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Autore: PeaceS    29/07/2015    4 recensioni
Sequel di 3.00am
Lord Voldemort sembra scomparso: nascosto nell'ombra e in attesa di recuperare le sue forze, ricorda ai suoi avversari sporadicamente la sua presenza. Sono passati due anni e le premesse di Angelique si sono avverate: lui non è nel pieno delle sue forze e Albus Potter viaggia ininterrottamente per trovare un modo - un piano - che possa salvarli tutti. Nel mentre, Chrysanta Nott ritorna, ma il suo cuore appartiene già a qualcuno.
Il tempo passa e la verità sta per venire a galla: la vera identità di Scorpius sta lottando per uscire e lei, nonostante cerchi di cancellare ciò che è stato, sa che non sarà così facile.
Jackie Alaia e Joanne Smith giocano con i morti e Dalton Zabini con un libretto che, due anni prima, aveva reso Lily un mostro senz'anima.
Alice Paciock è passata al lato oscuro e si dice che suo fratello, ora, sia in giro per Londra... a dissanguare innocenti - e cercare di evitare l'unica donna che avesse mai amato, Roxanne Weasley.
Lucy Weasley, invece, è sempre più vicina al suo destino. E tra Mangiamorte, Demoni e Angeli, sente il fuoco dell'inferno cercare di bruciarla da dentro.
Lucifero è dentro lei.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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II.

 

 

 

