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Autore: Tomi Dark angel    30/07/2015    5 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Mille uomini armati di sangue e male intenzioni
Non potranno cambiare il mondo,
Ma due innamorati…
Essi cambieranno l’intero universo
Con la sola forza di uno sguardo.”  
 
Salvare il mondo, non è poi tanto semplice come lo sarebbe dirlo o anche semplicemente a pensarlo. Centinaia di migliaia di vite, centinaia di migliaia di creature esistenti che pesano su un unico paio di spalle all’apparenza troppo fragili per sostenere tutto quel peso. Un ragazzo sarebbe troppo giovane per una cosa del genere, così come lo sarebbe un vecchio di duecento anni. Non si è mai pronti a salvare il mondo, non si è mai pronti a concepirne la possibile distruzione. Chiunque crollerebbe e anche la mente più sana si accartoccerebbe su se stessa, lasciando spazio alla follia per puro gesto di disperazione.
Al contrario, bisognerebbe essere già pazzi per sopportare tanto peso senza perdere il senno di conseguenza. Fortunatamente, Stiles Stilinski è nato folle, e folle ha intenzione di morire.
Da quando è giunto a capo di un esercito che mai nessuna creatura nell’universo ha mai avuto modo di immaginare o di vantare, Stiles ha imparato a mantenere una serafica calma. A dispetto di tutto, non ha perso se stesso e continua a sorridere e a fare battute. Resta un ragazzo, eppure al contempo appare più maturo, più deciso, come uomo fatto e finito racchiuso in occhi di bambino. Non perde di vista i suoi nuovi alleati e affida ai suoi compagni più stretti il compito di sorvegliarne le mosse: Valefar e Minosse non fanno che scorrazzare dappertutto, intenti a sedare piccole zuffe e scatti nervosi di demoni che ancora non ricordano del tutto cosa significhi comportarsi umanamente. Stiles non li incolpa, ma deve assicurarsi di non aver messo la sua vita e quella del branco nelle mani di chi potrebbe tradirli da un momento all’altro.
Per questo, Stiles si premura di conoscerli tutti, di parlare con ognuno di loro. Memorizza nomi e timbri vocali, volti e potenzialità. Alcuni appaiono come semplici esseri umani, mentre altri non si preoccupano minimamente di nascondere il proprio aspetto demoniaco. A Stiles va bene, ma il branco, Melissa e lo Sceriffo non la pensano così: si tengono a debita distanza, fanno il possibile per non infastidire o anche solo rivolgere la parola agli altri demoni. Stiles fiuta il loro nervosismo, il senso di allerta che non li abbandona mai. È giusto, eppure lo intristisce pensare che forse, anche lui è capace di spaventarli a tal punto.
-Dobbiamo far evacuare la città.- esclama improvvisamente Lydia, raggiungendo Stiles in mezzo alla calca di gente che affolla l’intero bosco. Molti demoni sono in giro, altri ancora spariscono e riappaiono continuamente. Stiles non ha idea di quanto sia grande quell’esercito, ma qualcosa gli dice che la risposta potrebbe terrorizzarlo.
-Eh?- risponde Stiles, stordito dalla stanchezza. Da tre giorni non fa che correre avanti e indietro e da tre giorni gli tocca sedare risse, atterrare demoni troppo nervosi e dialogare con chi ha trascorso migliaia di anni a massacrare anime dannate. Non ha avuto nemmeno il tempo di trovare Derek o di concedergli un abbraccio. Dopo il loro ultimo incontro, Stiles lo ha perso di vista e la sua lontananza rappresenta per lui un dolore quasi fisico. Fa male non incrociare i suoi occhi, fa male non avvertire la sua presenza accanto, come uno scudo che mai dovrà cadere. Senza Derek, Stiles si sente fragile e troppo vulnerabile.
-Hai sentito: dobbiamo proteggere la città.- sbotta Lydia, premendogli un dito sul petto.
-In che senso?-
-Nel senso che questo sarà l’occhio del ciclone, giusto? Lucifero verrà a cercarti qui.-
-Sì…-
-E quanta gente ci andrà di mezzo mentre entrambi giocherete a Bruce Lee contro Chuck Norris?-
-Hai rag… aspetta, hai visto quel film? Quando?! Io dov’ero in quel momento?-
Lydia si passa una mano sul viso, stressata. –A comandare qualche altro esercito di demoni schizzati, immagino. Dobbiamo evacuare, Stiles.-
-E come?- sbotta Stiles, esausto. –Li convinciamo che degli alieni stanno per scendere dal cielo direttamente in casa loro? L’unico che potrebbe crederci è il coach, ma solo perché è un grande fan di Indipendence Day.-
A sorpresa e contro ogni previsione… Lydia sorride. –Non mi sembra il caso.-
Volta appena il capo, verso il capannello di demoni più vicino che improvvisamente si apre per rivelare… il branco. Al completo. Accompagnato da Chris Argent, lo Sceriffo, Melissa e Peter. E c’è anche Derek, lì con loro. Fissa Stiles in viso, bellissimo e austero come solo uno splendido lupo potrebbe essere. Stiles non lo ricordava così bello, così indomito, come una foresta selvaggia e indistruttibile.
-Prima che mi penta della domanda, devo chiederlo: chi ha avuto l’idea che state per propormi? Se si tratta di Peter, la risposta è NO.-
Peter alza gli occhi al cielo. –Quando comincerete a fidarvi di me?-
-Quando sarai legato, imbavagliato, decapitato e in preda alle fiamme di un incendio che ti impedirà di combinare guai.- risponde Stiles di rimando, sorridendo quando nota Derek tossicchiare divertito alle spalle di suo zio.
-L’idea è mia.- afferma Allison, avanzando per raggiungere Stiles e guardarlo da vicino. Il giovane demone nota che la ragazza lo fissa con una punta di preoccupazione, ma Stiles sa bene di avere un aspetto pietoso. Pare invecchiato di dieci anni, ha gli abiti strappati e l’ombra di un bel paio di occhiaie sul viso. Avere a che fare con tanti demoni, non gli fa bene.
-Oh, allora ok. Che si fa?- sorride Stiles, cercando di mantenere quel suo contegno spiritoso che potrebbe aiutarlo a risollevare il morale di tutti.
-Be’…-
 
È appena mezzogiorno quando alla centrale di polizia, avvertono un cambiamento nell’aria. C’è qualcosa di diverso, qualcosa di sbagliato. E, di qualunque cosa si tratti, non è nulla di buono.
La terra. La terra sta tremando. Violentemente, con tanta veemenza da aprire piccole crepe nei muri delle abitazioni. Il rombo della grande Madre che si sveglia genera il panico nei poliziotti così come nei normalissimi civili. Cosa possono le autorità contro un terremoto? Come si combatte contro delle abitazioni che rischiano di cedere?
Le tazze di ceramica cadono dalle scrivanie, alcuni quadri appesi ai muri crollano, i poliziotti si immobilizzano come prede che pregano di non esser catturate dal predatore in procinto di attaccare.
Lo Sceriffo Stilinski attende, recita la sua parte. Non riesce a credere che il motivo di quel sisma sia… suo figlio. Il suo piccolo Stiles, il ragazzino che a malapena riusciva a difendere se stesso. Eppure adesso, quello stesso ragazzino ha sprigionato una sola scintilla di energia, un solo barlume di forza per far tremare la terra abbastanza da inquietare tutta Beacon Hills. E lo ha fatto da solo.
-Che… diavolo era quello?- esala il poliziotto più vicino.
-Un terremoto?- risponde lo Sceriffo pochi minuti prima che suoni il telefono. Per qualche motivo, la linea è rimasta intatta e lo Sceriffo prega che anche la corrente non scompaia a causa del sisma. In quel caso, sarebbero guai seri.
Un altro squillo, un’altra richiesta d’essere ascoltati. A rispondere ovviamente, è proprio Stilinski.
-Ci siamo.- dice semplicemente Lydia, e nella sua voce, lo Sceriffo scorge l’ombra di un sorriso. –Ho inviato i diagrammi sismici al vostro pc e credo di essere stata abbastanza convincente. Melissa è pronta ad evacuare l’ospedale, ma dovrete contattare le città limitrofe per chiedere aiuto o non sfollerete mai in tempo.-
È un suicidio e se solo i suoi collaboratori sospetteranno qualcosa, lo Sceriffo perderà molto più del suo posto di lavoro. Certo, non ci sarà modo di spiegare razionalmente come ha fatto a prevedere l’arrivo di un sisma, ma di certo, se Lydia non ha lavorato come doveva ai grafici e non ha hackerato la casella postale della presidentessa dell’associazione controllo terremoti, gli altri poliziotti potrebbero scoprire qualcosa che non dovrebbero. Come una combutta organizzata per far sfollare la città e salvare il mondo, per esempio. Dio non voglia che vadano a dare una controllata ai boschi.
