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Autore: _browneyes    26/07/2015    4 recensioni
Quando Nevaeh Lynch torna a Sydney, ormai, tutto è diverso. I suoi amici lo sono, tra chi è cresciuto troppo in fretta, chi non ha la minima intenzione di farlo e chi è arrivato al punto di rottura.
Stanno per dividersi, tutti, inequivocabilmente, ma forse non è troppo tardi per recuperare rapporti spezzati o crearne di nuovi, forse non è troppo tardi per dire finalmente cose che sono state nascoste per troppo tempo e emozioni appena scoperte, per creare nuovi ricordi e nuove prospettive. Forse non è troppo tardi per mettersi stipati in due macchine semi distrutte e partire senza una meta, tra le playlist di Ashton e gli strilli contrariati di Daphne.
Forse non è troppo tardi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo Tre.
 
Complicazioni.
 
 
 
Ashton sta ridendo.
Ride troppo, secondo Astra, e la cosa peggiore è che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce proprio ad evitare di essere contagiata da questa. Almeno un sorrisino riesce sempre a strapparglielo, maledetto.
Lei però fa finta di niente, un menefreghismo camuffato degno di Oscar. Lei si volta e finge di ridere per una delle battute tristi di Frieda, anche se queste, in realtà, di solito non riescono nemmeno a strappare un sorriso. Pazienza.
Tanto non è che qualcuno che ci faccia caso, no?
Infondo ridono tutti, urlano e fanno casino. Tutti, tranne Michael, che se ne sta sempre sulle sue, gli auricolari nelle orecchie, nascosto nel suo mondo di parole urlate e accordi di chitarra. Nascosto nel suo mondo, che chiude fuori la realtà, ‘chè questa gli fa veramente schifo.
Vicino a lui c’è Nevaeh. Gli parla e lui non la sente, o forse finge solamente di non farlo. Forse, sta solamente cercando di tenerla fuori dalla corazza che s’è costruito.
«Questa è la mia canzone preferita» le dice lui dopo un po’, interrompendo il soliloquio di lei su quanto ami i Green Day, o qualcosa del genere. Nevaeh si stampa un sorrisino vittorioso in viso, per niente scocciata dal fatto di essere stata interrotta e sposta lo sguardo cristallino sul viso di lui. «Che canzone è?» chiede.
«Non potresti capire» borbotta brusco Michael, chiudendosi di nuovo nelle sue mura, con la netta sensazione di essersi già esposto tanto. E poi mica vuole che Nevaeh si accorga dell’effetto che gli fa, quel pezzo. Sarebbe troppo.
«Posso provarci», insiste lei.
«No, davvero. Lascia perdere».
«Non sono mica stupida, posso capire», insiste lei.
«Non puoi».
«Tu però puoi spiegarmi, se non lo capisco».
Michael scuote la testa, «Nessuno sa qual è la mia canzone preferita». Intanto ferma il pezzo, ‘chè si sta perdendo tutto, con quella discussione.
«La mia canzone preferita è No Surrender di Bruce Springsteen, anche se dico a tutti che è Sunday Morning dei Maroon5» confessa lei, senza staccare lo sguardo da lui, che invece tiene gli occhi fissi a terra, sulle All Star che ormai sarebbero da buttare.
«Perchè?».
Nevaeh alza le spalle, «Non capirebbe nessuno, meglio buttare lì una canzone più conosciuta e fare finta di essere come la “massa”», mima le virgolette con le dita, grattando l’aria e Michael non riesce a trattenere un piccolo sorriso.
«A me però hai detto la canzone vera» constata lui.
«Ma tu non sei come gli altri, tu ragioni ancora con la tua testa».
Michael annuisce. Alza lo sguardo e fissa davanti a sé qualche secondo, poi si alza e fa un cenno a Nevaeh con la mano.
«Vieni».
Se ne vanno entrambi, lasciando tutti un po’ confusi, ma poco importa in fondo.
Lui si lascia cadere sulla sabbia, lontano dal loro gruppetto quanto basta per non sentire le urla divertite di Selima. Nevaeh si siede accanto a lui e lo guarda, interrogativa.
«La mia canzone preferita di sempre è Asleep degli Smiths» confessa, lo sguardo basso.
«E’ una canzone tristissima, Michael».
Lui annuisce, «Lo so. Ma infondo tutte le canzoni più belle sono tristi, parlano tutte di dolore».
Nevaeh rimane in silenzio e lui fa per rinfilarsi gli auricolari, per chiuderle di nuovo le porte del suo mondo in faccia.
«Mi daresti una cuffietta?».
E da una parte sente l’eco dei suoi amici che ridono, dall’altra sente gli Smiths. Nevaeh chiude gli occhi, li tiene stretti e cerca di immedesimarsi in Michael. E no, non ci riesce, ‘chè questo ragazzo nemmeno le pare di conoscerlo, tanto è cambiato, ma non importa.
Ascolta le parole, non pensa ad altro, svuota la testa da tutto.
Ascolta e basta.
Sente la mano di Michael cercare timida la sua e stringerla forte come fosse un’ancora.
Allora si volta a guardarlo e nota che gli occhi di lui sono lucidi; però non chiede nulla, ‘chè lui comunque non le direbbe nulla. Si limita a ricambiare la stretta.
«Mi dispiace», mormora Michael, con la voce più rotta di quanto vorrebbe.
«E’ tutto okay».
«Devo andare», sbotta, improvvisamente brusco. Poi si alza di botto, lasciando anche il cellulare sulla sabbia e se ne va, più veloce che può. Nevaeh rimane a guardarlo, nelle sue orecchie c’è ancora la canzone che ormai inizia a scemare, e, no, non capisce.
 
