Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    27/07/2015    2 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
ANDALO
 
 
                «Hey, Andalo! Capisco che spalare la merda non si confaccia alle tue consuete “nobili abitudini”, ma sei alla Valle del Leone da un po’ ormai: avrai capito come funziona! Certe volte… c’è da spalare la merda»
                «Signore… non capisco quale sia il problema»
                «Te lo spiego subito! Vedi quei sacchi lì?»; l’Andalo si volse a guardare i sacchi ancora da riempire: ma Sir Cleghorn non stava indicando in quella direzione. Dunque, il giovane rivolse il proprio sguardo a quelli che aveva già riempito; ma ancora non riuscì a riscontrare alcuna anomalia. Probabilmente percependolo, il comandante decise di specificare: «La merda va messa dentro i sacchi! Non accanto. Tienilo bene a mente, perché se non riterrò il vostro un buon lavoro, potrebbe venirmi la voglia di togliervi di mano quelle pale e costringervi a farlo con la lingua. È tutto chiaro?»
                «Sì» rispose l’Andalo, sguardo basso, tono decisamente poco convincente. Ancora una volta, la cosa venne notata da Cleghorn, il quale per questo genere di cose aveva il fiuto di un metalupo. Il vecchio si ripeté: «Ho detto: È TUTTO CHIARO?!». A quel punto, l’Andalo e anche Dylan, che stava spalando insieme a lui, risposero in coro: «Sissignore»
                «Bene» si compiacque il comandante, poi fece dietrofront e sparì, lasciando svolazzare il lungo e pesante mantello di pelle di montone. Senza alzare troppo la voce, l’Andalo decise di sfogarsi con il compagno: «Cioè, praticamente è venuto a provocare…»
                «È venuto… a spronarci» fece Dylan, che era un ragazzo molto buono e assolutamente mai malizioso. «Ma dài! Che razza d’incoraggiamento è, Dylan! È evidente che se ne è caduta un po’ dal sacco, l’avremmo ripresa e rimessa dentro! Ma insomma! No, senti: era da tanto che non mi dava una bella strigliata e… Lui semplicemente non resiste! Sta male se non viene a provocarmi una volta tanto. Ce l’ha con me!»
                «Non ce l’ha con te»
                «Senti, quante volte ti è capitato di essere rimproverato da lui mentre eri con Dunstan? Eh? E quante mentre eri con Jacobs o Carlyle?»
                «Beh, poche ma…»
                «Ah sì? E quante mentre eri con me?»
                «Senti, Andalo… Sir Cleghorn è il nostro preparatore. Sarà un po’ ruvido a volte, ma è il suo mestiere. Se fosse buono e gentile, non ci formeremmo mai come si deve!»
                «Ah, risparmiami la manfrina del duro ma saggio tutore, Dylan: quello ce l’ha con me e basta! Non so: penserà che qualcuno dei nostri su alla Capitale gli avrà fatto un qualche torto una trentina d’anni fa! Oppure sarà semplicemente invidioso del fatto che nessuno guardandolo penserebbe mai in alcun modo a qualcosa di anche solo vagamente “nobile”, se un giorno per pura fortuna non avesse messo le chiappe sulla schiena di una chimera! Diamine, non parla neanche bene: ci hai mai fatto caso? Da dove viene veramente? Pampasterra? Corno Orientale? Non vengono tutti dal Corno quelli che hanno “horn” nel cognome?»
                «Hey, sh! Basta!» s’allarmò Dylan «Se dovesse sentirti…»
                «Che fa?» gli rispose dunque l’Andalo, sprezzante «Se dovesse sentirmi?». Dylan restò in silenzio: naturalmente non aveva una risposta. Ma il silenzio del giovane fu riempito da qualcun altro… Qualcun altro, dopo Winston Cleghorn, stava attraversando la Gola delle Belve, il lungo corridoio che secava l’intera struttura che conteneva le gabbie delle chimere e che conduceva allo smaltitoio, al centro del quale ora Dylan e l’Andalo si trovavano. Lo smaltitoio era invece il luogo dove finivano tutti “gli scarti” degli animali che, con la cadenza minima di una volta a settimana, dovevano essere raccolti e messi in dei sacchi, per poi eventualmente essere adoperati come concime.