Lo Sceriffo si sente sull’orlo del precipizio. Ora, ha due scelte: rischiare il posto per salvare il mondo, o correre il rischio e mantenere il suo lavoro al cento percento. Se non fosse uno stramaledettissimo Stilinski, ci penserebbe due volte.
-Contattate il sindaco!- urla nel caos generale. –Abbiamo un grosso problema!-
-Di cosa parla?- domanda il poliziotto più vicino.
Lo Sceriffo inspira a fondo e prega in silenzio che la voce non gli tremi mentre mente spudoratamente a un suo collaboratore: -C’è una faglia sotto la città. Se a questa scossa ne segue un’altra, il terreno potrebbe cedere e Beacon Hills potrebbe sprofondare.-
Il poliziotto sbianca, apre e chiude la bocca. I pugni si serrano, il corpo trema e improvvisamente, lo Sceriffo si chiede come reagirebbe se solo sapesse la verità. Gli verrebbe un infarto, probabilmente.
Poi, il miracolo. E la prova che ancora una volta, quei maledetti Argent ne sanno una più del Diavolo: -Cosa dobbiamo fare, signore?-
 
-Gli abitanti di Beacon Hills si stanno preparando, signore. Il piano ha funzionato.- annuncia una giovane ragazza dai capelli neri e gli occhi violetti, quasi bianchi. All’apparenza sembra cieca e troppo magra, quasi anoressica, ma Stiles sa che è meglio non provocarla, lei più di molti altri demoni. La sua reale forza infatti, è direttamente proporzionale alla debolezza che emana il viso scarno e gli occhi scavati, le mani scheletriche e le gambe troppo magre.
Il male è ingannevole, il male si finge debole per attirare gli incauti e poi esplodere in tutta la sua devastante potenza. Stiles questo lo sa bene, e lo sa anche la ragazzina, che in sé incarna esattamente il concetto di quella frase.
-Grazie, Vassago. E non chiamarmi signore, per la miseria! Mi fai sentire come Darth Vader di Star Wars!-
Vassago lo fissa interdetta per qualche attimo prima di annuire dubbiosa e allontanarsi. Zoppica appena, segno che fatica ad intrecciare la forma demoniaca con quella umana. Ad alcuni capita, e deve fare un male cane perché ossa umane e ossa animali non si incastrano bene tra loro.
Rimasto solo tra i miseri resti di casa Hale, senza nessuno che lo guardi o lo giudichi, Stiles si concede finalmente di crollare in ginocchio. È stanco, ha bisogno di riposo e sinceramente, continua a pensare che quella guerra sia solo l’inizio della fine. Ha sfidato Lucifero e già questo comporta l’Apocalisse. Ma Dio? Dove è finito lui? Stiles ha paura della risposta.
Moriranno in tanti, questo lo sanno tutti. Stiles farebbe qualsiasi cosa per evitarlo, perché neanche i demoni del fronte avversario meritano di sfracellarsi in milioni di particelle. Si disperderanno nel nulla e di loro si perderà finanche il ricordo.
E lui? Cosa accadrà a lui quando morirà? Non spera di sopravvivere, non è così stupido. Combatterà con Lucifero e morirà a testa alta, facendo il possibile per trascinarselo dietro o quantomeno per rispedirlo all’Inferno una volta per tutte. Deve essere bello disperdersi nel nulla. Dimenticare tutto, abbandonare Inferno e Paradiso. Forse sarà libero, anche se dimenticato. Non ha voluto dire a Derek che, se anche morissero entrambi, non resterebbero comunque insieme: Stiles è un demone, e i demoni quando muoiono, spariscono e basta. Ma va bene, è giusto così. Derek salirà in Paradiso, e questa per Stiles è la più grande delle vittorie. Se ne andrà in pace, difendendo quanto di più giusto abbia mai toccato la sua vita. Nato nella fragilità di una famiglia sana ma cresciuto nella solitudine dovuta all’assenza di una madre, Stiles troverà se stesso per la prima e ultima volta, come un sole che splende come non mai prima di esplodere in una devastante supernova.
Stiles non lo ammetterebbe mai a se stesso, ma ha paura. Del suo futuro non si preoccupa, perché quello lo conosce già. Ma il suo branco? Che ne sarà di loro? Stiles prega che sopravvivano, prega che superino la sua morte quando sarà il momento. A volte, è giusto lasciare andare i propri cari così come è giusto che sia. Vuole essere dimenticato, vuole che mai nessuno parli di lui e di ciò che ha fatto. È giusto che gli altri vadano avanti con le loro vite, e per farlo, lui non dovrà esserci né intralciarli.
Stiles è così preso dai suoi pensieri da non accorgersi dei passi che si avvicinano a lui, poco per volta, felpati come incedere di bestia in caccia, ma ugualmente accompagnati dal ticchettio di tacchi sul pavimento.
-Che stai facendo?- domanda Lydia, raggiungendolo. Lo guarda dall’alto della sua altezza, i tacchi a un passo dalle sue mani.
Forse è vedere lei che spinge Stiles a crollare. Forse è vedere una faccia amica, sentire quella voce, inalare il profumo femminile di quello che sarà sempre il suo primo amore. Stiles non sa esattamente cosa lo faccia reagire, ma improvvisamente una piccola lacrima sfugge al controllo delle ciglia, sottile e significativa come scintilla di diamante.
Stavolta, Stiles non ce la fa a sorridere. Non riesce a non crollare, non riesce a mantenere l’apparenza di se stesso: è solo un ragazzo, e spalle così giovani non meritano di sopportare un peso così grande. Vita e morte non possono rispondere alle sue gesta. Inferno e Paradiso non possono prendersela con chi ha osato stargli accanto. Quella è la sua famiglia.
Senza una parola, Lydia si inginocchia e lo abbraccia, ma Stiles non ha neanche la forza per rispondere al gesto. Si sente debole, a pezzi, senza un futuro né speranza. Ha paura. Paura per il branco, paura per quei demoni che moriranno in nome della sua stessa causa. Non lo meritano.
Lo Sceriffo perderà un figlio, in quella battaglia.
Scott perderà un fratello.
Derek… Derek perderà una parte della sua anima.
Stiles ha capito, ormai. Sa che il suo licantropo è legato a lui troppo profondamente, e quando Stiles crollerà, Derek morirà un po’ dentro, come se gli avessero strappato un pezzo del suo stesso essere. Stiles non vuole pensarci, perché sperare che Derek sopravviva e vada avanti, è tutto ciò che gli resta. Un’illusione, la possibilità di un futuro che appassirà in quella stessa battaglia. Per questo piange. Piange perché è troppo giovane e lui un futuro non lo avrà mai. Piange perché troppi sono morti e troppi ancora moriranno. Piange per Alastor e Dumah, per se stesso e per Derek. Il domani che hanno immaginato insieme tante e tante volte, non esiste più.
Cosa succede ai sogni, quando spariscono? Si annullano, si sfracellano e si lasciano risucchiare dal beato niente? Migliaia di voleri spinti nel dimenticatoio, migliaia di sorrisi rimpiazzati da lacrime e grida di impotenza. Stiles sente il suo domani morirgli al centro del petto come un uccellino che poco a poco, per carenza d’aria, soffoca e spira dolorosamente.
Lydia non commenta i singhiozzi di Stiles, non apre bocca. Si limita ad accarezzargli la schiena mentre il giovane demone trema e piange, mordendosi le labbra a sangue per non urlare.
-Sai, quando sei tornato…- sussurra Lydia dopo un po’. -… non credevo che saresti arrivato a tanto. In questi anni ti ho visto crescere e più volte non nascondo di averti giudicato troppo in fretta. Apparivi debole, fragile come cristallo e mai prima di ora avrei pensato che proprio tu, tra tutti, saresti stato capace di fare… tutto questo.-
Stiles si abbandona contro il suo petto, esausto e ormai privo di lacrime da versare. Sorride tristemente. –Non mi credevi capace di frignare come un bambino dopo aver scatenato l’Apocalisse?-
Lydia scuote il capo, poi gli appoggia una mano sul viso e lo costringe a sollevare il busto per guardarla in viso. È vicina, vicinissima. Da ragazzino, Stiles ha sognato tante volte quel momento, ma adesso che accade, deve ammettere che non gli scuote le membra come si aspettava, semplicemente perché… lei non è Derek. Non ha i suoi occhi, il suo viso, le sue mani.
