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Autore: marmelade    31/07/2015    1 recensioni
Un venerdì sera, un appartamento al terzo piano, un gatto che miagola e tre amiche, ognuna con una paura diversa, nascoste dietro sorrisi tremanti e colli di birre.
C'è Vanessa, che ha paura di perdere Luke.
C'è Jade, che ha paura dei suoi sentimenti nei confronti di Michael.
C'è Mary, che ha paura di soffrire ancora una volta per Ashton.
Un venerdì notte, sigarette spente malamente in bicchieri di plastica, qualche lacrima amara, un gatto che dorme beato e tre amiche, che si ritroveranno ad affrontare le loro uniche e sole paure.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~
But there’s nothing to be afraid of even when the night changes
It will never change me and you

Il posto giusto, le braccia giuste.

 
Vanessa si sente come raggelata sul posto.
Si volta di scatto verso Luke, che adesso ha la testa bassa, e spalanca gli occhi, incredula per quello che le ha appena rivelato.
«Cosa... tu...?» balbetta velocemente «da quanto lo sai?».
Luke alza lo sguardo dal pavimento del salotto, poi morde il labbro inferiore, giocherellando nervosamente con il piercing che si ritrova.
«Da due giorni, credo» confessa, sospirando «ho trovato le analisi nel cassetto dei calzini» poi ridacchia «dovresti smettere di nascondere le cose lì dentro e trovare un nascondiglio più efficace, Vane. Il cassetto dei calzini è troppo scontato».
Vanessa incrocia le braccia al petto, sbuffando. «Tu perché guardi nel mio cassetto dei calzini?».
«E tu perché mi hai nascosto che sei incinta?».
Si sente completamente colpita ed affondata, dopo quelle parole che Luke le ha appena detto.
Il cuore le si ferma nel petto e sente il corpo tremare, come se avesse appena ricevuto una forte scossa interna. Luke la vede e le sembra quasi impaurita, così si alza dal bracciolo del divano e, con un mezzo sorriso sulle labbra, la raggiunge, avvicinandosi dolcemente a lei, che adesso ha lo sguardo puntato sui suoi piedi, nudi sul pavimento.
«Vane...» la richiama Luke, quasi in un sospiro. Porta le mani sotto il suo mento, alzandole il volto, facendo si che i suoi occhi blu e bagnati si scontrino con l’azzurro di Luke.
«Vane» ripete Luke, tenendole il viso incatenato contro il suo. «Perché non mi hai detto che sei incinta?».
E gli occhi di Vanessa non possono che rilasciare altre lacrime, un po’ perché si sente in colpa per avergli nascosto quel segreto, un po’ perché ha paura di dirgli tutte quelle cose che pensa lei, tutte quelle paranoie che si è sempre fatta per la loro differenza d’età e che Luke ha sempre cercato di sedare.
«Tu lo vuoi questo figlio da me, Luke?» domanda tra le lacrime, lasciando che il suo sospiro tremante colpisca il viso di Luke.
«Van...?» prova a dire lui, ma viene interrotto da un singhiozzo della bionda.
«Aspetta, fammi finire» dice, tirando su col naso, mentre Luke le tiene ancora il viso tra le sue mani.
«Sai come finiremo, Luke?» e lui scuote impercettibilmente il capo, mentre Vanessa viene scossa da un altro singhiozzo.
«Bene» sospira «te lo dico io come finiremo. Avremo questo bambino, perché entrambi siamo contro l’aborto. Tu smetterai di studiare e ti dedicherai completamente al lavoro per portare uno stipendio in più in casa, perché crescere un bambino costa tanto. Io farò la mamma a tempo pieno, diventerò isterica per le notti passate in bianco e me la prenderò con te per qualsiasi e minima cazzata, finiremo per litigare ogni giorno, sempre più furiosamente, tanto che i nostri vicini di casa chiameranno i carabinieri per paura che potremmo scannarci a vicenda. Tu inizierai ad odiarmi – ad odiarmi tanto – e finirai per tradirmi, per iniziare qualche relazione all’oscuro di tutti, di me, ed io finirei per odiarti ancora di più e finirei per odiare me stessa, perché ti ho costretto ad avere questo bambino a ventitré anni. E poi ci sarà il divorzio, gli alimenti da spedire, le litigate telefoniche per qualche mancanza nei pagamenti, i weekend da dividere per passarli col bambino, le cause in tribunale... e questo amore finiremo per trasformarlo in odio come se niente fosse, e io preferisco crescerlo da sola, questo bambino, invece che farmi odiare da te...».
E Vanessa singhiozza, singhiozza forte, contro il viso di Luke, che le accarezza una guancia dolcemente, cercando di farla calmare, perché lui odia sentire Vanessa piangere così violentemente.
«Vane» la chiama lui, sentendo i suoi occhi bruciare. «Vane... Vane... ascoltami, ti scongiuro» cerca di farle guardare nuovamente i suoi occhi azzurri, cercando di incastrare i loro sguardi, alzandole di poco il capo.
«Vane, ti prego... stammi a sentire...» dice lui, e qualche lacrima gli scappa, sotto lo sguardo incredulo di Vanessa.
Luke sospira lentamente e, tra le lacrime, riesce ad aprirsi in un sorriso. «Sai come finiremo, invece?» dice, e stavolta è Vanessa a scuotere il capo impercettibilmente.
«Bene» sospira lui, dopo aver tirato su col naso. «te lo dico io come finiremo. Avremo questo bambino, perché entrambi siamo contro l’aborto, e perché entrambi lo vogliamo. Io finirò di studiare, mi laureerò il prima possibile per trovare un lavoro decente che sia adeguato a me, così posso lasciare quello squallido bar, anche se è stato il bar che mi ha fatto incontrare te. Ci prenderemo cura di questo bambino insieme, ci organizzeremo per conciliare lavoro e famiglia e saremo in due a non dormire la notte, perché io non ti lascio esaurire da sola. E sì, magari litigheremo perché saremo stanchi per le nottatacce, saremo isterici e ci urleremo contro, ma quale coppia non litiga? Quale coppia è perfetta in ogni minimo particolare?
Io non ti lascio, Vane... non ti lascerò mai. E non pensare minimamente al divorzio, agli alimenti, alle altre relazioni... tu sei l’unica che voglio. Tu sei l’unica e sola. E questo bambino lo voglio più di qualsiasi altra cosa al mondo, perché è da quando l’ho scoperto che non dormo la notte e mi sento felice e carico, anche quando la mattina dopo devo alzarmi presto. E’ il nostro bambino, Vane, non potrebbe esistere di meglio. Perché io ti amo da morire».
Vanessa guarda Luke negli occhi, lasciandosi scappare un altro singhiozzo. Stavolta, però, sente il cure dentro di sé riprendere a battere forte, come un martello pneumatico, e sa che non è tristezza, quella volta.
Luke sorride, mentre un’altra lacrima gli solca il volto. «Domandamelo di nuovo».
«Cosa, Luke?».
«Se voglio un figlio da te».
Vanessa sospira. «Tu lo vuoi questo figlio da me, Luke?».
E quei secondi di silenzio la fanno rimanere col fiato sospeso e il cuore in gola perché, per un momento, ha paura che possa ritirare tutto quello che ha appena detto.
Ma, nello stesso momento in cui ci pensa, Luke si apre in un sorriso.
Quello stesso, identico sorriso che Vanessa vede ogni giorno appena sveglia, quel sorriso che l’ha fatta innamorare quella sera di Giugno... quel sorriso, che può indicare solo ed unicamente una cosa.
«Sì, Vane» dice Luke, tra le lacrime di gioia. «Io voglio questo figlio da te».
Vanessa non può far altro che sorridere, ma sorridere sul serio, mentre si avvicina alle labbra di Luke per sussurrargli un «ti amo» più sentito di tutti gli altri che gli ha detto in questi ultimi quattro anni.
«Ti amo anche io, Vane» sussurra in risposta lui, per poi unire le sue labbra con quelle di lei, baciandola con delicatezza, sfiorando le sue labbra come solo lui sa fare, come solo lui la sa amare.
Perché Vanessa lo sa che il posto migliore nel mondo è quello tra le braccia di Luke.
E, quello che entrambi sentono in quel momento, non può che essere felicità.
 