                «HEY ANDALO! HEY ANDALO!» iniziò a urlare l’uomo, fin dalla metà della Gola delle Belve. Dopo qualche secondo, l’Andalo lo riconobbe: era Sir Merrin. Merrin era a capo della “divisione ospedaliera” della Valle. E questo includeva tra le sue mansioni la cura e la prevenzione dei mali degli uomini… E la cura e la prevenzione dei mali delle bestie. «Andalo», Merrin arrivò allo smaltitoio.
                «Sir Merrin» salutò l’Andalo. «Vieni!» esclamò Merrin, imperioso, «È il momento…». Sinceramente confuso sul dafarsi, il giovane Andalo decise di dire al suo superiore: «Signore, so che ho solennemente promesso che sarei venuto a dare un’occhiata un giorno, ma… Sir Cleghorn ci ha messo a spalare e…»
                «Il tuo amico potrà continuare il lavoro da solo: ci metterà il doppio del tempo ma… Hey: siamo alla Valle del Leone, è dura la vita quaggiù, lo sanno tutti»
                «Signore…»
                «Figliolo: parlerò io con Cleghorn e farò in modo che, qualunque cosa succeda, lui non prenda alcun provvedimento punitivo né nei tuoi confronti, né in quelli di…». In un breve silenzio l’Andalo e Dylan si scambiarono sguardi perplessi: era una domanda quella di Sir Merrin? E a chi era rivolta? Dylan decise di rischiare: «Dylan Clermont»
                «Perfetto!» annuì Merrin «Né in quelli di Dylan Clermont. Ma non dire “signore” un’altra volta! Sta’ zitto e seguimi»
                «Sissignore…» rispose dunque l’Andalo, tutto contento, «Ehm… volevo dire… Sì, Sir Merrin» si corresse; dopodiché andò a posare la pala nell’armadio degli attrezzi e si avviò verso le scale che conducevano alla Gola. Nel farlo, lanciò qualche occhiata veloce a Dylan, sentendosi un po’ in colpa per lui che, anche se non avrebbe ricevuto punizioni (quindi poteva anche prendersela comoda), comunque sarebbe restato lì da solo in compagnia della merda di chimera per almeno un altro paio d’ore. Originariamente, lo sguardo di risposta del compagno Clermont gli parve uno sguardo colmo d’invidia. Ma quando per un’ultima volta l’Andalo guardò Dylan prima di dargli le spalle e avviarsi definitivamente con Sir Merrin, quello sguardo d’invidia era diventato uno sguardo di amicizia, come a dire: “fuggi almeno tu, visto che te ne viene data la possibilità”. E l’Andalo ovviamente non se lo lasciò ripetere.
                «Sir Merrin» fece ancora l’Andalo rivolto all’uomo che lo aveva liberato dalle grinfie di Cleghorn, per quella sera. «Sir Merrin!», aveva appena raggiunto la cima delle scale. «È Rabastan, figliolo», gli sorrise quello. «Come dite?»
                «Rabastan è il mio nome» insistette il superiore, «Lo so: non è molto meglio di Merrin, anzi per la verità forse è un po’ peggio. Ma è più confidenziale: mia madre mi chiamava Rabastan, mica Sir Merrin!»
                «Ma…» provò ad intromettersi l’Andalo; Sir Merrin non lo fece neanche cominciare: «E avremo necessariamente bisogno di maggiore confidenza, se diverrai mio collaboratore»
                «V-vostro collaboratore, signore?» balbettò l’Andalo. Merrin lo corresse di nuovo: «Rabastan»
                «Sì, perdonatemi… Sir Rabastan»
                «Certamente: mio collaboratore. E affretta il passo, ragazzo, Shirley non aspetta mica noi per partorire. Tu hai esperienza di medicina, no?»
                «Mi è capitato di… Leggere qualche testo, in gioventù…»
                «In gioventù! Ma quanti anni hai?»
                «Venti, Sir Rabastan…. Ma… Si trattava della materia umana… Io… Non ho mai letto nulla sulle chimere!»
