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Autore: Mrs Carstairs    26/07/2015    1 recensioni
-tratto dalla storia-
A svegliare Tris fu la luce del sole che entrava dalle finestre. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le veneziane. Si accorse poco dopo di non essere a letto ma… in poltrona. Aveva dormito tutta la notte in quella scomoda posizione, appollaiata su quella poltrona infossata, perché? D’istinto, lo sguardo corse al letto, trovandosi a rimirare le coperte sfatte, il lenzuolo attorcigliato e uno dei due cuscini a piedi del letto. Andrea sussurrò. E decise finalmente di alzarsi per sgranchirsi quelle povere gambe piegate da chissà quante ore. Come si avvicinò al materasso dalla parte dello scendiletto, vide qualcosa, incastrato tra le pieghe del piumone. Allungò una mano e lo prese tra due dita. Un biglietto. “Grazie.” A.
in un certo senso la storia è presa dalla realtà. quello che ho sentito ho descritto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le vacanze di Pasqua erano ormai arrivate e Tris aveva fatto i bagagli già da una settimana quando ripose le ultime cose nella valigia, infilandosi le scarpe e ritrovandosi in corridoio, a chiudere la porta della camera con la chiave argentata. Poi si voltò, uscendo dal dormitorio, con il biglietto del pullman in mano. arrivata alla pensilina, si appoggiò al palo che sosteneva gli orari delle corse e chiuse gli occhi. In poche ore sarebbe stata di nuovo a casa. In poche ore avrebbe gustato il pasticcio di carne che sua nonna le preparava sempre quando tornava dal campus dopo tanto tempo. In poche ore sarebbe stata lontana da lì, con le braccia appoggiate al recinto dei cavalli e il vento fresco di primavera inoltrata nei capelli.
Non vedeva l’ora di arrivarci, di levarsi le scarpe da ginnastica per mettersi gli stivali di quel cuoio di cui le piaceva tanto l’odore… non poteva non desiderare di rivedere la nonna puntarsi i capelli seduta davanti allo specchio o… di sentire il profumo del tabacco di suo nonno, per poi guardarlo dondolarsi sulla sedia sotto il portico.. e sapeva benissimo che Shakespeare-il setter del nonno- sarebbe partito in una corsa folle non appena l’avesse vista, piombandole addosso con un balzo...
E nella sua testa era tutto bellissimo, piacevole, come al solito. Ma la verità era che le faceva male andarsene così, senza dire niente ad Andrea, senza… la consapevolezza del fatto che fosse tutto a posto.
Poi l’autobus arrivò e raccolse i suoi passeggeri con i rispettivi bagagli. Parecchi studenti lasciavano il campus per le vacanze di Pasqua e alcuni viaggiavano in piccoli gruppetti. Erano chiacchiere divertenti quelle che circolavano tra i sedili del veicolo, ma a Tris provocavano un senso di vertigine, come se le mancasse la terra sotto i piedi per qualche istante, finché non decise di seguire il dondolio soporifero dell’autobus a due piani sulla strada, cercando di dormire per quell’oretta e mezzo che la separava dalla stazione dei treni.
*** 
Andrea era alla stazione di King’s Cross da più di mezz’ora ormai. Continuava a guardare l’orologio, in attesa del suo treno. Erano stati giorni abbastanza vuoti i precedenti alla partenza. Tris gli stava lontana il più possibile e i pochi sguardi che ricambiava erano pieni di tristezza e, forse, anche di rabbia. Erano sempre occhiate languide, quasi faticose da sostenere. La cosa peggiore era sapere che la causa della sua debolezza era lui stesso. Continuava a ripetersi che non sarebbe dovuto rimanere con lei, quella sera. Che avrebbe dovuto soltanto aprirle la porta e lasciarla andare a dormire. In effetti era tutto perfettamente logico nella sua testa. Avrei dovuto soltanto accompagnarla. Se non fossi entrato nella sua stanza niente di tutto questo sarebbe successo. Se avessimo chiarito come tutte le persone normali, con… che so.. una discussione, un.. confronto… non sarei qui a dirmi che sono un idiota. Se non le avessi detto tutte quelle cose… adesso non mi sentirei uno schifo. Ma la cosa che lo faceva stare ancora peggio era che in quel momento, un quel fottuto momento in cui l’aveva coperta col suo corpo, nel momento in cui lei lo aveva stretto al suo corpo… lui si era sentito vivo. Aveva sentito il calore dell’abbraccio di lei sul suo corpo freddo della pioggia e della brezza serale. Aveva sentito che quello era il suo posto. E in quei momenti non aveva trovato parole migliori per spiegarsi. Ma non è giusto. Non per lei. non per… noi. Se lo ripeteva spesso, come fosse un mantra. Ce ne voleva per convincere Andrea a pensarlo sul serio. Infatti ogni volta che passava davanti a Joe’s o.. che facendo i bagagli trovava qualcosa che lo rimandava a Tris si poneva sempre la stessa domanda.
“perché ho lasciato che accadesse?”