~
 

Michael continua a guardare Jade negli occhi, mentre quest’ultima sente nelle orecchie il rimbombo di ciò che ha appena pronunciato. Non ha il coraggio di fissarlo troppo negli occhi ed incrociare quello sguardo confuso, perciò distoglie leggermente lo sguardo, abbassandolo di poco.
Perfetto, Jade” pensa, sentendo le guance andare a fuoco “hai rovinato tutto. Complimenti, sei veramente un’idiota senza cervello!”.
Ad un tratto, però, una risatina divertita – quella stessa risatina che Jade sente ogni volta che è insieme a lui e succede qualcosa di esilarante – le fa riportare lo sguardo sul ragazzo, che adesso ha gli occhi chiusi e la testa gettata all’indietro, sul divano.
E Jade non può fare a meno di mordersi il labbro inferiore mentre lo guarda ridacchiare sommessamente, divertito, e pensa che non esista niente di più bello di Michael che ride, anche se lo sta facendo di lei.
Poi Michael apre improvvisamente gli occhi – più lucidi, direbbe Jade, forse a causa delle risate – cogliendola sul fatto, e lei si sente quasi nuda, scoperta e vulnerabile davanti a quello strano verde.
«Babe» la richiama Michael, un accenno di divertimento nella sua voce «avresti potuto dirmelo a telefono. Mi sarei fermato da qualche parte per prendertel-?!».
«No, cazzo Michael, io non voglio un kebab!» lo interrompe bruscamente lei, e le guance le vanno ancora più a fuoco.
Michael alza di scatto la testa, inarcando un sopracciglio. «Jade, hai battuto la testa?» le domanda confuso, facendo sospirare la rossa.
«No, Michael» ribatte, cercando di mantenere la calma «non ho battuto la testa».
E Michael non può che essere ancora più confuso, e si ritrova ad aggrottare la fronte. «Allora hai il ciclo» si ritrova a supporre, cercando di nascondere un sorrisino impertinente, che Jade riesce a cogliere comunque.
Quest’ultima rotea gli occhi al cielo. «No, non ho nemmeno il ciclo!» sospira infastidita.
«E allora cosa c’è?!» domanda lecitamente Michael, forse con un tono di voce leggermente alterato.
Jade si ritrova a sospirare ancora una volta: se fosse stato un altro giorno – se avesse avuto davvero il ciclo, ad esempio - probabilmente avrebbe finito per litigare con il ragazzo per quel tono di voce troppo alterato, eppure non gli dice nulla. Perché sa che è lei che lo sta tenendo sulle spine, sa che è lei ad essere quella confusa, Michael non ha colpe, sta solo cercando di aiutarla, di capire cosa diavolo le passi per la testa e, soprattutto, cosa stia nascondendo.
«Jade» la voce di Michael è seria e la distoglie nuovamente dai suoi pensieri. Il suo sospiro pesante le fa posare ancora una volta il suo sguardo negli occhi del ragazzo, e sente la paura galopparle dentro.
«Jade, mi dici che ti prende?» sbotta improvvisamente Michael, curioso e confuso, non sembra alterato.
«Mi chiami nel bel mezzo della notte, mi dici che devi parlarmi, che devi dirmi delle cose importanti, arrivo qui e mi dici che vuoi un kebab. Mi spieghi cosa significa tutto quest-?!».
«Significa che mi sono innamorata di te, Michael!».
E Jade porta immediatamente le mani a coprire le labbra, dopo aver pronunciato quella verità. Se potesse, rimangerebbe quelle parole così come le sono scappate di bocca, perché Michael non doveva saperlo così, forse non avrebbe dovuto saperle e basta.
Michael rimane spiazzato, le labbra semi aperte e gli occhi spalancati ed increduli. Eppure quelle parole le ha capite, le ha capite davvero, ma sembra quasi scioccato che la persona che gliele abbia dette sia proprio lei.
«Jade... tu...» tentenna, ma Jade stringe gli occhi e porta una mano sulle sue labbra.
«No Michael, aspetta, già è difficile così» sospira lei, sfiorandogli dolcemente le labbra un’ultima volta, prima di abbassare la mano. Michael rimane immobile, fermo, e continua a guardarla negli occhi, annuendo a malapena col capo.
«Ricordi quando l’altra sera mi hai detto...» Jade deglutisce, perché proprio tutto quello che è collegato all’amore non riesce a dirlo e Michael lo sa e se ne accorge, e l’unica cosa che può fare è sorriderle dolcemente.
«Sì, me lo ricordo» dice, interrompendola. «Vai avanti».
Lei annuisce di poco col capo, mentre le sue mani si aggrovigliano tra di loro in una danza nervosa.
«E io ti ho detto che volevo un kebab» gli ricorda, e Michael ridacchia leggermente. Poi Jade socchiude gli occhi, mentre una strana sensazione comincia a palpitarle nel petto.
«Lo so che ti ho creato una confusione enorme in testa, e so di creartela anche adesso... ma la verità è, Michael, che io ho una tale confusione in testa che non saprei spiegarti nemmeno io cosa provo. Ti giuro, in questo momento vorrei tanto essere una di quelle ragazze romantiche, che sanno come spiegare i propri sentimenti, quelle che io non sopporto e che mi fanno venire il diabete al solo pensiero, per te lo farei... eppure proprio non ci riesco. Scusami Michael. Scusa se sono un disastro, se non sono perfetta, se non riesco ad avere una relazione seria che duri più di tre settimane, scusa se la mia futura ambizione è quella di morire sola alle Hawaii, senza marito né figli, ma ti giuro Michael...» e Jade sospira per l’ennesima volta, mentre il cuore le arriva in gola. Michael sembra accorgersene  - perché Michael si accorge sempre di quello che turba Jade – e le prende una mano, ancora intenta in una danza nervosa insieme alla sua gemella, cosa che fa aprire di scatto gli occhi verdi di Jade, che vanno a posarsi sul sorriso sincero e comprensivo di Michael.  E Jade non può fare a meno di alzare un angolo delle labbra, contagiata dalla bellezza del minuscolo ma immenso sorriso che si è creato sul volto di Michael.