                «È uguale! Meno massa cerebrale, più arti»
                «So com’è fatta una chimera, signore»
                «Certo che lo sai» per un attimo Merrin rallentò per avere modo di lanciare un’occhiata forse complice o forse derisoria al suo “nuovo collaboratore”; ma riprese il passo quasi subito, e ricominciò a discorrere: «Scommetto che il primo lenzuolo con cui ti hanno avvolto non appena venisti fuori dal grembo di tua madre, su alla Capitale, fosse un bel drappo raffinato con una bella chimera rampante tessuta sopra. Poi chimere per sonagli… Chimere per giocattoli… Diamine avranno fatto perfino i vasi da notte, per voi, a forma di chimera. E poi un bel giorno… Avrai aperto le finestre della tua immensa camera da letto piena di cianfrusaglie, ti sarai affacciato… E l’avrai vista! Una splendida chimera dal crine dorato svolazzare fin su una guglia e ruggire, maestosa… E avrai pensato… Che diamine! Questo è il mio futuro!»; breve silenzio, in cui l’Andalo non poté che constatare che anche Sir Merrin in fondo, come tutti in quella dannata valle, doveva aver perso un paio di rotelle. «Perdonami, figliolo» disse ancora il medico, via l’espressione da folle sul viso, scambiata adesso con un sorriso affabile, «Quello che ti ho raccontato è il mio passato, non il tuo, il tuo non lo conosco; non volevo essere irrispettoso»
                «Oh, Sir Rabastan, non lo siete stato affatto…» rispose l’Andalo, ruffiano, «Ma… Mi spiace correggervi: non ci sono poi così tante chimere nei drappi e nei pitali della Capitale. Oh, nelle carte ufficiali certamente ma… La loro è una storia troppo recente perché possano aver sostituito i leoni in ogni dove. E, oltretutto, sotto mio padre si è cercato di rispolverare la simbologia più arcaica. Lui non lo ammetterà mai ma, sebbene ne riconosca l’utilità, non ama particolarmente le chimere; preferisce i leoni»
                «Sarà perché non ne ha mai cavalcata una?»
                «Sì, lo ritengo plausibile»
                «Sai che ti dico, Andalo? Magari, originariamente, ti sei sentito sfortunato a finire in questo angolo di mondo, non è vero? Lontano dalla tua famiglia, dagli agi a cui eri abituato… Ma vuoi sapere come la penso io? Io penso che, sì è vero: all’inizio può risultare un po’ faticoso, ma quando finalmente avrai conquistato il cuore del tuo animale… Lo avrai guardato dritto negli occhi, e lui avrà guardato te e… Avrete capito che siete una cosa sola. Tutto ciò, varrà cento volte di più di quella noiosa, spocchiosa e… Pericolosa vita di corte. Io non penso che chi venga qua ad addestrarsi nell’arte della cavalleria chimerica corra rischi superiori rispetto a chi conduce una vita politica alla Capitale. O, almeno, questo è quello che immagino».
                Proseguirono il tragitto. L’Andalo ebbe tutto il tempo di meditare su quello che gli aveva appena detto Sir Rabastan Merrin. Lui non aveva mai adorato la vita di corte e, in tutta onestà, quando gli era stato comunicato che avrebbe intrapreso il percorso per diventare un Cavaliere della Chimera, la cosa lo aveva lasciato non poco felice. I Cavalieri della Chimera erano forti e leggendari! Erano tutto quello che i ragazzi di strada sognavano di diventare un giorno, la loro massima aspirazione. Ed erano anche quelli cui, in buona sostanza, era affidata l’effettiva sicurezza del regno. Sì, il regno era ormai saldo da quasi un millennio, senza più guerre, senza più scissioni, a prescindere dalle chimere. Il fare la guerra con la politica, piuttosto che con le armi, era diventato più o meno parte della cultura dell’intero mondo conosciuto. Ma da un paio di secoli, tanto per rendere ancora più salda la cosa, erano anche arrivate le chimere e, da quando erano arrivate, l’unità del regno non aveva neanche più vacillato. Con i Cavalieri delle Chimere fedeli al regno da una parte e un mago come lord Primo Cavaliere dall’altra, le probabilità che un qualsiasi mentecatto volesse anche solo provare ad attentare l’ordine costituito erano praticamente vicine allo zero. Funzionava così da circa duecento anni.
                Le chimere erano state scoperte in un altopiano apparentemente deserto dell’est, con solo poche rocce, arbusti e sterpaglie. Ne erano rimasti circa cinque esemplari: nessuno capiva perché, ma si stavano estinguendo. La fortuna volle che non fu un qualsiasi uomo dell’Occidente ad accorgersi della loro esistenza, ma un dignitario del re, mandato appositamente in quelle terre ancora inesplorate per conoscerne le possibilità e le risorse. Naturalmente, la storia di come quegli animali vennero poi definitivamente posti sotto l’autorità della Corona, non era né breve né priva di colpi di scena, prove di forza, tradimenti e pacificazioni. Ma alla fine, i Lannister l’avevano spuntata anche in quell’occasione: pensavano fosse necessario avere le chimere a servizio della corona, e ottennero le chimere a servizio della corona.