«Ti amo».
«Anche io, buonanotte James».
Daphne chiude la chiamata e fa scivolare il telefono nella tasca dei pantaloncini di jeans, un piccolissimo sorriso le spunta sul viso.
«Buonasera».
Sobbalza, colta di sorpresa da quella voce e si volta, riconoscendone poi il proprietario, a cui non nega un sorriso smagliante.
«Luke! Mi hai fatto prendere un colpo!» gli dice, portandosi in modo teatrale la mano sul cuore. Il biondo scoppia a ridere, divertito dalla scena, e scuote piano la testa, «Scusami».
Daphne arriccia leggermente il naso, le lievi lentiggini rese un po’ più evidenti dal sole preso durante il giorno e alza le spalle; «Non preoccuparti, è solo che non mi aspettavo di vederti qui. Pensavo che fossi insieme agli altri o che fossi andato a dormire, infondo è tardi».
«La notte è ancora giovane», la rimbecca Luke, con un ghigno impertinente sul viso.
Daphne si lascia sfuggire un piccolo sbadiglio, «Per te, forse. Io credo che andrò a dormire tra poco».
«Stavo pensando di fare una passeggiata, perché non mi fai compagnia?». Lei scuote la testa, «Magari un’altra volta».
Certo, Luke non è mai stato una di quelle persone che accettano facilmente i no; anzi, lui non li accetta affatto, soprattutto se il no è stato detto da una come Daphne Campbell. «Dieci minuti e torniamo, arriviamo solo fino a lì», le indica un punto della baia con la mano.
Daphne sospira e: «Non puoi andarci da solo?».
«Suona molto deprimente come cosa».
«Allora non puoi farti accompagnare da qualcuno? Tipo Selima, scommetto che sarebbe entusiasta di venire con te».
«Mi è simpatica Selima, è solo che parla troppo, per i miei gusti», si giustifica Luke, con un’alzata di spalle.
Daphne lo guarda, scettica, «Oppure il problema è la cotta che ha per te?»
«E’ una cosa imbarazzante» mormora lui, gli occhi azzurri rivolti verso il cielo.
«Non c’è nessun’altro che potrebbe venire con te?» gli chiede lei, alzando il viso per poterlo guardare in faccia, tanta è la differenza d’altezza fra i due.
Luke alza di nuovo le spalle, «Non credo. Comunque, se l’ho chiesto a te e non a un’altra persona, un motivo ci sarà».
E, anche se Daphne Campbell non è mai stata una di quelle ragazze che si emozionano per queste cose, sente il sangue affluirle alle guance e renderle purpuree; quantomeno è buio e Luke non può farci caso. Comunque, decide di non farci caso anche lei, di ignorare quello che è appena successo. «Bene, ma solo fino a lì, poi torniamo indietro. Sono stata chiara?»
Luke neanche si sforza di nascondere il ghigno vittorioso che gli si è dipinto in viso, «Cristallina» risponde sarcastico.
 