«Ti giuro, Michael, che per te potrei provare ad essere quel tipo di ragazza e sei l’unico e solo ragazzo che porterei con me alle Hawaii. E, so che ti sembra assurdo, ma tu sei un po’ come un kebab» e non riesce a trattenere una risatina divertita, mentre la presa di Michael si fa più stretta e solida intorno alla sua mano.
«Sei quel kebab di cui mi viene voglia proprio quando ho iniziato la dieta, l’unica eccezione che mi fa mandare a fanculo tutto il resto del mondo – e la dieta, ovviamente – e mi fa godere la vita come vorrei».
Le mani di Jade s’intrecciano alle dita di Michael, e i loro occhi si scontrano come se si guardassero per la prima volta. Jade sente quasi le lacrime arrivargli agli occhi, specchiandosi in quella perfezione – che, nota lei, sembra leggermente lucida, quasi come se si stesse commuovendo – poi deglutisce, lasciando che quel magone le scivoli via dalla gola.
«Lo so che non è una dichiarazione degna di un Oscar, che è ridicola e fa anche schifo... e adesso, se vuoi, puoi anche andare via, ti capirò se vorrai uscire per sempre dalla mia vita, davvero, perché il mondo è pieno di ragazze perfette che aspettano di essere amate da uno come te, e io non merito tutto quest-?!».
Ma Jade non riesce nemmeno a finire la frase, che Michael poggia le sue labbra contro quelle della rossa, intrappolandole in un bacio, bloccando quella miriade di parole – senza senso, aggiungerebbe Michael, se potesse parlare – che stanno scivolando via dalle labbra di Jade. E Michael le blocca, perché proprio non può permettere che quelle stupidaggini escano fuori da una persona così bella.
Jade chiude gli occhi, godendosi appieno quel contatto, lasciando che una mano di Michael vada  a finire sulla sua guancia morbida e l’accarezzi piano e dolcemente, mentre le sue labbra carnose si muovono lentamente su quelle di Jade nel modo giusto. Poi Michael si ferma piano, sfiorandole appena il naso con il suo, continuando ad accarezzarle la guancia, mentre una mano di Jade si è poggiata sul fianco di lui. Apre gli occhi, lasciandosi sfiorare dolcemente da Michael, mentre si sente ancora bisognosa delle sue labbra e di lui accanto al suo cuore.
«Michael...» sospira senza fiato, provando a parlare, ma lui la blocca ancora, questa volta con un sorriso sghembo e con i suoi meravigliosi fari verdi che si posano nei suoi occhi.
«Quante stronzate dici, Jade» inizia Michael, ridacchiando appena, tenendo premuta la sua fronte contro quella della ragazza che, adesso, aggrotta di poco le sopracciglia.
«Come puoi minimamente pensare di non essere perfetta per me?! Come puoi pensare che io voglia uscire dalla tua vita?!» dice, scuotendo di poco il capo, mentre con due dita le pizzica velocemente una guancia.
«Jade, io sono fottutamente innamorato di te. Disperatamente! Sono un caso perso, cazzo» e ridacchia, quasi nervoso, mentre Jade sente il cuore batterle come mai era successo.
«Non voglio che tu cambi, Jade. Non devi. Perché io ti amo così come sei: ti amo perché dici un sacco di parolacce e quando t’incazzi sei peggio di uno scaricatore di porto. Ti amo perché sei così perfetta in quelle che tu credi siano imperfezioni, che non ti rendi conto di quanto sei bella sul serio. Amo il tuo sorriso, amo i tuoi occhi... amo anche il fatto che tu voglia morire da sola alle Hawaii» e Jade sorride, abbassando di poco lo sguardo, quasi imbarazzata. Poi Michael porta due dita sotto il mento della rossa, facendole incastrare nuovamente gli occhi con i suoi, lucidi da fare schifo.
«Io ti amo, Jade. E voglio essere il tuo unico e solo, così come tu lo sei per me».
E a quella confessione, Jade si apre in un sorriso, un sorriso che mai avrebbe pensato di poter fare.
Un sorriso che sa d’amore.
«Dimmi di nuovo che mi ami, Jade» la supplica Michael, quasi come se ne sentisse l’impellente bisogno, quasi come se gli servisse a riempirgli il cuore di qualcosa che gli manca da tempo e che, forse, gli è sempre mancato e che trovato solo adesso, grazie a lei.
Jade gli sfiora dolcemente il volto con le dita – come fa sempre lui – provocando dei brividi lungo tutto il corpo del ragazzo, che socchiude di poco gli occhi, prima che Jade rilasci un sospiro e sussurri «ti amo, Michael» leggero, impercettibile, ma sincero. E poi le sue labbra sono di nuovo su quelle di Michael, e si cercano e si rincorrono come se non si toccassero e sfiorassero da tempo.
Le mani di Michael corrono lungo la schiena di Jade, fino a quando quest’ultima non si spinge all’indietro, poggiandosi sui cuscini del divano, mentre il corpo di Michael sovrasta il suo, facendo leva sulle braccia, e le sue labbra non smettono di baciare quelle di lei.
Poi Michael si allontana per un secondo dalle sue labbra e la guarda negli occhi. Jade apre gli occhi a sua volta, con sguardo interrogativo, mentre lui si apre in un sorriso sghembo e divertito.
«Sei sicura di volere ancora il kebab, babe?» domanda, il tono di voce è divertito e malizioso allo stesso tempo, e Jade non può fare a meno di ridere, lasciandogli un piccolo buffetto sul braccio.
«Preferisco rimanere qui con te» confessa lei in un sussurro, per poi poggiare la mano dietro la nuca di Michael e attrarlo a sé, riportandolo sulle sue labbra bisognose di contatto.
E lui sorride durante quel bacio, sentendosi finalmente nel posto in cui dovrebbe davvero essere – nel cuore e sul cuore di Jade - per poi spostarsi velocemente sul suo collo morbido, mentre le sue mani s’intrufolano sotto la maglia di Jade, facendola sospirare e sorridere allo stesso tempo, perché si rende conto che, per la prima volta nella sua vita, sta per fare l’amore con l’unica persona giusta.
 