                La mano dell’uomo, peraltro – come non spesso accade in natura – si rivelò un vero e proprio toccasana per quelle creature che, sebbene normalmente feroci e assai pericolose, erano dotate di una certa curiosità che in qualche modo le avvicinava all’umanità. In poco tempo, grazie alla mano esperta degli uomini di scienza della Capitale, il loro numero decuplicò. Xilanthor, il re sotto il quale venne costruita la Valle del Leone, fece aggiungere al normale stemma della casata reale un ulteriore paio di zampe, un paio d’ali, e un serpente come coda; e il leone divenne chimera.
                Di stazza almeno doppia rispetto a quella dei leoni, le chimere cominciarono a prosperare e adesso ne vivevano quarantacinque esemplari alla Capitale, e centodiciotto alla Valle del Leone e, a quanto pareva, ne stavano per arrivare di nuove… Addestrarle, cavalcarle, fare di loro i migliori amici di un cavaliere e i migliori protettori del regno era diventato ormai parte della cultura stessa della nazione unitaria. E naturalmente, a capo dell’armata dei Cavalieri delle Chimere, veniva quasi sempre messo un leale e potente alleato del re. Al momento era Henrich Bolton, il Lord Maestro delle Armi.
                Ma da quando aveva messo piede alla Valle, sebbene ne avesse viste parecchie e avesse imparato anche a conoscerle, l’Andalo non aveva mai cavalcato una chimera. E lo avevano fatto tirare di spada una quindicina di volte. Le sue mansioni, come quelle di tutti i novizi, si limitavano alle pulizie, al mettere in ordine, al sistemare, al dar da mangiare: un servo, praticamente. Di nobili origini e dal futuro possibilmente eroico, ma un servo: né più né meno. La Valle del Leone era molto grande e indipendentemente dal numero – comunque sempre molto sostenuto: non è che a chiunque venisse data l’opportunità di diventare un Cavaliere della Chimera – dei nuovi apprendisti, c’era sempre bisogno di gente disposta ad occuparsi della manutenzione. E di questo l’Andalo si era occupato negli ultimi cinque anni della sua vita.
                La gabbia di Shirley si trovava sul corridoio laterale esterno, ala ovest, dell’intera struttura: l’Andalo ebbe l’impressione che per arrivarci lui e Merrin avessero impiegato più o meno lo stesso tempo che impiegava lui per preparare una buona frittata per sé e per i suoi camerati: lui era un tipo rapido, ma per farla buona… Il tempo ci voleva! Oltretutto, si rese conto di non esserci mai stato in quella zona; forse una volta, nei primi mesi dell’addestramento ma… Poi mai più. Giunto precisamente dinanzi alla enorme gabbia della chimera gravida, l’Andalo non poté fare a meno di notare qualcosa che subito domandò al medico: «Perché tutte le gabbie accanto sono vuote?»
                «Non hai mai veduto una chimera negli ultimi cinque giorni di gravidanza…»
                «No, signore»
                «Sir Rabastan!» salutò una ragazza appena giunta: alta, magra, lunghi capelli neri, carnagione olivastra. «Oh, Jasmina, ben arrivata!»
                «Grazie, signore»
                «Pronta e motivata come tutte le volte?»
                «Certo, signore»
                «Oh perdonatemi: Jasmina lui è l’Andalo, Andalo lei è… Jasmina»
                «Piacere» fece l’Andalo. «Molto piacere» rispose la ragazza, e tornò subito a rivolgersi al medico della Valle: «Sir Rabastan… Che ne è di Josh?»
                «Josh? Morto»
                «Oh, ma è terribile… Come?!»
                «Beh l’altra settimana ha provato il suo primo volo su una chimera e… È andato giù a picco»
                «Per gli dèi antichi e nuovi!»
                «Ma ho già trovato un sostituto: hai visto?»
                «Ah» constatò Jasmina, squadrando l’Andalo rapidamente da capo a piedi «Che fortuna…»
                «Signore…», l’Andalo decise di intromettersi, insistendo: «Perché le gabbie sono vuote?»
