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Autore: Dark_Water    27/07/2015    2 recensioni
AU.
Quando John uscì dalla camera da letto fu accolto da un leggero tintinnio di stoviglie con in sottofondo il chiacchiericcio delicato di due voci allegre e familiari.
“Sono felice che siate qui. Mi siete mancati.”
“Anche tu ci sei mancato. Ci voleva una rimpatriata dopo tutto questo tempo. Manca solo….”
Rory si interruppe forse troppo tardi,lasciandosi sfuggire un pensiero che come un alito gelido di vento si era insinuato tra loro spaccando l’equilibrio che avevano avuto fino a quel momento.
Nei millesimi di secondo immediatamente successivi, Rory si ritrovò un gomito della moglie piantato nel fianco, John invece con la mano ferma a mezz’aria, attraversata da un fremito che si diradò anche attraverso la forchetta che stringeva tra le dita lasciando cadere da essa un piccolo pezzo di bacon sul tavolo.
Amy/Rory - Clara/Doctor...Who?
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, Doctor - 12, Rory Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non Brucia Solo La Pelle'
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Cap.12

Capitolo 12

 

 
Presente….

 
“Quindi, ora sei a tutti gli effetti un Dottore in Ingegneria!”

John serrò la mascella al sentire quel nominativo che per lui aveva un volto effettivo al quale accostarlo. Clara scostò lo sguardo ed annullò il sorriso dolce che le illuminava il viso sin da quando si erano incontrati:

“Scusami… ho scelto la parola meno opportuna…”

“Tranquilla. Ormai è passato tanto tempo.”

Mentiva. La ferita bruciava ancora. Ardeva, faceva male, suppurava sin da quando si erano rivisti. In realtà sin da quando gli occhi di John si erano posati in quelli azzurri ed innocenti del bimbo seduto in grembo alla sua Ragazza Impossibile. E John in quel momento odiava tutto. Soprattutto odiava se stesso per averla mandata via due anni prima, per non riuscire a distogliere lo sguardo dal piccolo e sentirsi male nel considerarlo un ‘prodotto ignobile della natura’ invece di un piccolo innocente.

Eppure, nonostante il suo sguardo fosse diretto più al bambino che a Clara, John non era riuscito a trovare una somiglianza con lei. Ogni tratto di quel bambino, compreso il broncio naturale del suo viso, non facevano altro che ricordargli suo padre.

Clara forse non si era accorta a cosa o chi le attenzioni di John erano rivolte, concentrata sul tenere il ferma-tovaglioli lontano dalle piccole mani di quell’innocente dopo che ne aveva tirato dall’interno almeno una decina.

Avevano avuto comunque il tempo di ordinare, prima che Clara fosse costretta a tirar via dalla borsa le tovagliette imbevute con le quali pulire le mani del piccolo che, non contento del gioco ‘tira il tovagliolo’ aveva deciso di sporgersi e rovesciare il cappuccino di John sul tavolo. Almeno i tovaglioli tirati via in precedenza si erano dimostrati utili…

“Scusami… è che non gli piace stare fermo in un posto.”

John sorrise amaramente, riscontrando una ennesima somiglianza, mentre aiutava Clara a pulire il casino sul tavolo.

“Quanto ha?”

“Diciotto mesi.”

Un anno e mezzo. John strabuzzò gli occhi mentre la sua mente cominciava a fare automaticamente dei calcoli… non tornavano. Due anni distanti. Un anno e mezzo. Questo significava che… i conti decisamente non tornavano. O tornavano nel modo sbagliato! In un modo che lui non voleva credere fosse possibile, non doveva essere possibile perché faceva ancora più male!

 Avrebbe voluto parlare, chiedere altre informazioni ma le parole non gli uscirono.

Il silenzio che si era creato sembrò infiltrarsi tra loro come un parassita fastidioso. John avvertì un’ondata di fuoco che gli bruciava lo stomaco finchè non udì nuovamente la voce di Clara:

“Ancora non parla, non perchè non è capace ma perchè non vuole. E di solito con gli estranei è… più timido. Devi proprio piacergli!”

A quelle parole l’espressione di John divenne perplessa, lasciandogli trovare il coraggio di parlare:

“Davvero? Mi guarda imbronciato… avrei detto il contrario.”

Clara si lasciò scappare una risata sincera continuando:

“Proprio per questo! Di solito tende ad ignorare i nuovi volti per poi dimenticarli! Con te invece è diverso, ti guarda fisso. E sono convinta che entro la fine della giornata sentirai anche la sua voce.”