-No, stupido. Non ti credevo così coraggioso e altruista da sfidare il Creato per noi. Tu non combatti per gli angeli o per i demoni, Stiles: tu lotti per gli uomini, per ciò che di buono essi abbiano mai inalberato in anni e anni di storia. Abbiamo commesso tanti errori, ma tu, con la tua semplicità di bambino, sei stato capace di osservare gli atti di bontà molto più di quelli che han trasudato cattiveria. Guarda cosa hai fatto!-
Lydia sposta lo sguardo verso la finestra, dove si intravedono alcuni demoni intenti a conversare tra loro.
-Li hai portati alla luce, Stiles. Li hai convinti a sfidare l’autorità massima del Male per puro spirito di libertà. Hai convinto degli uccellini in gabbia a farsi furbi e a scassinare la porta col becco, spingendoli a non rinunciare alla propria autonomia. Non ho mai visto dei demoni così sereni, così vivi. Non incarnano il male, non loro, e sai perché? Perché adesso, combattono per ciò che è veramente giusto, e lo sanno anche loro. Hai convinto l’oscurità ad abbracciare la luce, hai fatto da solo ciò che Dio e Satana non sono riusciti a fare nell’arco di millenni. Sei più forte di loro, Stiles. Hai qualcosa in più, e lo sappiamo entrambi. Tu sei libero… tu sei umano. E se dovessi scegliere qualcuno al quale affidare la salvezza del mondo… sceglierei te, e lo farei ogni volta, perché tra tutti noi, tu sei il più umano.-
Stiles boccheggia, non sa che dire. Lascia che Lydia si accosti al suo viso, lascia che posi le labbra sulla sua fronte. E allora, dinanzi a quella benedizione amichevole, fiduciosa, il giovane demone si concede finalmente un sorriso. Piccolo, debole, fragile come fiore in sboccio tra i ghiacciai del Polo Nord. Ma comunque un sorriso.
Si fidano di lui, forse c’è speranza. Almeno per loro, qualcosa c’è. Possono farcela, perché il suo branco ce la fa sempre. Se a guidarli sarà Scott, se la caveranno.
Stremato dalla stanchezza e dalla ritrovata serenità, Stiles si concede finalmente di abbandonarsi. Le braccia cedono, il busto si piega. Si permette d’essere umano per l’ultima volta. Crolla in silenzio tra le braccia di Lydia, ansante e col viso ancora bagnato di lacrime. Sembra così fragile, così piccolo. Nessuno lo attribuirebbe a un demone dalla forza distruttiva, semplicemente perché Stiles Stilinski, demone non pare affatto.
Improvvisamente però, qualcosa sostituisce la stretta di Lydia, due braccia forti, muscolose, che profumano di foresta e libertà. Stiles riconosce quell’odore perché ormai in esso si rifugia e in esso trova coraggio quando quest’ultimo viene a mancare.
-Mi occupo io di lui.- sussurra Derek, stringendosi Stiles al petto come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Ringrazia Lydia con un cenno e lei semplicemente sorride e si alza. Senza una parola, abbandona i ruderi di casa Hale e si allontana, inghiottita dalla calca di demoni come ombra fugace e silenziosa.
Stiles non apre gli occhi, non ce la fa. Semplicemente, si abbandona all’abbraccio di Derek, al suo profumo e al battito sereno del suo cuore. Nell’insieme, quel complesso di elementi sa di casa e, anche se per brevi istanti, Stiles si concede di sentirsi al sicuro, vivo e felice di esserlo.
È questo che protegge. Quella vita, quei respiri, quegli animi che, come Derek, sanno ancora amare e perdonare. L’umanità vera è quella, per quanto si rispecchi adesso nelle gesta di un licantropo.
Derek raggiunge il divano polveroso accatastato in un angolo e vi sprofonda, con Stiles ancora stretto tra le braccia. Gli accarezza la testa, dolcemente fa scivolare la mano lungo la guancia e il collo. La pelle di Stiles è troppo morbida, troppo liscia. Non è abbastanza resistente per cavarsela in uno scontro frontale con Lucifero. Derek rabbrividisce al solo pensiero che Stiles possa farsi male, che il Diavolo in persona possa tentare di ucciderlo. Non lo merita, non è giusto. Non ora. Derek non può perdere anche lui.
-Vuoi parlarne?- chiede semplicemente, senza pretese né insistenze.
Stiles scrolla lentamente il capo, poi come un cucciolo in cerca di affetto appoggia il viso contro il collo di Derek e inspira il suo odore. Si accuccia maggiormente, rimpicciolendosi tra le sue braccia, concedendosi quel momento di serenità che ancora una volta, gli ricorda perché combatte.
-Sai, quando ero piccolo…- sussurra Stiles. -… dissi a mamma che avevo paura di morire. Temevo il buio, ciò che sarebbe accaduto dopo… dopo aver chiuso gli occhi per l’ultima volta. Forse ero un bambino cattivo, forse sarei andato all’Inferno. Ma lei… no, lei non la pensava così.-
Lentamente, Stiles solleva il capo e incontra gli occhi di Derek, più verdi che mai, luminosi come polvere di luna. Il giovane Hale lo guarda con dolcezza infinita, un affetto che sul suo viso, Stiles non è mai riuscito a scorgere prima. Quell’espressione lo illumina di luce benedetta, come angelo caritatevole baciato dal Signore. È così che sono rappresentati i servi di Dio, quelli veri. Hanno occhi gentili, labbra arricciate appena in un sorriso malcelato. Così dovrebbe essere.
-Quando le raccontai di questa mia paura, lei sapeva già che stava morendo. Mi guardò e sai cosa fece? Ficcò le mani sotto il letto e ne estrasse una pallina rossa, una di quelle con le quali giocavo da bambino. La tagliò appena con una forbice e la infilò al naso. Mi fece ridere da subito e la sua espressione buffa non servì certo a calmarmi. Sedette sul letto accanto a me e, avvicinando il viso al mio, disse: “Puoi immaginarla così, la Morte?”. Io dissi di no, perché la morte era spaventosa, e lei storse la bocca. “Cosa te lo fa pensare, tesoro? La Morte è solo un’amica che prima o poi dovremo incontrare tutti. Perché non trattarla con umanità e, perché no, anche con un filo di umorismo? Pensi che sia così brutto morire? Sai, tesoro… l’importante non è il tempo che ti resta, ma come scegli di morire. Ci sono bambini abbastanza saggi da abbracciare la morte come una vecchia amica e anziani poco cresciuti che scelgono di scappare fino alla fine. Quando sarà il momento, sii bambino e sorridi.-
Dinanzi agli occhi affascinati di Derek, Stiles sorride.
-Aveva ragione. Ora so. Morire non è poi così male, se al giungere della nostra ultima ora staremo sorridendo. È sempre meglio andarsene col sorriso e l’ombra di una battuta sulle labbra, anziché spegnersi tra le lacrime di un pentimento che non meritiamo. Quando giungerà la mia ora, voglio immaginarmi con indosso un bellissimo naso da clown, come farebbe un bambino.-
Stiles si tocca la punta del naso, il sorriso sulle labbra. Adesso che Derek lo stringe tra le braccia, si sente al sicuro e pronto a ciò che dovrà accadere. Il giovane licantropo glielo legge negli occhi, sa che Stiles non ha intenzione di sopravvivere perché la battaglia che stanno per combattere è quanto di più feroce l’universo abbia mai concepito. Tutte le guerre del mondo non equivarranno un terzo dello scontro che avverrà. Ciò che Stiles non immagina tuttavia, è che Derek non ha paura perché sente che se la fine dovrà giungere, sarà costretta ad abbracciare entrambi. Insieme.
-Tua madre era una gran donna.- asserisce Derek alla fine. –E lo so perché con suo figlio… ha inalberato un capolavoro.-
Stiles sorride, gli occhi lucidi di lacrime. Chiude gli occhi mentre Derek gli bacia la fronte, le tempie, gli zigomi e il naso. Scende in basso, verso le labbra, per posarvi infine un tocco gentile, innamorato, che sa di lingue intrecciate e tocchi fugaci. Pelle contro pelle, cuore contro cuore. Animi a contatto, vite intrecciate. Lì, nei loro occhi che si incontrano da vicino, il loro mondo torna a respirare, a sorridere. Creature gemelle abbracciano la felicità vera, percorrendo insieme quel sentiero che all’inizio di tutto, non c’era. Si trattava di una strada sterrata, inesistente, dove tuttavia più e più persone hanno scelto di marciare. Allora le impronte hanno affondato, scavato, marcato, tracciando una via che infine comincia a esistere si schiude ai loro animi adesso, alla fine dei tempi, quando il male è alle porte e la speranza divampa sulla sponda avversaria.