Il Quartier Generale degli Auror, quel quattro ottobre, era come sempre gremito di persone; chi beveva caffè sperando in una botta di vita, chi scriveva qualcosa freneticamente per le ultime relazioni da consegnare al capo – chi ciondolava senza fare un beato cazzo e chi, invece, mangiava tutto pacioso nel suo angolino. E in quell'angolino c'era proprio Aaron Kruger, con la bocca sporca di cioccolato e l'espressione orgasmica di chi si sta godendo la propria colazione.
Munito di caffè bollente al caramello e una ciambella danas, si guardava attorno come se quel gran trambusto non lo scalfisse nemmeno di striscio; sorseggiò dal bicchiere di polistirolo e salutò con un sorrisetto genuino un suo compagno cacciatore.
Ah, pensò beato. Cosa c'era di meglio, dopo una notte di turno, di una bella colazione come quella? Si sentiva nella pace di Dio, nonostante fossero le sette di mattina e lui ancora dovesse chiudere occhio.
Cosa poteva esserci di megl...
« Io lo farò. »
Si strozzò con una scaglia di cioccolato e sputacchiò il caffè che aveva sorseggiato un attimo prima. Con gli occhi rossi e lucidi per lo sforzo e il viso chiazzato, fissò Roxanne Weasley chiedendosi perché diavolo comparisse alle spalle delle persone in quel modo. Dicendo quelle parole, poi!
« E tu sei venuta fin qui solo per dirmi questo? Non potevi aspettare che tornassi a casa? » sibilò Aaron, riprendendosi dallo shock e arricciando le labbra ancora sporche.
Rox alzò gli occhi al cielo.
« Ti sei fatto assegnare tutti i turni destinati agli altri cacciatori – stai persino facendo favori a tizi con cui non hai mai parlato pur di non tornare a casa, tesoro! » sbottò con le mani sui fianchi, scuotendo i suoi bellissimi riccioli bruni e fissandolo sul piede di guerra.
Aaron arrossì.
Era vero. Aveva così paura di affrontare quel discorso che aveva fatto di tutto pur di non tornare a casa – adducendo come scusa il lavoro.
« Cosa vuoi che ti dica, Roxie? Sei troppo testarda perché io ti faccia cambiare idea. Non posso lottare contro il tuo passato... devi farlo tu; mi sento solo messo da parte per un fantasma, perché solo l'ombra è rimasta del Franck che conosci tu e non mi va giù.
Perché prodigarsi tanto per il passato, quando hai il presente e il futuro a portata di mano? » mormorò Aaron, triste – strappandogli uno spasmo al cuore.
Era così uguale a lui. Roxanne a volte si sorprendeva della somiglianza tra i due e forse era proprio quello l'unico motivo che la teneva legata ad Aaron. Non era Franck ad essere un'ombra, ma Aaron. Era la sua ombra. L'ombra di quel passato che continuava a perseguitarla, crudele.
« Non voglio che tu mi ostacoli. » bisbigliò la ragazza, lisciandosi la maglia nera che le accarezzava il seno piccolo e i fianchi stretti.
Lui strinse gli occhi, ferito.
« Sai che non lo farò... »
Si alzò, buttando la ciambella e il caffè nel cestino più vicino. Oramai la fame gli era passata e cominciava ad essere stanco per tutte le ore lavorative che aveva accumulato in quei giorni.
« Non voglio che ti intrometta! » questa volta Roxanne urlò, afferrandolo per un braccio e costringendolo a guardarla negli occhi.
Era più alto di lei e in quel momento la guardò in modo indecifrabile, facendola traballare sulle sue stesse gambe. Mai, mai Aaron l'aveva guardata in quel modo, nemmeno nei loro peggior litigi.
Andiamo, Rox, ti chiedo solo un uscita!”
Lei così chiusa, triste, arrabbiata con la vita. Lei – con la bocca piena di veleno e il sesso facile. Solo sesso...finché non aveva trovato lui.
Non ti chiedo niente, solo un caffè. Forse che ne sai, ti innamori!” aveva detto quel giorno, con la pioggia che gli bagnava i capelli e gli occhi sorridenti.
Non si era innamorata, no.
Lui era così dolce, pacato, sensibile, quasi perfetto. Lui – con gli occhi pieni di speranze che lei non conosceva. Lui, che si era permesso di prenderla per mano quando erano stati insieme la prima volta.
Mi sa che hanno sbagliato a portarci il caffè”
Perché?”
Hanno dato a me quello con il filtro d'amore invece di darlo a te”
Roxanne si staccò di scatto, come se si fosse scottata e lui fissò il punto in cui l'aveva stretto con prepotenza. Non che fosse sorpreso da quell'attacco d'ira: sapeva che lei aveva l'incazzatura facile e che l'unico modo che conosceva per smaltirla era la violenza.
Quello che lo faceva star male era il motivo di quella violenza. Lei era così determinata a voler ritrovare Franck, da essere capace di lasciarlo lì – su due piedi, rischiando il licenziamento, la vita e pure l'anima se quel succhiasangue avesse affondato i denti in quel collo sottile e delicato.
« Vado a dormire a casa dei miei. Ieri sera mi hanno chiamato e rimproverato per la mia totale assenza in questi ultimi mesi...e allora vado a passare un po' di tempo con loro. C'è anche Ania a casa, approfitto per stare con lei.
« Ciao, Rox. » bisbigliò, regalandole un'ultima occhiata delusa e dandole le spalle.
La domenica prima era passato dai suoi genitori e Roxanne sapeva bene che quando c'era Ania con i bambini, non c'era nemmeno posto per mangiare – figurarsi dormire. Lo aveva ferito. Lo aveva ferito così tanto da allontanarlo come non era mai successo in tutto quel tempo che erano stati assieme.
« Povera, povera cherie... » cinguettò una voce alle sue spalle, inducendola ad alzare gli occhi al cielo per l'irritazione cutanea ed istantanea che le portava anche solo quel suono.
Quante volte ti ho detto di stare zitto, Louis? La tua voce mi provoca allergia! » sibilò cattiva, rovesciando il capo verso il suo caro cuginetto francese.
Louise rise, divertito.
Sarà perché aveva vissuto in Francia nei suoi diciassette anni di vita e aveva fatto visita ai suoi cugini poco e niente o sarà che i suoi amici e amiche erano bambolotti dal temperamento poco impulsivo, ma la sua famiglia era un vero e proprio spasso!
Amava osservare le varie reazioni di quei cugini così diversi tra loro... ma così uguali quasi da dargli nausea. Oramai anche sua sorella Dominique era diventata come loro, nonostante il sangue Veela nelle vene; quella cosa – non sapeva nemmeno lui perché – lo faceva imbestialire e non poco.
« Il tuo caro Aaròn ti ha dato bucà? » ridacchiò frivolo, mentre Rox mimava di ficcarsi due dita in gola per quell'accento ridicolo che si portava appresso.