                «È semplice, figliolo: una femmina al termine di una gravidanza tende a staccare la testa a qualsiasi creatura vivente si trovi nel raggio di un paio di piedi da lei… e poi il corpo lo fa a pezzetti. Non lo mangia, eh: diversamente dalle nostre femmine, si direbbe che abbiano un appetito normale durante lo stato di gravidanza… ma lo fa a pezzetti»
                «COSA?»
                «Sir Merrin!». Oh no! Per l’Andalo ci mancava solo questa: era arrivato anche lui…
                «Sir Cleghorn» salutò Rabastan Merrin. E Winston Cleghorn proseguì: «Sapevate che è arrivato Bolton?»
                «Oh che bellezza! Il Lord Mezzo-lord ha alzato il suo aristocratico posteriore, l’ha messo sulla sua chimera e l’ha condotto fin quaggiù!»
                «Consiglio minore sarcasmo, collega… Lui è qui»
                «Sir Merrin!» e Lord Bolton in persona si precipitò alla gabbia: era poco dietro Cleghorn effettivamente, anche se l’Andalo non l’aveva fino ad allora notato. Lui conosceva bene Bolton: aveva avuto modo di averci a che fare ai tempi della Capitale; era un uomo alto, spigoloso e pelato, dai modi bruschi e talvolta arroganti; non gli era ma piaciuto, ma piaceva a suo padre, e tanto bastava.
                «Lord Bolton!» fece ancora Merrin, che nel frattempo era da un po’ che armeggiava con dei ferri, delle corde, dei ganci posti alle estremità laterali della cella e poi ancora dei secchi colmi d’acqua e degli stantuffi. Merrin proseguì: «È un piacere vedere il vostro…»
                «Aristocratico posteriore?»
                «Beh, veramente volevo dire “nobile culo”, ma tecnicamente ritengo sia uguale: “aristocratico posteriore” quaggiù alla Valle delle chimere»
                «Sì… Ma non è certo per fare un piacere a te che sono venuto. Sono venuto per lei» indicò il possente animale all’interno della gabbia; continuò: «Checché tu ne dica, non mi sono mai perso un parto da quando ho la responsabilità di questo posto»
                «Ah, sì certo… E quando è stato l’ultimo, Ted?». C’era qualcun altro lì dentro: Ted, un ragazzo mingherlino, di età sicuramente inferiore a quella dell’Andalo, biondo ed estremamente scarno. Era lì da diversi anni anche lui ormai, ma non veniva trattato come un comune apprendista cavaliere; era più che altro uno sguattero. Vistosi coinvolto nella discussione (e d’altro canto doveva essere lì per qualche ragione), il ragazzino scrutò da un ammasso di pergamene che aveva tra le mani e, con una certa solerzia, rispose quasi subito: «Tre anni fa, Sir Rabastan»
                «Non manco da tre anni!», ribatté Lord Bolton tra i denti. Ma la provocazione di Merrin non pareva voler terminare; disse ancora sarcastico: «No, certo! Da cinque?»
                «Ascoltate, Merrin…» provò ancora Bolton, ma questa volta il medico non gli permise di proseguire: «Bene! Io sono pronto! Jasmina?»
                «Pronta!»
                «Andalo?»
                «Eeeeeeh?!»
                «Fa’ quello che faccio io», gli sorrise Jasmina, con compassione. Merrin chiese ancora: «Ted?»
                «Data e ora trascritte, signore». Guardandolo, l’Andalo si accorse che adesso Ted era seduto dietro un traballante banchetto di legno, con penna alla mano e calamaio poco distante. «Dunque» Merrin si schiarì la voce «Ci accingiamo ad intervenire per il parto della chimera Shirley. Esegue l’operazione Sir Rabastan Merrin. Coadiuvano…»
                «Jasmina Tahorel». Vedendo l’Andalo che, ancora confuso, non riusciva a staccar gli occhi da Ted che trascriveva tutto quello che veniva detto, la ragazza pensò bene di suggerirgli: «Di’ il tuo nome»
                «Ehm… Marcus… Marcus di Casa Lannister»
                «Ok, entro» fece infine Sir Rabastan e spalancò le porte della gabbia. Aveva in mano solo una lunga lancia puntuta: cosa pensava di farci contro una chimera, peraltro iperaggressiva perché incinta? Marcus non poté fare a meno di notare l’espressione da forsennato che era spuntata sul viso del medico, quando era entrato correndo, asta all’insù, e urlando come un matto. Ma, incredibile a dirsi, fu distratto quasi subito: da Jasmina. Anche lei urlò, ma rivolta direttamente a lui e con un tono che non ammetteva repliche: «Fa’, come faccio io! Prendi l’asta»; si trattava di un enorme pertica di ferro, alta quanto due, anche tre lance, con la quale non era complicato arrivare a batter fino al tetto della struttura. «Posizionala sul gancio!»; questo risultò all’Andalo già parecchio più difficile: per farlo, lui e Jasmina dovettero entrare anche loro: i due ganci erano sul tetto della gabbia. «Ok, e quando ti dico io, spingi con tutta la forza che hai. E non mollare in nessun caso! Mi sono spiegata?! Ne va delle nostre vite».