John aggiunse un ennesimo tovagliolo per asciugare l’ultimo residuo di cappuccino sfuggito alla precedente azione di pulizia; inavvertitamente sfiorò con la sua mano quella di Clara, intenta a mettere da parte la tazzina da caffè ormai vuota, prima di tirarla rapidamente indietro come se fosse stato scottato. Ma Clara sembrò accorgersi del suo disagio, smettendo di respirare nell’udire le successive parole del giovane:  

“Avrà preso dal padre… sarà il richiamo del sangue.”

Clara corrucciò lo sguardo increspando le labbra nel tentativo di capire il senso delle parole di John. Gli appariva confusa, palesemente sorpresa quando i suoi occhi si spalancarono, come se finalmente avesse inteso.

“John… lui…”

“Non mi hai detto come si chiama.”

Le sorrise, sospirando e tendendo un dito verso il piccolo senza lasciare che Clara continuasse. Il piccolo guardò John negli occhi, allungando timido la manina verso l’indice del giovane, avvolgendola attorno alla punta; poi tirò la mano di John portandosi il suo dito in bocca.

John sorrise. E questa volta era un sorriso sincero.

Il cuore sembrò tremargli. E fu quello il momento in cui finalmente trovò la somiglianza che tanto cercava in lui. Sapeva dargli emozioni come solo sua madre era in grado di fare.

 

 
Passato…


Erano passati tre giorni da quando Clara se n’era andata definitivamente. Ed erano passati tre giorni da quando John aveva litigato con suo padre. Aveva dormito in un motel dimenticato di Chesham, nella campagna londinese, passando le giornate a pensare e le sere ad affogare i pensieri del giorno nella birra locale, in un qualsiasi pub di bassa categoria gli capitasse a tiro.

Infine, era tornato a casa un giorno in cui era sicuro non ci fosse nessuno in giro.

Aveva lasciato nuovamente la moto in garage, tirando fuori il suo kayak blu con la scritta TARDIS sulla punta.

Lo aveva caricato sul portapacchi, sul tettuccio della macchina, e lo stava assicurando con le corde quando il cuore cominciò a battergli improvvisamente nel petto, mozzandogli per un attimo il respiro. Ne capì il motivo quando, voltandosi per istinto, vide suo padre sul portico che lo guardava dalla distanza.

Il richiamo del sangue, pensò sarcastico.

John incupì lo sguardo, tirando una estremità delle fibbie di fissaggio per assicurare al meglio il carico.

“Johnny… dove vai?”

“Parto, non vedi?” La voce incolore, quasi meccanica e priva di ogni emozione. Suo padre capì che John aveva chiuso il suo cuore anche e soprattutto a lui. Il Dottore gli si era avvicinato, pur lasciandogli il suo spazio di manovra.

“Per dove?”

John non avrebbe voluto rispondergli, avvertendo un’improvvisa ondata di fastidio salirgli dallo stomaco. Un’ondata di fastidio che lentamente si stava gonfiando dentro di lui come una bolla e che, quasi sicuramente, sarebbe esplosa in una rabbia profonda.

“Che ti frega?”

“John. Sono pur sempre tuo padre e voglio sapere se starai al sicuro.”

John tirò l’ultima cinghia, forse con eccessiva forza facendo avvertire uno scricchiolio proveniente dall’attrezzatura da kayak che aveva appena fissato. Sospirò esasperato, voltandosi infine vero di lui ingiuriando:

“Quando ti fa comodo lo sei, vero? Per altri casi invece si può sorvolare sul particolare!”

Sapevano entrambi a cosa si riferiva con quelle parole. Ma il Dottore continuò a fissarlo serio senza indietreggiare ne abbassare lo sguardo. John raccolse il borsone con gli abiti di ricambio dal selciato e lo caricò nel bagagliaio continuando:

“Scozia, giro dei fiumi. Poi le alpi Francesi o Italiane, forse Austriache… non ho deciso. Forse invece uso finalmente il passaporto e me ne andrò in Nuova Zelanda… è da vedere.”

Il Dottore sospirò, tirando fuori dalla tasca la carta di credito porgendola a John. Il giovane lo guardò freddamente rispondendo:

“Non ne ho bisogno. Ho ricevuto lo stipendio dall’Ingegnere capo. A me stesso ci penso io.”

Il Dottore lo ignorò, aprendo lo sportello al lato del guidatore e, aprendo la visiera parasole posò la carta di credito nel ferma carte all’angolo dicendo:

“Sta attento. Non stare da solo in fiume. Fammi stare tranquillo.”

Perché? Perché, John si chiedeva, quell’uomo continuava ad occuparsi di lui, continuava a mettere a dura prova il suo orgoglio, la sua rabbia, tutte le sue emozioni? Non poteva semplicemente stargli lontano e lasciarlo in pace?