« Sai che non ti chiaverei nemmeno se fossi l'ultimo uomo rimasto sulla faccia della terra? » sussurrò Rox carezzevole, sbattendo civettuola le lunga ciglia nere e facendolo inciampare sui suoi stessi passi.
Stavano oramai camminando tra la folla di persone che si accalcavano nei vari reparti e Louis si trattenne dall'azzannarla alla gola come avrebbe fatto il suo caro ex fidanzatino morto.
« Io una bottarella da dietro te la darei... » sghignazzò il ragazzo, bloccando due cacciatori che andavano al lato opposto.
Roxanne lo guardò con aria schifata – arricciando il naso e fissandolo tra il disgusto e l'ironia.
« Chissà perché la maggior parte dei francesi che conosco sono quasi tutti gay. E incestuosi. » ridacchiò una bella voce, che Roxie avrebbe riconosciuto tra mille.
Molly Weasley si fece largo tra la folla, con i suoi bei capelli biondo rame e il sorriso sereno di chi ha tutto nella vita. O niente.
Rox si chiedeva spesso come facesse ad andare avanti con il pensiero di essere... di essere sulla bocca di tutti. Un medimago senza braccio. Un medimago che più volte non aveva potuto curare i suoi pazienti per il suo handicap.
« Forse perché ci divertiamo più di voi! » esclamò Louis angelico, strappando una risata a Molly.
Aveva cambiato colore dei capelli, modo di vestirsi – quello di porsi verso gli altri. Aveva cambiato quel rossetto che ad Hogwarts metteva appena la Mcgranitt girava gli occhi, quasi innamorata di quel prugna carico; le rughe, nonostante fosse di così piccola età, le solcavano un po' gli occhi e la fronte – per tutte le operazioni che aveva dovuto subire. Per tutte le batoste che aveva dovuto affrontare.
« Hai proprio ragione, tesoro » sospirò Molly, teatrale, mentre Rox alzava gli occhi al cielo e Louis ammiccava nella sua direzione.
« Che ci fai qui, Molly? » domandò la ragazza di colore, in un modo dolce che Louis non aveva visto usare nemmeno con i suoi genitori.
Molly sorrise, mostrando la propria borsa di cuoio con pazienza.
« Sono venuta ad acchiappare Lysander, anche oggi non si è presentato per firmare le carte della seconda operazione alla colonna vertebrale » soffiò Molly, dispiaciuta, mentre Rox arricciava le labbra in modo ironico.
Idiota. Lysander era un vero e propria idiota.
« Quello non lo trovi mai. Se ne sta sempre in giro a fare qualcosa » sibilò incattivita, ignorando il cartello “vietato fumare” proprio dietro le sue spalle e accedendosi una di quelle diavolerie babbane che amava fin da Hogwarts.
Aspirò dal filtro, guardando sua cugina con aria lontana, assente... votata ad una notte dove aveva perso ogni cosa.
« E perché credi che abbiano incaricato me? » sorrise Molly e lì, Louis, riuscì a vedere la tristezza quasi scavalcarla. “Ho un handicap e lo so” sembrava urlare.
Ho un handicap e non posso fare nulla per cambiarlo” e il francese cercò di immedesimarsi in lei. Nascere e non trovarsi mai in una determinata situazione era un conto...ma piombare in una certa situazione, in un modo assolutamente imprevedibile, era tutto un altro paio di maniche.
« Buongiorno, Stewart! » cinguettò Molly improvvisamente, facendo sobbalzare i due cugini e illuminandosi come se avesse appena scoperto di potersi riattaccare il braccio.
Un uomo sulla quarantina si bloccò alle spalle della Weasley, sbadigliando vistosamente e fissandoli con un paio di occhiaie che avrebbero fatto concorrenza a quelle di Dracula in persona.
« Un corno! » sibilò sbattuto, passandosi una mano tra i capelli castani macchiati appena d'argento sulle tempie.
Molly allargò ancora di più il suo sorriso, facendo quasi morire di diabete sua cugina Roxie.
Edivad Stewart era un tipo abbastanza singolare – per questo non si sorprese quando vide sua cugina Molly quasi sciogliersi nello zucchero; sembrava che tra Weasley e Potter a scegliersi la propria metà era un vero e proprio calvario, visto le situazioni in cui poi si ritrovavano tutti quanti.
Edivad oltre ad essere un vecchiaccio della malora, come gentilmente lo apostrofava Lucy ogni qualvolta che si trovava a contatto, era praticamente intrattabile. Impartiva ordini a destra e sinistra, essendo più anziano, e sbraitava dalla mattina alla sera come se avesse un chiodo perennemente ficcato su per il culo.
Era arrogante, burbero, dispotico, insolente e anche abbastanza stronzo, ma a Molly piaceva. E pure tanto – visto la melassa di cui sembrava essersi avvolta appena lo aveva visto.
Bah, pensò Roxanne.
Le donne non le avrebbe mai capite, nonostante facesse parte della categoria.
« Non è una buona giornata per te? » ridacchiò Molly, tirando giù la manica del camice bianco sul braccio mancante. Edivad se ne accorse, ma fece finta di nulla.
« Non sarà mai una buona giornata finché sarò circondato da mocciosi incompetenti e il Ministero in generale! » sbraitò l'uomo, spostando poi gli occhi blu sulla seconda Weasley nel suo raggio visivo.
« E tu, maledetta, non sai leggere i cartelli? » sbottò guadagnandosi solamente un dito medio in piena faccia e un « Me ne vado a casa, arrivederci... ai vecchi e non! » con tanto di uscita di scena sculettante.
« Weasley » ringhiò, assottigliando lo sguardo « la rovina del mondo! » dovendosi rimangiare poi tutto mentalmente per lo sguardo che ricevette dalla rossa che era rimasta al suo fianco.
Molly era così carina da potersela mangiare con gli occhi, questo lo aveva ammesso con se stesso da un anno oramai, ma poteva – e DOVEVA – assolutamente accontentarsi solo di quello. Adorava il suo comportamento mite e allegro, quel suo risvegliare persino i morti, e non voleva rovinarlo con la sua perenne scontrosità. Cosa più importante, poi, era che poteva avere l'età di sua figlia... se ne avesse mai avuta una, almeno.
« Non arrabbiarti, Ed. Io ora devo andare, ma spero che questo possa risollevarti di mortale! » dicendo questo, gli aprì delicatamente il palmo – sorprendendolo per quel contatto improvviso – e gli mise qualcosa in mano.
« Buona giornata! » e volò letteralmente via, lasciando dietro di sé un gradevole odore di sandali ed estate. Edivad guardò con un sorrisetto il cioccolatino a forma di cuore che quella svitata gli aveva lasciato.
Donne...chi le capiva era bravo. Ma chi avrebbe capito le Weasley, era un vero e proprio genio. Erano una girandola di personalità diverse e accostamenti così singolari da far girare la testa e Edivad era sicuro: quelle si capivano solo tra di loro... il resto doveva limitarsi ad accontentarsi delle briciole.