                Non c’erano molti pensieri in quel momento nella testa dell’Andalo: l’unica cosa che era in grado di fare era domandarsi se tutto quello stava accadendo veramente a lui. Per fortuna, la chimera era molto più concentrata su Sir Merrin che su qualsiasi altra cosa al mondo. Sir Merrin gridò: «Ora!», e Jasmina gli fece eco: «Andalo, ora!».
                Lo schiacciare l’ingranaggio posto su quei ganci, avviò un complesso meccanismo che l’Andalo non riuscì a capire proprio bene; ma l’esito della cosa fu che le ali della chimera vennero bloccate da due grossi paranchi fino ad allora posizionati lungo le pareti della gabbia, e invece ora elevati a mezz’aria; comprimevano le ali della bestia in modo che non potesse più muoversi.
                Sir Merrin sguainò la spada: la chimera adesso era immobilizzata, ma non per questo le sue fauci, e soprattutto la coda di serpente, erano meno pericolose. Anzi, proprio quest’ultima era ancora libera e disponibile a uno scontro diretto. Dopo un combattimento di pochissimo tempo, Merrin prevalse sulla coda da rettile, tagliandone il capo. Sir Cleghorn, dalla sua postazione sicura dietro i cancelli della gabbia, commentò urlando al medico della valle: «Ma che fate, Merrin! La ucciderete!»
                «Niente piagnistei, Cleghorn» rispose Merrin «Tanto le ricresce!».
                Il primo cucciolo venne fuori, cieco, spelacchiato e indifeso; ma non era finita lì… «Andalo!» gridò Merrin «Molla quei ferri e vieni a darmi una mano!». Marcus si domandò che cosa diamine ancora quel folle pretendesse da lui: era già tanto che non aveva perso i sensi! Guardò Jasmina, come per chiederle aiuto, e lei gli disse: «Non mollare la presa! Aspetta, che vengo io!». l’Andalo continuò a tenere la mano ben salda sulla lunga pertica di ferro agganciata al paranco di sinistra; senza mai mollare la sua di presa, la ragazza si avvicinò all’erede di casa Lannister e gli disse: «Dallo a me!»
                «Come?»
                «Mollalo e dallo a me!». E l’Andalo mollò; dopo un urlo disumano, Jasmina adesso impugnava entrambe le pertiche. L’Andalo si accorse solo allora che aveva una muscolatura decisamente non indifferente per essere una ragazza, almeno per quanto riguardava le braccia. Ma ovviamente, dato che tutto quello per lui era nuovo, l’Andalo si scordò il perché fosse appena accaduta quella cosa… Merrin lo riportò sulla terra, gridandogli per la seconda volta: «ANDALO!!!» con una ferocia inaudita.
                Marcus, raccogliendo tutto il fegato che aveva in corpo, si avvicinò al dottore, il quale, mentre da una parte operava nella zona dei genitali della bestia, dall’altra era ancora tenuto a schivare colpi di zampe anteriori, inferiori e mediane, e morsi. Domandò a Merrin: «Sì, signore?»
                «Esci dalla gabbia» ordinò quello «Nel banchetto dov’è seduto Ted, deve esserci una specie di lungo coltello acuminato. Vallo a prendere e torna qui! Rapido!»
                «Sissignore», e l’Andalo corse via. Non fu complesso recuperare quello che gli era stato richiesto e tornare dentro. Porse l’oggetto al dottore. «No, no, no: hai frainteso» gli disse quello, rifiutandosi di prenderlo, «Non è per me. È per te!»
                «Cosa?!» fece Marcus, incredulo. «Vedi lì?» gli rispose Merrin, divaricando a mani nude una parte delle carni della belva: non c’era un granché buon odore in quella gabbia; «Quel grosso gonfiore, tipo ciste?»