Stiles lascia che Derek lo distenda sul divano, sorride quando il corpo del giovane licantropo lo sovrasta. La sua luce è lì, riflessa negli occhi innamorati che lo guardano. La luce è lì, nelle mani di Derek che gli accarezzano i fianchi e le cosce. La luce è lì, nei loro animi intrecciati, nei sospiri rivolti al cielo, dove sole e luna ascoltano e osservano. Almeno loro, non dimenticheranno. Almeno loro, ricorderanno il volto e il nome di quel demone che con la sua umanità ha saputo credere nella vita e nel libero arbitrio. Con un sorriso, Stiles sospira il nome di Derek per l’ultima volta, innalzando al cielo e all’uomo la sua preghiera per quell’anima di cristallo che fino alla fine, il giovane demone ha intenzione di proteggere.
 
Lydia barcolla. È stanca, non ce la fa più. Ha perso troppo sangue e non dorme da quasi quarantotto ore. È abituata a riposare poco, ma questo? Sentire sulla nuca il peso di una ghigliottina che potrebbe calare da un momento all’altro, sapere che la sua città, i suoi amici e il suo mondo rischiano di sparire per sempre… questo è diverso. È sbagliato.
Con un sospiro esausto, Lydia comincia a tamponarsi i numerosi tagli che si è procurata agli avambracci per fermare la fuoriuscita del sangue. Lei e il branco hanno passato gli ultimi due giorni a tracciare simboli di prigionia e tortura in giro per il bosco, le strade e sui muri dei palazzi di Beacon Hills ormai quasi del tutto sfollata.
Lydia non ha più sangue da versare, né lacrime da lasciar scorrere. Un giramento di testa la coglie impreparata e lei barcolla pericolosamente. Le ginocchia cedono, il corpo crolla… ma non tocca il suolo. Mani sottili come ali di libellula le stringono la vita, un corpo caldo preme contro la sua schiena. Lydia abbandona il capo all’indietro mentre Valefar la sostiene e dolcemente si inginocchia, trascinandola con sé. La stringe con riverenza, vivo di un timore che gli tinge lo sguardo di preoccupazione e paura. Lydia non è così fragile. Lydia non crolla mai, non cade nemmeno in ginocchio. Strano a dirsi, ma di tutta quella situazione, Valefar trova terrificante solo questo. Vederla a terra e con gli occhi socchiusi, esausta e spezzata come bambola di pezza, gli frantuma l’animo.
Quello non è il suo posto.
-Ti porto via di qui, dolcezza.- sussurra, scostandole i capelli dal viso. Lascia che lei sposti il capo e incroci il suo sguardo, gli occhi verdi appannati di stanchezza. Profuma di fragola e lampone, ed è un odore così buono, così familiare, che Valefar le sfiora la tempia col naso per inalarlo a fondo come ultima boccata d’aria pura prima di gettarsi in apnea in una palude.
-Cosa… perché?- sussurra Lydia, ancora troppo stanca per alzare la voce. Valefar sorride intenerito e le scosta i capelli dal viso, ancora incredulo al pensiero del miracolo che gli è concesso di stringere tra le braccia.
-Perché non è il tuo posto, questo. Devo portarti al Tempio dell’Acqua, dove sarai al sicuro.-
Lydia tenta di ribellarsi debolmente, ma Valefar la trattiene. –Sì che è il mio posto! Io devo restare!-
-No che non devi. Ragiona, dolcezza: in che modo potresti combattere un demone?-
Lydia continua a dimenarsi, ma stavolta con minor vigore. Sente che Valefar ha ragione, sa che deve andarsene. Gettare ai sassi la sua vita non ha senso, così come non ha senso la paura cieca e incontrollabile che le stringe l’animo, soffocandoglielo un po’ per volta, fin quasi a ucciderla. Quel po’ di coraggio che le rimaneva, Lydia lo ha trasmesso a Stiles e adesso a lei non rimane nulla. In quella battaglia, potrebbe perdere ogni cosa. Il suo branco la sua famiglia… Valefar. Stranamente, le importa anche di quei demoni profondamente inquietanti che infestano il bosco e che più volte l’hanno guardata con interesse, provando a capirla come bambini che studiano il comportamento di un adulto.
Lydia non vuole che tutto finisca. Un tempo lo ha desiderato, ma adesso… adesso quella è casa sua. E abbandonare la sua casa col pensiero di ritrovarla a pezzi, frantuma in lei quel po’ di integrità che le rimane.
Allison potrebbe non sorridere più.
Isaac potrebbe non vedere più.
Scott e Stiles potrebbero spegnersi come candele sulle quali ha soffiato il vento.
Derek e Peter potrebbero sparire nel nulla, consumati nel silenzio di una morte che non meritavano.
Lydia non vuole che accada. Parlano tutti di Satana e Dio, ma Lui dov’è ora? Dov’è Dio, adesso che i suoi figli sono in procinto di massacrarsi a vicenda? Dov’è la sua misericordia, adesso che la stessa Lydia si vede costretta a invocarla silenziosamente nella speranza di ritrovare la sua strada, la sua luce, la sua vita. Ha ancora così tanto da dire agli altri. A volte è stata un po’ fredda con loro, e di questo se ne pente, perché adesso che si trova sola e al buio, quella luce che le illuminava la via non le sembra più tanto superflua.
-Non voglio andarmene.- sussurra Lydia e Valefar le bacia una tempia con dolcezza sconfinata, che sa di un affetto profondo, universale.
-Lo so, tesoro, ma devi. Guarda.- Valefar indica il cielo terso, che ormai volge al tramonto. La luna sta sorgendo, e con lei tutte le sue sorelle stelle, tanti piccoli punti luce in una tela bucata da invisibile mano d’artista. Valefar la stringe più forte, intreccia la mano con la sua e si aggrappa a quel contatto, a quel calore che ama più di ogni altra cosa. Il suo tesoro più prezioso è lì, in quella ragazza dagli occhi verdi. Se lei sarà salva, allora Valefar potrà andarsene in pace e sapere di non essersene mai andato per davvero. Lei non lo dimenticherà e lui… lui sparirà nel nulla, lasciandosi alle spalle una vita preziosa di ragazza, quella parte di se stesso che da sola, racchiude il meglio della sua intera esistenza. Ha conosciuto l’umanità, e lo deve a Lydia.
-Quando ero vivo, scelsi di morire. Per me, l’esistenza rappresentava un unico, grande trascinarsi di dolore su una via oscura che non avevo più intenzione di seguire. Odiavo ogni respiro che facevo, ogni palpito cardiaco che mi teneva in vita. Per questo scelsi di suicidarmi: la vita non meritava nulla da me, perché nulla mi aveva dato.-
Valefar sorride, appoggia una mano sulla guancia di Lydia per attirare la sua attenzione e specchiarsi negli occhi lucidi di foreste inesplorate ed erba bagnata di rugiada.
-Per troppo tempo è stato così. La vita non mi aveva meritato e di riflesso da me non meritava alcuna considerazione. Tuttavia, se solo adesso penso che quella stessa vita, che a me ha tolto ogni cosa, a cominciare dalla stessa umanità, abbia dato alla luce una creatura come te… ho fiducia di nuovo in lei. Credo nelle albe e nei tramonti Lydia, perché adesso so che vista attraverso i tuoi occhi, la vita non è poi così male.-
Lydia non ha mai creduto alle assurdità dell’amore. Alcuni narrano di farfalle nello stomaco, di luce specchiata negli occhi di chi guarda. Assurdità. Almeno, questo pensava allora, prima che Valefar la guardasse. Adesso può vederla, quella luce. È lì, negli occhi e nello sguardo, nel sorriso e nel bagliore della pelle. Una stella volta a illuminare la via, una luna che nasce e sorge, senza mai sparire per davvero.
Lo ama. Lydia non lo ammetterà mai ad alta voce, ma è così. Se ne accorge con stupore, semplicemente perché non ha mai sperimentato          qualcosa di così puro e naturale, come il bacio di un bambino sulla punta del naso. Valefar è la sua natura, l’alba e i tramonti che Lydia continuerà a guardare fino alla fine dei suoi giorni. Potranno farlo insieme, dopo quella battaglia. Alla fine di tutto, Lydia prega di riabbracciarlo, di non lasciarlo più andar via. Il solo pensiero che gli facciano del male la uccide, le affoga l’animo in una pozza di catrame nero che brucia la pelle e gli occhi, le ossa e i muscoli.
Non vuole andarsene. Non può abbandonarlo lì, dove la battaglia infurierà maggiormente.  Valefar le chiede troppo. L’ha lasciato andare da solo all’Inferno, e glielo hanno riportato più morto che vivo. Non può andarsene, non lo abbandonerà. Per una volta, Lydia vuole essere irrazionale e morire lì, accanto a chi ormai detiene i suoi giorni e le sue ore, i suoi sorrisi e i suoi battiti cardiaci. Morirà per la luce, ma per quella che conosce lei.
