guardai intorno e cominciai a sfilarmi i vestiti di dosso, mi sentivo sporca, violata. Con una smorfia mi sfilai anche la maglietta e tentai alla buona e meglio di coprire la fasciatura della mano con una bustina di plastica, per non bagnarla.
L'acqua della doccia era tiepida e quando mi ci infilai dentro provai subito un grande sollievo. Mi poggiai al muro e cominciai finalmente a piangere, un pianto liberatorio, per tutto quello che mi era successo nell'arco di due mesi, non potevo sopportarlo. Non avevo più nessuno. Non sapevo più chi era. E cosa più brutta, non sapevo più chi erano davvero i miei genitori.
Quando Miss Shepard tornò con i vestiti puliti, ero appena uscita dalla doccia e mi stringevo all'accappatoio bianco usa e getta.
- Questi sono gli unici della tua taglia che ho trovato, per oggi dovrai arrangiarti così, sei alta, ma sei molto magra e qui le ragazze sono tutte più muscolose di te, senza offesa. - disse, passandomi una pila di vestiti neri.
- La ringrazio, è molto gentile! - Aveva ragione sul fatto che ero molto magra, non ero mai stata grassa, ma prima della morte di papà avevo qualche chilo in più.
Lei alzò le spalle. - La signora Verdant ti aspetta qui fuori, appena sei pronta và da lei. -
Annuii e subito dopo Miss Shepard uscì di nuovo. Tra la pila di vestiti c'erano un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia e una canottiera dello stesso colore, non molto diversi da quelli che indossavo di solito. Indossai i miei soliti anfibi e dopo essermi asciugata i capelli raggiunsi la signora Verdant.
Era seduta su un divanetto della sala d'aspetto, ed era una donna incredibilmente giovane, anche se aveva uno sguardo molto triste. Indossava una tenuta sportiva, ma restava comunque bellissima nei suoi capelli biondo platino e gli occhi azzurri.
Appena mi vide distolse lo sguardo da una rivista che stava sfogliando e mi venne incontro. - Robin! Sono contenta che tu stia bene. Quando Dallas ti ha portata qui eravamo seriamente molto preoccupati per la tua incolumità! - disse, accarezzandomi un braccio.
Eravamo? Quindi voleva dire che anche Dallas era preoccupato per me. Nonostante i suoi modi scontrosi?
- Vi sono molto grata, mi avete salvato la vita. Ma, so di poter sembrare impaziente, vorrei sapere tutta la verità. La lettera di mio padre era molto vaga. -
Lei abbassò lo sguardo addolorata, sentendomi parlare di mio padre. - Vaugh, tuo padre, è venuto a mancare troppo presto, lui voleva aspettare che tu compissi diciotto anni per cominciare ad allenarti, non che non ti ritenesse all'altezza, ma solo perché aveva troppa paura di perderti, anche se alla fine ti ha persa lo stesso. -
Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime che trattenni a stento. - Suppongo che questo sia tutto quello di vero che mi sia rimasto di mio padre, oltre ai ricordi. -
- Noi siamo felicissimi di accoglierti tra noi, tu sei la figlia di un grande Protettore. Tuttavia l'unica persona che può davvero spiegarti tutto è mio figlio Dallas, Vaugh aveva incaricato lui di farlo. - dichiarò, dispiaciuta.
Odiavo tutti quei misteri, volevo sapere la verità al più presto.
- D'accordo. - dissi, guardando la signora Verdant nei suoi profondi occhi azzurri, così limpidi eppure così tristi.
- Allora ti porto subito da lui! - annunciò, sorridendomi con trasporto.
Cominciai a seguirla sù per una scalinata d'acciaio che conduceva a un'ascensore bianca come tutto il resto lì intorno.
- Dallas è il capo di tutto questo? - le chiesi, mentre aspettavamo.
Lei sorrise orgogliosa. - Non proprio. Ma è davvero in gamba. Lo vedrai! -
  
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