~
 

Ashton si accende una sigaretta, poggiando la schiena alla portiera della macchina di Mary.
Litiga con quell’aggeggio colorato e consumato prima che un sorriso soddisfatto s’ instauri tra le sue labbra quando, finalmente, la fiamma prende vita sotto gli occhi grandi di Mary.
Mary, che ancora lo guarda, che ancora non riesce a capire cosa ci faccia lì e cosa voglia da lei dopo tutti quei mesi passati nel silenzio più totale; Mary che sente ancora il cuore batterle all’impazzata per ogni gesto che Ashton compie sotto i suoi occhi, per quella sua barbetta bionda e sfatta che lei ha sempre adorato, per quegli occhi verdi che, per lei, hanno sempre parlato di sincerità, nonostante tutto.
Incrocia le braccia al petto, sbuffando silenziosamente, mentre Ashton rilascia il fumo della sigaretta dalle labbra, chiudendo gli occhi, come fa sempre.
«Odio quando fumi» dice Mary all’improvviso, smorzando quell’imbarazzante silenzio che si è creato tra di loro da minuti – e da mesi - , ormai.
Ashton alza lo sguardo, preso alla sprovvista, osservando la figura piccola della ragazza di fronte a sé – le braccia conserte sotto il seno, come ogni volta che è imbarazzata o arrabbiata, aggiungerebbe – e non riesce a trattenere un ghigno dietro il filtro, intrappolato tra le sue labbra.
La guarda, la studia, la osserva con quegli occhi indagatori che creano ancora più imbarazzo a Mary, Ashton lo nota, perché la conosce meglio delle sue tasche, meglio di quanto lei creda, e sa che – ogni volta che i suoi occhi grandi puntano verso il basso – è appena arrossita. Può notarlo anche in penombra, quell’imbarazzo vermiglio che tanto caratterizza Mary, che tanto piace ad Ashton.
«Tu odi ogni cosa di me» ironizza Ashton, espirando altro fumo, e una nota amara prende possesso delle sue parole.
Mary alza di botto lo sguardo, riportandolo su Ashton – che non ha ancora abbandonato quel ghigno arrogante – e i suoi occhi si schiudono in due fessure, come per scrutare al meglio la situazione.
Quel ghigno vorrebbe proprio strapparglielo dalle labbra, a quello stronzo – pensa – e, dopo averlo fatto, probabilmente lo bacerebbe con tutta la rabbia, la malinconia e la tristezza che ha in corpo, risultando incoerente con sé stessa, odiandosi fino al midollo per aver formulato quei pensieri così contrastanti tra di loro, odiandosi perché la voglia di baciarlo, probabilmente, l’accompagnerà per tutta la vita.
«Io odio il fatto che non riesco ad odiare nessuna minima parte di te, nemmeno se ci provassi».
Quelle parole le escono di botto, in un sussurro: un sussurro che però lui ha percepito, ha sentito come se fossero urla, perché lui la voce di Mary – ogni singola cosa di Mary – riuscirebbe a percepirla anche distante chilometri, anche col silenzio che naviga e serpeggia tra loro.
Le braccia di Mary sono ancora conserte sotto il seno.
La sigaretta di Ashton è ferma a mezz’aria tra le dita le legittimo proprietario.
Occhi verdi in occhi castani, ancora una volta, per la millesima volta.
Occhi curiosi in occhi dannatamente seri.
E la sigaretta viene lanciata lontano, ancora mezza accesa, ancora con la capacità di poter essere assaporata, ma quella voglia, adesso, non c’è più. E le labbra che la tenevano intrappolata, al momento, vorrebbero solo posarsi su delle labbra carnose e fresche.
Ashton imita Mary, incrociando le braccia al petto - quasi come se la stesse sfidando – e quella punta di arroganza lei non può fare a meno di non notarla, e non può che infastidirla.
«Ci hai provato, almeno, ad odiarmi?» domanda lui, e un sospiro amaro rilascia le sue labbra, mentre gli occhi di Mary – lui li vede – si fanno più lucidi, pur mantenendo la loro forza.
«Tutti i giorni da quando te ne sei andato. Tutti i giorni in cui mi hai detto che eravamo uno sbaglio. Tutti i giorni in cui mi sono ripromessa di non cascarci mai più. Tutti i giorni in cui tornavi da me e io ti dicevo di sì. Tutti i giorni in cui ho cercato di frequentare altre persone pur di non averti tra i pensieri, eppure era come se i tuoi occhi mi si ripresentassero davanti ogni volta. Tutti i giorni, tutti i dannatissimi giorni in cui mi sei mancato».
Quella risposta fa quasi tremare Ashton, perché quelle parole lo hanno colpito come fossero dei proiettili direttamente iniettati nel cuore. E quando Mary sospira tremante – quasi come se quello che sta per dire sarà accompagnato dalle lacrime – Ashton sente il bisogno di stringerla a sé, come ha fatto tutte le volte che l’ha sentita piangere in silenzio, mentre quei singhiozzi gli facevano soffrire il cuore. Ma resta fermo, lui, e lascia che sia Mary a parlare ancora una volta.
Lei, che di parole da dire ne ha sempre avute tante, eppure troppo impaurita per emettere un singolo suono.
«Ci ho provato. Tutti i dannati giorni della mia vita, ti giuro che ci ho provato. E quante persone mi hanno detto che stavo sbagliando, quante persone mi hanno detto “puoi trovarne uno meglio di lui, uno con cui non farai tira e molla per il resto della tua vita!”» e Mary ridacchia amaramente a quelle sue stesse parole; parole che ha alterato di qualche tono, imitando la voce di sua madre - Ashton lo sa bene, quella donna avrebbe da dire tante di quelle cose su di lui – e si lascia sfuggire anche lui uno sbuffo di risata, perché Mary è sempre stata abbastanza brava con le imitazioni, soprattutto con quella di sua madre.
Mary tira su col naso, guardandosi nuovamente la punta delle scarpe, mentre un’ultima risatina amara le fuoriesce dalle labbra; poi scuote il capo, come se stesse rimproverando sé stessa per le cose appena pronunciate. Il suo sguardo si poggia severo su Ashton, all’improvviso, quasi con sicurezza, sicurezza che non è mai stata sua. La stessa sicurezza che mette nel pronunciare quelle parole.