John non sapeva dire se la sua fosse una crisi adolescenziale scoppiata con quasi quindici anni di ritardo o semplicemente astio represso per un padre assente fisicamente. Lo aveva giustificato per troppi anni, compreso per troppi anni…

Poi John realizzò una cosa: che non odiava nemmeno suo padre, ma odiava se stesso. Perché in realtà suo padre si era sempre occupato di lui, delle sue esigenze, dei suoi bisogni. Lo aveva sempre spronato, supportato, fatto sentire speciale; non gli aveva mai fatto mancare niente finchè non gli aveva portato via Clara. E quel pensiero bastava ad annullare tutti gli anni passati, a spezzare il legame di sangue che li univa… Clara, Clara, Clara! La sua Clara!

“Quando torno, se torno, non voglio trovarti qui.”

Il volto del Dottore si contrasse in una smorfia di dolore, ma John finse di non vederlo. Salì al lato guidatore, mise in moto l’auto e partì. Senza ancora una meta precisa, ma tanti pensieri da affogare e lasciar scorrere via nelle fredde acque dei fiumi scozzesi.

 

 Era ormai a due ore da Londra, sull’autostrada verso Glasgow, quando il cellulare cominciò a squillargli. John aveva preso le ferie dal lavoro, ma aspettava comunque un paio di telefonate dall’Ingegnere capo per chiarire alcuni punti di un paio di progetti in via di approvazione. Non si preoccupò di guardare l’identificativo del chiamante prima di rispondere con un tranquillo:

“Pronto?”

“Eleven...”

Il cuore gli si fermò un millesimo di secondo prima di fargli male, stretto in una morsa crudele, in una presa spinosa e serrata.

“Clara...” Un sussurro senza fiato, più simile ad un gemito di agonia. Avvertì il corpo attraversato da un formicolio fastidioso che lo spinse istintivamente a mettere la freccia per potersi fermare nella prima area di sosta possibile: “cosa vuoi?”

“Voglio parlare. Per favore, voglio spiegarti....”

John accostò finalmente, fermando l’auto e portando la fronte contro il volante chiuse gli occhi:

“ Spiegarmi cosa? Come sei finita a letto con mio padre?” La interruppe con un ritrovato vigore ed un tono duro che non poteva essere il suo. Clara si gelò prima di cominciare a tremare nel corpo e nella voce. Al di là del telefono, John poteva accorgersi però solo del secondo particolare:

“Io... non sono andata a letto con lui...” Una nota incerta nella voce della ragazza convinse ancora di più John del contrario:

“Sei una pessima bugiarda. Me ne accorgo quando menti, Clara.”

“Non ho fatto sesso con lui!” E questa volta il tono di Clara era più sicuro e deciso, quasi convincente:

“John, devi credermi.... io voglio stare con te. Io amo te!”

“Forse é vero, forse no. E forse... forse non mi basta. Perché ami anche lui. E lui ama te. Non ci posso convivere con questo.” Sospirò ascoltando il silenzio tra loro prima di continuare:

“Sai, ho creduto che tu potessi salvarmi. Ho voluto fidarmi di nuovo, innamorarmi di nuovo ed é stato....meraviglioso in un certo senso e terrorizzante allo stesso tempo. Ed era eccitante, mi hai fatto sentire di nuovo vivo. Mi hai resuscitato, Clara...” e poteva sentire il principio di un singhiozzo dall’altro lato, Clara non riusciva a parlare e lui continuava: “… ma mi hai anche ucciso. Mi hai dimostrato che alla fine non eri tu ad avere ragione ma io: non mi é concesso di essere felice. Non potrò mai più fidarmi, non potrò mai più innamorarmi. Di nessuno. Non più di te, di certo.”

“John… ti prego, ho bisogno di vederti, di stare con te… non mandarmi via…”

I singhiozzi di Clara si erano fatti più intensi, accompagnati da parole incomprensibili che potevano essere scuse, suppliche o negazioni. John non sapeva dirlo, ma con fredda sorpresa scoprì che non gli importava:

“Clara, io ti lascio andare. Mi hai tolto tutto: ogni sentimento, ogni forma di amore.” Gli aveva sradicato dal cuore anche e soprattutto l'amore per suo padre :

“Non voglio più vederti, non voglio più sentirti... per favore, non chiamarmi più, non costringermi a bloccarti o cambiare numero. Addio Ragazza Impossibile. Mi mancherai.”