 

Dall'altra parte dell'Inghilterra, invece, qualcuno che con i Weasley ci aveva avuto a che fare per ben sette anni, guardava assorto fuori dalla finestra – con gli occhi spenti e vuoti e l'espressione di chi è morto dentro.
Alice Paciock era avvolta da un magnifico abito rosso sangue e sembrava una regina; seduta sulla mensola che le permetteva di guardare fuori dall'immensa finestra che torreggiava alla sinistra della sua camera, non aveva nulla della ragazzina che tempo prima aveva camminato per i corridoi di Hogwarts – trionfa.
I capelli, ora lunghi, ricadevano in morbide onde sulle spalle nude e fragili, ricadendo nella scollatura a barca che mostrava il seno piccolo e sodo; il corpetto delineava una vita sottilissima, mentre la gonna morbida copriva le gambe scheletriche. Aveva le labbra rosse tese in un'unica linea e i sandali dal tacco alto quasi scintillarono alla luce delle candele che volteggiavano nella stanza.
« Ti ho chiamata. »
Alice non spostò gli occhi verdi dalla distesa di rose nere che si estendevano proprio sotto la sua finestra, quasi persa in un mondo che oramai non le apparteneva più.
« Ho preferito non partecipare al Meeting. Non mi sento molto bene » la sua voce non era più accesa e trillante, ma un sussurro che sembrò perdersi nel vento.
Lord Voldemort fissò gli occhi vermigli su quella bambina, chiedendosi – per la prima volta in vita sua – a cosa stesse pensando. Alice Paciock era un mistero per lui: un guscio vuoto senza emozioni o sentimenti di sorta e la mente quasi serrata da un lucchetto. Il corpo scheletrico e il volto di una Dea misericordiosa.
Alice Paciock aveva l'aspetto che ti aspetti abbia la morte. Labbra scure, incarnato pallido e il volto di una bambola. E il volto inanimato di chi prende anime senza chiedere nemmeno il permesso.
« Il tuo corpo sta bene. » sibilò Lord Voldemort, che sembrava aver perso il suo aspetto serpentesco. Era resuscitato... e la sua anima si era ricostruita daccapo. Aveva un cuore che non gli apparteneva e un sangue che lo rinforzava ogni giorno di più.
La sua pelle era così sottile da mostrare ogni singola venatura e ora aveva i capelli neri come l'ebano – quelli che da giovane gli avevano permesso di ottenere la coppa di Tassorosso da un'anziana signora. Aveva ancora le iridi rosse e oblique come quelle di un serpente, ma un naso che ora gli permetteva di rendere il suo viso quasi umano.
Lord Voldemort sogghignò. Umano, che parola così poco consona per una persona come lui.