«Tu mi odi, invece».
E quella frase – quella frase così amara – fa paura ad Ashton, che rimane di stucco di fronte agli occhi tristi e severi di Mary. Le sue braccia cadono lungo i suoi fianchi, mentre le sue mani si chiudono in due pugni stretti ed arrabbiati. Arrabbiati solo ed unicamente con sé stesso, perché se Mary crede a certe cazzate è sicuramente colpa sua.
«Cazzo» impreca tra le labbra sottili, mentre il cuore gli si ferma in gola quando sente un singhiozzo triste - ed impaurito, forse -  fuoriuscire dalle labbra di Mary, le cui mani si torturano insistenti tra loro.
«Perché dovrei odiarti?» domanda lui, e le sue mani si sciolgono da quella rabbia, forse per la paura di potersi prendere a pugni da solo.
E solo in quel momento, Mary si lascia sfuggire una lacrima. Una sola ed unica lacrima.
«Perché sono un fottuto casino, Ash» e la voce le trema, ancora una volta «e ti ho incasinato la vita». Poi Mary fa un passo indietro, guardando ancora Ashton di fronte a sé, stringendosi nelle spalle.
«Forse è meglio che tu vada via, adesso»  dice, facendo un altro passo indietro, raccogliendo poi con un dito la lacrima che le è caduta precedentemente. Ma Ashton non muove un muscolo, non si allontana minimamente dalla portiera sulla quale è appoggiato. I suoi occhi sono fissi su Mary che compie altri minimi passi indietro. Minimi, come se non volesse allontanarsi.
«Dico sul serio, Ash» ripete Mary «vai via. E’ meglio per entrambi».
Ma mente Mary, mente a sé stessa, perché l’unica e sola cosa che vorrebbe, al momento, è lasciarsi stringere dalle braccia forti di Ashton, da quelle braccia che l’hanno sempre sorretta e protetta in ogni istante.
Mente Mary, mentre volta le spalle ad Ashton e si avvicina sempre più al portone del suo palazzo, mentre i suoi occhi si caricano di lacrime che usciranno fuori nel momento in cui sarà sola in casa, lontana da lui, lontana dal suo cuore che ha sempre saputo come consolarla.
E mente Mary. Mente perché, in realtà, lei Ashton lo ama oltre i limiti del cuore.
«I heart you».
Le bastano quelle tre parole per rimanere bloccata sui suoi passi.
Le bastano quelle parole – quelle tre parole che lei conosce bene - dette con sicurezza perché il sangue le si raggeli e il cuore prenda a batterle all’impazzata, quasi come se stesse prendendo la rincorsa per uscire fuori dal suo petto.
Le basta quell’unica e sola frase per voltarsi nuovamente verso Ashton, per ritornare sui suoi veri passi.
«Ashton...» sussurra Mary, la voce che le trema, ma lui non se lo fa ripetere due volte. Si allontana dalla portiera della macchina di Mary e, finalmente, per la prima vera volta dopo mesi di silenzio si avvicina a lei, ma non la tocca, non la sfiora – eppure vorrebbe – si limita a guardarla negli occhi, che sanno dire più di quanto lei voglia fare.
«I heart you» ripete Ashton, stavolta con più sicurezza, mentre i suoi occhi si perdono nel castano di lei e un piccolo sorriso gli si forma sulle labbra. Un sorriso dolce, un sorriso che sa parlare, uno di quelli che ama Mary e che lui, effettivamente, non faceva da tempo.
«E non posso odiarti, nemmeno se ci provassi con tutte le mie forze. Odio il fatto che non riesco ad odiare nessuna minima parte di te» e ridacchia, ripetendo quelle stesse parole che Mary ha pronunciato poco prima, che la fanno arrossire ed abbassare il capo dall’imbarazzo.
«Odio il fatto di averti fatta soffrire, di averti fatto passare le pene d’inferno, di averti mentito quando ti ho detto che siamo stati uno sbaglio, un tremendo sbaglio da non compiere mai più, di essermene andato e averti lasciata sola... tu non sai quanto mi odio per questo» sospira Ashton, e il suo è quasi un sospiro triste e pieno di sensi di colpa, mentre Mary lo guarda di sottecchi.
«Tu non sai quanto ti amo, Mary». Le sue parole sono talmente sentite, che Mary alza lo sguardo all’improvviso e lo punta negli occhi verdi di lui, che sorride non appena i loro colori si mescolano per l’ennesima volta in quella serata. Ashton le si avvicina ancora di più e può giurare di sentire il battito del suo cuore, poi alza una mano, cercando di afferrare con le dita una ciocca dei suoi capelli per spostargliela dietro l’orecchio – come era solito fare – ma, in un secondo, si ferma con la mano a mezz’aria, e un sospiro abbandona le sue labbra.
«Mi dispiace di averti fatto del male perché, credimi, non vorrei mai vedere le lacrime sul tuo volto, soprattutto se per causa mia». Mary intrappola tra i denti il labbro inferiore, cercando di mandar giù il magone che le si è appena creato in gola.
«E lo so che non mi crederai, che penserai che sono qui ancora una volta – per la settima volta – a chiederti scusa, a pregarti di tornare con me, ma...» e Ashton le prende una mano all’improvviso, la tiene stretta, e Mary non se ne vuole proprio liberare. «Mi sei mancata tanto. Questi mesi senza te sono stati un’agonia. E ho provato quanto te a farmene una ragione, a frequentare altre persone, ad impormi di credere che la nostra storia è sempre stato uno sbaglio e che abbiamo sempre commesso un grande errore a tornare insieme... ma la verità è che tu sei la mia anima gemella. Non riesco a vederti con nessun’altro che non sia io e, soprattutto, non riesco a vedermi con nessun’altra che non sia tu. Tu sei l’unica e sola persona che voglio oltre il limite dell’impossibile».