«Me ne dai una, per favore?».
Astra annuisce e tira pigramente fuori dal pacchetto ammaccato una Marlboro e l’accendino blu con il logo dei Rolling Stones stampato sopra.
«Grazie» le dice Ashton mentre le prende dalle mani sia la sigaretta che l’accendino. Si siede a terra di fronte a lei, tra loro solamente il fuoco del falò che ormai sta iniziando a spegnersi. Sono gli unici due rimasti, gli unici che non hanno ceduto alla tentazione del sonno o che non hanno preferito dileguarsi per stare un po’ da soli.
Astra lo guarda, un solo sopracciglio alzato e gli occhi lampeggianti, «Perché ti sei seduto ?» gli chiede, glaciale.
Ashton alza le spalle e si ficca la sigaretta tra le labbra, schermandola poi con la mano mentre la accende. «Grazie» ripete e le lancia l’accendino, che lei prende al volo, sporgendosi di scatto. Ignora totalmente la sua domanda.
«Allora? Perché ti sei messo lì?» chiede Astra, testarda. Lei, comunque, non è mai stata quel tipo che lascia perdere o lascia correre qualcosa, sempre cocciuta fino al midollo.
«Preferiresti se mi sedessi accanto a te?» chiede lui, sarcastico e con la risata già pronta sulla punta della lingua, però si trattiene. O, almeno, ci prova.
Astra alza gli occhi al cielo e sospira, senza nemmeno cercare di mascherare il crescente fastidio. È che Ashton, proprio lui, non lo regge.
«Preferirei che tu andassi a sederti in un altro continente» sbotta, acida.
Ashton butta fuori il fumo e scoppia a ridere e Astra lo odia proprio, per questo.
Perché non può offendersi come una persona normale?
Perché non può allontanarsi da lei e lasciarla in pace?
Perché non si arrabbia?
Non fa nulla di tutto questo, no, lui ride, rumoroso con la testa buttata indietro. Butta la sigaretta ormai finita a terra e ride, lui.
«Ma dai, non dire così. Non mi odi così tanto, no?»
Astra si alza; se non se va Ashton, allora lo farà lei. Lo fulmina con gli occhi, che sono a metà fra l’azzurro e il grigio. E, a lui, ricordano il mare in tempesta. «Invece si, Ashton, ti odio così tanto. Anzi ti odio anche di più. Non hai idea di quanto io ti odi, davvero».
Fa per andarsene, ma lui la raggiunge e la trattiene, stringendole il braccio, delicato e deciso allo stesso tempo. La guarda con i suoi occhi cangianti, «Perché?».
Lei finge una risata amara, «Hai anche il coraggio di chiedermi perché? Dovresti saperlo il perché, Ashton!» sbotta.
«Se ti riferisci a quello che è successo, ormai è passato tanto tempo», alza le spalle lui.
«Non significa nulla! Quello che è successo è successo comunque, non è qualche mese a cancellare il passato. E tu magari ci riesci a non sentirti uno schifo, tutte le mattine quando ti guardi allo specchio, io però no. Ed è solo colpa tua».
Ashton sospira, «Certo che mi sento uno schifo! Però non ho rimorsi, non rimpiango nulla e se potessi lo rifarei altre mille volte, quel dannato errore».
«Hai fatto un casino, Ashton, e mi ci hai tirato dentro. E adesso continui a comparire nella mia vita, non mi lasci mai stare, come se volessi costantemente ricordarmi quello che è successo. Forse non hai capito che io, con te, non voglio più averci niente a che fare».
Lui allenta leggermente la presa su di lei, colpito da tutte le sue parole, ferito anche.
Ha fatto un casino, un irrimediabile disastro. Un errore che, nel momento in cui l’ha fatto, in realtà, sembrava proprio la cosa più giusta da fare; però non lo era.
L’ha detto anche ad Astra, che però, nonostante tutto, lui non si pente proprio. Lei, evidentemente, i rimorsi ce l’ha e se la stanno mangiando viva.
«Mi dispiace, Astra. Davvero.» mormora.
Astra scuote la testa, agitando i capelli recentemente tinti di viola chiaro, che ad Ashton piacciono da morire. Si nasconde il viso con la mano destra, ‘chè mica vuole che lui si accorga che sta per piangere.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse» borbotta scontrosa, senza riuscire a camuffare la voce rotta.
Come ha potuto?
Ashton cerca gli occhi di lei con i suoi, li prende, li cattura e non li lascia più andare, «Perdonami, per favore».
Lei scuote la testa, «Non posso. È troppo».
Con uno strattone libera il braccio dalla presa, ormai debole, del ragazzo e si volta, lasciandolo lì a fissarla, senza sapere cosa fare o dire.
«Astra!» la chiama.
Lei si ferma e si volta, «Che cosa vuoi ancora?» urla, troppo arrabbiata per riuscire a controllarsi.
Ashton la raggiunge in due falcate, fino a non dare né lo spazio, né la voglia di andarsene. «In realtà, non mi dispiace affatto» mormora.
E poi, prima che Astra possa anche solo spostarsi o cercare di combatterlo o, addirittura, capire cosa sta succedendo, le prende il viso fra le mani e poggia le labbra sulle sue.
Astra chiude gli occhi, le labbra di Ashton sulle sue, in realtà, non se le ricordava così. E per un attimo non ha nemmeno il coraggio di volerlo allontanare. Però deve farlo; ‘chè non è giusto. Né per Tameka, né per Ashton e né tantomeno per lei.
Prende tutta la sua forza di volontà e lo spinge via, «Ti odio».
Poi se ne va, di corsa.
Lo odia proprio, solo, non è in grado di resistergli.
Solo che non lo odia tanto quanto vorrebbe.
Maledetto Ashton Irwin.
Maledetto, che l’ha incasinata ancora.
 
