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Autore: morgana85    26/01/2009    8 recensioni
Questa sarà una piccola raccolta dove ho cercato di unire due delle cose che amo di più al mondo: la storia dell'arte e la scrittura. Per ogni dipinto scelto, tra i più diversi autori,sarà scritta una storia dai pairing differenti. Spero di avervi incuriosito almeno un pò! Bacio a tutti Morgana
- Primo capitolo partecipante al Kisses Contest indetto da itachi love -
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Buongiorno a tutti! ^^
Scusate davvero, ma in queste settimane il lavoro non mi da un attimo di tregua… glip! @_@
Quindi, ancora una volta, chiedo perdono per il ritardo!
Ma bando alle ciance…vi lascio al nuovo capitolo!
BUONA LETTURA!! =)
Ci vediamo più giù per i ringraziamenti ^^
Bacio a tutti!
Morgana
 
Il link per il sesto dipinto è:
http://www.agoramagazine.it/agora/local/cache-vignettes/L391xH500/maddalena-3393b.jpg
 
 
 
 
Caravaggio - “Maddalena”
 
Sola. Finalmente.
Con un profondo sospiro si stiracchiò, languida come un felino. Un piccolo sorriso le incurvò le labbra morbide quando venne travolta dall’ormai familiare sensazione di tranquillità della sua stanza.
Era sempre così, ogni volta che in qualche modo riusciva a chiudere il mondo oltre la pesante porta cui ora era appoggiata. Sentiva un piacevole sollievo, nascosta in un rifugio in cui non doveva spiegazioni a nessuno per ciò che faceva. La solitudine non la spaventava, era più che altro una silenziosa compagnia.
Si liberò in fretta della divisa, girando a piedi nudi per la camera in cerca di abiti più comodi. Sciolse i capelli dallo chignon severo in cui erano stati raccolti, lasciandoli cadere morbidamente sulle spalle. Erano lunghi e neri come pece e della consistenza della seta.
Gettò una rapida occhiata fuori dalla finestra.
Il crepuscolo.
Sorrise ancora. Era il momento della giornata che preferiva. Dove tutto sembrava in bilico, sospeso in un’eterna lotta tra giorno e notte, dove i confini tra cielo e terra si confondevano e la magia era palpabile nell’atmosfera. Adorava i colori accesi e quasi surreali che tingevano il cielo, in una perfetta armonia di rosso cupo, blu, viola e un incredibile color oro. Anche l’aria era più frizzante e profumata.
Si avvicinò al vecchio grammofono regalatole da suo padre, un pregevole pezzo di antiquariato che molti le invidiavano. Scorse in fretta le custodie dei dischi della sua numerosa collezione, sapendo già cosa cercare.
Quando la musica cominciò a diffondersi si lasciò cadere sulla comoda poltrona lì accanto, reclinando la testa all’indietro, i capelli che docili le scendevano lungo la spalla lasciata nuda dallo scollo troppo largo della maglietta, intrecciando le dita tra loro.
Cercava ispirazione.
Consentì alla musica di penetrare oltre le sue palpebre chiuse, scorrendole sotto la pelle e facendola tremare. Era una melodia antica, non sapeva nemmeno chi fosse l’autore. Un’arpa suonava in lontananza, accompagnata dal suono di quello che riconobbe come un violoncello e dall’armonia tenue e vellutata di uno strumento che non aveva mai sentito. Era una musica dalle soffici tonalità della malinconia, leggermente velata di tristezza, eppure così incredibilmente dolce e profonda da far vibrare il cuore.
Si lasciò cullare da quelle note così intense, rilassata e protetta come si era sentita poche volte in vita sua. Socchiuse appena le labbra, quasi a voler catturare il sapore di quella melodia. Le sembrava di essere in un mondo a metà tra la realtà e il sogno, dove non c’era altro che lei con i propri pensieri e la miriade di sensazioni sconvolgenti che stava provando.
E pianse.
Piangeva per motivi a cui non riusciva a trovare un nome, ma che erano lì, nascosti in un angolo dimenticato della sua memoria.
Quando la musica finì e riuscì ad aprire nuovamente gli occhi, si meravigliò di trovare le guance completamente asciutte, segno di lacrime che aveva semplicemente immaginato.
Fuori si era fatto più buio, ma la sera non era ancora calata del tutto. Come se l’intero universo si fosse fermato ad ascoltare il suo respiro, asciugando quel pianto che stonava in maniera così evidente con il suo viso.
Prese qualche candela per avere un po’ più di luce, guardandosi intorno. Trovò quello che cercava ai piedi del suo letto. Una scatola di legno scuro, sul cui coperchio risaltava l’intarsio di un fiordaliso. Indugiò con le dita, sfiorando i contorni del fiore con delicatezza, per poi aprirla lentamente, facendo stridere le cerniere leggermente arrugginite. Al suo interno, ordinatamente allineati come li ricordava, trovò diversi tubetti di colore e qualche pennello.
Non li usava da così tanto tempo che pensava di averli buttati. Ma in cuor suo sapeva che non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Vi era troppo affezionata. Portavano con sé il ricordo caldo di chi glieli aveva regalati.
Con gesti veloci recuperò anche la tela che aveva nascosto sotto al letto appoggiandola alla parete, accanto alla finestra, in modo da poter avere la luce fioca della sera ad illuminarla. Poi si sedette sul pavimento freddo, iniziando a mischiare i colori, meravigliandosi di quanto ricordasse perfettamente l’odore dell’olio di lino che utilizzava per impastarli, così come la facilità con cui stringeva il pennello tra le dita.
Per diversi minuti non fece altro che osservare la tela, bianca e tesa sull’intelaiatura di legno. Non sapeva cosa avrebbe dipinto, ma era decisa ad abbandonarsi al suo istinto, lasciando che fossero i suoi sensi a guidarla e le sue emozioni a dettare colori e sfumature. Non si accorse nemmeno quando iniziò.
E fu come perdersi in un labirinto, le cui pareti erano trasparenti e agitate come acqua, attraverso cui credeva di poter scorgere l’uscita senza in realtà trovarla. Ma non aveva paura. Sentiva una gran pace, l’aria calda le solleticava il viso e un intenso profumo di viole le invase i sensi. Continuava a camminare ma non avvertiva la stanchezza, l’erba sotto i suoi piedi nudi era morbida e asciutta, più soffice di un tappeto.
Improvvisamente percepì una presenza accanto a sé, ma nonostante cercasse in ogni direzione, non trovò nessuno. Quando riprese a camminare, era come se al suo fianco ci fosse qualcuno, così vicino da poter sentire il suo calore sfiorarle la mano, e che inspiegabilmente non riusciva né a vedere né ad afferrare. Ma non aveva paura neanche di questo. Senza che riuscisse a darsi una spiegazione plausibile, sapeva che non le avrebbe fatto alcun male. Sentiva di conoscere quel calore. Era piacevole, intenso…non se ne sarebbe mai allontanata.