Dolcemente, Valefar le appoggia le labbra sulla fronte. Non è un gesto puerile, né insignificante. Sa di mille cose non dette, mille storie che Lydia sente di poter ascoltare per anni senza mai stancarsi. Con quel bacio di purissima nobiltà, Valefar la richiama al coraggio e alla vita, così come prega che sia. Così come è giusto che sia. Lydia dovrà essere forte, perché lui ha scarse possibilità di cavarsela. Per l’ultima volta sarà fedele a Stiles, per l’ultima volta lotteranno fianco a fianco, come i fratelli che hanno imparato ad essere tre anni addietro. Per l’ultima volta, Valefar difenderà quella benedizione di magia e affetto che Lydia ha saputo donargli col solo simbolo di un sorriso malcelato. La sua scelta è questa. Morire dopotutto, non sarà poi così male.
Lei potrà guardare al domani.
Lei potrà avere dei figli, diplomarsi e seguire la sua strada.
Lei potrà ricordarlo.
E, dal lontano abisso di nulla nel quale Valefar sprofonderà, lui potrà guardarla crescere, vivere, sorridere. È quello il suo regalo, quella la sua ricompensa. Avere la certezza che un domani, Lydia ce l’ha davvero.
-Ti amo, dolcezza.- sussurra Valefar al suo orecchio, morbido come mille e mille drappi di seta, puro come un bambino che guarda il sole e vorrebbe abbracciarlo al solo pensiero che è bello perché splende.
Lydia sbarra gli occhi, lo guarda. Per l’ultima volta, Valefar affonda nelle pieghe del suo sguardo; per l’ultima volta, riflette nei suoi occhi l’immagine di una serenità vacillante e ormai scomparsa che li vedrà insieme; per l’ultima volta, innalza a Dio una preghiera che, nella tanto decantata misericordia dell’Onnipotente, Valefar spera che ascolti.
Prenditi cura di lei.
Cosa avrebbe risposto Lydia a quell’affermazione? Avrebbe reagito con rabbia o con dolcezza? Questo, Valefar non lo saprà mai. Non se lo concede, non vuole che lei lo convinca a ripensarci. Ha già perso la sua vita, la sua innocenza, sua sorella. Ha perso tutto, e ciò che gli rimane è lei, unico barlume di luce in un abisso senza fondo. È per questo che, poggiandole una mano sugli occhi, Valefar fa in modo che Lydia si addormenti.
La porterà via in silenzio, sparendo da Beacon Hills. Quando riapparirà, sarà solo e a pezzi, stanco e disperato come uomo condotto al patibolo. Alle spalle dopotutto, ha lasciato quanto di più importante la vita gli concesse: un amore, un futuro, un domani che Valefar non potrà guardare.
 
Peter Hale ha sempre pensato di conoscere la vita: giorni che si susseguono, ore che scorrono, anni che camminano. Un passo dopo l’altro, si invecchia e ci si indebolisce. Infine, si muore. E che cos’è la morte, dopotutto? Un passaggio, l’ennesimo calcio nel sedere che si è destinati a ricevere? La vita è vita, ed è una fregatura. Peter lo ha capito quando hanno bruciato casa sua, lo ha capito quando ha cominciato a fare a pezzi la gente. Lui era morto e risorto tra le fiamme dell’Inferno, quindi perché altri non avrebbero dovuto subire la sua stessa dannazione? Per lui, quella era giustizia. Ma la giustizia non è duratura, nemmeno se ad applicarla siamo noi stessi. La Morte sottrae vite, ci gioca, le spegne. Non fa distinzioni, non prova alcuna pietà. Peter l’ha ricordato mentre era all’Inferno e guardava Dumah morire.
Dumah. Sarebbe stato bello, conoscerla meglio. Se solo Peter non fosse stato così arrogante, se solo avesse ricordato a se stesso che alla fine di tutto, un po’ di umanità la possiede anche lui… le avrebbe chiesto di uscire. L’avrebbe guardata davvero come meritava. Avrebbe riconosciuto in lei quella parte mancante del suo essere che avrebbe potuto condurlo in Paradiso. Forse è per questo che adesso, Peter si impegna fin quasi a dissanguarsi per imporre sigilli dappertutto. Vuole chiedere scusa, ma a modo suo. Vuole punirsi, ma a modo suo. Vuole raggiungere l’Inferno e restarci… ma a modo suo.
-Tu sei quel licantropo.- dice improvvisamente una voce sottile alle sue spalle, facendolo voltare.
La bambina lo fissa in silenzio, minuta e alta poco più di un metro. È così piccola che a Peter viene da ridere. Ha i capelli castani a caschetto e gli occhi di un verde brillante, luminoso… che ricorda molto quello di Dumah. Peter continua a ripetersi che è solo un colore, che quelli sono solo occhi, ma continua a vederci lei. Si odia per quanto appare schifosamente romantico, lui che il romanticismo lo detesta a morte.
-Se per “quel licantropo” intendi quello figo da paura abbastanza folle da entrare e uscire dall’Inferno per pura visita di piacere, sì, sono io.-
La bambina inclina il capo, poi guarda la mano di Peter, totalmente intatta ma ancora sporca di sangue. –Perché lo fai?-
-Perché non ho niente da fare nel finesettimana, e oggi è sabato.-
La bambina continua a fissarlo. –Non capisco. Rischiate così tanto, ma per quale motivo?-
-Lo facciamo a causa di un imbecille che il nostro idiota iperattivo di fiducia non ha mancato di stuzzicare una volta di troppo.-
-Non è vero.-
Peter assottiglia lo sguardo, gli occhi fissi in quelli indolenti della bambina. –Ci conosciamo, demone?-
-Mi chiamo Ipos.-
-Ipos non è un nome da uomo?-
-E Peter è un nome strano.-
Suo malgrado, Peter sorride. L’acume di quella bambina probabilmente pluricentenaria lo incuriosisce e stranamente… non lo fa arrabbiare. Non ci riesce, perché sa che è vero: lui non sta facendo tutto questo per puro spirito di noia. Lo fa perché… perché? Per punirsi, per ricordare a se stesso che alla fine di tutto, anche lui sanguina?
-Non lo so.- sospira Peter alla fine. –Non so perché lo faccio.-
-È per lei.- sorride Ipos improvvisamente, il viso pallido e le piccole labbra stiracchiate. Sembra un piccolo angelo. –Lo fai per lei.-
-Lei chi?-
-La demone. Quella impalata contro il monte ghiacciato.-
Peter sorride sarcastico, costringendosi a ignorare quella fitta di dolore troppo umano che gli trapassa il corpo. –Non credo che la cosa ti interessi, ragazzina. Vedi di sparire.-
Ma Ipos non se ne va. Al contrario, lo raggiunge e, afferratolo per la mano, lo strattona per costringerlo a inginocchiarsi alla sua altezza. Dolcemente, gli strofina il palmo sporco di sangue col candido lembo della magliettina, sorprendendo Peter e finanche se stessa. Certi gesti, non sono per un demone. Essi nascono dal sangue e dall’odio, non dall’amore e da fraterne carezze. Imparare cosa sia l’umanità è un percorso difficile, come lo sarebbe per un disabile imparare a camminare. È qualcosa che non può essere compreso, che non può essere concepito. Gli stessi demoni alleati, si domandano spesso cosa significhi abbracciare qualcuno, toccarlo senza ferire o uccidere. È innaturale, è sbagliato.
Loro sono morte e di morte si nutrono. Esiste qualcosa aldilà del massacro? Cosa spinge un uomo a sorridere, cosa spinge una donna ad abbracciare il figlio con serenità ultraterrena? Non sono angeli, eppure gli uomini sanno comprendere la carità molto più di quanto abbiano mai fatto i servi di Dio.  
-Non vi capisco.- dice Ipos. –Però sento che posso riuscirci. Le cose che fate… voi non le studiate sui libri, né le apprendete dagli insegnamenti di Dio o di Lucifero. Dove imparate, allora?-
Peter non lo sa. Vorrebbe risponderle, vorrebbe sentirsi abbastanza umano per poterlo fare, ma lui umano non è.
Ipos finisce di pulirgli la mano, accarezzandogli il dorso con timore reverenziale, impacciato, quasi incredulo. Non concepisce i suoi stessi gesti, non capisce perché tocca quell’uomo senza ferirlo. I demoni non sanno curare, non è compito loro. Eppure, nonostante tutto, Ipos ci prova, perché una parte di se stessa, quello stesso essere bambina che da quando Stiles ha messo piede all’Inferno scalpita e spinge per uscire, le dice che è giusto farlo.
Essere bambini deve essere così semplice. Non si guarda al male del mondo, e il male del mondo, toccando un infante, quasi lascia che esso contamini di bene ciò che di sbagliato abbia mai avuto modo di respirare. I bambini sono magici, i bambini sono potenti. Con la loro innocenza, piegano Inferno e Paradiso.
