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Autore: ehitsfrannie    28/07/2015    1 recensioni
Esistono Tre Pietre: la pietra dell'equilibrio, quella della saggezza e dell'amore. Tre Pietre essenziali per far tornare la magia a Storybrooke. Il compito di trovarle viene affidato ad Alice, una ragazza tormentata dal suo passato turbolento che sarà costretta a lottare contro i Cattivi più malvagi delle fiabe. Per fortuna (o sfortuna) ci sarà il Cappellaio Matto ad affiancarla in questo viaggio insieme ad un'altra ragazza temeraria tanto quanto il fratello.
Tre Pietre. Tre personaggi. Una sfida per ognuno di loro.
Riuscirà Alice a portare a termine la sua missione? Qual è il vero obbiettivo di Jefferson? Cosa centra Tremotino in tutto ciò? E se Capitano Uncino avesse una sorella?
[le parti di Rumbelle mi sono state gentilmente concesse dall'autrice padme83 alla quale vanno i crediti per le one shot della sua raccolta "In the morning you always come back" di sua totale creazione e stesura.]
Genere: Avventura, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Jefferson/Cappellaio, Matto, Killian, Jones/Capitan, Uncino, Signor, Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II


 

Alice sorseggiò il suo the limone e zenzero, mentre il foglio bianco della schermata del pc la osservava paziente e dall'icona accanto agli appunti lampeggiava allegro il titolo del suo nuovo romanzo.
Il terzo da quattro anni.
Era solo una bambina quando decise che la penna sarebbe stata la sua unica fonte di sostentamento, e poco sapeva di scadenze, scelte editoriali ed e-mail di rifiuto. Era convinta che il suo talento avrebbe incantato generazioni portando alla vita luoghi o persone che altrimenti sarebbero rimaste in eterno intrappolate nella sua immaginazione.
Scrittrice, questo era il suo mestiere, questa era la sua strada. Per questo, quando scoprì che poco lontano da Storybrooke vi era una scuola di scrittura creativa, non esitò a fare le valigie e trasferirsi da quel lontano zio di cui gli assistenti sociali le avevano parlato.
Dopo l'inaspettata morte dei genitori, Alice aveva passato otto mesi in ospedale senza mangiare, senza parlare, senza vivere. I ricordi di quella sera la tormentavano ad ogni ora, lasciandola con il respiro mozzato e gli occhi gonfi. Quegli incubi ballavano attorno al lettino d'ospedale soffocandola e accusandola di aver causato la morte delle due uniche persone che avevano provato a fare di lei qualcosa di buono.
E' colpa tua. Sei un mostro, dovevi morire tu al posto loro. Sei un mostro, gli hai uccisi tu!
Spesso si era chiesta chi fossero i suoi veri genitori e perché l'avessero abbandonata, ma mai aveva espresso il desiderio di cercarli per conoscerli. Forse perché non era di suo interesse o perché i suoi genitori adottivi si erano presi cura di lei quanto bastava, ma la verità era che Alice aveva paura. Paura di rimanere delusa. Di scoprire che i suoi genitori biologici erano morti o peggio, magari erano dei criminali o dei disagiati. Aveva paura di farsi del male, infondo aveva solo diciotto anni e seppur odiasse l'ignoranza e se ne tenesse ben distante, si rendeva conto che quello era il solo modo per proteggersi.
Così la ragazzina dai capelli ricci e crespi, gli occhi a mandorla color blu delle acque più limpide, i modi introversi ma educati aveva preferito vivere nel buio dell'inconsapevolezza pur di non soffrire.
Codarda.
Alice si era giurata di non scrivere più dopo il tragico incidente ma, ovviamente, aveva miseramente fallito. E ricominciando a scrivere, circondata da quelle mura bianche, gli incubi avevano mollato la presa. La fame era tornata, così come la voglia di vivere. Alice necessitava di un nuovo inizio.
Aveva cambiato città e, dopo un paio di settimane, si era ambientata in quella cittadina apprezzandone i paesaggi così diversi dall'Inghilterra in cui era nata e sopratutto le persone, bizzarre da sembrar appartenere ad un altro mondo.
Anche il suo tutore, Ernest Needle, era un personaggio alquanto particolare. Si alzava ogni mattina alle sei, né un minuto in meno né uno in più, e aveva la mania di allineare gli oggetti e guardare la televisione senza audio.
Inizialmente, Ernest le era sembrato un vecchio brontolone ossessionato dagli orologi e costantemente in ritardo per ogni cosa, ma in seguito aveva dimostrato una discreta premura nei suoi confronti e la ragazza aveva davvero apprezzato gli sforzi da lui compiuti per farla sentire “a casa”.
Ma dov'è casa?