                «Ehm sì»
                «Taglialo via: è inutile, le fa male, e occupa un sacco di spazio»
                «M-ma signore…»
                «FALLO ORA!» e urlando questo, Sir Rabastan spalancò ulteriormente le carni, la chimera ringhiò come ancora non aveva mai fatto, e Marcus corse nella zona indicatagli da Merrin e, non senza fatica, rimosse quella parte. La chimera, quasi d’istinto, fece per azzannarlo: ma con un istinto altrettanto ferino, che a dire il vero lo sorprese non poco, l’Andalo riuscì a fare un salto, una capriola e uscirne indenne. «Ah, già che sei lì…» gli disse ancora Sir Rabastan «Taglia anche quello! Ehm… Grosso, marrone e pulsante»
                «Ah, sissignore» sospirò Marcus, che da una parte era contento di essere ancora vivo, dall’altra terrorizzato. Eseguì alla perfezione ciò che gli era stato richiesto, e stavolta Shirley la chimera nemmeno se ne accorse. «Ora vieni qui! Vieni qui!» lo intimò ancora Merrin, e proseguì: «Tira! Tira!»; suo malgrado, Marcus l’Andalo fu costretto a mettere anche lui le mani dentro quella carne calda, puzzolente e piena di sangue. Tirò con tutta la forza che aveva in corpo: un piccolo felino alato dalla coda di serpente, ora mugolava tra le sue braccia. Ma Merrin insistette: «Ce n’è un altro! Tira!». E ancora l’Andalo tirò, e ancora si ritrovò tra le braccia un cucciolo appena nato di chimera, solo che questo… Aveva due teste.
                Non era la prima volta che l’Andalo vedeva una chimera a due teste: capitava. Raramente, ma capitava. Talvolta, ne nasceva qualcuna con una sola testa ma due code, e una volta – ma questo l’Andalo non l’aveva mai visto: si trattava di cose che gli erano state raccontate – ne era nata una con quattro ali. Questo tipo di variazioni genetiche, sebbene rappresentassero comunque delle eccezioni, erano cose che negli animali chimere accadevano molto più spesso che in qualsiasi altra specie.
                Con un ultimo definitivo grido, Merrin ordinò a Marcus e Jasmina di ritirarsi. Marcus prese in braccio due dei tre cuccioli, Merrin prese il primo nato, e non appena Jasmina lasciò la presa sui ganci, corsero a tutta velocità fuori dalla gabbia. Appena libera, la chimera subito si scagliò all’inseguimento, e non addentò Merrin per una questione di distanza millimetrica. Sgranocchiò le sbarre della cella, al suo posto.
                Ted, che si era appena occupato della chiusura della gabbia, corse immediatamente a sedersi al suo banchetto, e intingendo la penna d’inchiostro, ricominciò a scrivere. Per un attimo, lo fece a voce alta, e l’Andalo poté udirlo dire: «Vengono alla luce tre cuccioli di sesso femminile…»
                «Per quanto mi riguarda» disse invece, a voce alta, Sir Merrin, rivolto faccia a faccia a Lord Bolton, mentre si puliva le mani con uno strofinaccio umido, «Questo è quello che si chiama vivere alla Valla del Leone! Io non ho idea di cosa voi vi occupiate alla Capitale… Ma, a conti fatti, con noi non c’entra proprio un bel niente!» e lanciando un ultimo, significativamente aggressivo, sguardo a quello che in teoria era il suo diretto superiore, Sir Merrin lasciò definitivamente quel luogo. Ted, che non si era affatto lasciato distrarre da quella scenata, concluse il suo discorso: «…cuccioli, che prendono il nome di…». Nessuno gli rispose, e Ted chiese: «Lord Bolton?»
                «Sì?»
                «Siete l’ufficiale di più alto rango tra i presenti. Spetta a voi dare il nome ai nuovi nati»
                «Rutto, Piscio e Sputo!» esclamò il comandante, visibilmente irritato, e anche lui marciò fuori da quel luogo, immediatamente seguito da Sir Cleghorn. Marcus vide che Ted non trascrisse quei nomi. Dopodiché fu distratto da una voce dietro di lui. Jasmina disse: «Hey, Andalo: portale qui». Marcus si voltò: Jasmina si trovava accanto a un alto mucchio di paglia, dove aveva appoggiato il cucciolo che poco prima aveva tenuto in mano Sir Merrin. Mentre anche l’Andalo poggiava lì le piccole che aveva aiutato a nascere, tra cui quella a due teste, Jasmina disse: «Riposeranno per qualche ora. Dopo, andranno rimesse dentro la gabbia per la prima poppata. E sarai tu a mettercele, ordini del capo!»