Ipos pensa di essere stata forte, un tempo. Perdonava con semplicità, e con altrettanta semplicità imparava a dimenticare. Lo ha ricordato quando ha abbattuto un calcio di zampe e artigli sulla schiena di Stiles, spezzandogli le vertebre per l’ennesima volta. Cosa le ha fatto quel ragazzino? Perché dopo averlo guardato in quegli occhi dorati di sole vivo e palpitante, Ipos ha pregato per la prima volta di poter fissare la luce?
-Sei una bambina insistente.- sbotta improvvisamente Peter. A sorpresa, sorride e ammicca, gli occhi luminosi come stelle in un cielo notturno. –Ma non picchio le donne, che siano grandi o piccole, quindi ti è andata bene.-
Ipos sorride a sua volta. –Non alzeresti mano su di me nemmeno se fossi un uomo.-
-Cosa te lo fa pensare?-
-Gli occhi.-
Peter sbatte le palpebre, e Ipos gli appoggia la punta di un piccolo dito sottile sotto la palpebra destra. È un tocco delicato, gentile, che sa di sole e puerilità, di benedizione e migliaia di domande.
-Questi non sono gli occhi di un assassino. Hai ucciso in passato, ma qualcosa è cambiato in te col tempo e col dolore. Posso sentirla, sai? La luce. La vedo nei tuoi occhi, la sento nella tua voce, anche se non vorrai credermi. È forte come un raggio di sole, e questo perché è nata dall’oscurità più fitta.-
Peter la fissa, incredulo. Quelle parole non lo rappresentano, non fanno per lui. Nessuno lo assocerebbe alla luce, nessuno gli ha mai detto che forse, una speranza di guardare al sole per lui esiste davvero. Non ha senso, è innaturale come acqua di cascata che scorre al contrario.
Eppure… anche se per un breve attimo, Peter si sente felice. Non prova questa emozione da anni. Lui, la felicità vera l’ha dimenticata. Sa di stantio, di anziano, e le cose vecchie non fanno per lui. Non facevano per lui. Dopotutto, anche Peter si sente vecchio, e questo per ben altre ragioni. Ha mani sporche di sangue, l’anima nera, occhi che troppe morti hanno fissato. Poi però… è arrivata Dumah. E, con lei, un barlume di luce. Peter si accorge di averlo assorbito solo adesso, dinanzi agli occhi innocenti di una bambina che bambina non è.
È davvero per questo che lo fa? Lotta per avere una speranza o per dimostrare a se stesso che la dannazione non è l’unica via, se solo egli stesso imparasse ad andare avanti?
-Io…-
È un attimo, un solo secondo durante il quale tutto cambia. Si tratta di una sensazione, un semplice formicolio elettrostatico lungo la pelle. Basta un attimo, e Peter capisce. Il respiro della bestia prima del balzo, lo chiamano alcuni. Per altri ancora, si tratta della calma che precede la tempesta. Per Peter invece, quella sensazione è nient’altro che puro campanello d’allarme, un istinto di sopravvivenza irrefrenabile che lo prostra in ginocchio, gli fa brillare gli occhi di blu e le zanne di candida minaccia. Un pericolo del genere, non l’ha mai avvertito. Sente l’universo risvegliarsi intorno a lui con la potenza di una bestia inferocita, folle di rabbia distruttiva. Ogni cosa cadrà a pezzi, ogni cosa finirà col perire al cospetto del nero pece che come una malattia contamina ogni anfratto della Terra, ogni angolo di universo.
Voci lontane sussurrano addolorate, ricordi e incubi si risvegliano e come ombre vive cominciano a calcare la terra, una dopo l’altra. Errori, sofferenze, paure che mai nessuno è riuscito a soffocare davvero, perché l’oscurità non abbandona mai nessuno e si attacca al corpo e all’animo come un parassita, dilatandosi sempre di più, fin quasi a inghiottire ogni cosa.
La luce non è niente, la luce è insignificante. Nulla può proteggerli da un odio così scellerato.
Il male Vero è nell’aria, e Peter lo avverte sottopelle, dentro il corpo, come veleno che scorre nelle vene. La terra ne è pregna fino a stillarlo sanguigno dalle piante che poco a poco s’anneriscono, dagli animali che impazziti cominciano a ringhiare e ad azzannarsi a vicenda fino a uccidersi.
Peter pensava di conoscere l’oscurità, ma quello… quello è diverso. È ancora una sensazione, l’eco di voci e ricordi che incarnano gli incubi più neri, eppure nel suo piccolo, quel male lo schiaccia, lo fa tremare, lo rende fragile e vulnerabile come vetro nelle mani di un titano. Gli basta così poco per dimenticare la luce, così poco per scordare la voce di Dumah e i motivi che l’hanno spinto a restare lì, in prima linea, pronto a una battaglia che non risparmierà nessuno.
Poco lontano, sulla porta dei ruderi di casa Hale, Stiles e Derek emergono dall’oscurità. Entrambi fissano il cielo che lentamente, come visto attraverso un processo accelerato di ore ed ore trascorse, si oscura sempre di più. Qualcosa soffoca la luna, il nero vellutato dell’oscurità più fitta schiaccia la luce, la annienta, sprofonda il mondo intero nell’oscurità. Non una candela riesce a rischiarare il buio, non un bagliore di speranza emerge dalla cappa di pece appiccicosa che adesso soffia sulle stelle e le spegne, candeline fragili innanzi al titanico giudice dell’universo oscuro.
Stiles stringe Derek a sé per l’ultima volta, chiude gli occhi e, toccandolo, gli affida e gli domanda quel po’ di coraggio che resta. Hanno bisogno di credere nella luce, perché ricordarne le fattezze sarà difficile, se non impossibile. Stiles vuole pensare che per giungere all’alba non vi sia altra via che la notte più oscura, ma non è sicuro di rivedere la luce del giorno. Lui no. Ma Derek dovrà farcela, perché merita di sopravvivere, merita di incarnare quella luce che tutti presto dimenticheranno.
Dolcemente, per concedersi un ultimo gesto di pietosa carità, Stiles gli afferra il viso tra le mani e lo bacia sulle labbra, leggero come ali di gabbiano, sottile come ragnatela umida di rugiada. È un attimo, un quieto sfiorarsi di labbra, ma è grazie a questo che Stiles ricorda finalmente che la luce esiste, e può brillare ancora. Deve brillare ancora. Spinge lo sguardo oltre la spalla di Derek, verso i demoni che poco a poco si spostano per far largo a un Valefar quieto, sereno, il cui sorriso feroce illumina la notte di sangue e rabbia, di furia e rancore. Stiles capisce allora che il suo amico ha dovuto abbandonare Lydia, rinunciando per amore a quella parte di se stesso che di amore si nutriva.
In silenzio, Valefar annuisce un tacito invito alla battaglia.
Facciamogliela pagare.
-Isaac.- esala Scott poco lontano. Fissa il cielo, gli occhi rossi annebbiati dal terrore. Si sente piccolo e impotente, misero come colibrì alla mercé della più possente delle tigri del bengala. Non può niente contro tanta oscurità, non può niente contro tanto odio, lui che l’odio ha sempre cercato di respingerlo e soffocarlo. Nessun Alpha è così forte, così come la Terra stessa pare in procinto di spaccarsi al cospetto di un potere così immenso da dividere in due l’universo intero.
Scott sta per crollare, ed è per questo che con gli ultimi ansiti di coraggio ha scelto di chiamare Isaac. La sua ancora, il suo anello mancante di resistenza. Stiles è impegnato con Derek, Allison è col padre. Lui? Lui sarebbe solo se solo Isaac non fosse in grado di ascoltare un suo richiamo sussurrato a miglia e miglia di distanza. Scott può esalare il suo nome, invocarlo a bassa voce, e Isaac risponderà sempre perché accorrere al suo fianco è ormai per lui una priorità vitale.
È per questo che anche stavolta, Isaac non lo delude. Compare al suo fianco, dolcemente gli stringe forte la mano e intreccia le dita con le sue. Come al solito, non parla. In silenzio lo spalleggia, in silenzio gli trasmette con devozione quel po’ di calore che resta. Saranno insieme fino alla fine, insieme aldilà di ogni cosa. Scott l’ha capito: adesso sa.
Isaac si è insinuato nella sua vita con calma, lentamente, come acqua che sgorga da un ruscello appena nato. Un flusso cristallino, purissimo, che non sporca ma pulisce. E da quando conosce Isaac, Scott si sente ripulito. Quando le mani gli si sporcano di sangue, quella stessa acqua di ruscello lo purifica. Quando l’oscurità entra in lui e Scott si trova solo e al buio, un punto luce lo tocca, abbracciandolo di una sfera lunare pronta a schermarlo dal mondo intero. Il suo scudo, la sua linea di frontiera. Il suo domani. L’ha sempre avuto davanti, e lo capisce solo adesso, quando stanno per morire.