''«Dove...dove mi trovo?»
Adele aprì pian piano le palpebre, notando di essersi svegliata in un letto caldo invece che con la schiena appoggiata al tronco di un albero nel quale aveva battuto il capo la notte precedente.
Sobbalzò spaventata quando vide seduto accanto al letto un giovanotto di poco meno di vent'anni, che la osservava con gli occhi spalancati.
«Vi siete svegliata, finalmente!» esclamò con voce allegra, balzando in piedi.
Adele si massaggiò piano la testa, mettendosi seduta. Si trovava in una casetta piccola, con il tetto a punta e le pareti colorate.
«Chi siete voi?» balbettò in direzione del ragazzo, che si portò il cilindro al petto e s'inchinò con fare teatrale.
«Jefferson Hatter*, per servirvi. Sono un viaggiatore. Vi ho trovato mentre raccoglievo funghi, suppongo stavate superando il confine per introdurvi nella Valle dei Tulipani.» affermò il giovane, passeggiando su e giù per la stanza. «Ciò che mi domando è: perché?»
Adele si morse il labbro, insicura se parlare allo sconosciuto del suo tentativo di scappare oppure tacere e non fidarsi ma, dopotutto, quello era lo stesso sconosciuto che l'aveva soccorsa. «Stavo fuggendo da Cora, io...»
«Cora?»
«Sì, la Regina di Cuori.»
Jefferson si arrestò sul posto d'un tratto. «Siete sua figlia Adele, non è vero?»
«Sì, lo sono. Ma vi prego, vi supplico non mandatemi via...»
Il Cappellaio osservò attentamente la ragazza davanti a sé. La sua disperazione era troppo evidente per lasciare indifferenti, e la sua bellezza di certo non aiutava Jefferson ad esprimere una scelta razionale.
Ma lui di scelte razionali non ne aveva mai fatte, e di certo non avrebbe incominciato quel giorno.
«No, non ho intenzione di mandarvi via.» esibì uno dei suoi più grandi sorrisi, mentre la ragazza arrossiva e si specchiava in quegli occhi tanto azzurri da far invidia al blu del cielo più intenso.”