Frieda butta la testa indietro, lasciando che i capelli, resi scuri dall’acqua, le gocciolino sulla schiena. Si gira e sorride, un sorriso enorme, di chi è proprio felice.
Calum le fa un cenno di saluto dalla spiaggia e il sorriso di lei, irrimediabilmente si allarga. Non può mica farci qualcosa, se lui le fa tanto effetto.
«Vieni?», gli chiede, facendogli con la mano cenno di raggiungerla e usa la sua voce lamentosa, quella di qualcuno che cerca di essere convincente. Calum scuote la testa, «E’ mezzanotte e mezza, fa freddo».
Frieda scuote la testa, facendo scattare in tutte le direzioni i capelli lunghi, «L’acqua è caldissima» ritenta, avvicinandosi alla riva fino a che l’acqua non le arriva solo alle ginocchia.
E, Calum non può fare a meno di notarlo, ma ha proprio un gran fisico, Frieda. «Resto qui» le risponde e le regala uno di quei mezzi sorrisi alla Calum Hood, uno di quelli che l’hanno sempre fatta impazzire.
Frieda esce dal mare, rabbrividendo leggermente per via dell’aria, nettamente più fresca dell’acqua marina; si avvicina a Calum e si lascia cadere con ben poca grazia sull’asciugamano, incurante di essere coperta di sabbia chiara su tutte le gambe.
«Quanto sei noioso» borbotta e arriccia le labbra carnose in un finto broncio, le braccia incrociate sotto al seno.
Calum alza le spalle, «Potevi restare in acqua».
Frieda gli ruba la bottiglia di Tuborg dalle mani e se la porta alle labbra. Ha sempre amato alla follia la birra dopo il mare, il sapore leggermente amaro che si mischia con l’acqua salata che è rimasta sulle labbra.
«Ne vuoi una? Vado a prendertela, se la vuoi», propone Calum, guardandola di sottecchi. È proprio bellissima.
Lei scuote piano la testa, «No, grazie. Una intera non la voglio. In realtà, ne volevo solo un sorso». Si porta di nuovo la bottiglia alle labbra e ne beve un altro lungo sorso.
Calum la guarda scettico, «Solo un sorso, eh?». Frieda sorride e alza le spalle. Gli occhi celesti le brillano, sotto la luce delle stelle.
Brillano anche quelli di Calum.
«Hai sonno?» gli chiede lei, dopo uno di quei momenti di delizioso silenzio. Non quel silenzio imbarazzante, pesante, ma uno di quei silenzi che, forse, urlano più degli strilli; uno di quelli che non puoi non sentire.
Il moro scuote la testa, «No, ancora no. E tu?»; la guarda e lei tiene gli occhi fissi sull’oceano, sulle onde che arrivano e si infrangono piano contro la battigia. «No. E poi stanotte voglio rimanere qui e aspettare di vedere l’alba» spiega, senza staccare lo sguardo dei movimenti delle onde.
«Allora resto qui con te ad aspettare» le dice lui improvvisamente, prendendola proprio alla sprovvista. Tanto che, finalmente, Frieda stacca gli occhi blu dall’acqua e lo guarda, a metà tra lo stupore e la felicità. «Se te ne vuoi andare, non preoccuparti».
«Figurati se ti lascio qui, da sola - sottolinea – per tutta la notte. Ma non se ne parla proprio, aspetto qui con te».
Frieda sorride e gli poggia la testa sulla spalla. E a Calum non importa che con i capelli gli stia bagnando tutta la maglietta dei Guns’n’Roses, una delle sue preferite. Non gli importa affatto. Anzi, la prende per la vita e se la tira più vicina.
Sta bene.
 