Staccò la telefonata senza aspettare una risposta. Mise il telefono in tasca e volse lo sguardo al cielo con la mente vuota da qualsiasi pensiero ed il cuore di ghiaccio privo di ogni emozione. Un formicolio nuovo ed anomalo gli percorse la pelle lasciando il corpo in una sorta di torpore. Avviò nuovamente il motore dell' auto sorridendo  inespressivo alla strada, lo sguardo triste, e nella mente l’immagine di se stesso che percorreva il letto vorticoso di un fiume.

 
***

Clara aprì la porta del suo appartamento provvisorio e restò sorpresa nel trovarsi avanti proprio il Dottore. Aveva gli occhi arrossati, come i suoi. Sul viso lo stesso sguardo che vedeva ogni volta che lei stessa si guardava allo specchio.

Lo lasciò entrare, perché non poteva fare altro.

John era andato via, l’unico che invece sarebbe dovuto restare. Loro due invece erano alle prese con i loro sensi di colpa ed i rimpianti. Forse era un pensiero comune quel ‘e se invece’ silenzioso che si insinuava tra le sinapsi, penetrava nel sistema nervoso e guidava i gesti. Non sapevano dirlo con certezza. Così come non sapevano dire come di preciso erano finiti in camera da letto, Clara schiacciata tra lui ed il materasso, la camicia del Dottore sbottonata, i fianchi di lui incastrati in quelli di lei.

I respiri si scontravano, violenti. I baci erano duri e sapevano di rimpianto. Il corpo di Clara tremava, con la consapevolezza assurda che non era il bisogno ad unirli in quel momento  ma la disperazione. Perché John non c’era per nessuno di loro e, in qualche modo, lo cercavano l’uno nell’altra.

Avevano rinunciato al ‘noi’ e per cosa? John era andato via lo stesso. John aveva deciso di estrometterli dalla sua vita, di spezzare il legame paterno, di non amare Clara… e allora perché resistere ancora? Perché respingersi ancora? Che senso aveva continuare a reprimere le emzioni?

Le carezze si alternavano a baci sempre più amari, con il timore intenso di raggiungere e sfiorare posti più intimi man mano che gli strati di tessuto sui loro corpi si annullavano. La pelle  bruciava, ma il fuoco che li divorava dall’interno era più intenso delle fiamme dell’ Inferno.

I corpi ricoperti di uno strato di sudore freddo accompagnato da una strana foschia che annebbiava lo sguardo. Una nebbia rossa che li circondava come un’illusione, un’allucinazione folle che dava a Clara la sensazione di essere immersa nel cratere di un vulcano, con i fumi di zolfo a stordirla ed il ribollire della lava incandescente sotto di lei che la bruciava.

C’era qualcosa di sbagliato in tutto questo, e lo sapeva. Lo sentivano entrambi. Eppure le mani di Clara si insinuarono oltre il bordo dei pantaloni del Dottore, raggiungendo velocemente il bottone sul davanti. Quelle di lui si insinuarono invece sotto l’orlo del reggiseno, ma se ne tirarono rapidamente via quando la punta delle dita sfiorò la morbidezza delle curve del seno. Sgusciarono via come fossero state ferite, come fossero state ustionate da un fuoco gelido, attraversate da un formicolio doloroso; gli sembrava di aver toccato dell’acido, bruciava, eppure non riusciva a fermarsi, reagendo d’istinto e spingendo ancora se stesso contro di lei.

Un gemito lasciò le labbra di entrambi, quando le loro intimità si scontrarono con i vestiti ancora ad impedirgli di unirsi.

Le labbra si sfioravano, combattevano tra loro gonfie e disperate. I loro sguardi incatenati erano la loro condanna, così magnetico l’uno per l’altra da impedirgli ogni volontà di movimento volontario, lasciando che solo l’istinto li guidasse; desiderosi di unirsi in quell’unico corpo, più uniti di quanto in realtà non fossero mai stati, crogiolandosi nei fumi del piacere e del calore di ciò che gli bruciava la pelle; i cuori indomiti sembrava volessero esplodere, battendo fragorosamente l’uno contro l’altro alternando pause e cadenza in un’unica melodia nei loro toraci ormai nudi che si toccavano.

Le gambe di Clara avvolte attorno ai fianchi del Dottore, le mani di lui ad alzarle l’orlo della gonna mentre lei gli tirava giù la zip e gli spingeva via con forza i lembi dei pantaloni dai fianchi.    

Gli occhi di Clara erano diventati due pozze scure, nel cui calore però era dolce affondare. Quelli del Dottore, invece, erano diventati l’oceano burrascoso di una grigia giornata di pioggia autunnale dalle cui onde però era dolce farsi cullare. Un’oscurità profonda nella quale Clara si sarebbe abbandonata volentieri, senza paura, quegli occhi che tanto, troppo le ricordavano John.