« Questa mattina mi sono allenata e sono stremata, mio Signore » bisbigliò Alice, rovesciando il capo verso di lui e lasciando che i capelli ricadessero in una morbida cascata sulla schiena.
Umano, che parola sciocca. Che aggettivo insignificante. Lui non aveva nulla di umano – nemmeno le emozioni – ed era fiero di questo; gli bastava poco per ottenere ciò che voleva... e non era stato certo il suo umanismo ad aiutarla.
« Stai pensando al tuo bel principe Corvonero, Alice? »
Lei serrò lo sguardo, sentendo un sordo dolore al petto che ogni qualvolta al solo sentir nominare Lysander gli bloccava il respiro. Non rispose, chiudendo ancora una volta la sua mente.
Odiava il tono ironico con cui il Lord Oscuro nominava il nome di Lys. Odiava il modo in cui se ne prendesse gioco, come se lei non stesse mettendo a rischio la sua vita per vendicarlo. Per proteggerlo. Per saperlo immune a qualsiasi attacco.
« Pensavo ad Avery. » mentì, questa volta guardandolo scura in volto.
Ah, cos'era diventata.
Chi era diventata per compiacere Tom Riddle. Oramai non riusciva a guardarsi nemmeno allo specchio per il disgusto che le si rovesciava nelle vene quando pensava a cosa si era ridotta per entrare nelle grazie di Lord Voldemort.
Lui, alto – con quel mantello nero che gli accarezzava il corpo pallido, coperto di cicatrici. Lui, con quella voce sottile – simile a quella di un serpente, che non si era fatto incantare dai suoi occhi verdi e la sua abilità nel mentire.
Alice era stata sfacciata, languida, prepotente. Alice era stata tentatrice e dopo parecchie moine credeva di aver vinto; si era fatto toccare da un morto, da un mezzo Dio, da un uomo che d'uomo non aveva nulla. Era diventata una bambola tra le sue mani grifagne e si era lasciata soccombere da quell'aura nera come la peste.
« Hai scoperto qualcosa? » era sempre alle sue spalle e sembrava che dopo quella rinascita avesse imparato.
Tom Riddle aveva imparato a non sottovalutare l'avversario, ad ascoltare chi aveva qualcosa da dire e quel cuore di demone – che non avrebbe mai battuto – sembrava avergli donato un qualcosa che ora non concentrava la sua mente sul potere... ma anche su altro.
« Ogni notte si reca a Londra, in un locale Babbano di bassa lega » soffiò gentilmente, osservando un corvo posarsi proprio sul davanzale fuori la sua finestra.
Nero. Come la sua anima. Sinistro. Come i sentimenti che l'animavano. Solitario. Come lei stessa aveva imparato ad essere. Portatore di sventure. Come avevano soprannominato lei da quando era entrata a far parte di quel gruppo di assassini.
« In...un...locale... Babbano? » la voce di Lord Voldemort incespicò, infuriandosi sull'ultima parola pronunciata.
I suoi occhi vermigli s'infuocarono e Alice tremò internamente – come aveva imparato a fare da quando si trovava al suo cospetto. Il Lord Oscuro... ah, quanto l'affascinava; quasi invidiava il modo in cui non si lasciasse sfiorare dai sentimenti umani, rimanendo granitico e freddo come solo la pietra sapeva essere.
« Nasconde molto bene i suoi spostamenti e ha imparato ad ergere una barriera quando si trova in vostra presenza. » sussurrò con tono ossequioso, quasi divertita.
Tom stava perdendo punti. Mai nessuno aveva osato tradirlo e ora si ritrovava già a quota due. Ultimamente stava facendo cilecca con i suoi poteri da legiliments... cosa che Alice adduceva allo sforzo che aveva dovuto fare per riprendersi dalla rinascita.
« Passa informazioni agli Auror? » la sua voce ora era un sibilo di serpente e Alice non osò alzare lo sguardo su di lui. Sapeva bene quanto il suo Lord odiasse le brutte notizie e il vizio cattivo di prendersele con chi ne era portatore.
« Protegge la sua famiglia Babbana, mio Signore. Inizialmente credevo anch'io ad un tradimento del genere...ma indagando ho scoperto tutt'altro; non sospettava minimamente in una vostra rinascita e – nonostante fosse ed è tutt'ora un vostro grande sostenitore – si è innamorato di una Babbana » la sua voce era flautata e il suo cuore lontano.
Avery era un uomo terribile, di questo ne era a conoscenza anche lei. Aveva inflitto torture orribili a Babbani e
Mezzosangue... ma Alice sapeva che all'amore non era possibile comandare e anche il più spregevole dell'uomo può provare dei sentimenti.

