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Autore: skonhet    02/08/2015    0 recensioni
Giornate come quella,passate ad aprire impavido il frigo nonostante la presenza di sostanze risalenti a qualche fiorente epoca lontana,oppure a spulciare,più fiduciosi,cassetti ricchi di schifezze strapazza fegato,erano la vera essenza della sua esistenza,una difficile e faticosa esistenza,aggiungerei in onore del prode Albus.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nuova generazione
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Mio fratello è figlio unico.

Tutto era cominciato in una giornata ordinaria, di un caldo insolito. Albus, concluso il suo turno di lavoro, aveva optato per un giro per Londra; per lui il mondo babbano godeva di un’immensa curiosità, permeato com’era di ordinarietà, noia e raziocinio. Quelle poche volte in cui Harry li aveva portati a cenare da Dudley, Albus non aveva fatto che ronzare intorno a tutti quegli oggetti curiosi, come centrini o porcellane o vetrinette che non aveva mai visto in vita sua. Finché era bambino queste sue indagini furono tollerate, ma lo zio Dudley ben presto ne ebbe abbastanza e magicamente gli inviti a cena cessarono, per grande rammarico di Albus. Harry al ricordo ne rideva sempre e gli accarezzava i capelli, pensando a quel vecchio mago che portava il suo nome e che si comportava esattamente allo stesso modo.

Quel giorno Albus, dopo aver sorriso ad ogni passante ed essere entrato in ogni negozio, finì per perdersi tra le vie più babbane e intricate di Londra, e così pensò bene di chiedere ad un uomo dove avesse potuto usufruire di un camino pubblico e tornare a casa via metro polvere. L’imbarazzante scambio di sguardi che seguì tra l'attempato signore (tra l’allucinato e l’offeso –questi ragazzi non hanno più rispetto) ed Al (sorridente e speranzoso) si interpose una ragazza dai lunghi capelli neri «Ooh ecco dov’eri Jack, ti ho cercato ovunque! Vieni con me, siamo in ritardo» e con un cenno all’uomo arpionò Albus e lo spinse velocemente via. Senza guardarsi indietro e continuando a camminare lo sgridò «Qui non siamo ad Hogsmade, ricordi? Loro usano l’autobus».

Miranda aveva gli occhi a mandorla, scuri come un pozzo, e la pelle calda delle Hawaii. Quei capelli le arrivavano fino al sedere e giurava di potersi difendere a frustate, quando li intrecciava. Aveva un tono sempre duro, polemico, non risparmiava nessuno, ma ad Al spesso sussurrava promesse e moine fluenti e potenti come acqua sugli scogli. Dopo che lei l’aveva salvato, Albus non le diede tempo di respirare e le propose di bere un caffè, ma lei optò per una burrobirra «Torniamo dai nostri che è meglio.» A casa Albus non tornava più, Miranda aveva una mansarda vicino al Ministero piena di poster e foto di mare, dove diceva fosse affondata la sua gentilezza. Albus la chiamava spesso per farla arrabbiare e sentirsi rispondere male, le piaceva da impazzire quel modo rude che aveva di apostrofarlo. Sapeva di essere la parte debole della coppia, di essere del tutto dipendente dal suo umore, ma era innamorato e l’amava più di ogni altra cosa. Albus portava sempre una vecchia polaroid con sé e le scattava centinaia di foto, di quelle statiche, babbane, e conservava anche quelle sfocate, e spesso le accarezzava inconsciamente nelle tasche. Quando sentiva la necessità di avere una ragazza come tutte le altre le portava un mazzo di fiori, e allora lei si faceva tutto uno zucchero, intrecciava i gambi e ne faceva una corona che indossava tutto il giorno: però poi Albus sentiva la mancanza della vecchia Miranda e allora cercava in tutti i modi di irritarla per riprendere a litigare. Passavano interi weekend insieme nella vasca da bagno a sognare di partire ed andare alle Hawaii, ma nel frattempo Albus aveva perso il lavoro e lei guadagnava l’indispensabile per sopravvivere. A volte riuscivano a racimolare l’indispensabile per un weekend nel triste mare dell’Inghilterra, che a Miranda ispirava sempre un po’ il suicidio ma che ad Albus ricordava Villa Conchiglia, quindi se lo facevano bastare. Dopo pochi mesi Al già immaginava bambini dalla pelle caffèlatte e gli occhi verdi, allegri ma cupi, mentre lei sognava ogni notte di tornare da dove veniva.