Mary si lascia scappare una lacrima leggera di fronte a tutte quelle parole che lui le ha appena confessato. Ashton se ne accorge e, con un mezzo sorriso, raccoglie prontamente la lacrima dalla guancia di lei.
«Il sette è il numero della perfezione» dice lui, accarezzandole dolcemente la pelle con il dorso delle dita.
E a Mary ritornano in mente le parole che le hanno detto Vanessa e Jade qualche ora prima, e quasi non può credere che, al momento, Ashton è di fronte a lei che le ripete le stesse identiche parole.
Lo guarda negli occhi, perdendosi e ritrovandosi in quel verde sincero delle sue iridi.
«Mi hai spezzato il cuore» gli dice, scostando il volto per evitare che Ashton le accarezzi ancora la guancia.
«Lo so» sospira lui, mentre un moto di tristezza lo pervade, e la paura che Mary possa sfuggirgli di nuovo gli accalappia l’anima.
«Ma hai sempre saputo come farlo ripartire. Sei sempre stato l’unico e solo che ci è riuscito... e che ci riuscirà sempre». A quelle parole, il cuore di Ashton perde un battito. Rimane col fiato sospeso in attesa, mentre lei si morde il labbro inferiore.
«E, se il sette è davvero il numero perfetto...» a quel punto, Mary gli prende una mano – la stessa che le stava accarezzando una guancia – poi si apre in un sorriso. Un sorriso finalmente felice. «...allora la settima volta sarà quella veramente giusta».
Il cuore di Ashton riprende a battere all’impazzata, proprio come tutte le volte che è con lei. La guarda negli occhi e sorride, finalmente, sorride come non sorrideva da tempo, come non sorrideva da quando lei è andata via. E gli basta solo un attimo per circondare i fianchi morbidi di Mary con le sue braccia ed alzarla da terra per abbracciarla forte, per abbracciarla finalmente, mentre lei ride, e la sua risata dolce gli invade le orecchie e il cuore vuoto.
«Piano, piano!» ride lei, dandogli dei colpetti leggeri dietro la schiena coperta dalla camicia a quadri, per poi abbracciarlo forte e sentire il suo meraviglioso profumo. «Guarda che sono ingrassata, in questi mesi».
«Lo so, lo sento» la prende in giro, sforzandosi con la voce, per poi rimetterla giù continuando a tenerle le braccia strette intorno alla vita.
Mary aggrotta la fronte, rivolgendogli un’occhiataccia. «Stai già perdendo colpi, Fletcher, ti avverto» lo minaccia, per poi lasciargli un pizzicotto su un braccio che fa gemere dal dolore Ashton e sorridere soddisfatta Mary, prima di ridacchiare.
«Sei perfida» ridacchia lui, poggiando la fronte sulla sua, sfiorandole dolcemente il naso, che Mary arriccia.
«Sono brava a vendicarmi» dice, alzando le spalle, per poi sorridergli e portare le dita sul suo mento, accarezzandogli leggermente la barbetta bionda. «Sai che non vale utilizzare le frasi di Orange is the new black per riconquistare una ragazza? Sei stato meschino» ironizza poi, e Ashton scuote il capo.
«Non è meschinità, questa» si difende «è solo conoscere i tuoi punti deboli. E poi, andiamo... non sono stato tremendamente dolce quanto Alex Vause, quando l’ho detto?» e la guarda negli occhi, prima di ridere ancora.
«Non sarai mai ai livelli di Alex Vause» asserisce Mary, imbronciando leggermente le labbra, per poi alzarsi sulle punte ed allungare la mano verso i suoi capelli disordinati – quei capelli che le sono mancati tanto, anche se troppo lunghi – e accarezzarglieli dolcemente, sorridendo.
«Ma tu sei Ashton Irwin. E io ti amo così come sei».
Ashton le sfiora ancora una volta il naso, prima di abbassare leggermente il viso verso di lei e raggiungere le sue labbra morbide, accarezzandole con un bacio che vale più delle mille parole sospese per aria. E Mary chiude gli occhi e lo stringe forte a sé, sentendo già il suo cuore che riprende il ritmo giusto, il ritmo che solo Ashton sa dargli. Si gode appieno quel bacio, quelle labbra che le sembravano così lontane e che s’incastrano alla perfezione con le sue, quelle labbra che – come la prima volta – sanno donarle emozioni che Mary nemmeno con tutte le parole del mondo riuscirebbe a spiegare. Perché le sembra inutile parlare, adesso che quel bacio le ha dato tutto quello di cui aveva bisogno.
Ashton si allontana piano, quasi come se non volesse smettere di baciarla, poi la guarda negli occhi ancora una volta e sorride, tenendo ferma la fronte contro la sua, mentre Mary apre gli occhi e gli fa un sorriso che gli scalda il cuore.
«Sai una cosa, Ash?» lo richiama lei, facendogli una carezza. Ashton la guarda con fare interrogativo, sfiorandole dolcemente un fianco, mentre Mary aggrotta le sopracciglia.
«Credo che dovremmo iniziare la terza stagione di Orange is the new black. Da quando sei andato via, non l’ho più vista». Ashton rimane sbigottito di fronte alle sue parole, ma i suoi interrogativi vengono spenti dalla risata cristallina di Mary, che si alza nuovamente sulle punte e gli lascia un bacio leggero sulle labbra, continuando ad accarezzargli la guancia.
«I heart you too» sussurra piano, dolcemente, in modo che solo Ashton - anche se in mezzo a tutto quel silenzio e quella strada vuota – possa sentire quel segreto che è di entrambi, che è solo loro. E Ashton scuote il capo rassegnato e sorride, perché solo Mary può smorzare dei momenti romantici con poche semplici parole, rendendoli a misura loro, rendendoli perfetti.
«Ti amo così tanto, Mary» le sussurra ridacchiando, prima di abbassarsi a lasciarle un bacio sul naso per poi stringerla forte al suo petto ed abbracciarla, diventando un’unica e sola persona.
E Mary si sente finalmente piena, finalmente felice.
Finalmente, ha tra le braccia tutto quello di cui ha realmente bisogno.
«E sai cosa? Hai ragione. Credo proprio che dovremmo iniziare a rivederla».
 