-Scott!- esclama una voce, e allora Stiles emerge dalle ombre, accompagnato da Derek. Al suo fianco, compaiono Allison e Chris Argent, Peter e una bambina che Scott non riconosce. Si schierano tutti lì, al suo fianco, compatti come il branco che sono sempre stati. Insieme, dinanzi al mondo e a Satana, dinanzi a Dio e alla morte. Combatteranno, e lo faranno per vincere. Combatteranno e lo faranno per difendere i propri ideali. Combatteranno per dimostrare all’universo che la libertà esiste ancora, finché non si abbandona la speranza e la voglia di crederci. Guardiani del sole, figli della luna. In nome dell’uomo e dei demoni che ancora guardano al futuro. In nome di Dumah.
La terra comincia a tremare forte, sempre più forte, come scossa dal più forte dei terremoti. Crepe massicce serpeggiano nell’erba e tra le radici degli alberi come ferite pronte ad aprirsi. Da quegli spacchi, filtra una luce rossastra di fiamme covate, vive, tremanti di potenza repressa.
Stiles stringe i pugni e inspira a fondo per farsi coraggio. Per Derek, per Dumah, per suo padre e il suo branco. Per l’umanità.
Inspirando a fondo, si costringe ad abbandonare la stretta della mano di Derek e balza verso l’alto, dandosi una spinta talmente forte da raggiungere in salto almeno i sei metri d’altezza. All’ultimo istante, durante il breve istante che spinge la gravità ad aggrapparsi al suo corpo, si sfila la maglia e sprigiona le ali, immense come il più ampio dei cieli, brillanti nell’oscurità come nebula che splende al centro dell’universo. La luce delle fiamme covate nella sua pelle e nelle membrane alari bacia l’intera Beacon Hills, tingendo le strade e gli alberi di un ultimo saluto, un augurio per la sopravvivenza e per il domani che rischia di sparire per sempre.
In lontananza, dalle città limitrofe, anche i ciechi avranno modo di vedere per puro miracolo quel bagliore di luce rossa e oro, quel bacio solare che non dal cielo piovve, ma dalla terra arida e coperta di crepe. Alcuni pensano che si tratti della luce di un angelo, altri ancora credono che sia scoppiato il più violento degli incendi, ma quasi inconsapevolmente, ogni essere umano radunerà al cospetto di quella luce la sua fame di benedizione, di calore, di speranza. E Stiles li sentirà tutti, ogni singolo essere umano. Il coraggio del suo branco, il coraggio degli abitanti del mondo e di Beacon Hills. Il coraggio di sua madre.
-Ascoltatemi.- dice quando il vento comincia ad acquietarsi. –Forse… forse tutto questo è sbagliato. Noi non dovremmo nemmeno essere qui. Adesso il mondo rischia di cadere, e noi tutti insieme ad esso. Potremmo morire entro pochi minuti, eppure, nonostante questa consapevolezza… nessuno si è mosso. Siete rimasti perché credete in qualcosa, perché per la prima volta avete guardato al sole senza scottarvi le retine. L’impossibile è sbocciato davanti ai vostri occhi, e adesso al servizio di quella stessa assurdità vi ponete. Date il merito a me, ma la verità… la verità è che tutto questo è merito vostro. Siete voi a decidere ciò che siete e nelle vostre mani è posta l’alba e il tramonto delle vostre giornate. Con questo giorno si apre una nuova era!-
Sotto di lui, la terra trema più forte. Il cielo vibra di terrore, il mondo intero si ferma ad ascoltare. Per la prima volta, ognuno risponde senza riserve a quel richiamo, ognuno si concentra su chi grida all’universo di risvegliarsi. Una voce, così potente da scuotere ogni cosa dalle fondamenta. Una voce così devastante da spaccare le montagne e arrestare il corso delle cascate.
-Spezzate le catene, fratelli miei! Siate liberi di scegliere! Vivete e morite come più vi sembra giusto, ma fatelo lottando! Ascoltate il vostro istinto, rispondete alla vostra sete di indipendenza! Siate voi il domani, siate voi la luce! Siate lupi, che urlano alla luna per essere ascoltati! Siate bambini, la cui purezza spezza ai suoi piedi il male intero dell’universo! Adesso io vi chiamo; adesso io vi prego di essere quei lupi che implorano di essere ascoltati! RISPONDETE!!!-
E loro rispondono. Non lo deludono, non mancano di farsi ascoltare come quegli stessi lupi che ululano alla luna. In risposta all’urlo di Stiles, giungono i ruggiti. Versi bestiali così potenti da scuotere il mondo dalle fondamenta, ringhi di minaccia talmente distruttivi da spaccare i ghiacciai e gelare la lava. Il mondo intero avrà modo di sentirli e cadere in ginocchio. Ma non è abbastanza.
Sopra qualsiasi altro ruggito, ne spiccano due. Un Alpha e un licantropo dagli occhi blu talmente decisi a vincere da far tremare quella stessa luna con la sola forza della voce. Pretendono di essere ascoltati, pretendono di lottare fino allo stremo delle forze. Derek e Scott rispondono, si piegano al volere dei loro stessi ideali. Il branco ci sarà, il branco lotterà al suo fianco. Per l’ultima volta, fino alla fine dei tempi.
-Facciamoli pentire di aver abbandonato l’Inferno.- ringhia Stiles, voltandosi. Ringhia in lingua demoniaca, raschiando sugli ordini che i suoi alleati demoni non mancano di eseguire: uno alla volta, alcuni di loro spalancano le ali multicolori e si levano in volo, un maestoso manto di vele cangianti che oscurano il cielo e gli alberi, l’oscurità e il mondo intero. Un velo di fiamme arcobaleno brilla sulle teste di chi ancora non si è mosso, tingendo i volti dei presenti di ombre sinistre, mortifere, capaci di predire ciò che è in procinto di accadere.
I demoni si raccolgono, coordinati come un sol uomo, e un istante dopo, come in conseguenza a un respiro trattenuto e poi rilasciato, essi si scagliano verso le faglie che poco a poco si allargano nel terreno, lasciando emergere mani e grida, fiamme e fumo. Il puzzo del sangue invade l’aria, artigli massicci e lame sporche di carni maciullate sbucano dai meandri più oscuri dell’abisso.
I demoni alleati fanno saettare le code come tante fruste d’acciaio, le punte acuminate pronte a massacrare qualsiasi cosa intralci loro il cammino. Alcune falciano di netto i polsi dei demoni in scalata, altre ancora lacerano le ali e decapitano teste. Sono arti talmente veloci che lo stesso Derek fatica a vederne le estremità. Un istante prima ci sono, e un istante dopo la vittima designata crolla nel baratro senza testa, senza mani o priva di un’ala.
Le code ne massacrano a decine, senza esclusione di colpi, lampi d’acciaio che micidiali non mancano mai l’obbiettivo. Una pioggia ferina di lame e sangue, di grida e ruggiti di rabbia. Alcuni demoni cercano di arrampicarsi lungo il varco con le zanne e con le zampe posteriori, ma gli alleati amputano anche quelle. Derek di battaglie ne ha viste, ma qualcosa di tanto gelido e cruento… questo mai. I demoni massacrano i propri stessi fratelli senza neanche trasalire o sospirare di tristezza. Al contrario, alcuni ridono e fanno guizzare le code sulle loro teste per generare sottili archi sanguinolenti nell’aria.
Per brevi istanti, Derek si convince che non ci sarà bisogno di combattere. Finora, i demoni abbattuti saranno circa duecento, e questo solo da quella parte del bosco. La battaglia finirà in fretta, andrà tutto bene.
Per un attimo, Derek ci crede. Per un attimo, Derek si sbaglia.
Il primo demone riesce a emergere dagli abissi usando il corpo di un suo stesso fratello come scudo. Lo scaglia contro il nemico più vicino per distrarlo e sbucare fulmineo all’aria aperta. Spalanca le ali di scatto, le vele nerissime ampie come l’universo stesso, e in un sol gesto lascia che le punte acuminate delle ossa si piantino nelle carni tenere dei nemici. Ruota su se stesso, trascinandosi appresso almeno dodici corpi, per poi sbattere le ali e scagliarli con violenza contro altri avversari.