Non sapeva quale grado di parentela li univa, probabilmente Ernest era lo zio di sua madre o il cugino del nonno...non ricordava esattamente, ma l'importante era che riuscissero a convivere pacificamente.
O almeno per il momento.
Fuori nevicava incessantemente da quando lei era arrivata. La coltre bianca aveva raggiunto pomelli delle porte, creando notevoli disagi e complicazioni ai poveri abitanti di Storybrooke.
Alice si riscosse dai suoi pensieri quando una mano le toccò la spalla, facendola sussultare e chiudere il pc di scatto.
«Scusa, non era mia intenzione spaventarti.» disse quella che poco prima le aveva servito l'ordine, soffocando una risatina. «Ho visto che stavi scrivendo e mi sono incuriosita. Di cosa si tratta?»
Alice incrociò i brillanti occhi marroni della ragazza, chiedendosi per quale ragione l'avesse disturbata mentre scriveva l'inedito letterario che avrebbe fatto la Storia.
Smettila di essere così acida. Lei sta solo cercando di essere carina e tu come al solito ti ritiri nel tuo guscio, avanti esci fuori!
Alice cercò di rilassare tutti i muscoli, sforzandosi di sorridere. «E' un romanzo sui pirati, ma la trama è appena abbozzata e sto tentando di inquadrare i personaggi dentro...»
«Ma è una forza! Scommetto che pubblicherai un sacco di copie, e sta pur certa che io ne avrò una.» la interruppe la giovane cameriera annuendo con sicurezza.
Tutto quell'improvviso interesse nei suoi scritti creò un profondo stupore che si fece spazio sul volto di Alice, coprendo la stizza e dandole il coraggio di porgere la mano alla nuova conoscente e sorriderle nel modo più convincente possibile. «Mi chiamo Alice.»
«Lieta di conoscerti, io sono Ruby! Sei nuova di qui? Non credo di averti mai vista, o almeno non in questo bar, sai...»
Prima che Ruby potesse incominciare la sua infinita lista di lamentele sugli orari lavorativi che era costretta a rispettare da Granny's, Alice ammise di essere arrivata solo una decina di giorni prima e che doveva ancora prendere mano con l'ambiente attorno a sé.
Ruby si diede un colpo sulla fronte con il palmo della mano. «Ma sì, tu sei la ragazzina inglese che Ernest ha deciso di ospitare!»
Più che altro non ha avuto scelta...
«E' stato un piacere conoscerti cara, ma ora devo proprio tornare a lavoro se voglio finire il turno, Granny sa essere così antica alle volte...spero di rivederti presto!»
Alice annuì incerta mentre la cameriera dagli abiti audaci e i modi frizzanti tornava ad occuparsi degli altri ordini. Ripensando divertita all'insolito personaggio appena conosciuto, Alice fece scivolare il portatile nel logoro borsone di pelle capiente abbastanza da contenere pc, librone da seicento pagine, quaderno con gli appunti e vari effetti che si possono generalmente trovare nelle borse delle donne. Lasciò il conto sopra il tavolo e uscì, lasciandosi avvolgere dalla nevosa serata.
Le strade erano impraticabili e i marciapiedi erano coperti da un sottile strato di ghiaccio; tuttavia la ragazza non si perse d'animo e, stringendosi la sciarpa viola al collo, s'incamminò verso casa sfidando le intemperie.
Nonostante la tenacia, Alice si ritrovò costretta a cercar riparo quando il vento iniziò a soffiare minaccioso. Se fosse proseguita con quel tempaccio, sarebbe tornata a casa in un'ora buona rischiando magari di ammalarsi.
Senza perdere tempo, si fiondò all'interno dell'edificio più vicino a sé e se l'insegna “Mr. Gold Pawnbroker & antiquities dealer” non fosse stata coperta dalla neve Alice avrebbe esitato prima di avventurarsi tra gli scaffali impolverati dell'uomo più temuto e potente di Storybrooke, i quali compaesani preferivano tenersi a debita distanza. 
Spinse la porta ed entrò, chiudendosela immediatamente alle sue spalle per impedire a quella tempesta di travolgere quello che sembrava un banco dei pegni.
Il suono della campanella d'ingresso annunciò la presenza della nuova cliente, che prese a girovagare tra i banchi e osservare con attenzione qualsiasi cosa si posasse sotto il suo sguardo. Notò manufatti di tutti i tipi dominare ogni singolo centimetro della stanza, un po' angusta e decisamente impolverata. Vi erano navi in bottiglia, servizi da the, penne a sfera, archi e frecce, addirittura bacchette e sfere trasparenti.
Sembra il covo di un mago, altro che banco dei pegni!
Aveva sentito parlare così tante volte di questo Mr. Gold da temere che fosse una celebrità fuggita dal mondo dello spettacolo rintanatasi nel Maine e datasi agli affari. Era famoso per i suoi sorrisi taglienti e i modi educati ma inevitabilmente gelidi e la scaltrezza e il sangue freddo che gli avevano permesso di ottenere tutto ciò che bramava.
Ma Alice, all'oscuro della vera identità di quell'uomo ambiguo, poteva giurare che c'era di più dietro tutto questo. E presto ne avrebbe avuto le ragioni.
«E' permesso?»
Quando Mr. Gold si accorse con crescente irritazione che qualcuno stava raggiungendo a passi lenti il retro del negozio, non si preoccupò nemmeno di nascondere in tono brusco delle parole con le quali informò che il negozio era chiuso.
