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Autore: LeBrebisNoir    31/07/2015    1 recensioni
Volevo scrivere qualcosa di originale, ma questa storia probabilmente non lo sarà. Tutte le buone idee sono state già prese. Dalla prima all'ultima. Lasciando ben poco spazio agli scrittori di fantasy. Dopo colossal come Tolkien, Lewis, Paolini, Martin, cosa rimane da scrivere a noi comuni mortali?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era li, in mezzo al campo, e respirava a fatica. Si sentiva schiacciato. I movimenti gli erano impediti da qualcosa che lo teneva ancorato li, in quella posizione assurda. Non si capacitava neanche di come fosse fatto il suo corpo, tanto si sentiva schiacciato e oppresso. Il petto si alzava lentamente alla ricerca di quell'ossigeno quasi inesistente. Si sentiva caldo, freddo, incrostato e sporco. E pian piano si fece forza, si portò una mano al petto, poi anche l'altra. Per tutti gli dei, per fortuna era umano. Iniziò a premere forte sopra di se, per lo meno quello che credeva il sopra. E facendo leva, cedè il lato sbagliato. Non sulle mani di fronte a lui, ma la schiena, si curvò fino ad alzare quell'ammasso di roba assurda che aveva addosso. Chiuse gli occhi infastidito e si passò le mani sul viso. Un viso normale, fortuna. Ma aspetta cos'era per lui un viso normale? Anzi, cos'era lui? Niente memoria, neanche un briciolo di quello che era stato prima riusciva a raggiungere la sua mente offuscata. Solo strafalcioni di una lama, di sangue, capelli al vento. Lui non aveva idea di cosa gli fosse successo. I suoi occhi si abituarono lentamente alla luce del sole, e il suo olfatto finalmente si risvegliò insieme alla vista. Una puzza inaudita. Rancido, marcio, morto. Furono le prime parole che gli vennero in mente, e furono parole giuste, come confermarono i suoi occhi che scrutavano ogni cadavere intorno a lui. Cosa diavolo era successo in quel posto? Perchè lui era ancora vivo? Quei morti sgozzati, pugnalati, infilzati, fracassati e marci lo guardavno con occhi pieni di mosche. E riempivano diversi ettari intorno a lui. Era stata sicuramente una grande battaglia, ma non sembrava ci fosse stato un vincitore. Di solito quando c'era un vincitore, qualcuno ripuliva i campi dei poveri contadini, donando una degna sepoltura sia ad amici che a nemici, senza distinzione. Ma li non era avvenuto, erano ancora tutti li. Forse era stata una battaglia giocattolo di qualche re annoiato. Sete. Improvvisamente una sete incontrollabile. Poi fame. Si guardò bene intorno. Non sembrava ci fosse qualcosa di commestibile o bevibile nei dintorni. Così si diresse a nord. Non sapeva perchè, ma da quella parte l'istinto lo guidava, il naso, e soprattutto le orecchie acute gli dicevano che da quella parte c'era qualcosa che avrebbe soddisfatto i suoi bisogni. Camminò per un po', senza degnarsi di soffermarsi ad indagare sul perchè era li. Tanto non avrebbe avuto senso, non si ricordava niente! E alla fine l'istinto aveva ragione. Un piccolo ruscello e una pozza. Quello che gli serviva al momento. Si guardò le mani incrostate di sangue con un leggero ribrezzo. Si tolse quelli che erano i resti di un'armatura che una volta doveva essere stata bellissima, ormai frantumata e corrosa. Mise da parte solo il mantello, la casacca e i pantaloni, ancora abbastanza integri da consentirgli un minimo di decenza e rubò degli stivali di buona fattura ad un cadavere poco lontano, tanto a lui non erano più di alcuno utilizzo. Dopo aver lavato il tutto e averlo