 
~
 

 Sono le tre e mezza del mattino.
Nell’appartamento, i piatti sporchi sono ancora tutti sul tavolo, gli scatoloni della roba d’asporto sono ancora in cucina che attendono di essere buttati, Charlie continua a dormire beato sul divano e l’odore delle sigarette fumate da Jade non è ancora scomparso del tutto.
Le tre e mezza del mattino, e Luke e Vanessa dormono abbracciati: il corpo di lei stretto a quello di lui, l’incavo del suo collo occupato dal mento di Luke e la mano di lui poggiata sul ventre di lei.
Chissà se, fra qualche mese, le tre e mezza del mattino saranno ancora così tranquille per loro.
Una cosa è certa: saranno sicuramente piene di qualcosa in più, qualcosa di più bello, qualcosa che ameranno incondizionatamente fino alla fine dei loro giorni.
E, pur dormiente, Vanessa sorride, stringendo involontariamente la mano di Luke sul suo ventre.
Adesso sa che Luke rimarrà con lei.
E non ha più paura.
 
Sono le tre e mezza del mattino.
Alla fine si sono addormentati nudi sul divano, mentre lei gli raccontava della gravidanza di Vanessa.
Michael aveva preso sonno proprio mentre gli diceva della paura che la sua amica aveva di dirlo a Luke. L’aveva sentito russare e si era voltata verso il suo viso, leggermente sorpresa. Solitamente si sarebbe arrabbiata, gli avrebbe sferrato una gomitata nello sterno per farlo svegliare e dirgli su quanti più insulti possibili – anche inventati al momento – ma, stranamente, stavolta non ci è riuscita.
Si è voltata su un fianco e l’ha guardato dormire: la pelle chiara, il corpo nudo, i sospiri leggeri, le labbra rosse e piene, anche quel leggero russare che normalmente odia... tutto di Michael non riesce proprio a farla arrabbiare.
Jade sorride, mentre con i polpastrelli gli sfiora leggermente la pelle, stando attenta a non svegliarlo per godersi ancora per un po’ quel meraviglioso spettacolo. Sorride Jade, mentre Michael fa delle strane smorfie con le labbra, arricciando il naso come fosse un bambino. Allora smette di accarezzargli la pelle e si accoccola contro il suo petto, anche se in quel divano stanno un po’ troppo stretti, eppure non importa a nessuno dei due. Si addormenta così, con un sorriso impercettibile sulle labbra, tra le braccia di Michael, nel posto giusto e con la persona giusta.
E cazzo se è innamorata.
 
Sono le tre e mezza del mattino.
Hanno fatto l’amore come non capitava da tempo, come non avrebbero potuto farlo con nessun’altro se non tra di loro, con quel modo così speciale di godersi i piccoli gesti, i baci rubati tra i sospiri leggeri e le carezze lungo ogni parte del corpo, capaci di provocare la pelle d’oca anche al più cinico degli uomini.
Ashton l’ha stretta a sé, l’ha tenuta stretta sul suo petto e hanno lasciato che i loro sospiri si affievolissero, prima di raccontarsi tutte quelle novità che si sono persi in quei mesi l’uno dell’altra.
Hanno ascoltato le loro parole e le loro risate, mentre i loro occhi si perdevano l’uno nell’altro o, ogni tanto, si fermavano a fissare il soffitto, immaginando cosa avrebbe potuto riservare loro il futuro e alla loro settima volta insieme.
Poi Ashton le ha lasciato un bacio sulla nuca e un altro bacio sulla punta del naso, che Mary non ha esitato ad arricciare per quello strano solletico che le provoca la barbetta di lui, il quale ha riso prima di abbracciarla ancora, ripetendole quanto l’amasse. Mary allora, mentre Ashton le accarezza i capelli, si è avvicinata al suo petto nudo e gli ha lasciato un bacio leggero sul cuore, un bacio che ha fatto sorridere Ashton, un bacio che gli è bastato più di mille parole.
Si sono addormentati così, l’uno nelle braccia dell’altra, i respiri ancora un po’ affannati e l’orecchio di Mary poggiato sulla melodia che il cuore di Ashton sta suonando.
E pensa che, sì, adesso è finalmente felice.
 
Le tre e mezza del mattino: il vento che batte leggero contro le finestre; alcune strade vuote e altre ancora popolate da persone e sentimenti nuovi; bottiglie di birre vuote sull’asfalto e altre che, invece, si avvicinano a labbra sconosciute; tre cuori finalmente sgombri di paure e una nuova giornata che nascerà presto.
E le cose, finalmente, sono tutte al posto giusto. 

 
~
Probabilmente non riuscirò mai ad essere puntuale con un aggiornamento. 
Dio, quanto tempo è passato?! Un mese? Sono proprio una sega. 
Vorrei tanto essere una di quelle autrici (non merito nemmeno di definirmi così, ma vabbé) puntuali, con il solito aggiornamento settimanale, ma probabilmente il karma, le Parche e la mia sfiga cronica mi odiano da morire, ergo evitano che io aggiorni per mesi. Ma ho delle spiegazioni (che non vogliono essere giustificazioni, o meglio, paraculate) a tutto questo ritardo:

1. se avete letto i miei scleri, qualcuno di voi è al corrente del fatto che io ho computer stra vecchio di nome Herbert, conosciuto anche come Herb, che mi accompagna nelle mie vicissitudini da "autrice" fallita quale sono. Insomma, per farla breve, Herbert si è reso conto che faccio schifo a scrivere, che sono una pippa mancata negli aggiornamenti e, un giorno, mi ha guardato con il suo migliore sguardo da sassy (che manco Louis Tomlinson, insomma), ha schioccato i tasti come le migliori afro americane (tipo Mercedes Diva Jones) e mi ha detto: 

«Oh, hell to the no, sistah! Io non ci sto più con questi ritardi cronici e poi beccarmi tutte le colpe! Adesso te la vedi da sola, io ho chiuso con te e la tua shit *schiocca i tasti*»

«Andiamo Herb, cerca di ragionare! Giuro che sarò puntuale, davvero!» l'ho giustamente supplicato perché, insomma, dopo tutti quei bei momenti passati insieme non poteva mica abbandonarmi così, su due piedi!
Ma quello, come le migliori dive di questo mondo, ha alzato il bloc maiusc medio (lasciandomi allibita per cotanta rozzezza) e si è spento senza più darmi alcuna spiegazione. E mi ha abbandonato. 