 
 
Writer’s wall.
Ehilà.
Intanto mi scuso tantissimo per il ritardo con cui sto postando questo capitolo (mi vergogno da morire per questo), ma sono state due settimane in America e, una volta tornata, tra i lavori a casa, le uscite e il mare ho trovato davvero pochissimo tempo per mettermi a scrivere (in compenso però ho trovato tantissima ispirazione e tantissime idee per questa storia).
Allora, diciamo che con questo capitolo si entra un po’ nel vivo della storia e iniziano le complicazioni.
C’è Nevaeh che prova ad avvicinarsi a Michael, che inizialmente sembra cedere e poi, invece, si allontana non appena si espone troppo…perché si comporta così?
(Se per caso non le conosceste, vi consiglio vivamente di ascoltare le due canzoni che ho citato nel capitolo, ossia Asleep degli Smiths e No Surrender di Bruce Springsteen, sono entrambe dei veri capolavori).
Poi abbiamo una piccola scena tra Daphne e Luke, che non sembra intenzionato a lasciarla stare, nonostante lei stia per sposarsi.
Ed eccoci al momento clou, Astra e Ashton. Penso che quello che sia successo fra loro sia abbastanza e iniziamo a capire le ragioni dell’odio di lei nei suoi confronti. Certo, dopo questo bacio, le cose fra loro saranno ancora più difficili; senza pensare poi a Tameka.
E, ultimi ma non ultimi davvero, Calum e Frieda, che io amo proprio; è un piccolo momento che ho adorato scrivere, che prende spunto un po’ da una cosa che mi è successo veramente e un po’ da una mia fantasia. Ho davvero adorato scriverlo.
Alle storie estive che finiscono male.
A quelle che non finiscono.
A N. che mi ha incasinata proprio.
A C. che mi sta sempre vicina.
Un bacio,
-Mars
 

 
  
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