Fu quel breve pensiero a farle battere le ciglia. Un solo millesimo di secondo senza contatto visivo che indusse anche il Dottore a realizzare la complicazione degli eventi che sarebbero derivati dal loro rapporto.

“Clara… fermami…” Col corpo che si muoveva autonomamente, oscillò contro di lei per un istinto che non riusciva a fermare da solo:

“ …per favore... fermami…”L’uomo affondò disperato il volto contro il collo di lei, baciandone la pelle con dolcezza e continuando a pregarla di fermarlo:

“… questo non è giusto…”

Avvertendo la durezza del Dottore che continuava a premersi contro di lei, Clara soffocò un gemito incontrollato, finendo con l’ingoiarlo dolorosamente mentre cingeva la testa del Dottore con le sue braccia. Stese le gambe, lentamente, lasciando la sua presa sui fianchi dell’uomo in un poco utile tentativo di allontanare il contatto tra le loro intimità, ma avvertendolo ancora più duro contro il suo osso pelvico ed il desiderio insoddisfatto che si contorceva alla base del ventre la torturava di più.

Clara strinse l’abbraccio, ingoiando un ennesimo gemito, stavolta però di dolore. Non fisico, ma dell’anima:

“Va bene. Va tutto bene.” E nel frattempo, portò le dita ad intrecciarsi tra i riccioli grigi dell’uomo ad accarezzarlo: “ E’ sbagliato… lo so anch’io. Va bene così.”

Il Dottore sospirò quasi sollevato. Sciolse lentamente la presa delle sue mani sul corpo di Clara, carezzandole prima i fianchi  per poi poggiarsi sugli avambracci ai lati di lei, iniziando un tentativo di spostare il suo peso incombente e lasciarla libera. Si ritrovò invece le mani tremanti di Clara a prendergli il viso ed incatenare di nuovo i loro sguardi, prima di farle scivolare dietro la sua nuca e spingerlo nuovamente contro di se. Le braccia avvolte attorno alla testa di lui, col viso del Dottore sprofondato contro il suo collo.

“No… non muoverti. Voglio sentirmi il tuo peso addosso. Per favore. Solo questo. Dammi solo questo.”

L’uomo non protestò, arrendendosi all’abbraccio della ragazza. Limitandosi semplicemente a spostare i suoi fianchi da quelli di lei e posarsi invece accanto,fianco contro fianco, premendo il bacino contro il materasso.

I loro corpi erano finalmente fermi; freddi in superficie, bruciavano all’interno per un desiderio doloroso, represso e non consumato. Un desiderio sbagliato che ben presto si trasformò in un disagio nauseante per entrambi. Le lacrime del Dottore si mescolarono con il velo di sudore che ricopriva in piccole perle salate la pelle giovane di Clara, o forse erano le lacrime della ragazza che, dai suoi occhi, scendevano lungo il collo e raggiungevano il viso di lui.

Rimasero così, stretti in un disperato abbraccio nel tentativo di farsi forza a vicenda.

Poco importava se l’erezione dell’uomo premuta contro il materasso rientrava lentamente e provocava una compressione fastidiosa che gli doleva notevolmente nel bassoventre. Poco importava se i loro respiri faticavano a stabilizzarsi, scossi da lacrime inespresse per troppo tempo. Ancor meno importava che il peso di lui le impedisse di respirare correttamente. In loro vi era la necessità di prolungare quell’attimo, il bisogno impellente di bruciarsi all’infinito. Per Clara, la sensazione inebriante di sentirsi mancare il respiro con la sua sola vicinanza, sentirlo tremare contro di se. Condividere un dolore che nessun’altro nell’Universo intero avrebbe mai potuto comprendere.

In quell’abbraccio, in quel contatto più intimo di un qualsiasi tipo di rapporto sessuale, entrambi trovarono la risposta al loro dolore. John aveva riempito le loro vite e le aveva svuotate. Nessuno nell’Universo avrebbe potuto sostituirlo, nemmeno l’uno per l’altra potevano compensare quel vuoto lasciato.

Nella penombra della stanza si udivano solo gemiti di pianto soffocato; solo dopo quelle che sembrarono ore i respiri divennero regolari e gli occhi, incrostati di lacrime secche, si chiusero di stanchezza.

 

 
Il mattino si era presentato con nubi scure e la pioggia battente che si frantumava contro il vetro della finestra. Gli oscuranti lasciati aperti la sera prima lasciavano intravedere il cielo plumbeo di Londra ed il vento che soffiava via foglie secche e la spazzatura dei mercati del quartiere.

Clara aprì gli occhi, trovando il Dottore accanto a lei, steso a pancia in su, le mani unite dietro la testa, intento a guardare concentrato il soffitto.