Insomma, tutto questo sclerotico dialogo per dirvi che Herbert è morto.
Cioè, non è proprio morto, è solo che s’impalla in continuazione e, chissà per quale assurdo motivo, decideva di spegnersi ogni qualvolta io provassi ad entrare in Google Chrome.
Non potete proprio immaginare quante bestemmie siano uscite dalla mia bocca nei suoi confronti.
Solo una cosa buona ho da dire: il caro signor Herbert, almeno, non si spegneva mentre scrivevo (ma io comunque salvavo ogni due minuti per evitare catastrofi e improvvisi voli spontanei di computer dal balcone) iiiindi per cui... mi sono portata avanti! Yeeee :D
In realtà non frega a nessuno, tranne che a me. Ma forse nemmeno a me frega.
Fortunatamente, qualcuno ha deciso di graziarmi e, sorpresa delle sorprese, mia mamma si è fatta trovare con un pc nuovo nuovo di zecca, ciovine ciovine, che ormai le imploravo da tempo.
 Forse si era rotta le palle di tutte le mie bestemmie contro il povero e vecchio Herbert.
Quiiindi, date il benvenuto al nuovo arrivato cheeee... non ha ancora un nome.
Sì, io do i nomi ai miei oggetti tecnologici, quiiindi, se volete, potete suggerirne uno per il nuovo arrivato J
 
2. subito dopo l’arrivo del nuovo arrivato, sono partita per andare in vacanza una settimana (quant’è bella la Sicilia, ogni volta mi stupisce sempre di più!) quindi ho potuto scrivere poco, molto poco. Inoltre  (essendo io sempre molto sfigata ed essendo l’estate sempre caina nei miei confronti e nei confronti dei miei oggetti tecnologici) non potevo risparmiare le bestemmie in vacanza, no? Ecco, appunto: il caso a voluto – per non dire sfiga – che il cellulare mi volasse di mano mentre ero nella hall dell’albergo, facendo si che il vetro si spaccasse per la seconda volta a distanza di un anno (sì, avete capito bene: si era rotto anche l’estate prima, dopo pochi mesi – e tanti soldi – di vita). Tutto questo per dire che non ho potuto nemmeno provare a scrivere qualcosina ina ina dal cellulare, causa sfiga perenne.
 
3. ammetto di aver abbandonato per un po’ - un bel po’ - la stesura di questo capitolo (e dei prossimi che, giuro, leggerete presto) perché Ashton Irwin qui presente – e con qui presente intendo nel capitolo e non accanto a me. Sob, che tristezza ç_ç – ha deciso di riempirmi la mente e l’ispirazione con taaante cosucce, quali oneshot e fanfiction a non finire. Quindi, sì: mi sono buttata nella stesura di una nuova fanfiction (che ho scritto fino al capitolo sette, mi sono placata un po’ anche lì) e di taaante oneshot che spero possiate – e vogliate, soprattutto – leggere presto J
 
Insomma, queste spiegazioni/paraculate sono state utili (?) per farvi capire quanto sfigata e poco puntuale sono. Vi chiedo immensamente scusa, davvero, mi sono sentita – e mi sento ancora – tremendamente in colpa per questi perenni e lunghi ritardi che manco le tartarughe in letargo sono così mosce.
Chiedo umilmente perdono e mi dispiace avervi fatto aspettare!
Peeeeerò... c’è un altro però u.u
Siccome io e la mia incontinenza verbale non riusciamo proprio a smettere di parlare/scrivere/sparare cazzate, ho deciso di aggiungere un altro capitolo a questa storia!
Sì, era nata come oneshot, cresciuta come mini mini mini long a due capitoli e corre a minilong a cinque capitoli. Va a finire che mi diventa un bestione di fanfiction lunga di venti capitoli e addio core.
E’ che mi rendo conto che i capitoli sono troppo, troooppo lunghi, e che non posso scrivere venti pagine senza dividerle! Ergo, ci sarà un capitolo in più che sarà il continuo di quello che doveva essere il quarto capitolo, ovvero l’epilogo. Ora, il quarto capitolo è diventato un accenno di epilogo, mentre il quinto (si spera, terrò a bada le manine) sarà l’epilogo vero e proprio.
Spero che questa cosa vi faccia piacere (come ha fatto piacere a Vane e Jade u.u) e che vi entusiasmi quanto entusiasma me :D
Anyway, ho scritto troppo. Le note sono più lunghe del capitolo, un altro po’!
Bon, vado in ritirata a rispondere alle vostre meravigliose recensioni  *-* siete troppo dolci, sul serio.
Merito i calci in culo, non tutta questa dolcezza ç_ç
Come al solito, per insultarmi vi lascio i miei contatti di facebook twitter ed ask !
Grazie per esservi soffermate a leggere e grazie per aver aspettato questa ritardataria cronica!
Siete troppo buone! ♡
Un bacione grandiiiisssimo :*
Mary ♡

ps. ho finito di scrivere il capitolo qualche giorno dopo la fine della terza stagione di Orange is the new black (se non l'avete mai vista, correte a vederla) ecco spiegati i riferimenti alla serie e ad Alex Vause nel capitolo!
Dolore per me che dovrò aspettare l'estate prossima per tutti quei dubbi che mi ha lasciato ç_ç 

pps. ma avete sentito Drag me down? Io la adorooo *-* il mio lato da directioner si è risvegliato e ha ascoltato la canzone a manetta per tutta la mattina! Poi la me sedicenne si è alzata e ha giustamente urlato "HAAAAAAAAARRRYYYYYY!". 
E ciao a tutti. Sono morta e risorta mille volte
Probabilmente la voce di Harry Styles sortirà sempre il solito effetto in me.
Maledetto cherubino castano dai ricci non più ricci. 
Scusa, Ashton, ma le prime crush non si scordano mai. 



 
  
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