Infine giunse ad un immenso arco, formato dai rami nodosi e contorti di due alberi intrecciati tra di loro, tra cui risaltavano piccole campanule di un rosso scuro striate d’oro. Oltre vi era una lattiginosa luce azzurrina, offuscata da una timida nebbia che la faceva brillare d’argento.
Con lo stesso passo lieve lo attraversò.
Si ritrovò ad osservare il quadro finito.
Rappresentava una giovane donna seduta accanto ad una finestra, lo sguardo perso oltre il vetro, le ginocchia rannicchiate al petto. Indossava un vestito blu notte della stessa consistenza delle nuvole, che contrastava con la sua carnagione d’avorio. Guardava rapita il crepuscolo.
Rivedeva molto di lei in quel quadro, come se un piccolo frammento della sua anima avesse preso forma e colore.
La cosa che più la lasciava interdetta, era quella di avere ancora addosso la sensazione di avere qualcuno accanto. Scrollò la testa cercando di liberarsene.
«Vedo che non hai perso il tuo talento», il respiro le si bloccò in gola. Sentì le spalle irrigidirsi al suono di quella voce, bassa e vibrante.
«E tu la tua maleducazione. Non ti ha insegnato nessuno a bussare?», cercò di ignorare il brivido che le era corso lungo la schiena, accompagnato da un sussulto del cuore.
Le si inginocchiò accanto, non prendendosi nemmeno la briga di rispondere. Allungò una mano verso la scatola dei colori, riconoscendola all’istante, «Mi avevi detto di averla buttata».
Si morse la lingua, maledicendosi per non essere stata abbastanza svelta da nasconderla, «Ah, davvero? Beh, vorrà dire che mi sono sbagliata», cercò di rispondere con tutta l’indifferenza di cui era capace. Me le risultò più difficile del solito con il suo profumo così vicino, e i suoi occhi che sapeva la stavano osservando scettici, nonostante lei continuasse a guardare davanti a sé. «In fondo era un peccato, sono degli ottimi colori. Sarebbe stato uno spreco».
«Mi avevi anche detto di aver smesso di dipingere».
«E’ così», rispose decisa, stringendo le mani fino a far sbiancare le nocche. E la colpa è tua avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne. «Questa è stata solo una…», si morse il labbro, cercando la parola giusta, «momentanea parentesi. Non avevo niente da fare». E commise l’errore più grande che potesse fare. Guardarlo negli occhi.
Forse rimase sbalordita da quanto ricordasse ogni singola sfumatura d’argento di quello sguardo, o forse la sorprese ancora di più ciò che vi trovò. Né derisione né indifferenza. Solo un’immensa dolcezza, sfumata di quieta malinconia, e un calore che era sicura di non avergli mai visto, paragonabile a quello delle loro mani che ora si sfioravano appena. Capì immediatamente che non aveva creduto ad una sola parola.
«Voglio quel quadro».
Quelle parole risuonarono per qualche istante nella sua mente, quasi fossero un’eco lontana. Poi si riscosse, serrando le labbra per la rabbia di essere caduta di nuovo nella trappola di quegli occhi incantatoti. «No».
«Non te lo sto chiedendo come regalo. Sono disposto ad acquistarlo».
Si voltò nuovamente verso di lui, ma ora fissava attentamente il dipinto, come se cercasse di cogliere ciò che avesse mosso le sue mani ad ogni pennellata. «No», la voce era fredda e dura.
Non poteva cedere. Dargli quel quadro significava concedergli una parte di sé stessa, e non ne aveva nessuna intenzione. Non dopo avergli servito il proprio cuore su un piatto d’argento e vederselo restituire in frammenti così piccoli da non avere nemmeno la forza di poterli riunire.
Gli aveva già concesso troppo.
«Credo tu sappia che i soldi non sono un problema», incontrò ancora i suoi occhi, così incredibilmente seri da farla tremare. «Quanto vuoi?».
«Quale significato della parola no non ti è chiara, Malfoy?», scattò in piedi, il respiro corto e le mani che fremevano dalla rabbia.
«Forse sei tu a non aver capito», si alzò con eleganza, sovrastandola con la sua altezza, «Io voglio quel dipinto».
«E cosa ti fa credere che tu possa ottenere tutto ciò che vuoi?», gli occhi ridotti a due fessure, lame di onice nera affilate e pronte a colpire.
«Tu dovresti sapere meglio di me che è così, Pansy».
La mano si mosse svelta per colpirlo, ma la sua reazione fu così veloce da bloccarle il braccio a mezz’aria. Per una serie infinita di istanti si fissarono, immobili, uno con il respiro dell’altra sul viso.
Sentiva il calore delle dita di lui scottare come fuoco, la sua presa salda ma delicata trattenerla senza via di scampo. Voleva andarsene, eppure non ci riusciva. Come se mente e corpo si fossero inspiegabilmente divisi, lasciandola in balia del suo cuore impazzito e di quello sguardo che le soffocava il respiro.
Perché, con lui, doveva essere così ogni volta?
Il loro rapporto era sempre stato una serie infinita di delicati incastri e compromessi strappati all’orgoglio, ma in qualche modo avevano sempre rispettato il patto che avevano silenziosamente siglato, che vietava di oltrepassare la linea di confine che preservava ciò che avevano costruito come difesa verso sé stessi e verso il mondo.
Solamente una volta era stata così stupida da varcare quell’invisibile soglia. Era stato solo un passo, un’impercettibile errore di direzione. Le conseguenze erano state devastanti. Non si era mai sentita così fragile e vulnerabile, ogni sua certezza crollata come un castello di carte distrutto da un vento impetuoso. Ricostruire nuovamente mura solide oltre le quali nascondersi, era stata un’impresa ardua e dolorosa. Aveva pagato il ritorno alla normalità lasciando un’importante parte di sé oltre quel confine.
Da allora era sempre stata attenta e vigile. Ma ritrovarlo così vicino, in maniera così inattesa, l’aveva colta del tutto impreparata. Allontanarsi dalla tentazione di abbandonarsi tra le sue braccia, allontanarsi da ciò che lui rappresentava ancora per il suo cuore, era un pensiero che la faceva tremare. Era una battaglia che aveva già perso in partenza.
Il colpo di grazia arrivò quando sentì le sue dita accarezzarle l’interno del polso, risalire con una lentezza estenuante il braccio, seguendo la curva dolce della spalla e più su, sfiorandole il collo per poi soffermarsi sulla guancia.
Quando si allontanò rimase interdetta dal freddo che l’avvolse. Quasi non si accorse quando le passò accanto, facendo in modo che le loro mani si sfiorassero ancora una volta. Si riscosse solo al suono della sua voce, «Sarà mio, in un modo o nell’altro».
 
