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Stubbornness
In un primo momento Kagome
aveva creduto che lui volesse farle del male, ma quanto poteva essere
cattivo
un bambino che faceva le fusa?
Sentiva la lieve
vibrazione dei suoi versi – versi che nessun umano sarebbe
stato capace di
emettere – trasmettersi ai palmi delle proprie mani,
facendole un piacevole
solletico. Le scappò un mezzo sorriso, e tirò su
col naso per l’ultima volta.
Le ricordava Buyo, quando
per farsi perdonare faceva le fusa e le si strofinava contro la
caviglia dopo
averla graffiata per sbaglio.
Mentre lui continuava con
il suo ronfo tranquillizzante, guardandola attraverso le sopracciglia
socchiuse, Kagome spostò la sua attenzione sulle dita munite
di artigli
affilati che sfioravano appena le sue. Solo perché appariva
pericoloso non
voleva di certo dire che lo fosse, pensò saggiamente la
bambina. Spinta da uno
strano desiderio, mosse la propria mano destra in modo che accarezzasse
appena
la guancia morbida come seta del ragazzo, in direzione dei curiosi
disegni che
gli attraversavano le gote come graffi.
Quando si guardò la punta
delle dita per controllare se quello strano trucco le aveva macchiato
la pelle,
rimase sorpresa nel vedersi completamente pulita. Strinse le labbra,
decisa, e
strofinò con maggior insistenza le dita sui marchi,
facendolo sussultare. Il
colore, tuttavia, continuava a non venire via.
«Che cosa sei?» Gli chiese
incuriosita, seguendo con un altro dito il profilo di
un’orecchia appuntita e
osservando le sue iridi dorate e la pupilla sottile come quella di un
gatto. Somigliava
a quelle creature dei libri di favole – elfi,
se non ricordava male. E gli elfi non erano cattivi, giusto?
Possibile che non avesse mai visto un demone?
«Sono un inuyoukai», le
rispose piano, studiando la sua espressione. «Erede delle
Terre dell’Ovest.»
Kagome trattenne
bruscamente il fiato – addio alla teoria sugli elfi.
«Ma Jii-san… Lui dice che
gli youkai sono solo leggende.»
Sesshoumaru aggrottò la
fronte – gli stava capitando sempre più spesso in
sua presenza. «Il tuo
villaggio dev’essere ben isolato se il tuo Jii-san dice cose
simili, ed è
convinto che siano vere.»
La bambina sbuffò,
irritata che qualcuno osasse parlar male di suo nonno. «Il
mio Jii-san sa un sacco di cose»,
dichiarò, con la
cieca fiducia tipica dell’infanzia.
Fu il turno del giovane
demone di mostrare irritazione. «Beh, chiaramente
no, se si è sbagliato sul conto degli youkai»,
ribatté, abbassando le mani e
incrociando le braccia sul petto. «Come fai a credere ancora
alle sue parole se
adesso sei qui, circondata da demoni?»
Inevitabilmente, Kagome
impallidì. «Cir-circondata?»
Mormorò.
Sesshoumaru si limitò a
fare un cenno secco di assenso col capo. «Sei nel mio
accampamento», disse con
tono solenne. «Hn, di mio padre», si corresse, in
caso il vecchio Generale
fosse in ascolto.
«Perché sono qui?» Volle
sapere lei, guardandosi intorno come se si aspettasse di venire
aggredita da un
momento all’altro. «Perché non mi hai
riportato a casa?»
Hn, gli umani fanno un sacco di domande.
«Dal momento che io ti ho trovato, sei
sotto la mia
protezione; quindi ti ho portato nell’unico luogo
sicuro», le rispose,
storcendo leggermente il naso nel sentire l’odore del suo
nervosismo riempire
nuovamente la tenda. «Inoltre, non so dove sia casa
tua», ammise di malavoglia.
«Abito al tempio! Il
tempio Higurashi», rispose subito, recitando a memoria le
brevi indicazioni che
sua madre le aveva fatto memorizzare in caso si fosse persa.
«Adesso mi ci puoi
portare!»
Irrigidendosi davanti al
palese desiderio dell’umana di andarsene da lui, Sesshoumaru
strinse i pugni e
scattò in piedi. «Non so dove sia questo
tempio», ribatté, più freddamente di
quanto intendesse. «E ti ho già detto che sei
sotto la mia protezione. Non puoi
andartene!»
Kagome sgranò gli occhi,
senza capire. Poi, infuriata dall’atteggiamento prepotente
del giovane demone,
si alzò in piedi a sua volta e si piantò le mani
sui fianchi. «Voglio parlare
con tuo padre!» Esclamò. Gli adulti ne sapevano
sempre di più rispetto ai
bambini, giusto?
Preso alla sprovvista,
Sesshoumaru le diede furiosamente le spalle e fece per uscire.
«Resta qui», ringhiò,
prima di lasciare la tenda.
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Drabble:
666 parole.