steso al sole si decise a tuffarsi nella pozza. L'acqua non era troppo fredda, anzi era di una frescura piacevole in una giornata calda come quella. Iniziò a grattarsi via il sangue incrostato con del muschio e con le unghie, dove era più rappreso. Scoprì con sorpresa di esseresi procurato un taglio che passava verticalmente vicino all'angolo della bocca, recidendola in due. Appena si fu pulito abbastanza decise di specchiarsi nell'acqua limpida. Capelli castani, lunghi, leggermente arrufati per lo sporco, ma niente di irrimediabile. Una barba incolta, occhi di un verde profondo, quasi come quello dei campi in primavera, anzi forse addirittura più verdi. Un volto fine, un volto di un bell'uomo, giovane, sicuramente aveva meno di 30 anni. Un corpo abbastanza muscoloso da far scorgere i fasci muscolari in ogni parte del corpo, quel poco che bastava. Poi un tatuaggio, anzi più di uno. Anzi uno enorme. Partiva dal petto, girava come tentacoli neri di seppia sulle spalle fino a raggiungere la schiena dove si ergeva un enorme lupo. Un lupo. Cosa ci faceva un lupo sulla sua schiena? Poi improvvisamente un flash back. Per un antichissima cultura nordica il lupo, anzi, quel lupo era figlio di un Dio e una gigantessa. Quel lupo avrebbe distrutto quello che era il padre di tutti gli dei. Ma il suo nome non gli veniva in mente. Allora si sforzò ancora di più. Fenrir. Ecco quale era il nome del lupo. Ecco quale sarebbe stato il suo nome. Ma non ricordava altro. C'era stato indubbiamente un passo avanti però. Si rivestì con quegli abiti malandati, raccolse quello che gli sembrava utile per sostenere un viaggio: uno zaino, un paio di otri, un giaciglio, acciarino e pietre focaie, aveva persino trovato una pipa e del tabacco addosso ad un soldato. Prese poi una spada e un pugnale piuttosto ben messi. Ci mise molto tempo a trovarli, erano di una strana fattura, avevano ancora il filo, ed erano immacolati. Senza farsi troppe domande li mise alla cintola e si incamminò su quello che gli sembrava un sentiero. Ma la fame era ancora li, che gli attanagliava lo stomaco. Deviò dal sentiero quel tanto che bastava per non farglielo perdere di vista. Si accuattò alla ricerca di tracce. Sarebbe bastato un animale qualsiasi, di media o piccola taglia per soddisfare la fame del momento. E magari anche qualcosina da mettere da parte per il viaggio. Tracce. Tracce di conigli, quaglie, volpi e qualche fagiano. E poi tracce strane. Come quelle di un cinghiale. Ma più grande, più pesante. E soprattutto fresche. Il suo istinto predatorio si risvegliò dal più profondo della sua anima, allora si diresse silenzioso dove le tracce si muovevano. Ad una cinquantina di metri dal punto di partenza lo scorse, quell'enorme cinghiale rossastro. Una creatura devastante, immensa e letale. Si mosse nella direzione della bestia controvento, in modo che il suo odore non gli facesse da anfitrione. Passo, passo, poi di nuovo immobile. Lentamente scivolò alle spalle del cinghiale e gli piantò di netto il coltello nella gola. Uccidendolo all'istante. Si sentì soddisfatto. Non sapeva ancora chi fosse, ma di sicuro era un buon cacciatore. Scuoiò la carcassa senza problemi. Appese la pelle sopra al fuoco, per farla seccare e vi passò all'interno il grasso sciolto del bestione per ammorbidirla. Cucinò mezzo cinghiale e lo divorò come se non mangiasse da mesi. E proprio mentre il senso di sazietà si faceva strada nel suo stomaco uno schiocco secco e un sospiro. C'era qualcuno che lo stava osservando poco lontano da li.

