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Autore: SAcHINO    25/01/2009    2 recensioni
questo capitolo scorre molto velocemente. mi è venuto tutto d' un botto. anche perchè io sto scrivendo un libro d'amore. ma le idee vengono quando vengono. spero che vi piaccia. io l'ho trascritto così a caldo correggendo solo le ripetizioni
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Di per certo non so perché mi trovo qui, in questo angolo di mondo dimenticato da tutti. La neve era alta più di un metro e mezzo, nessuno era passato a spalare.
I tetti delle case cedevano sotto il peso folle, e le abitazioni erano fredde, perché i riscaldamenti erano tutti guasti.
Le macchine non potevano muoversi, centinaia di persone erano già morte quella settimana e il tempo non accennava a migliorare.
Accesi la Televisione. Proprio come pensavo. Il TG annunciava l’ennesima nave affondata, l’ennesimo treno deragliato, l’ennesimo aereo precipitato.
Sembrava l’inizio della fine. Per me, pensavo, e per tutti.
Ma mi sbagliavo. Perché ancora no sapevo che tutto ciò che stava accadendo non aveva un responsabile, se non me, appunto.
Apparentemente conducevo una vita più che normale: amici, TV, scuola, ma, e credetemi ancora  adesso, ora che tutto è finito,  stento a crederci, nascondevo un importantissimo e per certi tratti inquietante, segreto esistenziale.
Avevo deciso di uscire con il mio migliore amico, Spike. Alto, biondo, occhi neri. Per me era come un fratello, lo conoscevo fin dai tempi del’asilo.
Avevamo deciso di farci accompagnare in macchina, dopo aver ripulito tutta la carrozzeria dalla neve, sfidando la situazione meteorologica avversa. Era da letteralmente da pazzi, ma, dopo settimane chiusi in casa, a guardare la tv e trangugiare gli avanzi, vi giuro che si farebbe di tutto per  camminare in un posto che non fossero i cinque metri quadrati della propria stanza.
Ci stavamo dirigendo alla stazione della metropolitana più vicina a casa, Molino Dorino, alle porte di Milano, per poi arrivare al centro commerciale dove avremmo passato la giornata.
Scendemmo dalla macchina, un vecchio Peugeot 106 di proprietà di mia mamma, e la salutammo. Lei ripartì a tutta velocità . In giro non c’era anima viva. Era tutto così spettrale che nessuno sarebbe riuscito a non avere nemmeno un sussulto di fronte a quello spettacolo.
Aveva però smesso di nevicare, e, li per li e piuttosto ingenuamente, pensai che fosse una cosa positiva.
Dico ingenuamente perché dopo qualche secondo cominciarono a cadere dal cielo grossi goccioloni di quella che sembrava pioggia. Ma appena  me ne cadde una sulle labbra capii che non lo era: si trattava di una sostanza salata non meglio identificata.  scambiai uno sguardo incredulo con Spike. evidentemente nemmeno lui riusciva a capacitarsi di tutto ciò.
A parte questo la stranezza era che il cielo era completamente terso, non c'era nemmeno una nuvola, e cambiava colore, come quella lampade a fibra ottica, che si rifletteva sulla neve che copriva le macchine parcheggiate li intorno.
Anche se intimoriti, pensammo più di una volta, infatti, di tornarcene a casa, decidemmo di proseguire entrando nella stazione, per fare i biglietti.
L’edicola era chiusa e le macchinette automatiche erano fuori uso: nel display si vedevano solo Bande colorate, come quelle che trasmettono in Tv quando interrompono un programma in diretta.
Notammo, poi, che dentro il gabbiotto del controllore, che si trova tra le file di torneli che dividevano la zona metro  dall’atrio principale, stava  seduto in un angolo fissando i monitor delle telecamere, un omino basso e tarchiato. Capimmo dalla targhetta sul petto che si chiamava Giulio.
Appena fummo abbastanza vicino che lui ci potesse vedere, sussultò, cadendo dalla sedia.
Rispuntò dopo qualche secondo, sporco di polvere, che poi si scrollò di dosso tirandosi delle pacche.
«scusate» disse con voce nasale e acuta « ditemi tutto, ragazzi»
«dovremmo usare la metropolitana. Ma dove prendiamo i biglietti?» dissi
«li trovate in edicola o alle macchinette» disse
Spike gli spiegò che non era possibile, e lui si scusò dicendo che non l’aveva notato, poiché era intento a controllare i monitor.  “ma se non c’è nessuno!” pensai.
«siete fortunati. Ne ho sempre un paio nel portafogli» squittì passandoci due biglietti nuovi dalla fessura nel vetro.
«la ringrazio» disse Spike
«arrivederci!» conclusi infine io.
Timbrammo e scendemmo le scale. Fortunatamente la metropolitana arrivò subito.
Salimmo, e ci accomodammo nei primi due posti che vedemmo, spostando i giornali abbandonati qua e la.
Arrivammo velocemente alla stazione di San Leonardo. Ma il treno non riusciva a ripartire.
Poi accadde tutto con una rapidità inaudita.
La luci si spensero e una violenta ma  alquanto breve scossa di terremoto ci fece cadere da dove eravamo seduti.  Il treno ripartì ad una velocità sovrannaturale. E poi, improvvisamente si fermò.
La metropolitana sparì e noi, ci trovammo accasciati sull’erba soffice.
Eravamo in una radura. Intorno a noi, il bosco.

  
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