Dalla gola di Lord Voldemort uscì un suono strozzato e la ragazza alzò lo sguardo prima che una lingua infuocata la piegasse in due. Urlò, cadendo dalla mensola con le ginocchia piegate sul pavimento di pietra grezza.
« Amore? AMORE? » strillò furioso, torreggiando su di lei con il mantello quasi aperto a ventaglio alle sue spalle.
Il cielo si oscurò e il Signore Oscuro rise acidamente – fissandola con sprezzo.
« Voi e l'amore...»
Sogghignò e proruppe in una risata cattiva. Alice alzò finalmente lo sguardo vuoto su di lui, impassibile esternamente; i suoi occhi verdi non mostrarono emozioni e la sua bocca rimase in una linea sottile.
« Dov'è? » mormorò, ora fintamente calmo.
« Non lo so » e l'ennesima frusta infuocata le piegò la schiena – strappandole un urletto addolorato.
« Pensaci bene, mia cara.
Dov'è? » e il suo tono, questa volta, non ammetteva repliche.
Un rivolo di sangue le accarezzò le labbra e Alice poggiò i palmi sulla pietra, senza osare alzarsi.
« Dovremmo aspettare che arrivi al Quartiere e coglierlo di sorpresa, ma non so dove abbia nascosto la sua famiglia. » specificò meglio l'ex Tassorosso, tendendo i tendini e chiudendo completamente la mente.
E lì...lì ringraziò la magia oscura e il come alcuni incantesimi l'aiutassero a non lasciare nemmeno uno spiraglio libero nella sua testa.
« Bene. » e con quelle ultime parole si scatenò la sua furia, incontrollabile, inarrestabile... con quell'accenno demoniaco che aveva aumentato solamente i suoi poteri.
E fuori da quella porta, Michael Moyer sentì le urla della Paciock superare i decibel previsti per un essere umano normale; poggiò la testa contro la porta di mogano scuro e un ciuffo di capelli biondi gli coprì gli occhi bluastri.
Un minuto e le grida fecero volare via corvi e avvoltoi, provocando uno spasmo a Michael – che continuava a non muoversi da quella stessa posizione.
Due minuti e quelle stessa grida divennero gemiti, mentre alle sue spalle comparvero alcuni Mangiamorte – pallidi per la furia che sentirono oltre quella porta.
Tre minuti e Michael sperò ardentemente che il Lord Oscuro abbassasse la bacchetta o Alice non sarebbe sopravvissuta.
« Si è finalmente deciso a togliersela dalle palle? » la voce sarcastica di Giselle McAdams ferì le orecchie di Michael, che alzò gli occhi gelidi su di lei – immobilizzandola sul posto.
« Se non cominci a chiudere quella bocca velenosa che ti ritrovi, Giselle, l'unica che ci toglieremo dalle palle sarai proprio tu. E sarò io stesso a togliermi questo sfizio » sibilò – storcendo la bocca ora violacea in un ghigno irrisorio.
Michael aveva trent'anni e la carriera di assassino professionista alle spalle. Figlio di un Mangiamorte, nipote di un Mangiamorte e così via, facendo parte di una famiglia che per avere sangue puro nelle vene aveva commesso incesti e reati terribili.
Michael aveva i capelli biondi del padre, il suo fisico asciutto e snello e l'altezza che incuteva timore anche al più impavido degli uomini. Gli occhi blu e la carnagione mulatta, però, erano di sua madre. La sua bellissima e dolcissima madre.
« Per caso vuoi azzannarmi, Moyer? » lo prese in giro Giselle, anche se senza reale divertimento. Sapeva perfettamente che lui sarebbe stato capace di farlo – e anche senza alcun rimorso.
« E avvelenarmi con il tuo sangue cattivo? No, grazie! »
La sua bellissima e dolcissima madre, la donna lupo col sangue più puro d'Inghilterra. La donna che era stata legata, impossibilitata a trasformarsi e poi costretta ad un rapporto con l'essere spregevole che era suo padre; lei, che avrebbe potuto partorire l'erede perfetto, con un sangue purissimo e capacità straordinarie.
Lei, che poi era stata uccisa appena aveva dato alla luce quel bambino dagli immensi occhi blu. Quel Principe dei Lupi, che non avrebbe mai raggiunto il suo Habitat naturale, ma che avrebbe dovuto piegarsi alla volontà di un psicopatico umano.
« Ha finito... » Jackson McAdams tese l'orecchio, zittendo la sorella con un brusco cenno della mano.
Michael si tese e si staccò appena in tempo, prima che la porta si aprisse con un cigolio e sbattesse – come mossa da un vento furioso. Alzò lo sguardo e si ritrovò a guardare il diavolo in persona.
Se solo avesse potuto...
« La rivoglio in sesto tra mezz'ora. Sarà indetta una riunione speciale. »
Dietro di sé lasciò il silenzio – con un alone di terrore e aspettativa che fece tremare le vene nei polsi dei tre ragazzi.
Jackson bestemmiò e Michael si precipitò nella stanza, ignorando anche i sibili furiosi di Giselle.