“Buongiorno…”

“Buongiorno dormigliona. Come stai?”

“Non lo so. Un po’ frustrata, forse…” Lei si stiracchiò, sospirando pesantemente. Lui invece si lasciò scappare una leggera risata capendo il senso di quelle parole:

“Già. Ti capisco.”

Clara si mosse nel letto, girandosi di fianco per poter guardare meglio l’uomo. Non provava imbarazzo, ma una strana sensazione di familiarità ed un po’ di nostalgia. Tanta nostalgia.

“Sei sveglio da molto?”

“Si.”

“Sei rimasto…”

“Si.”

“Perché?”

“Perché…” Il Dottore sospirò: “ Ho pensato fosse maleducato andare via senza salutarti. Per la seconda volta.” Le sorrise senza guardarla.

“Non devi andare via.”

“Si, invece. Devo finire di preparare i bagagli.”

“Intendevo… non hai più bisogno di partire. Non devi più andare via.”

“Si invece. Non vado via per John o per te. Vado via perché è quello che sono, te l’ho già detto.”

Clara tirò un po’ le ginocchia verso il corpo, chiudendosi quasi in una posizione fetale e finendo con il sfiorare il fianco della gamba dell’uomo. Avvertì un sussulto del corpo di lui, ma non si tirò indietro dal lieve contatto delle loro pelli.

“Mi dispiace. E’ che… so di aver rovinato tutto. Ho distrutto la tua famiglia e non era quello che volevo.”

“Clara… non è colpa tua. Almeno non è solo colpa tua. E… pensavo potessimo provarci, io e te…”

“Anch’io. Ma non funziona, vero?”

“No.”

“Sai, non mi dispiace. Nel senso, ci sto bene con questo; il non noi intendo.”

“Già… in un certo senso anch’io. Quello che provo per te resta, però. Ed è strano.”

“E’ lo stesso per me. Ma so anche che se ti amassi completamente sarebbe come ieri sera, non lo sentirei giusto e so che per te è lo stesso.”

“Si… vorrei poterci provare, però.”

Quelle parole aleggiarono tra loro come libellule dal volo irregolare e nervoso, nuotavano nel denso silenzio che si era creato e gelava l’aria. Nemmeno i loro respiri si sentivano, nonostante il torace del Dottore si alzasse ed abbassasse regolarmente.

Infine, Clara si costrinse a portarsi lentamente seduta, stringendo il lenzuolo con le mani davanti a se per coprirsi in un improvviso e ritrovato pudore, cambiando totalmente discorso:

“Vuoi fare colazione?”

“Posso usare prima la doccia?” Lui semplicemente rispose, chiudendo gli occhi.

“Certo. Non devi mica chiedermelo. Preparo qualcosa da mangiare, nel frattempo.”

“Va bene.”

Clara si alzò dal letto, indossando una t-shirt presa a caso dalla sedia finita chissà come accanto al letto e si diresse verso la porta. Il Dottore rimase sdraiato sotto le lenzuola continuando a guardare il soffitto come se fosse la cosa più interessante del mondo. Poi quando Clara aprì la porta della camera per uscire in corridoio il Dottore la richiamò:

“Clara.” Si voltò a guardarla nell’esatto momento in cui anche lei si voltò a guardare lui. Le sorrise continuando: “Sai… puoi continuare a stare a casa, se vuoi.”

Casa Smith. Clara lo aveva capito. Guardò verso la finestra scuotendo dolcemente la testa rispondendo:

“No. Dopo le vacanze l’Università mi darà un appartamento provvisorio. A Maggio mi laureo e… poi chissà. Comincia una nuova vita. Forse insegnerò in qualche scuola privata, per cominciare.”

Il Dottore la guardò senza respirare, con il terribile ed acre sapore del sonno che gli rovinava la bocca. Non ripose, limitandosi a pensare che nell’espressione che Clara aveva in quel momento vi leggeva più anni di quanti in realtà la ragazza ne avesse davvero. Era come se improvvisamente fosse diventata più donna, affascinante come sempre ma irresistibile come non mai. Il cuore gli si serrò facendo male, mentre si portava seduto al centro del letto e poggiava i gomiti sulle ginocchia, il lenzuolo a coprirlo fino al bacino e lo sguardo perso chissà dove.

“Vado a preparare la colazione.”

Si alzò solo quando sentì rumori di stoviglie e mobiletti che si chiudevano proveniente dalla cucina. Si lasciò scivolare via dalla pelle ogni residuo di ciò che non avevano consumato durante la notte, rilassando i muscoli tesi sotto il getto caldo.