Ed era più di una domanda. Era una domanda collettiva, che ne racchiudeva al suo interno almeno un miliardo di altre. Per esempio.. perché si era lasciato trascinare nella 121 quella sera? Perché non aveva lasciato che Tris tornasse al dormitorio da sola? Perché si era lasciato trasportare? Perché l’aveva baciata? perché se l’era stretta al petto, come se non aspettasse di fare altro in vita sua? E soprattutto… perché l’aveva lasciata allontanarsi così? Perché aveva lasciato che credesse che lui fosse innamorato ancora di Mary? Perché le lasciava pensare che di lei gli importava così poco? Perché le lasciava credere di essere un bastardo patentato? E la risposta arrivava… debole. Ma al suo orecchio arrivava…
Stava per rispondersi di nuovo, quando vide qualcosa di familiare andargli in contro. Alzò lo sguardo dalle piastrelle del binario e spalancò gli occhi in quelli di qualcun altro. Ciò che aveva visto di sfuggita era un trolley rigido, con le stampe di tutti i supereroi Marvel a ricoprirne l’esterno. E di sicuro erano state anche quel paio di All Star con tutte le scritte del mondo piazzate qui e là sulla tela. Scritte che sapeva benissimo fossero versi di Shakespeare. Non ricordava quanto tempo ci avesse messo a ricoprire la tela nera delle scarpe in quel modo… ogni centimetro coperto da una lettera.
Ed eccola lì, con lo sguardo dritto nel proprio, con il trolley alla mano e un libro nell’altra. Con la salopette di jeans che indossava quando viaggiava, con la pettorina e le bretelle slacciate, che ricadevano sui pantaloni e una camicetta tutta fronzoli a coprirle il torace. Guardandola in viso, notò lo sguardo assente, perso nei propri occhi e poco dopo il suo deglutire forte, in respiro stizzito. Il libro che aveva in man si piegò leggermente nella sua stretta, sottolineando lo sforzo della ragazza nel voltargli le spalle, girandosi verso i binari del treno.
Dopo qualche minuto, la vettura arrivò, frenando e cigolando sulle rotaie ferrose della stazione. Le carrozze passarono di fronte agli occhi di Andrea veloci, rallentando mano a mano, finché il treno non si fermò completamente. Le porte si spalancarono e pian piano tutti i passeggeri scesero dai vagoni, svuotando completamente il treno. Per un momento lanciò uno sguardo nella direzione di Tris, giusto in tempo per vederla farsi strada tra i passeggeri per raggiungere la porta centrale e salire uno o due vagoni più in là del suo. Era sicuro fosse lei. Capelli così ricci e pettinati a quella maniera… poteva averli solo lei. sorrise debolmente, pensando a quanto tutto sarebbe stato diverso al loro ritorno. Anche se non era che un mese di lontananza. Vero. Anche lui stava tornando dalla sua famiglia in Galles, ma la famiglia di Tris non viveva in città e così nemmeno incontrarla per caso sarebbe stato possibile. Bene. A Cardiff mancava la mia aria depressa.
 
Tris era salita sul treno appena le porte si erano aperte, ignorando la folla di persone che cercava di respingerla, scendendo dal vagone. Prese qualche spallata e nel corridoio del treno perse l’equilibrio più volte, cercando di tirarsi dietri il trolley alla ben e meglio. Poi la carrozza si svuotò del tutto e finalmente sedette, aprendo di scatto il libro che stringeva in mano. cercò di leggere, ma le parole sembravano sovrapporsi, sfuggire alla sua visuale in un secondo. Non riusciva a mettere a fuoco e non capì perché, finchè il treno non prese a muoversi e una lacrima cadde sulla pagina che stava cercando di leggere. Con un movimento che fece sussultare la persona che stava per sedersi di fronte a lei, chiuse lo scritto, buttando lo sguardo fuori dal finestrino.
Il pensiero di Andrea non l’aveva mollata per tutti i giorni passati, da quando avevano discusso. Ma vederlo lì, alla stazione, quasi l’aspettasse al binario del treno… era stato davvero devastante. Probabilmente stava tornando a casa per le vacanze di fine semestre, ma di certo non avrebbe pensato di ritrovarselo sullo stesso treno. Se fossimo ancora amici lo avrei saputo… e non avrei preso questo treno… ma poi riflettè meglio e pensò che avrebbe preso quel treno eccome. Gli sarebbe stata vicino fino alla fine del viaggio, come si era prefissata di fare nella sua stessa vita. Era stato un patto mai pronunciato, ma che entrambi sapevano esistere da quando si erano conosciuti. E lei lo stava infrangendo. Entrambi lo avevano infranto. Le aveva fatto male guardarlo negli occhi. Anche quella volta, anche se per pochi secondi. Quello sguardo era difficile da sostenere e forse lui pensava la stessa cosa del proprio. La tristezza di entrambi era visibile, ma nell’espressione di Andrea c’era anche la solita sfacciataggine, quella che gli serviva da nascondiglio, da cancellino per tutte le altre emozioni sbagliate.
Odiava quando lo faceva. Teneva per sé tutto ciò che provava. 
   
 
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