« Quest'idiota sarà la nostra rovina! » con un colpo di bacchetta la McAdams si chiuse la porta alle spalle e insonorizzò la stanza, legandosi i capelli bruni e ricci con stizza.
« Oh, ma sta zitta! Non fingere che t'importi! » sbottò Michael, toccando il volto di Alice – un ammasso di sangue e carne tritata.
Se solo avesse potuto... Se solo avesse potuto, Michael avrebbe ucciso il Lord Oscuro, strappandogli arti e membra senza pietà.
« E tu non fingere che la tua cara e amata Paciock non si faccia sbattere da Lord Voldemort! » sbottò Giselle, sogghignando con la sua bella bocca rossa e provocando uno spasmo nelle spalle del ragazzo.
No, su quello non avrebbe mai potuto fingere. Michael sapeva bene dove andava di notte, quando spariva e tornava all'alba – con le occhiaie e lo sguardo vuoto. Sapeva bene perché quando s'infilava sotto la doccia, quasi si consumava la pelle con la spugna.
Quasi tutti sapevano che il Lord Oscuro nutriva una perversa ossessione per la piccola Paciock. E quasi tutti sapevano che la Paciock studiasse la magia oscura come se ne dipendesse la sua stessa vita – nonostante avesse combattuto contro di loro anni prima.
« State zitti, tutti e due! » la voce baritonale di Jackson li fece sobbalzare e Alice ridacchiò, attirando l'attenzione dei tre.
« Collasso per cinque minuti e vi ritrovo a scannarvi... ragazzi, dovreste veramente smetterla o qui non sarò l'unica a rimanerci le penne » disse tra uno sputacchio e un altro, mentre il sangue la imbrattava interamente.
« Idiota! » sbottò Giselle, guardandola con gli occhi azzurri incendiati.
Si piegò su di lei nel suo abito color pervinca e strinse i denti – furiosa; quella maledetta era capace di farsi ammazzare senza pensare alle conseguenze e onestamente, non potevano permetterselo. Lei, Jackson e anche quello stronzo di Michael avevano bisogno di Alice Paciock per riuscire nei loro piani e tutto sarebbe andato in fumo se quella maledetta si fosse fatta venire in mente di suicidarsi.
« Non potete mica pretendere che vivi in eterno. I piani rimangono quelli anche se ci lascio le penne, sapete? » bisbigliò Alice, gemendo appena quando Jackson poggiò le mani sul suo sterno – senza proferir parola.
« Fosse così facile non ci affideremmo a te, stronza di una Paciock! » sibilò la McAdams, mentre, come suo fratello, si metteva all'opera.
Michael non fiatò. Odiava darle ragione, ma Giselle aveva ragione; loro, come lui, avevano quello che Diamond – quando era a capo dei Mangiamorte – aveva chiamato il cip. Loro, con quei poteri così speciali... con quei particolari che avrebbero potuto rovesciare quell'impero creato con tanta fatica, erano stati sottoposti ad un'operazione non dopo di quattro anni prima.
Il cip, che impediva loro di attaccare o fare del male a chi avesse il marchio nero come loro. Il cip, che impediva loro di aprir bocca e spifferare ogni movimento dei Mangiamorte a chiunque non avesse il marchio nero come loro.
Imprigionati. Controllati. Incatenati.
« Tu sei quella che aspettavamo da una vita, Alice... e non puoi farti uccidere. Abbiamo bisogno di te per fuggire, per salvarci » la voce di Jackson era calma e bassa e non la stava aggredendo.
Già. Quei tre avevano bisogno di lei per fuggire da quella vita fatta di omicidi e sofferenze. Di fallimenti, dolore, lacrime.
« Mi dispiace » bisbigliò, lasciando che le mani curative dei due gemelli la guarissero dalle ferite.
Sì, le dispiaceva perché quei tre – nonostante vi ci uccidesse, vi ci odiasse e le tante volte che si erano insultati pesantemente – erano diventati la sua famiglia. La sua unica famiglia. E lei cercava sempre sollievo nella morte, nonostante studiasse ventiquattro ore su ventiquattro per rovesciare Voldemort e vendicare finalmente Lysander e la sua famiglia.
« Cerca di informare gli Auror della moglie e del figlio di Avery... non saranno a sicuro per molto in quella bettola a Londra. » continuò Jackson, senza smettere di passare le mani sul suo corpo.
Nayaṁ, ecco cos'erano. Guaritori, con quelle mani delicate e speciali. Assassini, capaci di assorbire ciò che avevano guarito e indirizzarlo a chiunque avessero voluto.
Diamond aveva fatto bene i suoi conti, in passato. Aveva creato un piccolo esercito inchinato all'Oscuro Signore e niente, niente avrebbe potuto fermarlo quella volta.
Tranne lei. Perché anche lei stava reclutando un piccolo esercito e quella volta il bambino sopravvissuto non era solo.
E non lo sarebbe stato mai più.