Le righe sono spezzate e i demoni si riversano allora sulla Terra. Tanti, troppi, come formiche che abbandonano il formicaio. Derek li vede emergere dal sangue e dal fuoco, dalla melma e dal puzzo di carne bruciata come bestie assetate di violenza i cui occhi folli fissano con odio anche la più innocente delle creature. Lame, zanne, artigli. Derek vede solo questo mentre la prima fila nemica si abbatte sui demoni più vicini per massacrarli come iene che s’avventano su una zebra dalle zampe spezzate. Le vittime non gridano, non ne hanno la forza. Qualcuno strappa loro la lingua, qualcuno gli spezza gambe e braccia, ali e spina dorsale.
È un massacro in piena regola, e Derek non può accettarlo. Non accetta che quelle bestie si avvicinino a Stiles. Troppo vicine. Sono troppo vicine.
Quando i demoni smettono di accanirsi sulle carcasse delle proprie vittime, Stiles ruggisce un nuovo ordine. È quello il segnale, quel braccio sollevato.
Allison incocca una freccia, poi inizia a scagliare a raffica, senza mai stancarsi. Le frecce sprizzano scintille troppo luminose, generando al primo impatto bagliori luminosi che accecano i demoni inconsapevoli, quelli che non hanno capito di dover chiudere gli occhi.
È allora che altri demoni alleati si levano in volo come saette quasi invisibili, ombre schive e inafferrabili, con ali che si schiacciano sui corpi sformati per acquistare slancio. Afferrano i nemici per le code, le corna, le ali e le teste. A gran velocità, prima che essi possano replicare, li schiantano uno alla volta nei cerchi di tortura abbandonati per le strade di Beacon Hills dal branco. Non possono vedere i cerchi a causa del sangue innocente che li traccia, ma Lydia ha tracciato la loro posizione con uno spruzzo di profumo particolarmente penetrante.
Appena i demoni atterrano nei cerchi, essi prendono fuoco. Dieci, cento, mille. I falò esplodono per tutta la città, illuminandola di macabre grida e ruggiti di dolore. Derek sente il puzzo di carne in putrefazione e sangue che scorre copioso mentre, tra i palazzi e gli alberi di Beacon Hills, i demoni alleati pongono fine alle sofferenze dei nemici.
Ma non basta. Non se il nemico vero è l’Inferno, non se il nemico vero è Satana.
-STATE PRONTI!!!- ruggisce Stiles mentre un’altra orda di bestie inferocite emerge come sputata dagli abissi della Terra. Incubi vomitati dal lato oscuro di Dio stesso si arrampicano tra le rocce, nel fuoco e nelle fiamme, con canne che scintillano e code che guizzano come aiutanti indipendenti pronti a fare a pezzi qualsiasi cosa si pari sul loro cammino. Dalla penombra perpetua che ha abbracciato il mondo, emergono allora carni brucianti di fiamme covate, guizzi metallici di armi pronte al massacro, ringhi di bestie impazzite che altro non chiedono se non pianti di dolore e grida d’agonia.
L’Inferno si riversa sulla Terra, davanti ai loro occhi, ma nonostante ogni previsione, Derek non ha paura: se Stiles crede che possono farcela, allora tenteranno. Il suo branco ne ha affrontate già tante, e non si fermerà davanti a questo. Hanno risposto alla chiamata di Stiles, e al suo cospetto lotteranno e moriranno, guardiani della luce e della luna, dell’alba e del tramonto. Attraverseranno la notte più oscura per giungere ai primi bagliori del nuovo giorno.
-Possiamo farcela?- sussurra Isaac, guardando Scott e Scott soltanto. Prega che lui risponda, perché della sua voce si fida e il suo Alpha non lo deluderà.
Un istante, l’ansito di un respiro. Scott solleva il capo, fa baluginare gli occhi rossi che come rubini spiccano nell’abbraccio dell’oscurità. Metà lupo, metà uomo. Orecchie appuntite, setto nasale avanzato, zanne in bella vista. È lui l’Apha, è lui l’ennesimo figlio della luna volto a difendere la luna stessa. E a quella creatura il branco ha intenzione di rispondere perché la saggezza di un’anzianità prematuramente conquistata splende nel suo sguardo, nella sua mano ancora stretta in quella di Isaac, nella sua postura fiera ed eretta al cospetto della grande Morte che potrebbe abbracciarlo nell’arco di pochi istanti.
-Per Stiles.- ringhia prima di slanciarsi verso l’orda di demoni con un ruggito che fa tremare il cielo e la terra, i mari e gli alberi. Al suo fianco, avanzano Derek e Isaac, forti di ciò in cui credono, forti di una luce che non li abbandonerà. Hanno artigli intrisi di acqua santa e al collo di ognuno di loro è legato un unico grano di rosario benedetto, una piccola benedizione che non da Dio giunse, ma bensì dalle lacrime più sincere di un innocente condannato a morte tre anni addietro.
Combatteranno per lui e per sua madre, che inconsapevolmente vendette la sua anima.
Combatteranno per lui e per il mondo, che ancora respira nonostante le difficoltà che affronta tutti i giorni.
Combatteranno per Stiles, che fiducioso li ha chiamati alla battaglia e a loro affida ogni cosa, a cominciare dal futuro dell’universo.
Che l’Apocalisse abbia inizio.
 

Vassago: In demonologia è un potente principe degli Inferi che dirige più di ventisei legioni infernali. È uno spirito di conoscenza che aiuta a rivelare le cose passate e future, ma rende le persone ipocrite, ingrate e spergiure.
Ipos: In demonologia, Ipos è un conte e un potente principe dell'inferno (un duca, secondo altri studiosi) con trentasei legioni di demoni sotto il suo comando. Conosce e rivela tutte le cose sul passato, il presente e il futuro (secondo alcuni demonologi solo sul futuro, altri sia sul passato che il futuro). Può infondere a chi lo evoca arguzia e coraggio.

 
Angolo dell’autrice:
Dlin dlon! Avviso alla gentile clientela! Il penultimo capitolo della storia sarà pubblicato domani notte, poiché a breve partirò e non avrei modo di aggiornare dopo. Già, sta per finire tutto. A breve, saluteremo Stiles, Valefar, Dumah e gli altri. Ma sapete, a volte concludere una storia non significa necessariamente chiuderla e lasciarsela alle spalle. Spesso basta un piccolo ricordo, un piccolo sorriso, un piccolo insegnamento… e tutto questo continuerà, e sarete voi a scrivere nuovi capitoli nelle vostre vite, nelle vostre teste, nel vostro sguardo. Se anche un piccolo frammento di coraggio ed emozione si sarà insinuato nel vostro cuore, allora le mie fatiche non andranno mai sprecate. Il mio gioiello più prezioso, i veri eroi della storia… siete proprio voi. Sì, voi. Siete pronti alla battaglia, siete giunti fin qui e non mancate coi vostri commenti di gridare al cielo come membri onorari dell’esercito di Stiles. Sarete al suo fianco, e lotterete contro Lucifero in persona. Non disperate tuttavia poiché, laddove il buio si fa più fitto, lì la luce avrà modo di sbocciare. Siete gli eroi migliori che si possa desiderare poiché quando vi ho teso una mano per invitarvi a intraprendere un cammino sconosciuto, avete osato rispondere alla chiamata. E per la fiducia che avete posto in me, io non vi avrò mai ringraziato abbastanza. Perciò grazie col cuore. Grazie per la fiducia che mi date, grazie per le vostre parole che non mancano mai di emozionarmi e a volte di farmi piangere come un’emerita imbecille. Grazie, perché i veri angeli, io li ho conosciuti (anche se virtualmente) e siete proprio voi.
Giada_ASR
Even_If_It_Rains
_Sara92_
Barbara78

 
Anticipazioni:
“Diablo piove verso il basso, atterra schiacciando alcuni demoni e sollevando un polverone di sangue e terra. Poi, guarda Derek con le grandi orbite vuote. Occhi negli occhi, da bestia a bestia. Corvo e lupo si incontrano all’alba della nuova era, parlandosi, studiandosi, intrecciando d’unico mondo di blu e nero, luce e oscurità. Una richiesta, un consiglio, una domanda. Alla fine, riescono a capirsi. Derek non sa perché succede, ma sa cosa vuole Diablo da lui. In qualche modo sono legati, e questo Derek lo sente attraverso la pupilla dei suoi occhi che si allunga, adesso simile a quella di un demone.
Con un balzo, sale a cavalcioni di Diablo. Si accovaccia tra le piume affilate, reggendosi saldamente a una delle ossee punte cervicali mentre il famiglio si raddrizza e stride con forza animale.
Mentre gli angeli massacrano uno dopo l’altro i demoni, Derek lancia il suo avvertimento. Ruggisce forte, attirando l’attenzione di angeli e demoni, di uomini e animali. Mentre Diablo spalanca le ali e si leva in volo, Derek Hale fissa Michael, sfidandolo. E l’arcangelo non si tira indietro.”

 
Tomi Dark Angel
 
 
  
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