"Fatti avanti, non ho intenzione di ucciderti o ferirti se tu non vuoi fare lo stesso con me" la sua voce era profonda, roca, sensuale. Si sorprese della sua stessa voce. Per tutta risposta la figura nascosta nel fogliame si avvicinò felpatamente. Occhi viola risplendevano alla luce del fuoco. Una ragazza magrolina, capelli rossi, corti fino alle spalle, diversi ferri sul volto. Lui la guardò senza troppo interesse e le porse uno stinco ancora caldo. Un grazie mormorato, poi solo versi di qualcuno che mangia di gusto. Fenrir sorrise tra i baffi, scosse la testa e continuò a mangiare senza chiedere niente a quella strana compagnia. La curiosità avrebbe atteso gli stomaci pieni per essere soddifatta. E quando si sentirono sazi, si guardarono l'un l'altro con aria interrogativa, intensa.

"ah-ehm.... grazie mille, ne avevo davvero bisogno" disse lei abbassando lo sguardo. Non riusciva a tenere gli occhi fissi in quelli verdi di lui. Erano occhi che ti rivoltavano l'anima, che ti mettevano a disagio, che trovavano in te ogni piccolo particolare.

"Nessun problema, ragazzina. Che ci fai qui tutta sola?" Sorrise. Trovava estremamente buffa quella situazione. Non gli pareva vero che dopo tanto tempo stava parlando con una persona. Quanto tempo era passato dall'ultima conversazione? Non lo sapeva neanche lui.

"Viaggio in cerca di tesori..."rispose ancora più imbarazzata.

"Tesori? E qui credi di trovarne? Non credo ci sia qualcos'altro oltre quella collina. Solo un campo di morti all'aria aperta." rispose ripensando alla puzza e al fetore che c'erano in quella landa morta, e ebbe un brivido che gli percorse tutta la schiena. Lei non rispose, ma sgranò gli occhi dal terrore.

Per tutta risposta lui esordì con "lo so perchè vengo da li. Non guardarmi con quella faccia imbambolata ragazzina. Non so come mai sono sopravvissuto. L'ho fatto e basta. Non so chi sono. Ma non è un problema tuo."

Mormorò insulti in una lingua a lui sconosciuta. Grutturale, piena di versi e biascicata. "seriamente sei sopravvissuto alla Grande Battaglia!? INCREDIBILE! Comunque smettila di chiamarmi ragazzina, ce l'ho un nome ed è Sin!"

"Sin? E lo consideri un nome?" e scoppiò in una fragorosa risata. Le piaceva quella ragazzina.

"si è un nome, mr. Non sò chi sono nè da dove vengo!" dichiarò fintamente offesa.

"guarda che un nome ce l'ho anche io." sussurrò. "probabilmente non è il mio vero nome ma finchè non scoprirò qual è, questo andrà bene. Fenrir. Questo è il nome che mi sono dato." prese a giocherellare con un bastoncino, muovendo le foglie di larice cadute.

"Fenrir... l'ho già sentito da qualche parte. In qualche storiella, una di quelle che ti raccontano le nonne davanti al fuoco."

"Era il nome di un Dio. Questo è quello che so. Un enorme lupo dal manto argenteo che avrebbe portato alla distruzione del mondo." concluse.

Un silenzio lunghissimo si propagò dopo quelle parole. Sin rifletteva. Ma non le veniva niente in testa. Nella sua piccola testolina bacata si affollavano miriadi di storie, canti, balli perduti da tempo. Ma non riusciva a ricollegare quelle informazioni. Apparteneva sicuramente ad una religione perduta da tempo. Storia troppo antica, concluse.

"Senti, per sta notte è meglio che rimani qui. Non so quali doti hai, ma non mi fido di certo a lasciarti da sola di notte. Farò io il primo tuno di guardia." e si alzò, senza aspettare una risposta. Si sgranchì le gambe, scrocchiò le ossa e si appoggiò ad un albero. Poi guardò Sin con un aria interrogativa, come a dire -allora!?-. Lei fece spallucce, senza ribadire, estrasse una tenda dallo zaino. Uno zaino troppo piccolo per contenere una tenda di quelle dimensioni, c'era sicuramente un qualche incantamento che la rendeva più grande all'interno. Inserì le stecche lentamente e metodicamente. La puntellò al terreno "beh buonanotte, Fenrir." e svanì all'interno. -Già, buonanotte- pensò. Avrebbe dovuto chiedergli di più su quella battagia. Voleva sapere cosa gli era successo, ma ci sarebbe stato modo di farlo l'indomani. Il sole era calato da ormai un paio d'ore e lui non aveva sonno. Sarà che aveva dormito abbastanza, in mezzo a quell'ammasso di carcasse. Sarà che non ne sentiva veramente il bisogno. Era una strana sensazione.

 

Si ritrovò la mattina appisolato ad un albero, la noia l'aveva fatto addormentare, probabilmente. Si scrocchiò la schiena, il collo e gli arti; mise mano ad un pezzo di chinghiale della sera prima e lo addentò. Sin uscì dalla tenda, più riposata che mai, e si inoltrò nella foresta per fare un po' d'acqua. Quando tornò si accovacciò accanto al fuoco, e piantò i suoi occhi violacei in quelli di lui.

 

  
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