La colazione fu silenziosa ma piacevole, con quel senso di familiarità che c’era sempre stata anche in casa Smith. Era come se, nel non fare l’amore, avessero trovato un’altra forma di intimità. Il desiderio era ancora forte, chissà finchè sarebbe durata. Ma erano anche consapevoli che non potevano andare oltre, che la loro unione non avrebbe dato risultati fruttuosi. Semplicemente non erano l’uno il destino dell’altra.

Quando Clara accompagno il Dottore alla porta, entrambi si sorridevano ma lo sguardo era triste.

“Tornerò tra sei mesi. Resto pochi giorni prima di una nuova assegnazione.”

Clara annuì senza rispondere.

“Ci vediamo, allora?”

“Va Dottore, e salva il mondo.” Gli sorrise aggiungendo: “E grazie per avermi fatta sentire speciale.”

“Grazie a te per lo stesso motivo.”

Un ultimo abbraccio, questa volta meno teso di qualsiasi abbraccio avessero condiviso in precedenza, prima di dirsi addio.

Nessuno dei due ancora sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo.

 
***

 John  avrebbe percorso ogni fiume percorribile in kayak della Scozia, si sarebbe rilassato tra i fiumi alpini del confine Italo-austriaco, avrebbe conosciuto gruppi sportivi con i quali unirsi in avventure estere emozionanti e spericolate. La Nuova Zelanda in particolare gli sarebbe rimasta nel cuore, l’unico posto che davvero era riuscito a strappargli emozioni sincere.

Avrebbe anche conosciuto altre donne; alcune dolci, passionali, alcune voluttuose come e più di Tasha. Ma nessuna di loro però era Clara. Il vuoto nel suo cuore non si sarebbe mai colmato né col sesso né con l’amore di qualsiasi altra donna.

Nessuna sarebbe mai stata come Clara.

Voleva restare lontano da casa solo una quindicina di giorni, inizialmente. Ne sarebbe stato lontano per cinque mesi. E probabilmente non sarebbe tornato per altri sei se non avesse ricevuto quella telefonata.

 

“Pronto?”

“John Connor Smith, figlio di John Duncan Smith?”

“Si, sono io… chi è lei?”

“Capitano Jack Harkness dell’Esercito Britannico. Chiamo per darle notizie di suo padre e… c’è stato un attacco al campo medico in cui era stanziato…”

E tutto l’odio era scomparso.

 

 
Ritorno al futuro…

 
Il primo sorriso del bambino spuntò non appena Clara prese il cucchiaino, raschiò lo zucchero dal fondo della sua tazza di caffè e la portò alle labbra del piccolo.

“Gli piace lo zucchero al caffè.” Clara sorrise inconsciamente mentre osservava il piccolo succhiare il bocconcino dolce, concentrando infine lo sguardo illuminato sul giovane di fronte a lei che le rispose:

“Tu ami il residuo di zucchero sul fondo della tazza… una volta ho provato a rubartelo e mi hai quasi ucciso col cucchiaino… era la tua arma preferita, se ricordo bene! Mi sembra strano vedere che vi rinunci.”

Clara scoppiò a ridere, ricordando l’evento di anni prima e l’immagine particolare di lei che inseguiva John per tutto il soggiorno con un cucchiaino tra le mani come unica arma.

“Si, è vero! Ma con lui ho imparato che… per i figli si può rinunciare a tutto ciò che ami. Per renderli felici sei disposto a tutto. Soprattutto se sei da solo a crescerli.”

Lo sguardo nostalgico negli occhi della ragazza lasciò intuire a John cosa o chi le stesse in quel momento attraversando la mente. Anche lui pensò al Dottore, avvertendo un misto di emozioni represse per troppi anni e con le quali mai aveva voluto fare i conti. La sensazione più strana, però, era che, ad un certo punto, guardando il bimbo, gli sembrò quasi di riuscire a comprendere il concetto prima che gli sfuggisse rapidamente dalla mente lasciandolo nella confusione più totale.

Il silenzio che si era creato sembrò infiltrarsi tra loro come un parassita fastidioso. John avvertì un’ondata di fuoco che gli bruciava lo stomaco finchè non udì nuovamente la voce di Clara, più brava di lui a cambiare o riprendere un discorso:

“Colin. Lo abbiamo chiamato Colin.”

“Un nome scozzese. Ovvio.” Un sorriso inespressivo sul volto mentre continuava: “Senza offesa ma… somiglia più a lui che a te.”