                «Rientrare lì dentro? Non ci penso neanche!»
                «Ah, non preoccuparti; non ti farà alcun male. Ti ucciderà, forse, ma se non lo farà… Non ti farà alcun male»
                «Confortante» balbettò Marcus, sarcastico, ma naturalmente la cosa non lo fece ridere. Jasmina continuò: «Che te n’è parso, come prima esperienza?»
                «Ehm… Niente… Niente male. Certo… Non è esattamente come fare il Gran Maestro a corte»
                «No. Decisamente no. Avrebbe dovuto farlo Josh: aveva molta più esperienza di te nella cura di animali feriti, e ci lavorava da molto tempo… Ma… È morto»
                «Già»
                «Ma considera questo: il parto di una chimera è la cosa che su tutti i manuali viene descritta come la più complessa. Una volta che sei riuscito in questo, il resto non potrà che venirti facile»
                «Beh, sì. Se sopravvivrò al secondo ingresso nella gabbia…»
                «Ah, certo. Se sopravvivrai…». Si sorrisero, e poi piovve il silenzio. L’Andalo considerò l’idea di allontanarsi, ma aveva ancora le mani che gli puzzavano di carne e sangue di chimera. C’erano dei secchi riempiti d’acqua e messi lì appositamente per quello: andò a lavarsi le mani. Mentre si asciugava con uno strofinaccio, notò che Jasmina lo stava guardando. E non appena lei si accorse che lui l’aveva notata, la ragazza chiese: «Perché ti chiamano l’Andalo?»
                «Beh» sorrise Marcus, felice di rivisitare quel ricordo, «Quand’ero piccolo… I racconti di famiglia dicono che io fossi il più terribile tra tutti i fratelli: urlavo, scalciavo, la volevo sempre vinta io. Un bambino impossibile. Così, dicono che un giorno che mio padre si trovava in una noiosa riunione… Io pretesi di entrare nella sala del parlamento, e cominciai a offendere e malmenare i convitati, i quali si videro costretti a rimandare la riunione. Mio padre ne fu ben lieto, visto che odiava quel genere di cose. E, allora, disse davanti a tutti che era fiero di me… Di quel suo figlio che picchiava come la tempesta, e urlava come un Andalo»
                «Ahah, è una storia simpatica» rise Jasmina, anche lei ora si stava lavando le mani. Ma Marcus non aveva ancora finito di ricordare: «Quel nomignolo rimase fra le mura di casa e non uscì fuori fin quando, un giorno, litigai con mio fratello Daniel. Era per una stupidaggine, adesso non lo ricordo; ero troppo piccolo… C’entrava un cavallo, se non sbaglio. E lui mi disse che ero come un Andalo pazzo… Che il mio comune temperamento pacifico, non era mai riuscito a soppiantare definitivamente la mia natura di barbaro. A celarla sì, ma non a sopprimerla. E così, mi dichiarò guerra, e disse che da quel momento in poi tutto il regno avrebbe cominciato a chiamarmi, con disprezzo, “l’Andalo”. E, non so bene come fece, ma ci riuscì: prima alcuni amici comuni, poi gli abitanti del palazzo, poi a poco a poco l’intera città. Non parlammo più granché da quel giorno, io e Daniel. Non per cose di poca importanza, comunque. Certo, guardando indietro, riconosco che è una cretinata ma… È così e basta»
                «Tu non parli spesso, Andalo» commentò Jasmina «Ma quando cominci a parlare… Di certo, non ti fermi!»
                «Sì» rise Marcus, francamente un po’ in imbarazzo, «È un’altra mia caratteristica»
                «Andalo!» s’udì dunque una voce al di fuori della struttura. E si ripeté: «Andalo!». Un ragazzino di circa dieci anni raggiunse il quarto erede di casa Lannister. E gli disse: «Un dispaccio per te, dall’ovest». Marcus prese la lettera, incuriosito: era la prima volta in cinque anni che riceveva della posta: il sigillo era quello di suo padre: la chimera rampante con in testa la corona. Si trattava di poche righe, le lesse velocemente. Jasmina gli chiese: «Beh che succede?»
                «Si tratta di mio prozio Duhenlar…» rispose l’Andalo «Si è strozzato con un osso di pollo».
   
 
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