Guardò fuori dalla grande finestra della sua camera. Assorta nei suoi pensieri.
Il crepuscolo. Un sorriso le incurvò le labbra.
Quando un raggio dorato riuscì ad insinuarsi oltre le tende, lo seguì con lo sguardo. Lo vide sfiorare e illuminare con la sua luce calda il grande dipinto che riposava sulla parete, proprio sopra il letto matrimoniale.
Scostò maggiormente le tende, per poter avere più luce e riuscire ad osservarlo con più attenzione.
Una giovane donna, dai lunghi capelli scuri, guardava rapita il crepuscolo oltre una finestra chiusa. L’abito blu delicato e leggero come vento si sposava perfettamente con il suo incarnato d’avorio.
Non era cambiato niente, nonostante fossero passati molti anni.
Spiò con la coda dell’occhio il suo riflesso nel grande specchio accanto al letto. Vi scorse il viso di una donna matura ma ancora molto bella, sebbene avesse già superato la cinquantina. Sorrise soddisfatta, tornando poi a concentrarsi sul dipinto.
«Te l’avevo detto, che in un modo o nell’altro sarebbe stato mio».
Sobbalzò, ma subito si rilassò osservando la figura di suo marito avanzare oltre la penombra. «Sei sempre il solito maleducato. Non si bussa prima di entrare?».
«Se non sbaglio, questa camera è anche mia», sottolineò volutamente l’ultima parola, mentre un piccolo ghigno comparve sul volto dell’uomo, prima di passare le braccia attorno alla vita di sua moglie, attirandola più vicina.
«Sei sempre convinto di ottenere tutto ciò che desideri, mio caro Signor Malfoy?», si allontanò quel tanto che fu sufficiente per poterlo guardare in viso. Era affascinante come quando lo aveva conosciuto. Certo, di un fascino più adulto, distinto, tipico di un nobiluomo della sua età. Ma con ancora quell’ardore negli occhi e quella malizia che lo rendevano misterioso e ammaliante.
«Il fatto che tu sia mia moglie da più di trent’anni, direi che è una prova inconfutabile», rise divertito dell’espressione curiosa e dubbiosa che vide sul volto di Pansy. «Eri la cosa che desideravo di più al mondo».
 