Era figlia di un ambasciatore inglese e una strega hawaiana, che aveva trasmesso a quella figlia di un amore segreto quel potere misterioso. Poi lei era fuggita con un santone indiano e quel buon vecchio di Greg aveva riportato il fagotto a Londra per farne parte integrante della sua famiglia. Per Miranda era stato difficile crescere sotto lo sguardo accusatorio di Miss Reed, che cercava tra i suoi lineamenti quelli del marito (che aveva spacciato Miranda per un’orfana senza identità che aveva adottato) e tre fratelli dispettosi. Le cose si erano fatte ancora più complesse quando risultò che era una strega e avrebbe studiando in un posto lontano non so dove: dopo molte visite mediche e le visite di decine di impiegati del ministero della magia che pregavano i suoi genitori di smetterla di violare lo Statuto Internazionale di segretezza della Magia, la situazione si risolse spedendo Miranda ad Hogwarts. Pur non avendo mai vissuto quel luogo esotico se non i primi mesi della sua vita, sognava di tornare a quelle spiagge, ritrovare la sua identità, e chissà magari anche sua madre.
Albus rileggeva la sua storia in quegli occhi a mandorla ma non troppo, e segretamente accumulava quei pochi spiccioli che ricavava –tra lavoretti, monetine cadute a terra, soldi lasciati in giro dal fratello- per portarla di nuovo a casa. Non parlò a nessuno di quell’amore viscerale, come se avesse timore di romperlo, di sgualcirlo. Inconsapevolmente fin dal principio sentiva un certo squilibrio, un pericolo imminente. Sentiva Miranda sempre troppo lontana, persino quando la stringeva, anche quando lei gli riservava quei rari momenti di tenerezza. Lo vedeva che metà Miranda era oltre oceano, lo sapeva, ma faceva finta di non capirlo.

Le cose cominciarono a declinare otto mesi dopo il loro incontro. Avevano vissuto quasi ogni secondo di quel tempo insieme, stretti, lontani solo qualche ora. Miranda cominciò ad essere sfuggente, a essere occupata, a dimenticarsi degli appuntamenti. Albus tornò ad abitare interamente nell’appartamento che condivideva col fratello, ma con serenità: sapeva che quel primo attaccamento degli innamorati era destinato a perire, che era iniziata la fase dell’amore maturo e duraturo, ed era contento di tornare allo squallore dei giovani Potter. Ma nelle vene di Miranda scorreva quello stesso sangue hawaiano materno, libertino e selvaggio, e così un giorno gli diede appuntamento a casa sua e gli fece trovare uno scatolone pieno della roba che aveva seminato qua e là «Tra noi è finita Al.» Per lei sarebbe stato sufficiente quello, ma alle urla di Albus la costrinsero a dare spiegazioni. Aveva conosciuto un connazionale di 31 anni, sposato con un’inglese frigida (questo lo disse con disprezzo, diverso dal suo semplice tono secco) e infelice. Aveva vissuto nella terra dei sogni per diciannove anni prima di arrivare a Londra, e ora contava di tornarci, con Miranda. Si frequentavano da due mesi, in segreto, inizialmente come amici ma poi qualcosa di antico li aveva uniti. Ora era incinta e contava di crescere suo figlio nella sua terra natia, come a lei non era stato permesso. Accompagnò un Albus sconvolto alla porta e lo chiuse fuori con un colpo secco.

Prima che partisse vegetò davanti la sua mansarda per tre giorni: una volta, nel dormiveglia, fu quasi sicuro di essere stato scavalcato da un aitante giovane abbronzato e capì di essere anche lui nel ruolo dell’inglese frigido. Lasciò un mazzo di fiori sul pomo della porta prima di lasciare quel posto per sempre.
All’inizio cercò di riprendersi, di svagarsi, si lanciò in avventure in giro per Londra col fratello, ma ben presto capì di essere un nulla, cominciò a immaginare quel bambino che cresceva dentro lei a cui era stato privato il bagaglio genetico del vecchio continente, che a malapena avrebbe ricevuto quello della madre –Miranda non aveva nulla di inglese- e pensava a quell’uomo tanto più grande di lei che se l’era portata via. Cadde nella depressione che già conosciamo, distaccandosi da tempo e spazio, sognava lei che bussava alla porta per vivere insieme e saltava dal letto convinto che quel rumore fosse reale, e tralasciò ogni minima cura per se stesso.
Quando Rose lo aveva esasperato e si era rinchiuso in camera, in preda alla rabbia aveva preso in ogni camicia ogni foto di Miranda e le aveva bruciata, calpestata, masticata, piangendo lacrime di rabbia e frustrazione e odio. Poi era crollato stremato a letto, sperando di svegliarsi senza memoria, e che a quel cazzo di hawaiano venisse un colpo.

James dopo qualche ora era salito in camera, a sentire se il fratello respirava ancora. Aveva delle accortezze da fratello maggiore di cui spesso si vergognava, ma di cui non poteva farne a meno. Osservò quelle foto bruciate e suppose che fossero dunque quella pelle d'ambra e quei capelli d'ebano ad aver ridotto Al così. Gli rimboccò le coperte, gli accarezzò i capelli e uscendo fece ben attenzione a mettere il piede sopra quelle labbra carnose stampate su carta.



Note dell'autrice:
Qualche neurone ribelle del mio cervello mi ha spinto a descrivere questo momento mancante della storia. Chiedo perdono per la brevità (brutto vizio la sintesi) e spero questo abbia risolto la curiosità di quei pochi che avevano letto i due capitoli precedenti. Per me è un traguardo aver scritto ben tre capitoli di una storia!
Baci :)

  
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