«Mi scusi, ma fuori nevica e ho pensato che fosse meglio ripararsi fino a che il tempo non si fosse calmato...»
Nel preciso istante in cui Mr. Gold si voltò e poggiò lo sguardo sugli occhi del blu dei cieli più tersi che l'universo andò in frantumi, ed egli con lui. «Io...» fece una pausa, improvvisamente incapace di proferir parola. Ci mise un attimo per mantenere sotto controllo il leggero tremitio che si era impossessato della sua mano destra e, schiarendosi la voce, afferrò il suo bastone e lo strinse con forza.
E' lei. Deve essere lei. Solo che ancora non lo sa.
«...temo che dovrà andarsene. Le ripeto, signorina, che il negozio a quest'ora è chiuso.»
Alice, che non aveva badato alla brevissima seppur esplicita reazione dell'uomo alla sua vista, incrociò le braccia al petto assumendo un'aria di sfida. «E io, con tutto il rispetto, le ripeto che fuori sta diluviando
«Desolato, ma sono costretto ad insistere.» ripeté Mr. Gold, mantenendo l'aria seria ed indispettita.
«L'avverto, se ora mi fa uscire avrà sulla coscienza una ragazzina soffocata sotto la neve.»
Mr. Gold alzò gli occhi al cielo e accompagnò l'apparente sconosciuta verso l'uscita. Alice però non si arrese, e tentò un'ultima volta. «La prego, non è sicuro uscire con questo tempaccio.»
L'uomo stava perdendo completamente la pazienza, un minuto di più e sarebbe esploso. Tuttavia, decise di cambiare approccio in modo da giovare entrambi ma sopratutto a sé stesso.
«Le propongo un accordo.» disse, accennando un sorriso poco rassicurante. «Lei potrà restare qui finché la tempesta non si placa ma in cambio dovrà comprare qualcosa dal mio negozio.»
Alice aggrottò le sopracciglia, non del tutto sicura che fosse il momento per cantare vittoria. «Non capisco, anche se comprassi uno qualsiasi dei vostri gingilli per voi non cambierebbe nulla...il mio acquisto non avrebbe senso!»
«Infatti non dovrà comprare uno qualsiasi dei miei gingilli, perché sarò io a decidere quale lei dovrà prendere.»
Alice tacque, sospirando profondamente. Aveva finito le sue carte, non le restava altro se non accettare. «D'accordo, ci sto.»
Mentre il ghignò malefico di Mr. Gold si allargava ancora di più, egli si avvicinò ad una mensola e dovette utilizzare il suo bastone per far cadere l'oggetto posizionato nella mensola più alta. Lo afferrò al volo, per poi posarlo sopra il banco e mostrarlo ad Alice. «Si avvicini, prego.»
La ragazza si grattò il mento, pensierosa. «Un...contenitore? Che significato può avere?»
Ma, invece che darle una risposta, Mr. Gold svelò ogni mistero aprendo il coperchio del semplice contenitore di pelle per svelare un grande e nero cappello a cilindro.
«Un cappello. Vuole che compri un cappello?»
Mr. Gold rivolse alla sua cliente un'occhiata offesa e incredula davanti alla sua cecità. «Questo è il cappello. Non uno qualsiasi!»
Alice esitò, indecisa se scoppiare a ridere o stare al gioco, ma notando l'aria crucciata e severa di Mr. Gold preferì non tirare la corda, ma prendere quel dannato cappello e smetterla di fare domande.
Allungò le mani per afferrarlo e se lo posizionò sopra la testa. Era comodo, ma lei aveva la testa troppo piccola per poterlo portare. «Cosa devo farci?»
Mr. Gold sospirò, voltando le spalle alla giovane per ritornare nel retro del suo negozio. «Lanciarlo via.»
Lei poté solo fissarlo a bocca spalancata mentre egli si allontanava. Ora aveva finalmente trovato la giustificazione ai bisbigli malevoli, alle occhiate di compatimento e alla fama che precedeva quell'essere il quale nome veniva tuttavia pronunciato da ognuno con rispetto ed ammirazione: Gold aveva l'inebriante, eccitante consapevolezza di stringere tra le dita il destino delle persone.












*Hatter in inglese significa capellaio e siccome nella serie non specificano il cognome di Jefferson, ho pensato che questo fosse quello più adatto ;)




Here I am!
Eccomi di ritorno con il secondo capitolo! Qui le cose iniziano a svilupparsi: si scopre che Alice ama scrivere (una scelta ponderata, più avanti ne scoprirete il motivo) e che i suoi genitori addottivi sono morti in un incidente del quale Alice si colpevolizza. C'è anche Ruby, che si interessa alla nuova arrivata, e il signor Gold alias Tremotino (che nella ff chiamerò Rumplestiltskin perché mi piace molto di più hihi).
Mr. Gold sembra riconoscere Alice e le dona un cappello. uhuh, che funzione mai potrà avere? A voi le idee! lol 
Nel passato, Adele viene trovata da Jefferson che decide di aiutarla e i due iniziano a conoscersi meglio.
Per ambientare meglio la storia, dichiaro che Alice e Emma hanno la stessa età quindi se ora Alice ne ha diciotto, Emma ne ha diciotto. 
Non ho nient'altro da aggiungere. Spero che leggiate e commentiate in molti per farmi sapere le vostra opinione a riguardo! :)
A presto, 
Frannie. 

   
 
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