 

✞ ✞ ✞

 

 

 

Albus Potter tirò fortemente dal filtro in bilico tra le labbra screpolate, guardando il mare estendersi meravigliosamente sotto i suoi occhi. La luna era alta nel cielo e la pace lo assalì, strappandogli un brivido.
« Preludio di tempesta. »
Al girò lo sguardo smeraldino verso la voce flautata che gli aveva rivolto la parola, buttando fuori il fumo e sorridendo debolmente alla donna che si sedette al suo fianco.
« Ciao, Margarita. » mormorò, spegnendo la sigaretta nella sabbia e affondandoci dentro le mani – per guardare in alto.
Margarita Coronado si riavviò i capelli argentei con un gesto delicato delle mani dalle dita lunghe e pallide, guardando con gli occhi rossi quello strano umano, atterrato da pochi giorni nella sua terra.
« Salve, Albus » sorrise con la bocca violacea e carnosa – inclinando il capo per osservarlo meglio.
Nella sua lunga vita aveva incontrato parecchi uomini, ma lui...lui aveva qualcosa che lo distingueva da tutti gli altri. Lui aveva qualcosa che lo rendeva puro come un bambino e pericoloso come un demone.
« Credo anch'io che questa sia la calma che precede la tempesta, sai? È tutto troppo calmo e piatto per essere reale » mormorò il ragazzo, lasciando che la brezza marina gli scompigliasse i capelli neri come l'ebano.
Una grossa cicatrice gli deturpava la guancia destra, mentre le labbra erano state fatte a pezzi da quelli che sembravano morsi rabbiosi; sembrava nascondere tanto, quell'uomo, con le sue spalle fragili. Sembrava nascondere troppo, con quel corpo sottile – ma agile, in grado di superare monti e tempeste, ostacoli insormontabili, fino ad arrivare lì.
La sua famiglia sapeva bene per dov'era passato Albus Potter prima di arrivare nelle loro terre. Sapeva bene con chi aveva parlato, discusso, con chi aveva stretto amicizia prima di presentarsi lì – con qualche dono per l'accoglienza che gli era stata preservata.
Suo padre aveva detto che era un gioiello prezioso, il piccolo Albus, ed era raro incontrare qualcuno con l'anima così pura – intatta dalle cattiverie umane e Margarita non aveva potuto che concordare con lui.
Lei lo sentiva. Lei riusciva a percepirlo.
« Non è facile sconfiggere un demone, sai? » sussurrò con la sua voce flautata, guardando le onde infrangersi l'una contro l'altra – annullandosi e ricreandosi in un giro infinito.
Albus annuì, consapevole. Erano anni che cercava, cercava... ed erano poche le informazioni che era riuscito a cavare dagli esseri con cui aveva avuto a che fare.
« Ma ultimamente ho ascoltato molto...sai? »
Gli occhi smeraldini di Al si fossilizzarono su di lei, ora attenti e Margarita sorrise – lisciandosi l'abito di seta con dolcezza.
« Sono diventati rumorosi. Parlano tutti assieme, sono così eccitati.
Si stanno muovendo e il loro Padrone assoluto è in assoluta estasi » mormorò Margarita, quasi deliziata da ciò che aveva potuto percepire con i suoi poteri. Con la sua testa, a cui erano arrivati i bisbigli tramite il vento.
« Ciò che tu cerchi, Albus Potter, è a casa tua. Ce l'avete sotto il naso tutti i giorni e per voi è prezioso come non mai... ma dovete sacrificarlo per uccidere il serpente dagli occhi rossi » continuò, misteriosa come pochi.
Le sue unghia laccate di nero penetrarono nella sua spalla e le labbra violacee arrivarono a pochi centimetri dalla sua bocca – velenose.
« E solo allora lui morirà... provocando l'apertura dell'inferno e innalzando la nuova regina. » finì, strappandogli il respiro.
E Albus seppe che erano nella merda quella volta. La questione si stava rivelando più difficile del previsto... e nessuno di loro era pronto a tutto ciò.
La guerra, quella volta, riguardava qualcosa che andava oltre.
Oltre all'umana concezione. 

   
 
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