Mentre Colin si lasciava scappare uno sbadiglio, allungando poi le braccia verso John e farfugliando una parola incomprensibile, Clara sospirò cercando di tenerlo in equilibrio:

“Ti sbagli.” Alzò Colin dalle sue gambe e lasciò si sporgesse verso John il quale, senza possibilità di opporsi, non potette fare altro che sporgere anche le sue di braccia e prendere il piccolo mentre Clara continuava:

“Non è tuo fratello, se è questo che pensi. Ce l’ho in affidamento. Non sono io sua madre.”

“Come? Io pensavo..”

Clara si lasciò scappare un sorriso amaro interrompendolo con un tono serio:

“Se ti dicessi che io ed il Dottore non ci abbiamo provato mentirei, ma… non stiamo insieme. Non c’è stato nulla di…fisico tra noi. Avremmo voluto, non lo nego. Ma tu eri sempre lì, in mezzo a noi, a dirci che era sbagliato. Ed avevi ragione.”

Colin si sistemò tra le braccia di John, fissandolo da vicino con i suoi occhietti azzurri e luminosi.

John si sentiva come sospeso a mezz’aria, con una confusione apocalittica nella menste e nel cuore una misera speranza che, come brace sotto la cenere, desiderava solo di essere alimentata. Non sapeva come prendere il discorso di Clara. Non sapeva come fare per osare e chiedere una seconda opportunità e se era il caso di farlo.

Con quel bambino tra le braccia ora più di prima era confuso. Perché quelle somiglianze che aveva visto in lui si erano dimostrare un’illusione eppure erano visibili ancora. Perché sentiva che c’era altro ed aveva paura di chiedere per non soffrire ancora. Erano passati due anni ed era ancora quel ragazzo timoroso delle emozioni.

Nonostante questo, però, non potette fare altro che sorridere ed arrendersi ad un lieve calore che si diramò nel suo petto quando l’espressione imbronciata di Colin si rilassò in un sorriso timido mentre portava le manine sul viso di John.

“Dadada”

“Sembrava essere un po’ indietro con il linguaggio, ma i suoi occhi erano furbi. Forse c’era una qualche spiegazione, doveva solo conoscerlo meglio. Voleva conoscerlo meglio, così come voleva ancora vedere Clara.

“Visto? Avevo ragione. Gli piaci.”

John sorrise concludendo:

“Tu hai sempre ragione.”

E in quelle parole c’era un significato più profondo di quanto sembrasse.

 
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Nota:

 Scusate la lunga attesa, ma il lavoro non mi da tregua, il caldo fa passare la voglia di accendere il pc (nonostante io ami il caldo e sono l’unica a sopportarlo tranquillamente xD) ed ogni volta che apro un foglio di word c’è sempre altro da fare nella vita reale. Ho voluto comunque pubblicare un capitolo più lungo del solito, cercando di dare una spiegazione ed una chiusura ad alcune cose lasciate in sospeso visto che Agosto molto probabilmente lo prendo di pausa ed ad inizio Settembre forse sarò a Londra, chissà xD.

Intanto voglio giustificare il ‘Connor’ ed il ‘Duncan’ aggiunto al ‘John Smith’ di Eleven e Twelve e dico solo: “Mi chiamo Connor ( dopo viene Duncan) McLeod, del clan McLeod e sono l’ultimo degli Immortali.
Perché? Perché si u.u Anche se li ho attribuiti al contrario, Connor è il più vecchio dei due immortali, ma io l’ho dato ad Eleven che il più giovane tra i due Dottori xD
Per il resto della storia: spero non siate rimasti delusi dalla vera origine del piccolo Colin. Non è figlio biologico di Clara, ma devo ancora raccontare qualcosa su di lui. Inoltre, il prossimo capitolo sarà interamente dal punto di vista del Dottore e concentrato totalmente su di lui e ciò che davvero gli accade; quindi come al solito, vi chiedo di non dare nulla per scontato né in questo capitolo né nel prossimo.  

Altra premessa che faccio è questa: credo di aver fatto un pò di confusione con gli appunti che avevo preso per questa storia (pezzi scritti non in ordine cronologico da inserire in capitoli successivi) e che per errore ho preso, modificato ed incollato non ricordo dove in  You're in my Soul e... ho fatto un pò di casino. Quindi se notate qualche somiglianza (non dovrebbero essercene però perchè il contesto è completamente diverso) in alcuni punti Twelve/Clara  con questo capitolo e qualcuno di quella storia, bè.... fa caldo, ho la testa confusa, non ho la pazienza di controllare quale parte ho confuso e non modificato come dovevo. Tanto nel caso ho copiato me stessa xD

Grazie infinite comunque a tutti voi che seguite ancora la storia. Spero che abbiate goduto di questo capitolo. Al prossimo spero ci sarete ancora <3

 

 

 

   
 
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