 
 
Ed eccoci qui ^^ … allora, che ne pensate?
Prima di tutto, ringrazio moltissimo tutti coloro che leggono questa fic. Siete davvero tanti, mi piacerebbe sapere il vostro parere! Non per forza deve essere positivo ^^ Le critiche costruttive servono per migliorare.
E grazie ovviamente a coloro che hanno aggiunto la fic tra i preferiti…GRAZIE GRAZIE!
E ultime, ma assolutamente non per importanza, un GRAZIE a:
Thiliol: sono molto contenta che le “mie” sorelle Black ti siano piaciute. Ero curiosa di metterle a confronto, dando però particolare risalto ad Andromeda. Quel quadro me la ricordava in maniera incedibile… o per lo meno, come me la sono immaginata io! ^^ Di questo dipinto cosa ne pensi? Alla prossima, mi raccomando! Un bacione Morgana =)
 
ranyare: ma che bel complimento!! *_* Non puoi capire quanto mi facciano piacere le tue parole! Sapere di essere riuscita, anche solo per un istante, a farti immaginare realmente quello che stava succedendo, l’ambiente circostante e ciò che lega i personaggi, è davvero una cosa meravigliosa! Non sempre è facile, anzi, il più delle volte è una cosa molto complicata…perché sono talmente tante le cose che vorrei far percepire, che ho sempre paura che non ne arrivi nemmeno una! ^^’ grazie davvero! Questa volta invece ho scelto uno dei miei pittori preferiti (siamo tra i primi cinque posti che si classificano nella mia personale hit parade)… cosa ne dici? Alla prossima! Un bacione Morgana
 
vavva: mentre cercavo i diversi dipinti per questa raccolta, sfogliando la miriade di libri di storia dell’arte che ho, ho trovato quello di Luini. Associarlo ad Andromeda è stato immediato…perché per la mia particolare visione che ho di lei, era esattamente il modo perfetto per rappresentarla. Con quell’aria dolce e un po’ malinconica, ma anche bella come le sue sorelle. Quindi, sono immensamente felice che ti sia piaciuto il modo in cui l’ho analizzata. Non sapevo molto su di lei, ne tantomeno su Druella, ma ho provato a fare un confronto fra le tre sorelle in modo da darle un qualcosa di particolare che la rendesse “diversa”. Perché in fondo credo che l’amore sia in grado di cambiare anche l’aspetto esteriore, se così si può dire. Come una mamma che aspetta un figlio, che diventa più bella, radiosa. Per l’ultimo quadro invece, ti do una piccola anticipazione…avevo già incluso nella lista un quadro di Waterhouse, perché adoro i suoi dipinti. E sarà se non il prossimo, il capitolo numero nove. Quindi, in qualche modo, la tua richiesta è soddisfatta! ^^ Alla prossima! Un bacione Morgana

 
  
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